Il premier si è messo in sicurezza prima di salvare gli altri italiani. Stesso film della Costa Concordia. Palazzo Chigi aveva mascherine mentre i medici e gli infermieri no. Gravi ritardi nelle gare Consip. Toccava al governo rifornire di ogni protezione la Sanità
C’è un solo precedente nella storia italiana di quello che abbiamo svelato su palazzo Chigi nel giorno di Pasqua, con gli ordinativi di mascherine, gel, guanti, camici, bombole di ossigeno fatti a trattativa diretta il 26 febbraio per mettere in sicurezza Giuseppe Conte e tutti i suoi collaboratori e le gare Consip per tutti gli altri italiani indette dal 9 marzo in poi.
Il precedente è stato quello del naufragio della Costa Concordia nella notte del 13 gennaio 2012 al largo dell’isola del Giglio. Allora come oggi al comando della tragedia c’era un uomo solo. Allora era il capitano Francesco Schettino, oggi è il premier Conte. Allora l’uomo al comando si preoccupò prima di tutto di trovare una scialuppa di salvataggio per se stesso e i suoi collaboratori (non tutti, perché qualcuno fece il suo dovere di ufficiale), e solo una volta a terra pensò alle scialuppe per mettere in salvo gli altri passeggeri, e non fu possibile per tutti.
Stesso film di oggi, con magazzini di palazzo Chigi pieni di protezioni per proteggere il premier e chiunque lavori con lui, e solo dopo che loro si sono messi in sicurezza, si è iniziato a pensare a tutti gli altri italiani. Purtroppo con gli stessi identici risultati di quella tragica notte del 2012. La prima volta che capitan Conte si è posto il problema degli altri italiani, dei medici e degli infermieri che stavano rischiando la loro vita al fronte è stato il giorno 6 marzo, quando è stato chiesto alla Consip e alla protezione civile di procedere a una gara semplificata e urgente per la fornitura di mascherine e tutte le altre protezioni. Tre giorni dopo è stata indetta la prima delle gare, che ha anche avuto le sue belle vicissitudini con la revoca della assegnazione di alcuni lotti e il recente arresto di uno dei vincitori della prima gara. Sull’efficacia delle procedure scelte per mettere in sicurezza tutti gli altri italiani si è espresso con chiarezza nella sua prima conferenza stampa Domenico Arcuri, commissario agli approvvigionamenti sanitari, spiegando che purtroppo quasi la metà del materiale arriverà ad emergenza finita. E quindi sarà buono per prepararsi alla prossima pandemia, ma poco utile per fronteggiare questa.
Qualche lettore mi ha scritto dopo la pubblicazione dei contratti di palazzo Chigi replicando: «ma secondo lei non doveva essere messo in sicurezza il premier? Ha fatto male a cercare le mascherine per proteggersi?». Certo che doveva essere protetto il comandante in capo, ma il ruolo esigerebbe che prima si pensi a tutti gli altri e poi a se stesso. O che almeno lo si faccia nello stesso momento. C’è anche chi consiglia di non disturbare il manovratore in un momento così delicato, e su questo invece non posso essere d’accordo. L’emergenza è di tutti, ma non possiamo tapparci occhi e orecchie sulla gestione della crisi e sugli eventuali errori compiuti. Tanto più se questi riguardano l’uomo solo al comando che si è preso di fatto e nel silenzio di tutti i pieni poteri che agognava Matteo Salvini nelle sue scorribande estive in spiaggia.
La storia delle mascherine è un po’ la cartina al tornasole di quel che è accaduto. Perché le forniture sanitarie non toccavano alle Regioni, come dicono i corifei del nuovo regime assoluto (quello che pretende come accadeva nei paesi guidati da Chavez di regolare in diretta tv i suoi personali conti con gli avversari politici come ha sottolineato ieri Enrico Mentana nel tg La7 da lui diretto). Da anni è la Consip a pensarci, la centrale acquisti del governo centrale a cui si sono dati sempre più poteri stringenti ogni legge di bilancio al grido della spending review e dei costi differenziati che avrebbe avuto in ogni Regione la famosa «siringa». La Consip dipende direttamente dal governo, essendo controllata al 100% dal ministero dell’Economia. Non abbiamo notizia di una segnalazione di Conte a questa società di partire con gli approvvigionamenti di materiale sanitario prima di quel 6 marzo sopra citato. Siccome purtroppo molti medici e infermieri si sono ammalati e decine di loro hanno perso la vita perché non avevano le protezioni necessarie, il governo deve spiegare cosa ha fatto dopo il 31 gennaio. Quel giorno ha dichiarato lo stato di emergenza per sei mesi (è in vigore fino al 31 luglio), perché evidentemente aveva preoccupazioni se non vere e proprie notizie sulla possibile diffusione del virus in Italia. Cosa ha fatto da quel giorno per mettere in protezione il paese? Due sole cose: bloccato i voli da e per la Cina e misurato la temperatura ai passeggeri negli scali aeroportuali italiani. Ma sulla prima regola di ogni emergenza: guardare i magazzini e cercare di riempirli con gli approvvigionamenti del materiale sanitario necessario, che ha fatto? Nulla. Fino appunto al 26 febbraio, quando è partito il primo ordine con la scialuppa di salvataggio del premier.
Siamo nelle mani dunque di capitan Schettino, e non è la cosa più rassicurante che ci sia. Ma purtroppo lo stesso identico copione si sta seguendo con la gestione della emergenza economica, su cui la guida è proprio inesistente. Fin qui solo slogan e provvedimenti astrusi e complicatissimi che daranno una mano consistente nel fare fallire gran parte di questo paese. Ma prima o poi il nostro capitano di tutto questo dovrà risponderne. Per la vita di tutti assai meglio prima che poi.
DA