ESCLUSIVA
di Matteo Castagna
Parlano: l’ex Sottosegretario agli Interni dott, Luigi Gaetti ed il silenzio dei “paladini della legalità”
Il dott. Luigi Gaetti, medico mantovano, specialista in anatomia patologica, 60 anni compiuti da poco, ha una particolare sensibilità per le tematiche legate all’ambiente ed è stato eletto al Senato della Repubblica nella scorsa legislatura.
Fin dal 2010 ha potuto osservare delle situazioni, nella vita sociale, che lo lasciavano perplesso, relativamente a movimenti poco chiari, che gli davano l’impressione d’essere favoritismi, ambiguità, applicazione delle regole solo per alcuni, gestioni allegre di presunti abusi edilizi, combriccole e comitati d’affari spontanei, quanto ambigui.
Nell’ottobre del 2013 entra nella Commissione Antimafia, presieduta dall’On. Rosy Bindi, e si fa subito notare per alcune segnalazioni relative all’inquinamento. Firma decine di interrogazioni parlamentari, esposti e richieste d’intervento per presunte infiltrazioni mafiose in varie città d’italia, quali Savona, Sondrio, Velletri, ma anche in Calabria e Campania. Nel suo lavoro in Commissione, tocca con mano quella realtà per cui le mafie di oggi non sono quasi più quelle che sparano, ma una sorta di reti, che operano nel “sistema relazionale” con il mondo dell’imprenditoria e della politica per l’ottenimento di appalti, soprattutto sotto soglia, ovvero a chiamata diretta, movimentare un colossale giro di denaro.
Il dott. Gaetti, non ricandidato nell’attuale legislatura, viene comunque chiamato dal primo Governo Conte (Lega-M5S) a svolgere l’incarico di Sottosegretario al Ministero degli Interni (dal 13 giugno 2018 al 5 settembre 2019) con deleghe relative all’Antimafia, grazie alla sua apprezzata esperienza, maturata nel quinquennio precedente. Gli viene dato anche l’incarico di Presidente della Commissione Centrale per la definizione e applicazione delle speciali misure di protezione, tra cui anche quella dei testimoni e collaboratori di giustizia, che Gaetti tiene in una certa considerazione, attirandosi le antipatie ed i sospetti di molti.
il dott. Luigi Gaetti non viene confermato dal governo Conte bis e, da allora viene attaccato, anche duramente, sui media e sui social, tanto da divenire un personaggio controverso. Da un lato, vi è chi si schiera con lui e con il suo operato, giudicandolo persona integerrima, uomo coraggioso, estremamente competente, il cui intento è quello di colpire quel “sistema relazionale” su cui si fonda, oggi, la criminalità organizzata, nonché la conseguente tutela di tutti quei soggetti che aiutano veramente, ovvero concretamente la Giustizia a fare il suo corso. Dall’altro vi è una serie di detrattori, che, al contrario, lo dipingono come persona poco trasparente, sospettandola di intrighi ed intrecci con altrettanti personaggi border line. Peraltro, va sottolineato che molti di questi attacchi provengono direttamente o indirettamente da esponenti che si occupano di antimafia.
Nell’ambito dell’attività che svolgo dal 2014 come libero cittadino e pubblicista ho deciso di vederci più chiaro, dopo aver letto le considerazioni dei suoi nemici, ho deciso di chiedere direttamente a lui la sua versione, anche in merito alle accuse più rilevanti che gli vengono mosse.
Dice Gaetti: ” Durante la mia attività di Vice Presidente della Commissione Antimafia mi sono occupato di varie questioni, tra le quali il “sistema Montante”, che mi ha visto protagonista nel febbraio-marzo 2016 con due interrogazioni parlamentari, riprese da tutti i quotidiani siciliani e non solo. Fa piacere leggere su Il Giornale di Sicilia l’intercettazione di Montante che dice di essere preoccupato per le conseguenze della mia interrogazione”. Finisce con una pronuncia di fallimento la storie di due aziende di Antonello Montante, l’ex leader di Confindustria Sicilia condannato a 14 anni, in primo grado, dal tribunale di Caltanissetta per corruzione, accesso abusivo ai sistemi informatici e rivelazione di segreti d’ufficio. A marzo inizierà il processo di appello.
Sono decisamente troppi i misteri dietro la strana morte del dottor Manca. Un suicidio a base di droga di un prestigioso urologo siciliano che nel 2014, a soli 34 anni, decise di farsi due dosi di eroina nel braccio sbagliato? E’ evidente che non può essere quella la soluzione. E invece la sentenza di primo grado di Viterbo che si è appiattita su questa tesi ha evidentemente dato man forte al Gip per archiviare il caso. Lei cosa ne pensa?
Il caso Manca ho potuto studiarlo avendo anche una competenza specifica certamente superiore alla media, riconosciutami anche sul piano istituzionale con una Struttura Semplice di Tanatologia. Ho elaborato una corposa relazione che ho consegnato alla Commissione, nella quale ho sottolineato con prove documentali e scientifiche che il Collega Manca è deceduto nella notte tra il 10-11 febbraio 2014. Relazione che hanno letto solo i commissari. L’unico dato che è uscito pubblico è l’epoca della morte perché è stato pubblicato nella relazione di maggioranza. Eppure questo è bastato per scatenare reazione e supposizioni su cose che non hanno detto. Sbigottisce il fatto che la stessa CTU in una seconda relazione (addendum, precisazioni, chiamatela come volete) afferma la stessa cosa che ho detto stabilendo che la morte si è verificata in un lasso di tempo tra le 12 e 48 ore prima del ritrovamento. Ma di questa seconda relazione nessuno ne parla. Mi si critica che ho lasciato intendere che Manca si è suicidato, cosa che non ho mai detto, né scritto; ma nessuno mi ha mai chiesto quali sono gli elementi che mi hanno portato alle conclusioni temporali. Sulla causa della morte ho più volte affermato che il pessimo operato del CTU non permette alcuna certezza e per questo l’ho definito “infame”. Sono stato l’unico ad avere questo coraggio, perché? Peccato che nessuno se lo sia domandato! Come appare evidente chi più urla, più ha consenso, anche quando non dice la verità. Dispiace vedere che persone in buona fede senza conoscenze si lasciano trasportare e vengano strumentalizzate.
L’hanno attaccata perché darebbe un po’ troppo credito ai testimoni e collaboratori di giustizia. Lei cosa risponde?
In Commissione Antimafia ho lavorato a lungo con i testimoni ed i collaboratori di giustizia ed ho visto come in alcuni (pochi) casi ci fossero (a mio giudizio) delle difformità di comportamento. Chiesi conto con una interrogazione parlamentare di un caso riferito ad un collaboratore che, da notizie di stampa, non si comportava bene. Pochi mesi dopo, lo Stato tolse la protezione al collaboratore infedele. Poi seppi che l’iter era già iniziato ancor prima della mia interrogazione e per questo fui accusato di operare contro i collaboratori. Peccato che contro la decisione di revoca della protezione perse al TAR ed al Consiglio di Stato e per i reati commessi mentre era in protezione è stato condannato in 1° grado e in appello a 5 anni di carcere. Quattro tribunali hanno confermato le mie perplessità.
Credo che le regole di ingaggio tra stato e collaboratore debbano essere chiare, lo stato deve comportarsi bene ma il collaboratore-testimone altrettanto, diversamente ognuno vada per la sua strada.
Come si arriva alla nomina di un medico ad incarichi così importanti in Antimafia?
Per le mie competenze, fui nominato sottosegretario di stato dal 13 giugno 2018 al 4 settembre 2019. Il mio operato è facilmente visibile, anche nella relazione che ho fatto per il parlamento ove ho dato impulso a molti settori: formazione del personale (referenti), convenzione con Invitalia per creare lavoro, assunzione nella pubblica amministrazione, semplificazione e digitalizzazione dell’iter amministrativo, predisposizione dei decreti per l’attuazione della legge sui testimoni,…
Sembrerebbe che quest’ultima parte che lei ha redatto sia ferma
Subito fui oggetto di critiche speciose, si arrivò ad affermare che avendo scelto come collaboratore un serio e competente professionista dipendente del Ministero dell’Interno con un trascorso (oltre 20 anni or sono) nei Servizi Segreti, fossi una persona inidonea, lasciando intendere chissà quali trame, mai definite.
Sbigottisce come a distanza di mesi (5 per la precisione) il competente professionista lavori con un sottosegretario di Stato al Viminale e nessuno delle “Agende Rosse”, che raccolse le firme su change.org per chiedere al Presidente del Consiglio Conte di non confermarmi a quel ruolo, dica qualcosa. Non so quale sia la loro coerenza! Questo, però, mi onora, significa che quel avvocato è stato calunniato per nulla, ma che il vero bersaglio ero io.
Intanto lei è stato rimandato a fare il medico ma l’Antimafia del “Conte bis” sta lavorando ingranando la quinta o no? E il rapporto coi collaboratori di giustizia?
Da pochi giorni la Commissione Centrale ha un nuovo Presidente e finalmente dopo 5 mesi potrà riprendere, dopo un lungo rodaggio, a lavorare a pieno regime, ma i paladini della legalità in questo tempo non hanno detto nulla. Evidentemente la condizione dei collaboratori di giustizia a loro non interessa. Invece ritengo che il complicato rapporto tra Stato e collaboratori vada rivisto ed aggiornato. E’ necessario lavorare per favorirne la collocazione lavorativa e di conseguenza la crescita sociale, sapendo che le necessarie regole vanno adattate alle singole situazioni. Ogni persona è unica, ha una sua storia e va trattata con molta attenzione. E’ certamente un percorso difficile, per cui si tende a mantenere il presente, procrastinando gli aggiornamenti. Spero di contribuire a mantenere la luce accesa su un tema che reputo importante per la crescita della società civile al fine “isolare la mentalità mafiosa”