QUINTA COLONNA
di Marcello Veneziani
Sarà un figurante, ma Giuseppe Conte a Palazzo Chigi fa la sua figura. Finora nel suo giro del mondo in settanta giorni non ha mai sbagliato un gesto, una frase, una dichiarazione. L’unica gaffe appartiene alla sua vita anteriore, quando scriveva curriculum per gonfiarsi un po’. Ora non c’è più bisogno d’intortare, in due mesi ha realizzato un curriculum invidiabile, la realtà supera la diceria. Nei suoi interventi magari si terrà sull’ovvio, sul generico, non decide un granché, si limita a intrattenere, ripetere, simulare; ma il poco che ha detto e il pochissimo che ha fatto, l’ha detto e l’ha fatto bene, senza mai sbilanciarsi. Si è mantenuto sul filo con un equilibrismo prodigioso, che nemmeno i funamboli delle sagre paesane, quelli che nella nostra Puglia chiamavamo tarall’e zucchere. È riuscito a non dispiacere a Di Maio, Salvini e Mattarella, anzi ha dato l’impressione di concordare con ciascuno di loro. È l’ultimo miracolo di Padre Pio per dimostrare che niente è impossibile, perfino che un Conte da uno diventi di colpo premier, senza colpo ferire. E non venga attaccato da nessuno, stampa inclusa.
Conte si è definito l’altro giorno né carne né pesce, ma è quella la sua mission, di lasciare la carne al manzo Salvini (lo stesso sguardo bovino) e il pesce al sarago Di Maio (gli stessi occhi cerchiati). Lui, il Conte Zio, è il Contorno, l’insalata foggiana coi pomodori e le patate, anzi i’ patane, prodotte dall’omonima pianura patana che è il Tavoliere. Conte a ferragosto non va al mare né va in montagna, ma a Volturara Appula, in mezza collina, dove le galline superano gli abitanti.
Conte ha compiuto l’altro giorno 54 anni, ma è nato al mondo circa due mesi fa. Fa impressione vedere il neonato aggirarsi tra i leader e i protocolli con crescente padronanza, è un miracolo vederlo ricevuto perfino alla Casa Bianca e suscitare la simpatia animale di Trump e di fare l’amicone col perfido Macron.
Ogni volta che lo vedo, e soprattutto lo sento, ho una sensazione d’incredulità e di simpatia, quasi d’affetto. Il miracolo dell’Uomo qualunque al governo. Una storia pirandelliana, quasi il rovescio del fu Mattia Pascal: uno che apprende da un giorno all’altro di essere Qualcuno, di avere una sua notoria identità. Raschiando il gratta e vinci è uscita la sua faccia e da quel giorno lo sconosciuto si è fatto istituzione. Eccolo col suo capello col ciuffo meticolosamente scomposto, la sua voce cavernosa da grotta garganica e il suo naso a pipa di profilo. Di prospetto invece ha una vaga somiglianza col primo Berlusconi, qualche capello in più, qualche azienda in meno. Il curriculum gonfiato è il suo alzatacco, il suo riporto e il suo lifting. È presto per azzardare bilanci del governo da lui presieduto (Conte, come la Regina Elisabetta, reign but non rule, regna ma non governa, anzi non regna e tantomeno governa). Ma si può studiare un evento fantastico: l’avvento al potere di un premier estratto a sorte, una premiership senza leadership. Non è una novità assoluta, ricorderete i tanti governi balneari della prima repubblica, i governi ponte e i mezzi presidenti che stavano lì come facenti funzione, vicari e controfigure dei cavalli di razza. Anche allora c’erano presidenti longamanus, segnaposto, scaldasedia, portaombrelli. Per non esporre gli originali, si preferivano esibire copie conformi, falsi, riproduzioni perfette di capi.
Conte deve rispondere a tre titolari: Di Maio, Salvini, Mattarella più una serie di luogotenenti e viceré, a partire da Tria. Ma già milletrecento anni fa Liutprando il longobardo diceva che l’astuzia degli italiani era quella di avere almeno due padroni, così possono barcamenarsi e usare la politica dei due forni, galleggiando. Conte fa il vicepremier dei suoi vicepremier, fa il sottosegretario del suo sottosegretario, Giorgetti. Fa il pesce in barile con furbizia e sobrietà. Non escludo che col tempo il maggiordomo diventi signore. Un giorno o l’altro la Repubblica si trasformò in Contea…
Il Tempo 10 agosto 2018