di Fabio Falchi
A cura di Alessio Mannino per www.vvox.it
Un altro (e più profondo) punto di vista. E’ quello, almeno rispetto ai “mattarelliani” d’Italia, ma senza essere schierato a prescindere con gli “anti-mattarelliani”, che può dare sine ira ac studio solo uno studioso, libero, lontano da accademie e consorterie, con un robusto bagaglio di riferimenti non esattamente mainstream, e che sa argomentare. E’ il caso di Fabio Falchi, 52 anni, ricercatore indipendente che vive in provincia di Varese, uno dei non pochi (ma neanche tanti) pensatori di un’Italia abituata a portare il pensiero all’ammasso, accontenandosi di veder sfilare i soliti quattro “opinionisti”. In particolare, Falchi si occupa di analisi geopolitica e filosofia politica, collaborando a varie riviste (soprattutto “Eurasia”) e scrivendo diversi libri (“Lo spazio interiore del mondo”, i due volumi de “Il Politico e la guerra” e “Comunità e conflitto”, tutti pubblicati da Anteo, e ne sta per uscire un altro, che «dovrebbe intitolarsi “Geo-politicamente abita l’uomo”»). Falchi si muove nel solco del socialismo «non marxista, incentrato sulla difesa delle “differenze” e dei legami comunitari, in quanto ritengo che che l’“essere con gli altri” (che può pure mutarsi in “essere contro gli altri”, come dimostra la storia) sia il destino dell’uomo e che di conseguenza non ci si libera da soli, ma insieme». Non esattamente la prospettiva dell’individualismo liberale, insomma.
Anzitutto, qual è il suo giudizio da osservatore sull’esito delle elezioni del 4 marzo e dell’accordo fra M5S e Lega da cui è faticosamente scaturito il famoso “contratto”?
La legge elettorale con cui si è votato era stata voluta soprattutto dal Pd e da FI per impedire al M5S di conquistare la maggioranza dei seggi in Parlamento, poiché era chiaro che il Pd avrebbe subito una pesante sconfitta. In particolare l’obiettivo di Berlusconi era quello di dar vita ad una coalizione di centrodestra che vincesse le elezioni e di proporsi come il garante degli interessi degli “euro-oligarchi”, erigendo una diga contro i cosiddetti “populisti”, ossia non solo contro il M5S ma pure contro la Lega di Salvini. L’intesa tra FI e la Lega poggiava quindi non su un programma condiviso (tanto che le differenze tra la Lega e FI sia sulla questione della Ue che su altre questioni, come quella delle pensioni, erano evidenti a chiunque già prima del 4 marzo), bensì su calcoli elettorali. Tuttavia le urne, contrariamente alle aspettative di Berlusconi, non hanno dato al centrodestra la maggioranza in Parlamento e hanno premiato più la Lega che FI.
Berlusconi è dunque il vero perdente?
La strategia di Berlusconi, che mirava pure ad un accordo con Renzi per mettere in un angolo Salvini, si è rivelata così del tutto fallimentare, mentre il M5S e la stessa Lega potevano contare sul forte sostegno popolare proprio su alcuni punti condivisi, in particolare per quanto concerne l’ostilità verso il Pd e la revisione dei trattati europei. L’alleanza tra il M5S e la Lega, che insieme detengono la maggioranza assoluta in Parlamento, era quindi in un certo senso dettata dalla stessa “logica politica”. Certo differenze ci sono, anche notevoli, ma i punti in comune tra le due forze politiche hanno permesso di superare le loro divergenze e formulare un programma di governo del tutto conforme alle leggi vigenti. Ora si deve vedere se questa alleanza durerà.
Dopo la decisione di Mattarella e l’incarico a Cottarelli la discussione si è concentrata sulla costituzionalità di questo passaggio, che ha fatto gridare al colpo di Stato. E’ così?
La democrazia è un sistema politico che permette all’opposizione di governare a patto che rispetti le leggi vigenti. Il punto è però che le leggi si interpretano. La nostra Costituzione (formale) comunque non prevede che il Presidente della Repubblica possa bocciare il programma di forze politiche che detengono la maggioranza in Parlamento. Si può opporre alla scelta di un ministro per motivi di “indegnità morale”, sulla base dell’articolo 48. Non può però rifiutarsi per ragioni politiche di nominare ministro chi ha il compito di attuare il programma delle forze politiche che hanno vinto le elezioni. Peraltro, sia le norme costituzionali (benché non tutte) che i trattati internazionali, possono essere modificati seguendo le procedure previste dalla Carta e dai trattati medesimi. Ponendo il veto sul nome di Savona solo per le sue idee politiche, assai critiche verso la Germania e la stessa Ue, e bocciando il programma dei giallo-verdi, praticamente si è anteposta la volontà dei “mercati” e degli “euro-oligarchi” alla sovranità popolare, pur se esercitata nei limiti e nelle forme della Costituzione.
La democrazia quindi è stata quanto meno sospesa?
Se dei giuristi ritengono invece che la nostra costituzione materiale consenta al Presidente della Repubblica di porre questo veto, allora la nostra costituzione materiale è radicalmente antidemocratica, poiché il Presidente della Repubblica potrebbe agire contro la “lettera” dell’articolo 1 Cost. o come se la repubblica italiana fosse una repubblica presidenziale. Insomma, la decisione di Mattarella è un atto politico, come lui stesso in sostanza ha ammesso, e lo si deve quindi valutare e giudicare sotto questo profilo, non (solo) sotto quello della cosiddetta “scienza giuridica” (che non è una scienza esatta ed è noto che si può trovare sempre un giurista che dica l’opposto di un altro). Comunque sia, è ormai chiaro che in Occidente lo stato di eccezione è diventato la “norma” e che, come sa chi ha letto Carl Schmitt, l’ordinamento giuridico dipende sempre da una “decisione politica”.
Da analista della geopolitica mondiale, come si inquadra l’attuale momento politico italiano nello scacchiere globale?
La domanda è complessa e per rispondere esaurientemente non posso che rimandare al mio saggio “Comunità e conflitto”. Qui si può osservare che l’abnorme espansione della finanza è, come scrive Braudel, il segnale dell’autunno del centro egemonico (oggi gli Usa) e della nascita di centri di potere antiegemonici (o almeno potenzialmente tali), quali la Russia, la Cina eccetera. Segna cioè l’inizio di una fase multipolare, che apre nuovi spazi a centri subdominanti (tra cui la Germania). È una fase caratterizzata da caos geopolitico e da molteplici contraddizioni che provocano lotte pure tra dominanti (“effetto Trump”) e tra dominanti e subdominanti, ad esempio tra il “gruppo Trump” (chiamiamolo così) e la Germania, cui è stato concesso molto (euro compreso), pur di saldarla al polo atlantico dopo la scomparsa dell’Urss, in un contesto dominato dal capitalismo predatore impostosi di nuovo in Europa a partire dagli anni Novanta del secolo scorso. E per ragioni facilmente comprensibili, i vertici dell’Ue sono più legati al “gruppo Clinton” e al deep State degli Usa che non a quello di Trump. L’azione dei “mercati” pertanto dipende da questo caos geopolitico in parte dovuto all’emergere di nuove potenze sulla scacchiera mondiale. Nondimeno, lo scontro ai vertici degli Usa e quello tra Washington e Berlino potrebbero favorire l’Italia. Se la Germania avesse agito in un’ottica europea anziché in un’ottica “mercantilistica” (per capirsi), oggi invece sarebbe tutto diverso. Peraltro, la Germania è una potenza commerciale ma un nano geopolitico e militare. E pure questo conta, come conta che non si sia opposta all’espansione della Nato verso Est. Ha agito, come al solito dopo Bismarck (duro ma capace), in modo rozzo e ottuso sotto il profilo politico-strategico. Ora sembra però che tutti i nodi vengano al pettine.
Cosa sono, o meglio chi sono, i “mercati”?
I “mercati” sono entità, apparentemente sovranazionali, fragili in quanto tali ma proprio per questo motivo sono “agganciati” (proprio come le multinazionali) ai vertici del potere pubblico dello Stato egemone o di alcuni Stati subdominanti. Sotto questo profilo è ovvio che agiscano secondo una logica non meramente economicistica ma politico-strategica. Difatti, il capitalismo, che del resto nasce in Italia nel XV-XVI secolo, si caratterizza anche per l’alleanza tra chi detiene i mezzi di coercizione (e di persuasione) e chi detiene i principali mezzi di produzione e le maggiori risorse finanziarie, ovvero tra uno Stato egemone (in particolare l’Olanda, poi l’Inghilterra e infine gli Stati Uniti) e i potentati economici e finanziari. Pertanto, se non si presta attenzione al livello geopolitico che è sopra i “mercati” (che coincide con ciò che Braudel definisce come “contromercato”) e che vede i potentati finanziari agire “in sinergia” con i vertici del potere pubblico di alcuni Stati, non si riuscirà mai a capire come agisce il capitalismo predatore del centro egemonico (ovvero gli Usa) e di altri centri di potenza subdominanti (in primis oggi la Germania).
Euro sì/euro no sembra essere diventato il dilemma della politica italiana. Distinguendo il piano del principio e delle idee da quello della realtà e della loro realizzabilità, crede che Draghi abbia ragione, di fatto, quando considera la moneta unica irreversibile, almeno nel breve-medio periodo?
Di eterno sulla terra non vi è alcunché! L’Ue comunque non è un polo geopolitico e neppure un autentico grande spazio geo-economico. Non è una federazione né una confederazione. Né gli eurocrati tengono conto che l’Europa è contraddistinta da tre aree geopolitiche differenti: quella baltica, quella danubiana e quella mediterranea. Non vi è una difesa europea, né una politica estera europea, né una politica economica europea. La Francia fa la sua politica estera (di stampo neocolonialista), la Germania fa la sua politica economica, i Paesi dell’Europa dell’Est vanno per conto loro e via dicendo. In pratica l’Ue dipende dagli Stati Uniti sotto l’aspetto geopolitico e militare e dalla Germania sotto l’aspetto economico. In questo contesto è evidente che il problema più serio da risolvere è quello della architettura politica dell’Unione (frutto di mille compromessi) e che essa è una entità politica assai fragile. E forse questo spiega pure l’eccezionale tiro di sbarramento contro l’esercito giallo-verde, che non pare affatto così deciso e aggressivo come le gazzette lo dipingono, quasi che bastasse una modifica dell’architettura dell’Ue per far crollare l’intero edificio europeo. Il problema dell’euro dipende dunque dai problemi derivanti dalla mancanza di un autentico polo geopolitico europeo. La questione da risolvere è in primo luogo non una questione tecnica ma politica e geopolitica. In quest’ottica pertanto si dovrebbe porre anche la questione dell’euro. Bisognerebbe prendere atto cioè che uno Stato federale europeo, almeno in questa fase storica, è mera utopia e che l’Ue può sopravvivere o, meglio, essere davvero “equa e solidale” solo se si tiene conto delle differenti identità e dei differenti interessi dei Paesi che la compongono.