di Giancarlo Perna per La Verità
Svegliandosi, il primo novembre del 2019, Jean Claude Juncker non sarà più presidente della Commissione Ue. Ci ha già fatto sapere che non si ricandiderà. Poteva evitarselo perché mai sarebbe rieletto. È scontato che a maggio dell’ anno prossimo, con le elezioni Ue, crollino popolari e socialisti su cui Juncker è appollaiato. Quando l’ intero scenario sarà cambiato, Jean Claude avrà 65 anni, sarà spaesato e mollerà tutto.
È cupo il crepuscolo di questo lussemburghese che da una vita si dedica all’ Ue. Oggi, è costretto a sentire i sordi rumori di sbriciolamento su ogni fronte. Dolorante per una sciatica, rattrappito dai postumi di un incidente stradale del 1989 in cui restò in coma per settimane, Juncker ricorre all’ alcool per lenire la delusione. Dei giorni si rinchiude solitario, in altri ha scoppi d’ ira. Quando entra barcollante nelle riunioni, suscitando le ironie di stampa e cancellerie europee, a me pare di udire un sottofondo di struggenti note wagneriane che accompagnano il finale della sua carriera.
JEAN CLAUDE JUNCKER E CHRISTINE LAGARDE
Se c’ è un euroscettico totale, questo è Juncker. Dopo la Brexit e l’ emergere dei populismi, considera l’ Ue in disfacimento. In un’ intervista a Le Monde, un anno fa, ha detto che «i vari Paesi stanno prendendo direzioni diverse e incompatibili». Aggiunse che con le destre in ascesa «non c’ è dibattito o dialogo possibile». Dunque, mentre un Matteo Salvini, da tutti considerato nemico dell’ Ue, vede la possibile salvezza dell’ Unione nel cambiamento di clima e regole, per Juncker non c’ è alternativa. O l’ Ue è quella da lui voluta o non c’ è.
JUNCKER STROZZA LUIS DE GUINDOS
L’ Ue delle nazioni che si delinea non vale la pena di essere vissuta. «Le frontiere nazionali sono le peggiori invenzioni di noi politici», ha detto. Intollerante per natura, non sopporta ciò che gli si oppone. Si lamenta della brutalità di Salvini che gli dà dell’ ubriacone. Ma quando, in un summit, vide entrare il premier ungherese Viktor Orbàn lo accolse dicendo al microfono: «The dictator is coming». Lo disse nella lingua franca inglese, per essere capito dalla babele degli europei riuniti.
Nel corso dei decenni, Juncker ha litigato con tutti. Spesso, con Matteo Renzi che voleva sforare i parametri. Il fiorentino, che adesso fa l’ angioletto, per le sue mancette degli 80 euro fece le stesse malandrinate di Luigi Di Maio per il reddito di cittadinanza. Le ragioni per cui Juncker battibecca con i leader nazionali sono sempre le stesse. Quelli forzano le regole per rilanciare le economie, lui stoppa. Imperversava già da presidente dell’ Eurogruppo, la congrega dei ministri dell’ Economia, tra il 2005 e il 2013. Le vittime erano allora Tony Blair, Nicolas Sarkozy, il Cav. L’ osso duro fu però il premier conservatore, David Cameron, che cercò di vendicarsi.
IL PRESIDENTE DELL EUROGRUPPO JUNCKER A DESTRA IN UNA RARA FOTO CON MARIO DRAGHI E MARIO MONTI ASPX
Quando, nel 2014, Jean Claude puntava al vertice della Commissione, Cameron, gli fece lo sgambetto. Gli mise contro la stampa inglese che cominciò a dargli del beone. Fonte primaria dei britannici fu Jeroen Dijssebloem, ministro olandese delle finanze. Un biondino col visetto perbene che si affacciava molto in tv. Sentite però che vipera. Jeroen, che aveva appena sostituito Juncker -ormai lanciato al vertice Ue- alla presidenza dell’ Eurogruppo (gennaio 2014), convocò la stampa e disse: «Sulle decisioni del mio predecessore potrebbe avere inciso un eccessivo consumo alcolico. Juncker non rispetta le regole dell’ alcol sul lavoro». Giornali e tabloid di Sua Maestà si lanciarono sull’ offa facendo a fette il nostro Jean Claude.
Il vizietto era in realtà già noto.
L’ anno prima (2013) – quando Juncker dovette dimettersi da primo ministro del suo Paese, il Lussemburgo, per un attrito coi servizi segreti- il capo di questi raccontò: «Verso sera ci incontrammo nel suo ufficio nell’ aria c’ era odore di cicche e un inconfondibile sentore di alcol Juncker era ubriaco fradicio». Il chiamato in causa reagì con un serafico: «Preferirei parlare di politica, piuttosto che di un problema che non ho». Per inciso, la faccenda dei servizi lussemburghesi finì nel nulla ma non era da poco. L’ accusa a Juncker era di avere creato una Stasi, con la schedatura politica, persona più, persona meno, dell’ intera popolazione del Granducato (450.000 persone).
Col dargli del brillo, il can can esplose ma Cameron e stampa britannica furono egualmente sconfitti. Infischiandosene del fango, Juncker, che era un volpone cristiano-popolare, trovò l’ accordo coi socialisti, e fu tranquillamente eletto a capo della Commissione Ue. A soccorrerlo, il tedesco Martin Schulz, il kapò di Silvio Berlusconi, che era a capo del Pse. I due pattuirono un classico scambio elettorale, a conferma che tutto il mondo è paese. Io, disse Schulz, ti do i voti Pse per la commissione e tu dai a me i voti Ppe per la presidenza del Parlamento. Detto fatto e ciascuno ebbe la cadrega cui aspirava.
IL SALUTO TRA DAVID CAMERON E JUNCKER
A suo modo, Junker è un fenomeno. Figlio di un operaio siderurgico educato dai preti cattolici, a 28 anni divenne ministro (Lavoro), il più giovane d’ Europa. Laureato in Legge a Strasburgo, parlava le tre lingue canoniche del Granducato, lussemburghese, francese, tedesco, l’ ovvio inglese e l’ inconsueto latino.
L’INCONTRO TRA DAVID CAMERON E JUNCKER
A 41 anni, era Primo ministro e tale rimase per 18 anni, intrecciando la carica nazionale con altre nell’ Ue. Immerso in questa insana mescolanza, commise il suo peccato imperdonabile. Trasformò il Lussemburgo in paradiso fiscale per 1.000 aziende multinazionali, facendole emigrare dagli altri Paesi Ue in cui avevano sede. Un caso di concorrenza sleale all’ interno della stessa famiglia europea. Domanda: come può oggi Juncker pretendere il rispetto delle regole se il primo infrangerle è stato lui?
Con che faccia ci inchioda allo zero virgola, se poi ha fatto il gioco delle tre carte in Lussemburgo convogliando nei suoi forzieri capitali in fuga per 2.100 miliardi, molto più del Pil italiano? Jean Claude ha cercato di soffocare questa indecenza, incongruente col suo conclamato europeismo, facendo lo gnorri. A tenere viva la polemica ha però pensato l’ europarlamentare e magistrato francese, Eva Joly. In un suo libro, dal titolo esplicito, Il lupo nell’ ovile (il lupo è Jean Claude e l’ ovile la Commissione di cui è a capo), appaia per criminalità Afghanistan e Lussemburgo. L’ uno si arricchisce con l’ oppio e dà ricetto a Bin Laden; l’ altro alimenta il riciclaggio ed è governato da Juncker.
Concludo con un’ antologia del Nostro. Quando, nel 2005, i francesi dovevano dire sì o no alla Costituzione Ue, Jean Claude dichiarò: «Se sarà sì, noi diremo: si continua; se sarà no, noi diremo: si va avanti». Ossia, il voto vale un piffero. Nel 2015, mentre in Grecia si volgeva il referendum sulle dure misure imposte dall’ Ue, sentenziò: «Non esiste la scelta democratica contro i trattati Ue». Il che dice tutto sullo stato delle libertà all’ interno di Schengen. La più machiavellica delle sue dichiarazioni, ironica e perfida insieme, riguarda i Paesi economicamente indisciplinati: «Abbiamo in cantina gli strumenti di tortura e li mostriamo quando è necessario».
Si attaglia perfettamente alla canea alimentata da Bruxelles in queste ore per gonfiare lo spread e silurare il governo Conte.
Juncker è Cavaliere di Gran Croce al merito della Repubblica italiana, insignito da Giorgio Napolitano.
JUNCKER DA UNA PARTE PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE DALL ALTRA PREMIER LUSSEMBURGHESELE DUE FACCE DI JUNCKERRENZI JUNCKER
JUNCKER FARAGEBORIS VS JEAN CLAUDE JUNCKERBREXIT FARAGE JUNCKERJUNCKER GENTILONITHERESA MAY JEAN CLAUDE JUNCKERJUNCKER TUSKGENTILONI JUNCKER TAJANIBERLUSCONI JUNCKERJUNCKERJUNCKER ORBANJUNCKER AL VERTICE NATO 2JUNCKER AL VERTICE NATO 1JUNCKER AL VERTICE NATO 4FARAGE E JUNCKER