L’EDITORIALE DEL VENERDI
di Matteo Orlando
La Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti ha riconosciuto ilgenocidio armeno. Attraverso una votazione storica l’organo
rappresentativo nordamericano ha approvato una risoluzione che riconosce uno dei più gravi genocidi della storia, perpetrato dai musulmani turchi nei confronti dei cristiani armeni.
La risoluzione, approvata con 405 voti a favore e 11 contrari, prevede la “commemorazione del genocidio armeno” e “il rifiuto dei tentativi (…) di associare il governo degli Stati Uniti alla negazione del genocidio armeno”.
Il governo turco ha reagito con rabbia. Il ministro degli Esteri, Mevlut Çavusoglu, ha assicurato che “è una vendetta per aver rovinato i piani americani in Siria “. E ha aggiunto che “questa vergognosa decisione di sfruttare la storia per scopi politici è nulla per il nostro governo e il nostro popolo”. Il presidente-sultano turco Erdogan, da parte sua, ha affermato che “l’accusa è un grande insulto”.
Già nell’aprile 2015 il Parlamento europeo aveva approvato una risoluzione che chiedeva alle autorità turche di riconoscere il genocidio armeno.
Molte cose, negli anni, sono passate inosservate a proposito del genocidio armeno.
Intanto c’è da chiarire il regime di Dhimmitudine in base al quale i cristiani vivevano all’interno dell’Impero ottomano. I cristiani non venivano massacrati quotidianamente, ma la situazione in cui vivevano era molto peggiore di quella che i libri di storia ci presentano di solito. La dhimmitudine prevedeva non solo il pagamento di tasse speciali per i cristiani ma anche l’arbitrarietà. Cioè una decisione unilaterale dell’autorità islamica era sufficiente e l’accordo poteva essere sospeso in qualsiasi momento e imporre arbitrariamente nuove tasse o rapire i leader spirituali dei dhimmi e chiedere il riscatto
per loro, o praticare il devşirme o “tassa sul sangue” (il reclutamento e la conversione forzata dei bambini per integrarli nelle
truppe musulmane ), che i sultani dell’Impero ottomano praticavano già da tre secoli.
Inoltre, nei tribunali musulmani il valore della testimonianza dei dhimmi era inferiore a quello dei musulmani, così come il risarcimento nei casi di vendetta del sangue. Le accuse di blasfemia contro i dhimmi erano abituali e la punizione era la morte. Quando i dhimmi non potevano testimoniare in tribunale per difendersi, dovevano convertirsi all’Islam per salvarsi la vita. Inoltre, c’erano leggi ineguali per quanto riguardava questioni di eredità, discriminazione nell’abbigliamento, nell’uso di animali o in alcuni mestieri. C’era, in particolare, il severo divieto ai dhimmi di avere servitori musulmani.
Un’altra questione interessante è quella dell’escalation che si verifica tra i massacri di Hamid della fine del XIX secolo e il
genocidio promosso dai Giovani Turchi nel 1915. I massacri scatenati sotto il governo del Sultano Abdul Hamid II furono indiscriminate e brutali uccisioni, ma non furono pianificate sistematicamente. Il genocidio, invece, fu pianificato in tutti i suoi dettagli dai Giovani
Turchi, ultranazionalisti per lo più addestrati in Francia, appassionati della rivoluzione francese e dei giacobini, ammiratori
dei massacri perpetrati nella Vandea e dai massoni. Non è un caso che, quando gli armeni chiesero aiuto alla Francia, il
primo ministro di allora, Aristide Briand, anche lui massone, preferì guardare altrove piuttosto che confrontarsi con i suoi fratelli massoni.
Nel 1896 il Sultano Abdul Hamid aveva orchestrato il massacro di oltre centomila soggetti armeni. Quasi due decenni dopo, nel corso del genocidio vero e proprio, il ministro degli interni turco Talaat Bey ordinò il nuovo massacro con un breve telegramma: “Yak – Vur – Oldur” (bruciare, demolire, uccidere) causando, tra il 1914 e il 1917, non meno di 1.150.000 di vittime cristiane armene.
Il 24 Aprile 1915 è ricordato come la data di inizio ufficiale del genocidio. La comunità armena di Costantinopoli fu decapitata con l’arresto della sua élite culturale, politica e intellettuale, molti furono i deportati nelle zone interne della Turchia e ne sopravvissero solo una minima parte.
Questo massacro dei vertici è stato seguito da quella dell’intera popolazione armena, con una metodologia ricorrente: gli uomini erano stati arrestati e uccisi. Le donne e bambini, invece, furono deportati a piedi attraverso i deserti dell’attuale Siria. Molti subirono violenze, molti furono venduti, la maggior parte morirono di fame, sete e sfinimento. Alle donne incinte furono strappati i figli dalle viscere. A Trebisonda, chiatte piene di armeni furono lanciate nel Mar Nero per poi essere affondate (come accadde nei massacri di Noyades dei cristiani di Vandea, dopo la Rivoluzione francese…).
L’ultima fase della deportazione includeva il trasporto in treno, in affollatissimi vagoni. I pochi che hanno raggiunto i campi di
concentramento, nel nord della Siria, furono brutalmente eliminati.
Nonostante il negazionismo turco, il genocidio armeno in questi ultimi anni non è più dimenticato come nei decenni passati, anche se continuano le reazioni turche.
Così il deputato armeno del parlamento turco Garo Paylan era stato sospeso per tre sessioni parlamentari dopo essersi riferito al genocidio armeno durante il dibattito nella camera sulla nuova Costituzione turca.
Il deputato aveva osato citare il periodo in cui, dal 1913 in poi, armeni, assiri, greci ed ebrei presenti nella penisola anatolica
furono “espulsi da quelle terre o sottoposti a violenza, fino a quando non hanno subito massacri e genocidi veri e propri” . Il popolo armeno, aveva detto Paylan “sa benissimo cosa è successo … Lo chiamo genocidio, qualunque sia il modo in cui lo chiamino”. “Oggi in Turchia, a tutti i livelli dell’istruzione pubblica, è nascosto e negato non solo la commissione del genocidio, ma anche l’esistenza di un popolo armeno, una nazione armena. In Turchia non esiste alcun diritto alla libera interpretazione della storia: dal 1923 la Turkish History Society impone obbligatoriamente a tutti i livelli di istruzione la “storia ufficiale della Turchia” e, chiunque si opponga, è severamente punito dalla legge”, ha spiegato Pascual Ohanian, dottore in giurisprudenza e scienze sociali.
Lo stesso Premio Nobel per la letteratura del 2006, il turco Orhan Pamuk, era stato perseguito per aver affermato che c’era un genocidio e aveva insistito che i turchi oggi dovrebbero riconoscerlo.
L’anno successivo l’armeno Hrant Dink, direttore della rivista Agos, è stato ucciso dagli ultranazionalisti turchi, dopo aver ricevuto minacce per aver pubblicato la cifra dello sterminio: un milione e mezzo di armeni in Turchia.
Il governo turco di Erdogan non solo rifiuta di riconoscere il genocidio armeno ma definisce il solo parlarne come un “insulto
all’identità nazionale” e, quindi, tradimento della patria, ai sensi dell’articolo 301 del codice penale.
Nel novembre di tre anni fa ci furono nuove minacce nei confronti di Agos, questo settimanale bilingue armeno pubblicato a Istanbul. I militanti ultra-nazionalisti in quest’ultimo caso hanno messo una corona funebre di fiori neri e pronunciato la frase “possiamo vieni quando vogliamo, anche durante la notte”.
I responsabili delle minacce sono stati rilasciati perché, secondo le autorità, “non rappresentavano una vera minaccia”. Ma si trattava delle stesse minacce che erano risuonate le settimane precedenti all’omicidio dell’ex direttore del giornale, Hrant Dink.
Nonostante le fake news turche, le prove del genocidio armeno sono schiaccianti. Ci sono stati diversi testimoni diretti, sono state raccolte varie storie dei sopravvissuti, appunti di alcuni assassini, notizie di missionari, diplomatici e soldati stranieri e anche degliufficiali della ferrovia turca.
Nonostante le misure prese per evitare prove fotografiche, alcuni testimoni inorriditi, come il medico tedesco Armin Wegner, riuscirono a fotografare le atrocità.
Questo genocidio risalente ad un secolo fa quali insegnamenti ci offre oggi. Intanto quello di stare attenti alle false notizie. Alcuni testimoni, come il medico missionario americano Clarence Ussher, hanno riferito come la propaganda turca travisasse le informazioni sui massacri. Il governatore di Van arrivò ad informare le autorità turche che “55 mila
musulmani erano stati uccisi dai cristiani” mentre in realtà aveva ordinato il massacro di 55 mila armeni.
A parte la falsa propaganda per favorire il genocidio, oggi è necessario riflettere anche sulla significativa combinazione tra
islamismo e idee nate dalla Rivoluzione francese. Un connubio ancora oggi molto attuale.
Una terza riflessione riguarda l’ingresso nell’Unione europea della Turchia. Se fino a qualche anno fa sembrava ad un passo adesso, fortunatamente, ci sono pochissime probabilità che questo possa accadere.
Un’ultima riflessione sul genocidio armeno è particolarmente significativa. Si trattò del “completo annientamento di una nazione cristiana”, e della più antica nazione cristiana, visto che l’Armenia fu il primo paese ad accettare il cristianesimo, come religione nazionale, quando il re Trdat fu convertito da San Gregorio Illuminato nel 301.
Oggi le nazioni cristiane, o con almeno una discreta componente cristiana, continuano ad essere attaccate. Sia in maniera violenta (Iraq, Siria, Egitto ne sono degli esempi), sia attraverso un ostracismo anticattolico sempre più diffuso nella società, sui mass media e nelle leggi (Gran Bretagna, Francia, Paesi Scandinavi, Belgio e Olanda, e non ultima, Italia insegnano).
[…] rappresentanti Usa, a guida democratica, aveva approvato la risoluzione con un voto schiacciante lo scorso ottobre. Il voto al Senato, invece, […]