di Matteo Orlando per AGERECONTRA.IT
Una folla esultante a La Paz ha celebrato, domenica 10 novembre 2019, le dimissioni del presidente boliviano Evo Morales, anche se il paese ora dovrà affrontare incerte conseguenze politiche che rischiano di far piombare la Bolivia nella peggiore crisi degli ultimi decenni.
Morales, che era già sotto pressione a seguito delle elezioni del 20 ottobre, si è dimesso dopo che la sua frode elettorale è stata smascherata da un rapporto preliminare pubblicato dall’Organizzazione degli Stati americani (OAS) nella mattinata della stessa domenica.
La Bolivia, che è tradizionalmente una società molto divisa, sia in termini geografici che in termini socio-economici e razziali, adesso rischia di diventare un’altra polveriera social-comunista del Sudamerica pronta ad esplodere.
Morales, che in precedenza aveva accettato di rispettare i risultati delle indagini dell’Oas come vincolanti, ha prima annunciato nuove elezioni e una nuova commissione elettorale. Poi, ricercato dai militari, ha lasciato la capitale boliviana e, nel momento in cui scriviamo, è stato dichiarato irreperibile, dopo che i suoi rivali hanno insistito sul fatto che né lui né il suo vicepresidente Alvaro Garcia Linera avrebbero potuto concorrere alle nuove elezioni.
Sia il diretto rivale, Mesa, che l’Oas avevano concordato di consentire a Morales di completare il suo attuale mandato, che avrebbe dovuto concludersi il prossimo 22 gennaio, per garantire una transizione ordinata, ma così, almeno per ora, non è stato.
Il conservatore cristiano Luis Fernando Camacho, leader indiscusso del movimento dei comitati civici che ha portato alle dimissioni del presidente della Bolivia, ha anticipato i tempi ed ha dichiarato: “è confermato! Esiste un ordine di cattura per Evo Morales!”. Camacho, presidente del ‘Comité pro Santa Cruz’, ha aggiunto che “la polizia ed i militari lo stanno cercando nel Chapare, luogo dove si è nascosto”, spiegando che all’oramai ex presidente è stato tolto l’aereo presidenziale. Morales ha tentato di mettere fine ad una serie di congetture sulla sua possibile fuga dal Paese, assicurando che in futuro lui risiederà “nella zona tropicale di Cochabamba”, dove iniziò la sua carriera politica.
In Bolivia negli ultimi giorni sono state incendiate delle case di alcuni ministri del governo e alcuni parenti di importanti politici sono stati fermati per forzare le dimissioni.
Il tumulto è aumentato quando parte delle forze di polizia si sono ammutinate contro il governo Morales e, soprattutto, quando Williams Kaliman, il capo delle forze armate, domenica “ha suggerito” a Morales di dimettersi per ripristinare la pace nel paese.
Gli ultimi due mandati di Evo Morales sono stati contrassegnati da corruzione, arroganza e disprezzo per le persone che lo avevano messo al potere.
Classe 1959, già esponente della Confederazione dei sindacati dei contadini della Bolivia, Morales raggiunse presto la direzione della Special Tropic Federation, una delle sei federazioni sindacali dei produttori di coca.
Morales, che nel 2005, con il 54% dei voti, è diventato il primo presidente di origine indigena della Bolivia, è uno dei leader più riconosciuti della sinistra latinoamericana ed ha improntato la sua pluriennale esperienza governativa ai principi social-comunisti. Anche nell’ambito della fede! Infatti, Morales che si è dichiarato cristiano, ha ammesso di aver praticato l’adorazione della Madre Terra (Pachamama).
Morales ha spesso accusato i cattolici di avere “dominato e sottomesso” gli indigeni attraverso la colonizzazione, affermando che lo “stato secolare è la migliore garanzia della democrazia religiosa”. Non contento, nel 2006 ha reso facoltativo lo studio della religione cattolica a scuola e, tre anni dopo, ha promulgata una Costituzione in cui il cattolicesimo ha cessato di essere il culto ufficiale del paese, dichiarando che lo stato è “indipendente dalla religione” e favorendo la libertà di tutte le credenze.
Nel maggio 2010, dopo un incontro con Benedetto XVI, Morales ha avuto la faccia tosta di chiedere la democratizzazione delle strutture ecclesiali, chiedendo al Papa di abolire il celibato e approvare l’accesso delle donne al sacerdozio.
Dall’arrivo di Papa Francesco Morales ha ripetutamente espresso ammirazione personale al Pontefice e lo ha incontrato in Vaticano nell’aprile 2016 quando gli donò un “crocifisso comunista” scolpito a mano dal sacerdote gesuita Luis Espinal, ucciso nel 1980 in Bolivia.
Come se non bastasse, Morales aveva messo al collo del Pontefice una collana che riproduceva la stessa immagine del crocifisso comunista, un medaglione contenente foglie di coca. Il Papa, a bassa voce, gli aveva risposto “tutto questo non va bene!”.
Successivamente, nel contesto del Forum Sociale Mondiale, Morales sostenne che la Chiesa cattolica in Bolivia era il “nemico principale” alle “riforme” che il suo governo voleva imporre e, in occasione della commemorazione del bicentenario dell’indipendenza boliviana, accusò i “capi della Chiesa” di essere “strumenti dell’imperialismo”.
Morales è stato criticato non solo dai cattolici ma anche da settori secolari della società boliviana che lo hanno accusato di “aver sostituito la Chiesa Cattolica con il pachamismo” a scapito del secolarismo sostenuto dalla costituzione della Bolivia.
Adesso la Bolivia sembra indirizzata ad un governo conservatore di matrice cristiana. Ma c’è da scommettere che le forze social-comuniste si faranno sentire, anche violentemente.