Non sembra destinata a interrompersi la tensione fra Cina e Taiwan. Il discorso di Xi Jinping al congresso del Partito comunista aveva certificato la volontà del leader cinese, nel medio termine, di riassumere il controllo dell’isola, che chiede invece di essere riconosciuta quale Stato indipendente. Da parte cinese, la questione non è neanche lontanamente accettabile. Taiwan è ritenuta parte integrante della Cina e a Pechino sono disposti anche a muovere le forze armate qualora insorgesse la necessità di reprimere un tentativo concreto del governo taiwanese di dichiarare l’indipendenza. La legge anti-secessione promulgata nel 2005 sotto la presidenza di Hu Jintao e il premierato di Wen Jiabao è chiarissima: il governo cinese può utilizzare “mezzi non pacifici” contro il “movimento indipendentista di Taiwan” qualora il governo di Taipei dichiari l’indipendenza. Serve una dichiarazione formale? Secondo l’interpretazione elastica di Pechino sembrerebbe non essere necessaria, in quanto basterebbe un’operazione che mette a repentaglio la sovranità cinese sull’area. In questo senso, è importante ricordare le parole di Li Kexin, che a Washington parlò dell’arrivo di una nave americana come gesto che avrebbe condotto all’immediata invasione dell’isola da parte delle forze armate cinesi.
Le parole di Li Kexin non sono state le sole in tal senso, molti analisti hanno parlato in questi mesi della possibilità che l’Esercito di liberazione popolare possa mettere fine ai desideri indipendentisti di Taiwan. E adesso crescono le preoccupazioni di Taiwan per l’eventualità di un attacco cinese. La presidente dell’isola, Tsai Ing-wen, nel corso di un’intervista all’emittente locale Set Tv, lunedì scorso, ha detto che “nessuno può escludere questa possibilità”. “Quando il nostro governo affronterà resistenze e pressioni dalla Cina”, ha aggiunto Tsai, “troveremo un metodo per resistere. Questo è molto importante”. Le parole di Tsai sono arrivate nel quadro di un’intervista molto interessante, in cui è stato toccato anche il tema del riarmo dell’isola. In particolare, come riporta Agi, è stato toccato il punto della creazione di sottomarini interamente costruiti nell’isola. Un gesto che molto probabilmente Pechino considererebbe il preludio a una virata verso l’autonomia. Tsai Ing-wen ha dichiarato che questo progetto “è ancora in fase iniziale”. Una dichiarazione che non ha evidentemente dato garanzie al governo cinese.
L’intervista a Tsai ha poi toccato anche una nuova causa di attrito fra Pechino e Taiwan, ossia le rotte aeree. La scorsa settimana, il governo dell’isola aveva protestato con il governo centrale cinese per via dell’apertura di quattro nuovi corridoi aerei nello stretto di Taiwan. L’Ufficio per le Relazioni con Taiwan del governo cinese aveva risposto alle preoccupazioni taiwanesi. Ma Xiaouang, portavoce dell’ufficio per gli affari di Taiwan al Consiglio di Stato, ha dichiarato che queste rotte non implicano alcun coinvolgimento di rotte verso l’isola o dei voli in partenza dagli aeroporti taiwanesi. Detto questo, ha anche ricordato senza troppi complimenti che l’apertura di questo corridoio aereo “non ha bisogno dell’accordo con Taiwan”. La questione per ora, è rimasta ancorata a una realtà locale. Ma si sa che i rapporti che intercorrono fra i due governi sono sempre d’interesse anche per gli Stati Uniti, che considerano Taiwan uno strumento utile a minare la sovranità cinese nel Pacifico. Gli Usa hanno formalmente accettato la politica di “una sola Cina” da decenni, ma, di fatto, intrattengono con l’isola importanti relazioni, cresciute in questi anni in concomitanza con l’ascesa della Cina quale superpotenza che si oppone ala logica politica statunitense in Asia orientale. Gli Stati Uniti considerano prioritario evitare che la Cina estenda in controllo sul Mar Cinese Meridionale e così anche sulle rotte del Pacifico occidentale. Per farlo, può avere bisogno di Taiwan, ma deve farlo senza scatenare reazioni militari della Cina, che considera l’isola parte integrante del Paese. Una situazione bollente che, negli ultimi mesi, è di nuovo tornata prepotentemente a occupare l’agenda politica di Pechino e che rischia di aumentare le già importanti tensioni tra Cina e Usa.