RICORDO DI GIOVANNI GUARESCHI A 50 ANNI DALLA MORTE

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Segnalazione di Giacomo Bergamaschi

di LUIGI MARIANI

Esattamente cinquant’anni fa, il 22 luglio 1968, moriva Giovanni Guareschi, scrittore, giornalista, sceneggiatore, polemista politico, imprenditore agricolo e tanto altro. Non posso fare a meno di ricordarlo per il calore che ha saputo infondere nei nostri cuori con i suoi racconti che parlano di luoghi, l’Emilia, e di un’epoca, il secondo dopoguerra, che ci sono ancora tanto vicini. A tale temperie ci consente peraltro di riandare la periodica riproposizione alla TV dei film di Don Camillo, sui quali Guareschi ebbe a scrivere questa curiosa riflessione «Gino Cervi corrisponde esattamente al mio Peppone. Fernandel non ha la minima somiglianza col mio don Camillo. Però è talmente bravo che ha soffiato il posto al mio pretone. Così ora, quando mi avventuro in qualche nuova storia di don Camillo, mi trovo in grave difficoltà perché mi tocca di far lavorare un prete che ha la faccia di Fernandel

Scriveva Baldassarre Molossi, sulla Gazzetta di Parma» del 25 luglio 1968: “Giovannino Guareschi è lo scrittore italiano più letto nel mondo con traduzioni in tutte le lingue e cifre di tiratura da capogiro. Ma l’Italia ufficiale lo ha ignorato. Molti dei nostri attuali governanti devono pur qualcosa a Guareschi e alla sua strenua battaglia del 1948 se oggi siedono ancora su poltrone ministeriali, ma nessuno di essi si è mosso. Nessuno di essi si è fatto vivo (…). Anche Giovannino Guareschi ormai riposa al cimitero dei galantuomini. È un luogo poco affollato. L’abbiamo capito ieri, mentre ci contavamo tra di noi vecchi amici degli anni di gioventù e qualche giornalista, sulle dita delle due mani.”

Una vicenda umana, quella di Giovanni Guareschi, resa complicata da due prigionie, la prima fra il 1943 e il 1945 nei campi della Germania nazista, splendidamente narrata in Diario clandestino, e la seconda nel carcere di San Francesco di Parma, per diffamazione nei confronti di Alcide De Gasperi (vi entrò il 26 maggio 1954 per uscirne il 4 luglio del ’55). Per il resto rimando alla biografia ricca di immagini curata dai figli Alberto e Carlotta, che trovate qui e nella quale è anche citata esperienza di imprenditore agricolo che non ebbe gli sviluppi che lui desiderava.
Concludo segnalando il bel ricordo di Guareschi scritto per Atlantico Quotidiano da Dario Mazzocchi (qui) e riportando questo dialogo fra don Camillo e Nostro Signore, sempre di stretta attualità:
Signore, cos’è questo vento di pazzia? Non è forse che il cerchio sta per chiudersi e il mondo corre verso la sua rapida autodistruzione?
Don Camillo, perché tanto pessimismo? Allora il mio sacrificio sarebbe stato inutile? La mia missione fra gli uomini sarebbe dunque fallita perché la malvagità degli uomini è più forte della bontà di Dio?”
No, Signore. Io intendevo soltanto dire che oggi la gente crede soltanto in ciò che vede e tocca. Ma esistono cose essenziali che non si vedono e non si toccano: amore, bontà, pietà, onestà, pudore, speranza. E fede. Cose senza le quali non si può vivere. Questa è l’autodistruzione di cui parlavo. L’uomo, mi pare, sta distruggendo tutto il suo patrimonio spirituale. L’unica vera ricchezza che, in migliaia di secoli, aveva accumulato. Un giorno non lontano si ritroverà esattamente come il bruto delle caverne. Le caverne saranno alti grattacieli pieni di macchine meravigliose, ma lo spirito dell’uomo sarà quello del bruto delle caverne. Signore: la gente paventa le armi terrificanti che disintegrano uomini e cose. Ma io credo che soltanto esse potranno ridare all’uomo la sua ricchezza. Perché distruggeranno tutto e l’uomo, liberato dalla schiavitù dei beni terreni cercherà nuovamente Dio. E lo ritroverà e ricostruirà il patrimonio spirituale che oggi sta finendo di distruggere. Signore, se questo è ciò che accadrà, cosa possiamo fare noi?”
Il Cristo sorrise. 
Ciò che fa il contadino quando il fiume travolge gli argini e invade i campi: bisogna salvare il seme. Quando il fiume sarà rientrato nel suo alveo, la terra riemergerà e il sole l’asciugherà. Se il contadino avrà salvato il seme, potrà gettarlo sulla terra resa ancor più fertile dal limo del fiume, e il seme fruttificherà, e le spighe turgide e dorate daranno agli uomini pane, vita e speranza. Bisogna salvare il seme: la fede. Don Camillo, bisogna aiutare chi possiede ancora la fede a mantenerla intatta. Il deserto spirituale si estende ogni giorno di più; ogni giorno nuove anime inaridiscono perché abbandonate dalla fede. Ogni giorno di più uomini di molte parole e di nessuna fede distruggono il patrimonio spirituale e la fede degli altri. Uomini d’ogni razza, d’ogni estrazione, d’ogni cultura.”

Fonte: https://agrariansciences.blogspot.com/2018/07/ricordo-di-giovanni-guareschi-50-anni.html

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