Il partito di governo African National Congress porterà avanti il progetto di modifica costituzionale al fine di poter espropriare le terre degli agricoltori bianchi senza alcuna compensazione in denaro
di Jacopo Bongini
Proseguono gli sforzi del governo del Sudafrica nel cancellare ogni residuo rimanente dell’apartheid, la politica di segregazione razziale che dal 1948 al 1991 ha reso famoso nel mondo il paese africano. Come riportato dall’agenzia Reuters, ieri il presidente Cyril Ramaphosa ha infatti affermato, in un discorso pubblico alla nazione, che assieme al suo governo intende spingere verso una modifica della costituzione, affinché sia possibile l’esproprio delle terre agli agricoltori bianchi senza alcun diritto di compensazione economica, dichiarando che: “È ormai chiaro come il nostro popolo voglia che la costituzione sia maggiormente esplicita sull’esproprio delle terre senza compensazione.
L’Anc, attraverso il processo parlamentare, finalizzerà la proposta di modifica della costituzione, che delineerà in modo più chiaro le condizioni alle quali può essere effettuato l’esproprio di terreni senza compensazione, agendo nel’interesse pubblico”. Fino ad oggi l’African National Congress, il partito di governo al potere ininterrottamente dal 1994, ha sempre cercato di esprimersi cautamente su un eventuale emendamento costituzionale, considerandolo una strategia rischiosa, e dichiarando già nel maggio scorso che l’esproprio senza compensazione si sarebbe potuto comunque attuare anche attraverso le leggi attualmente in vigore. Negli ultimi giorni tuttavia la situazione sembra essere precipitata, giungendo ieri alle esplicite dichiarazioni del presidente Ramaphosa.
La questione degli espropri forzati ai coltivatori bianchi iniziò a riaffiorare a febbraio di quest’anno, quando il partito dell’Economic Freedom Fighters, formazione marxista leninista spesso accostata al suprematismo nero, presento al governo una mozione per considerare la possibilità di una modifica costituzionale che chiarisse definitivamente il potere delle autorità statali di ridistribuire la proprietà su basi razziali. In quell’occasione il portavoce del partito Mbuyiseni Ndlozi affermò che l’esproprio dei terreni dei bianchi senza compensazione fosse giustificato, in quanto: “Non è realmente la loro terra” – aggiungendo – “In questo processo, i bianchi dovrebbero accettare il crimine dell’apartheid e della colonizzazione, e di come questi crimini abbiano avuto un impatto sui neri. I bianchi dovrebbero mostrare rimorso, cedendo la terra che hanno ereditato attraverso l’espropriazione razzista antinera. La giustizia conduce alla riconciliazione”.
Il processo di riforma agraria per la redistribuzione delle terre ai neri va avanti sin dal 1994, quando con la transizione democratica le istituzioni dovettero iniziare ad affrontare il fatto che la maggior parte dei terreni agricoli del paese fossero di proprietà della popolazione afrikaner, i discendenti bianchi degli antichi coloni olandesi e britannici. Un fattore che costituisce un forte simbolo di disuguaglianza, contribuendo a ricordare il passato segregazionista e a fomentare le violenze che tutt’oggi vengono perpetrate nei confronti dei bianchi. Negli corso degli anni l’Anc ha dunque perseguito la cosiddetta politica del “Willing-seller, willing-buyer” (Venditore volontario, acquirente volontario), lasciando al governo la responsabilità di acquistare la terra dagli agricoltori bianchi per poi redistribuirla ai neri. Una manovra sociale che si è tuttavia col tempo rivelata fallimentare, a causa degli alti costi dei terreni provenienti dalle fattorie afrikaner – notoriamente le più fertili del paese – riuscendo in quasi 25 anni a restituire ai neri appena il 10 per cento delle terre, ossia un terzo dell’obiettivo minimo stabilito del 30 per cento, circa 32 milioni di ettari che avrebbero dovuto essere trasferiti entro il 2000.
Ad aggravare la situazione si aggiunge inoltre il fatto che la maggior parte delle terre redistribuite non riescono ad essere sfruttate adeguatamente dagli agricoltori neri, i quali in molti casi non hanno le conoscenze tecniche necessarie per rendere economicamente competitive le proprie fattorie, facendole quindi fallire. Da tempo infatti il governo si limita esclusivamente ad espropriare i terreni senza poi successivamente trasferirli ai neri, nella paura che questi ultimi li rivendano ai bianchi a loro volta, col risultato che attualmente il 70 per cento dei terreni espropriati dalla fine dell’apartheid rimane inutilizzato. Ad oggi in neri del Sudafrica, pur costituendo il 79 per cento della popolazione, controllano soltanto l’1,2 per cento delle terre coltivabili, mentre il 9 per cento della popolazione bianca gestisce oltre due terzi dei terreni tra zone rurali e urbane.
Fortemente preoccupati di questa possibile riforma costituzionale sono gli investitori internazionali, secondo cui l’esproprio senza compensazione dei terreni andrebbe a scapito della già sofferente economia nazionale. Un’economia che negli ultimi anni è rimasta ben al di sotto delle prospettive di crescita del 5 per cento annuo promesse dal governo, e che ha visto il tasso di disoccupazione gonfiarsi fino ad arrivare al 27,2 per cento, con oltre centomila persone che hanno perso il loro lavoro tra il primo e il secondo quadrimestre del 2018. Gli investitori temono una situazione simile a quella presentatasi nel confinanteZimbabwe, dove la nazionalizzazione forzata delle fattorie, nel contesto di una riforma agraria analoga a quella che vorrebbe implementare il Sudafrica, fu una delle principali cause del crollo economico del paese, costringendo recentemente il successore del presidente Robert Mugabe, l’appena rieletto Emmerson Mnangagwa, a richiamare in patria i proprietari terrieri bianchi per risollevare le sorti delle loro coltivazioni e di riflesso quelle dell’intero paese.
Nonostante le proteste, il presidente sudafricano ha assicurato che eventuali cambiamenti nella riforma agraria non comprometteranno la crescita economica. Ramaphosa ha poi ricordato come il suo partito abbia esortato il governo a varare al più presto un pacchetto di riforme che stimolino la ripresa, includendo tra l’altro investimenti in infrastrutture pubbliche, e precisando: “Questo pacchetto si baserà sulle risorse di bilancio esistenti e sul perseguimento di nuovi investimenti, pur rimanendo impegnato nella prudenza fiscale”.