di Marcello Veneziani
Fonte: Marcello Veneziani
Ora che si è chiusa la campagna elettorale, anziché metterci a fare i conti della serva sul voto, preferiamo tirare un bilancio diverso e chiederci se c’è stata una battaglia sui valori, un conflitto su temi ideali, storici e politici.
Non c’è stato alcuno scontro tra progressisti e conservatori, tra destra e sinistra, tra culture politiche, tra idee liberali e idee sociali o addirittura socialiste. È sparito ogni riferimento al voto cattolico.
L’unico scontro è stato su fascismo e antifascismo. Per riprendere il tormentone della campagna elettorale, la Repubblica ha affidato allo psicanalista Massimo Recalcati il chiodo fisso antifascista, riassunto in un titolo che sembra scritto dalla scuola di mistica fascista: “L’immortale desiderio del fascismo”.
Un titolo apologetico all’apparenza, che sembra scritto da un invasato del fascismo come categoria dello spirito e valore perenne. In realtà Recalcati – come dice il suo cognome – ricalcava lo schema del fascismo eterno, fissato dall’ideologo Umberto Eco; un tema che ai tempi di Stalin si chiamava “l’eterna reazione in agguato”.
Il fascismo immortale come alibi per l’antifascismo immorale.
Ma prendiamolo sul serio, stavolta, e restiamo sul piano culturale. Dunque, per cominciare, Recalcati cita Pasolini che denunciò il “nuovo fascismo”. Ma Pasolini non si riferiva affatto al fascismo storico, quel che definiva “nuovo fascismo” era il potere consumistico che nulla aveva a che vedere col fascismo vero.
In una famosa lettera aperta a Moravia, il poeta accusava all’opposto l’uso strumentale, falso e fuorviante dell’antifascismo, “arma di distrazione che la classe dominante usa per vincolare il dissenso” e “spingere a combattere un nemico inesistente”.
E altrove aggiungeva: “Nulla di peggio del fascismo degli antifascisti”. Dunque, la citazione pasoliniana era totalmente fuori luogo, indicava il contrario del loro mantra.
Per Recalcati il fascismo immortale è “rinuncia al pensiero critico, massificazione, irreggimentazione, soppressione sacrificale del singolare” che potrebbe essere un’ottima descrizione dell’eterno comunismo.
E non solo: si potrebbe facilmente descrivere “l’immortale desiderio” del comunismo nell’invidia egualitaria, nell’odio per ogni differenza, non solo di classe ma anche di identità, di pensiero, di capacità; l’abolizione della realtà e degli uomini imperfetti di oggi nell’utopia sanguinaria del mondo migliore che verrà.
Non si capisce perché il fascismo debba essere eterno e il comunismo no; a meno che si reputi il fascismo un fatto naturale e soprannaturale.
Recalcati rincara la dose e oltre al canonico richiamo a W.Reich e alla sua psicologia di massa del fascismo, ritrova in Freud la descrizione “chiaroveggente” del desiderio immortale e indecente di fascismo.
Non doveva pensarla così Freud quando mandava libri con dediche apologetiche a Mussolini e confidava nel fascismo come argine al nazismo che invadeva la sua Austria. Ecco la dedica autografa di Freud: «A Benito Mussolini, col devoto saluto di un uomo anziano che nel detentore del potere riconosce l’eroe della civiltà».
Capisce, Recalcati, cosa pensava Freud del fondatore del fascismo? Eroe della civiltà…
Per Recalcati il desiderio eterno di fascismo è nell’infatuazione per il capo, nell’amore per la guerra, nell’odio paranoico di massa per l’avversario, nell’aggressività, nella “incandescenza acefala” (!). Sarebbe ancora facile e puerile rovesciare l’osservazione sul comunismo e in genere su tutti i totalitarismi, a partire dalla rivoluzione francese che decapitando con la ghigliottina fece dell’”incandescenza acefala” una prassi reale.
Ma vorrei invece ribaltare in un altro senso la sua lettura. Lo ha mai sfiorato il dubbio, dico a Recalcati e all’Intellettuale Collettivo de la Repubblica, che ci possano essere ben altri desideri immortali a muovere coloro che essi dannano come fascisti e reazionari?
Per esempio il bisogno permanente di autorità e di gerarchia, il bisogno eterno di identità, di fedeltà, d’amor patrio e radici comunitarie (bisogni fondamentali dell’animo umano, diceva Simone Weil, ebrea e socialista, tutt’altro che fascista).
Per esempio il bisogno di collegarsi a una tradizione, di riconoscere sovranità, diritti e doveri, meriti e capacità, giustizia sociale e non lotta di classe. Questi sono bisogni fondamentali di ogni civiltà; vorrei anzi sperare che siano desideri davvero immortali, insopprimibili. Poi, certo, ogni grande virtù separata dalla misura e dalla verità, in menti deboli o esagitate, può degenerare in vizi e imposture.
Quel che Eco e l’echeggiante Reclacati definiscono “un bisogno di catene” è piuttosto un bisogno di legami, di connessioni, di continuità e senso del limite. La libertà senza misura e senza legami finisce nel caos e nel dispotismo.
Ma ai Recalcati, come agli Eco e ai maestrini della nuova inquisizione, coloro che non si allineano a lorsignori sono posseduti dal demonio fascista, non vanno capiti né si deve dialogare con loro: vanno solo demonizzati.
Poi non meravigliatevi se le menti più deboli che bevono questi anatemi, bastonino a sangue un ragazzo “fascista” o vogliano la morte di chi, in divisa o in politica, rappresenti ai loro occhi invasati l’eterno fascismo e la sua dannazione.
Il fanatico, l’idiota criminale, porta alle estreme conseguenze quelle tesi. Così vien fuori che uccidere un fascista non è un reato; ma nel nome della libertà e della ragione, dell’antifascismo e della non-violenza…