Inchiesta sulla nuova criminalità, violenta e pericolosa, che sfrutta i migranti arrivati sui barconi
Il «culto», o, per capirci, la cosca emergente sono i Black Cats: i Gatti neri. Hanno tatuato il felino su una spalla e le profonde cicatrici sull’addome sono il risultato del rituale di affiliazione. Sono l’evoluzione della mafia nigeriana, una delle «più pericolose, aggressive e pervasive tra le mafie transnazionali» come l’ha definita l’ex procuratore antimafia Franco Roberti. I Gatti neri, che vestono di giallo e di verde, sulla dorsale adriatica hanno in mano lo spaccio di droga, la prostituzione soprattutto minorile e la tratta delle bianche: italiane tossicodipendenti adescate con le dosi e poi segregate negli appartamenti. Ne affittano a centinaia, ora li comprano anche, soprattutto nelle zone terremotate, investono in attività commerciali e prestano a usura.
I Black Cats sono una derivazione «colta» dei Black Axe, la più aggressiva tra le mafie nere e hanno la loro cattedrale in Campania sulla costa domiziana a Castelvolturno: 20 mila italiani e 25 mila clandestini africani in un labirinto dove c’è una sola legge, la violenza.
I Black Cats hanno la loro centrale operativa a Padova e lì, a Cadoneghe, il 22 novembre scorso la Squadra mobile ha arrestato il capo dei capi, Fred Iyamu. Lo chiamano «Gran Ibaka». Ci sono arrivati con un’inchiesta partita a Cagliari dove hanno arrestato altri 15 nigeriani. La sua storia è comune a molti mafiosi neri. È arrivato nel 2006 col barcone. Si è sposato a Cadoneghe con una ragazza pugliese, ha ottenuto il permesso e ha sostituito al vertice della mafia il capo dei capi in Italia Osahenagharu Uwagboe, detto Sixco, arrestato nel 2016 a Zivio vicino a Verona. E, ancora, nella città del Santo nel corso dell’operazione che ha acceso la polemica tra l’allora procuratore di Torino Antonio Spataro e Matteo Salvini, accusato dal magistrato di aver favorito i nigeriani annunciando prematuramente l’arresto di 15 pericolosissimi componenti dei Black Axe il 5 dicembre del 2018, sono state messe le manette a Edoseghe Terry, un don (cioè un capo), a Ezuma Christian Onya e a una maman, che gestisce le prostitute, Franca Udeh.
Da Padova la mafia nera ha cominciato una nuova espansione, ma nessuno ne parla per evitare che passi l’idea che con l’immigrazione clandestina importiamo anche la malavita più pericolosa. A definirla così è il procuratore aggiunto di Palermo Leonardo Agueci. Dopo un’operazione condotta a Ballarò, il quartiere di Palermo concesso ai neri da Cosa nostra, che ha portato alle prime condanne per 416 bis di nigeriani, Aguici ha detto: «Questa mafia è più violenta di quella palermitana». Nelle carte del processo per l’uccisione e lo squartamento di Pamela Mastropietro, la ragazza romana ammazzata il 30 gennaio del 2018 a Macerata, che si apre adesso in corte d’Assise, ci sono le rivelazioni di un pentito che indica in Innocent Oseghale – 30enne nigeriano arrivato anche lui come profugo, accusato dell’omicidio e dello scempio del cadavere della ragazza – l’uomo di collegamento tra Castelvolturno e Padova. Oseghale sarebbe stato incaricato di reclutare tra nigeriani e ghanesi nuovi affiliati, di organizzare lo spaccio e la tratta delle bianche. Pamela Mastropietro – il cui corpo è stato sezionato in 24 pezzi (manca il collo) abbandonati in due trolley in una strada di periferia – sarebbe stata uccisa perché si è rifiutata di prostituirsi. I verbali del pentito sono puntualissimi.
Il procuratore capo di Macerata Giovanni Giorgio ne fa uno dei pilastri dell’accusa contro Oseghale, ma le dichiarazioni di questo collaboratore non valgono l’etichetta di antimafia. Il testimone V.M., ora recluso nel carcere di Pescara, che ha consentito anche lo smantellamento di molte ’ndrine resterà privo di qualsiasi protezione e così la sua famiglia
fonte – https://www.panorama.it/news/cronaca/italia-mafia-nigeriana-oseghale/