
Lui ha già superato in molti casi e situazioni la soglia della morte, ma ha deciso di rimanere sulla terra per servire l’umanità: i poveri, gli oppressi, i malati e le vittime del terrorismo. Il suo desiderio di martirio è estinto quotidianamente a vantaggio di un grande progetto globale basato sulla tolleranza per il sacrificio, per la sofferenza, per il dolore e dunque sull’Amore.
L’essenza della Rivoluzione del ‘79 fu metafisica ed universale; il popolo iraniano, nella concezione di Soleimani, non poteva abdicare alla sua missione escatologica cedendo alle sirene della normalizzazione nazionalistico-borghese. Esaurita e realizzata la prima fase, con l’annientamento del bipolarismo globale di Yalta, il Nostro incarna la strategia della seconda fase rivoluzionaria. La prima fase internazionale ed universale fu contrassegnata dalla strategia del né Usa né Urss e dell’unità dell’ecumene islamica contro gli imperialismi. La resistenza popolare contro la “Guerra Imposta” e contro l’imperialismo sovietico in Afghanistan concretizzò la vittoria dell’Iran islamico e la fine di Yalta. La seconda fase si è aperta con la netta rottura strategica rispetto al nazionalcapitalismo egoista e borghese dei Khatami o dei Rafsanjani da un lato, al neonazionalismo persiano dall’altro. Entrambi modelli “cinesi” di importazione basati sulla modernizzazione scientifica tecnologica, l’uno più borghese e liberista, l’altro più populista e capitalista di stato, ma entrambi fondati sul precetto “Prima l’Iran” e con la centralità del politico statale sull’economico.
Soleimani, viceversa, riportando al centro da soldato di Ruhollah Khomeini la spada dell’Islam e il sangue di Hosayn, agisce: “Prima Al Quds”. Nessuna correlazione politica vi può essere tra il riformismo liberalnazionalista di Rohuani e l’universalismo rivoluzionario, politico-metafisico di Qasim Soleimani. Il JCPOA del luglio 2015 fu considerato da subito dal Nostro una nuova versione del trattato di Turkmenchay del 1828, trattato con cui l’impero persiano perse i suoi territori settentrionali in favore dell’impero russo. Questa volta era l’imperialismo sionista occidentale di Obama a minacciare in prima istanza l’Iran travestendosi da agnello, visto che decenni di assedio e guerre frontali non erano state sufficienti a debellare lo spirito di resistenza dei soldati e del popolo antimperialista. Nonostante avesse intuito immediatamente il raggiro imperialista anglosionista sull’Iran, nonostante i fatti gli daranno ragione, nonostante lui sia il testamento vivente del messaggio rivoluzionario antimperialista di Imam Khomeini, il generale delle IRGC non cede al personalismo o all’ego, non crea una sua fazione elitaria, ma continua a servire lealmente e totalmente la Guida Suprema e la Repubblica islamica dell’Iran.
La Repubblica islamica, considerata dal saggio analista putiniano Il Saker uno Stato libero e sovrano più di quanto lo siano Cina e Russia e il più grande punto di contraddizione per l’anglosionismo imperiale, è l’Asse della Resistenza e viceversa. Soleimani, taciturno e schivo, refrattario alle interviste e alle telecamere, nel luglio 2018 ha ammonito le élite sioniste americane, ha ammonito Donald Trump, dichiarando che l’Iran “è la nazione del martirio, la nazione di imam Hosayn”. Migliaia e migliaia di reparti specializzati dell’Al Quds stanno aspettando da anni e anni che la minaccia dell’attacco di civiltà occidentale diretto all’Iran prenda finalmente corpo. “La carovana di Hosayn si sta muovendo, un’altra Karbala ci aspetta. Il mondo terreno è solo una parte della creazione. E’ importante anche ciò che sta oltre, il mondo eterno, divino, il regno dello splendore” (Imam Khomeini, durante i primi momenti della “guerra imposta” in un suo discorso ai Basiji). I sionisti israeliani, nonostante lo schiacciante potere finanziario e culturale in occidente, senza la sponda militare del Pentagono non vanno da nessuna parte, abbaiano ma non mordono.
Vi è corruzione borghese, vi è materialismo, vi è desiderio di benessere anche in Iran, ci ricorda Alberto Negri. E’ normale, passati 40 anni da una Rivoluzione che ha anzitutto educato il popolo alla sopportazione del dolore e del sacrificio per i fratelli oppressi in ogni parte del mondo, oltre ogni differenza religiosa o ideologica; storicamente, con ciclica regolarità, a momenti di grande espansionismo ideologico rivoluzionario seguono momenti di ripiegamento. La saggezza di uno statista rivoluzionario è allora quella di non arretrare nello pseudo-tatticismo o nella ritirata strategica ma radicalizzare l’espansione sovranazionale con il supporto di una avanguardia che sia emanazione diretta dell’ideologia rivoluzionaria originaria. Vi è quindi, nonostante ciò, una rivoluzione politica e culturale in marcia, che non pare essersi arrestata.