di Alberto Negri
Fonte: Alberto Negri
L’Italia rischia di perdere anche Tripoli? Il governo di Fayez Sarraj, appoggiato dalla brigate islamiste ma sotto attacco costante delle altre milizie _ nonostante l’ennesima e fragile tregua _ appare sempre più debole, il generale Khalifa Haftar in Cirenaica è sempre più minaccioso nei confronti dell’Italia, la Francia di Macron sempre più determinata a perseguire la sua agenda per convocare elezioni entro la fine dell’anno.
Ma qual è la politica italiana in Libia? Nessuno è in grado davvero di rispondere nonostante le visite di Salvini e Moavero a Tripoli. Anzi l’Italia sembra quasi isolata, nonostante il governo di Tripoli sia quello riconosciuto dalla comunità internazionale in contrapposizione al potere di Haftar, spalleggiato da Francia, Egitto, Russia ed Emirati Arabi Uniti. In realtà anche l’appoggio americano alle posizioni italiane appare assai evanescente: l’impressione è che sulla Libia Trump abbia raccontato al premier Conte le stesse fesserie che Obama raccontava a Renzi, quello di un nostro ruolo preminente nelle faccende libiche che in concreto le altre potenze non ci riconoscono se non a parole. Anche la pubblicizzata conferenza sulla Libia a Roma, da tenersi in ottobre, appare incongruente se prevalesse la posizione francese e di Haftar per andare a nuove elezioni, anche solo presidenziali (senza le legislative e riforma costituzionale).
In poche parole si rischia di dare via libera, anche se in maniera confusa, alle ambizioni presidenziali di Haftar con il quale l’Italia ha forti difficoltà di dialogo. Le proposte di Mosca di fare da mediatrice con il generale sono state sempre state lasciate cadere dalla diplomazia italiana che non intende legittimare l’ex ufficiale di Gheddafi che un tempo comandava il contingente africano libico in Chad prima di andare in esilio negli Usa sotto l’ala della Cia. Il generale protegge gli interessi francesi in Cirenaica, l’Egitto lo sostiene con il palese obiettivo di avere una “fascia di sicurezza” in Libia mentre la Russia non nasconde l’ambizione di tornare nell’area con una base militare e di riaprire il mercato libico alle sue forniture belliche.
Ma prima o poi anche gli italiani dovranno negoziare davvero con Haftar e vedremo se ci sarà tra breve un incontro con il ministro degli Esteri Moavero: l’immigrazione, che parte delle coste della Tripolitania, è un tema fondamentale per noi ma la stabilizzazione della Libia, che passa dalle esportazioni di petrolio, non lo è di meno: senza una ripresa dell’economia è assai difficile convincere le milizie libiche a rinunciare agli introiti dei traffici di essere umani.
In Libia le milizie sono le principali responsabili del processo di industrializzazione e concentrazione dei traffici illeciti _ compreso quello di esseri umani_ cui abbiamo assistito negli ultimi anni. Si è anche assistito a una progressiva concentrazione del traffico di migranti. Dal punto di vista geografico, fino a inizio 2015 le partenze, pur concentrandosi comunque in Tripolitania, erano ancora più equamente distribuite lungo la costa libica. Da quel momento in avanti si è assistito a una loro concentrazione in aree di poche decine di chilometri, alternativamente a ovest di Tripoli, tra Sabratha e le cittadine circostanti, o immediatamente a est, tra Misurata e Gasr Garabulli. Le località da cui partono i migranti si sono insomma ridotte, a testimonianza di un sempre maggiore controllo dei traffici da parte delle milizie di luoghi specifici lungo la costa ovest.
Come sostiene Arturo Varvelli dell’Ispi, uno dei maggiori esperti di Libia, bisogna anche ripensare al ruolo delle milizie nei negoziati: è giunto il momento di chiedersi se non sia l’intero processo politico a dover essere rivisto, coinvolgendo in particolare quegli attori che sono spesso stati esclusi o almeno formalmente relegati ai margini. Altrimenti il rischio nelle riunioni internazionali è quello di confrontarsi con esponenti politici “presentabili” all’opinione pubblica ma che hanno un parziale se non nullo controllo del territorio: per questo che gran parte degli accordi o rimane carta straccia oppure viene ratificato sulla “parola”, come quello della Francia nel vertice di Parigi in cui si è deciso di andare a elezioni. Ma per contrastare le ambizioni di Macron l’Italia deve anche ripensare il suo ruolo e fino a che punto sia ancora opportuno sostenere Sarraj, benvoluto dalle milizie islamiche e salafite ma assai poco dai suoi potenti nemici libici e stranieri.