Il presepe, stupore e stupidità

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di Marcello Veneziani

Il presepe, stupore e stupidità

Fonte: Marcello Veneziani

Il giorno dell’Immacolata, a casa mia, facevamo il presepe e io continuo a casa mia la tradizione. Qualche giorno dopo lo facevamo a scuola ed era un bel momento di tenerezza comunitaria, di ricreazione con la maestra e di confronto puerile tra diverse piccole tradizioni famigliari.

Vorrei dire ai cretini che aboliscono il presepe per non offendere i non-cristiani, cosa si perdono e cosa fanno perdere ai bambini.

Il presepe era la nascita di un Bambino, di una famiglia, di una comunità. Era il calore in pieno inverno, era il cielo stellato nel gelo di dicembre, era la luce al buio della notte. Il presepe consacrava la famiglia, quella composta da padre, madre e figlio, e celebrava la casa, anche se ricordava una nuda grotta, domicilio provvisorio.

Il presepe era un esempio magico di edilizia sacra, tramite un lavoro collettivo; bambini di ceto diverso e capacità diversa insieme costruivano una miniatura di universo e umanità, una città di anime e corpi, umili e gloriosi.

E in quella famiglia vedevano la loro, anche se si trattava di una famiglia speciale, povera ma molto altolocata, che partoriva a cielo aperto, senza un’ostetrica; in quel paese che si chiamava città del pane (tale è il significato di Betlemme) riconoscevano il loro; in quelle facce di pastori, venditori, pellegrini ritrovavano quelle dei loro conoscenti.

Il presepe era il modo concreto e favoloso per rappresentare l’alleanza tra il cielo e la terra, tra uomini e animali, tra popoli e sovrani, tra oriente ed occidente. Nel presepe vedevamo per la prima volta insieme bianchi e neri, arabi ed ebrei, persino i re magi rispettavano l’integrazione perché uno dei tre era moro.

Nel presepe imparavamo a riconoscere ed amare la natura, la bellezza dei monti riprodotti in carta da imballaggio travestita e maculata, dei fiumi e dei laghetti, anche se erano specchietti rubati alla vanità femminile, il muschio vero e la neve finta, poi gli alberi e le palme, il cielo stellato e il prodigio di una stella cometa posata sopra una grotta, spesso in modo precario.

Nel presepe acquistavano dignità gli animali più umili, a cominciare dall’asino e dal bue, primi caloriferi animati per un Divino Utente e per i suoi santi congiunti. Poi c’erano le papere, le pecore e le oche, ondeggiavano tra le dune serafici cammelli, si affacciava qualche maiale e gli agnelli avevano facce umane.

Il presepe apriva i cuori all’aspettativa, alla nascita. Era un esempio di fiducia miracolosa nell’avvenire, una comunità fondata non sull’interesse e sullo sfruttamento ma sul comune amore per il Bambino che nasce e una fede che unisce.

Ed era una celebrazione della natività che oggi più di allora dovrebbe essere propagata nella società tirchia di nascite che ci troviamo.

Chi offenderebbe una rappresentazione così dolce e innocua di vita, religione e comunità?

Del presepe si possono sentire leggermente offesi solo gli eredi di Erode, o quelli che a Gesù Bambino preferiscono Gesù abortino.

Da cosa dovrebbero sentirsi offesi gli islamici, se perfino la location del presepe è loro assai famigliare e non c’è nulla ma proprio nulla contro la loro religione, anche perché l’evento natalizio precede Maometto di alcuni secoli?

E i bambini atei o semplicemente non credenti, o meglio figli di atei e di non credenti, in cosa dovrebbero sentirsi offesi, da un bambino che nasce, da un tributo d’amore, dallo sfarfallio di angeli con la chitarra? Più che l’angelo sospeso in cielo magari a loro colpirà il filo a cui sono appesi, ma che danno avrebbero da un presepe?

Al più sarà per loro una bella favola, meglio di Babbo Natale e di Halloween, anzi una “narrazione”, un mito. Per chi crede, invece, il presepe è il sacro ad altezza d’uomo, è la santità a domicilio, la spiritualità che si fa carne, popolo e paesaggio, una divinità che prende in braccio il mondo e lo accarezza.

È anche aspra la religione, è anche tosta, esige sacrifici, è martirio e sopraffazione, a volte è l’alibi per esercitare violenza e dominio; ma nel presepe no, è un esempio mite di comunità armoniosa, di una beatitudine casereccia, perfino musicale.

Poi quando si spegnevano le luci intorno e restavano accese solo le luci del presepe e ciascuno aveva in mano una candelina e si allestiva una piccola, sgangherata processione, in aula o in casa, per far nascere il Bambino, quella comunità si faceva comunione e avvertivi in quella stanza la magia di una nuova presenza.

Tu scendi dalle stelle e porti il cielo in una stanza.

E lorsignori, idioti a norma di progresso e di direttive europee, vorrebbero cancellare pure questa innocua, casereccia tradizione. Rimuovono la mamma di Gesù Bambino per sostituirla con la mamma degli imbecilli che, come è noto, è sempre incinta.

Una Risposta

  • ottimo articolo.
    Quelli che dicono che a fare il presepe si offende la “sensibilità”(sic!) di altre religioni,io gli rispondo che sono dei vigliacchi VENDUTI al…demonio.VERGOGNA,VERGOGNA.
    Finirete all’Inferno,sicuro come la morte.

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