IL MODELLO SCOLASTICO GESTITO DAL CENTROSINISTRA HA SOSTITUITO I PROGRAMMI DI GIOVANNI GENTILE CON QUELLI DELLA FLUIDITÀ IDEOLOGICA SESSANTOTTARDA PRIMA E ARCOBALENO OGGI, CON L’INFRAMEZZO DELLA PROMOZIONE GARANTITA ANCHE E SOPRATTUTTO AI SOMARI, IN NOME DI UNA ASSURDA UGUAGLIANZA DI TUTTI DAVANTI ALLA CATTEDRA
Di Matteo Castagna
Irene Tinagli è un’economista, accademica e politica italiana del Pd che, recentemente, ha scritto un libro, che si intitola “La Grande Ignoranza”, per quelli della “Rizzoli – Saggi BUR”.
Non è da tutti scrivere un testo contro l’incompetenza, soprattutto se applicata alla politica, da parte di una persona che appartiene anche a tale mondo, per di più militando in uno dei partiti di governo più criticati, proprio per questo motivo.
Va ammesso che la valente studiosa ha coraggio. In Italia pare che la politica si tenga lontana da chi è normodotato, studia e si impegna nel suo lavoro (ammesso che ne abbia uno).
Già nell’introduzione dice, ragionevolmente, che di fronte alle sfide del prossimo futuro “non possiamo permetterci un sistema politico che non sia in grado di formare, selezionare e valorizzare le persone migliori e più preparate”.
Per l’economista, “denigrare l’istruzione, togliere valore alla faticosa conquista della competenza significa creare una società in cui non ci saranno più ascensori sociali e in cui vinceranno solo la forza, la ricchezza e la furbizia, in cui i poteri opachi saranno sempre più forti e sempre più opachi, mentre i deboli e gli onesti saranno sempre più emarginati”.
Il Paese, infatti, avrebbe bisogno di persone che intendano la politica come servizio del Bene Comune, aggiungendo alla passione ed all’impegno due attributi che non sono bestemmie: esperienza e conoscenza. Si tratta di caratteristiche che non fanno ombra ai leader ma li qualificano, li dotano di quei valori aggiunti che solo le menti pensanti e competenti possono dare.
“L’esaltazione dell’incompetenza, il livellamento verso il basso che sta dilagando da un po’ di tempo a questa parte sono un’umiliazione, uno schiaffo per tutti questi italiani” che, volutamente vengono chiusi in una botte perché non emergano, ma gli si sbirciano siti e scritti per scopiazzarne, maldestramente, idee e considerazioni. Affidarsi ai funzionari è l’errore più grande per il politico d’oggi, perché non si considera che il burocrate non ha mai dato alcunché per la Patria, quanto ha messo a disposizione i suoi servigi da subdolo lecchino al potente di turno, menandoselo per il naso, senza che se ne accorga.
E’ facile parlare di un ritorno al primato della Politica, se poi si lascia che la stessa venga mossa dai boiardi di Stato, perché la prima caratteristica del politico è l’incompetenza, mentre la condivisione col tal dirigente sta solo nel lauto 27 del mese.
Non possiamo limitarci a ridere in uno Stato in cui il Ministro dei Esteri ci “autorizza” a festeggiare il Natale, “proteggendoci” dal vairus, oppure l’On. Davide Tripiedi dice “sarò breve e circonciso” o l’On. Alessandro Di Battista attribuisce leggendarie battaglie nei campi di Auschwitz a Napoleone. Dobbiamo riconoscere che c’è un problema, che va oltre gli schieramenti politici, ed è eminentemente culturale.
Nella moderna democrazia parlamentare la classe politica è lo specchio dell’elettorato, per cui ci sarebbe da preoccuparsi molto di più, tanto da dover arrivare al modello scolastico gestito dal centrosinistra per sostituire i programmi di Giovanni Gentile con quelli della fluidità ideologica sessantottarda prima e arcobaleno oggi, con l’inframezzo della promozione garantita anche e soprattutto ai somari, in nome di una assurda uguaglianza di tutti davanti alla cattedra.
Il “Cursus Honorum” era importantissimo per i romani, non solo per le cariche pubbliche, ma anche per la rispettabilità e l’onore del romano. Nessuno avrebbe iniziato un qualsiasi lavoro di un minimo di prestigio se prima non aveva assolto la sua parte di militare, combattendo in qualsiasi grado nell’esercito.
Tra il 90 e l’88 a.c., Cicerone servì sotto Gneo Pompeo Strabone e Lucio Cornelio Silla durante le campagne della Guerra sociale, per poter poi tentare la magistratura.
Narra Properzio che Mecenate abbia partecipato alle campagne di Modena, di Filippi e di Perugia prima di dedicarsi alla sua splendida villa e alla corte di Augusto.
Insomma anche i grandi dovevano farsi onore dimostrando l’amor di patria. Dalle numerosissime iscrizioni di età imperiale si è potuto evincere che il cursus honorum era diviso in tre categorie: carriera senatoria, carriera equestre, carriera inferiore. E molto altro venne dalle riforme dell’Imperatore Augusto.
Il periodo successivo, quello della Civitas Christiana, fu caratterizzato da particolare splendore politico anche grazie ad una selezione dei migliori da parte della Monarchia, che andò in declino quando, progressivamente, si rilassò proprio su questo criterio.
Persino durante la Prima Repubblica, di norma, non facevi il Ministro se prima non eri stato almeno sottosegretario. Negli anni Novanta, la gavetta si costruiva nella militanza attiva, attaccando manifesti, che poi si traduceva in candidatura a livello locale, nazionale, talvolta europeo. c’era sempre chi emergeva.
La Natura è fatta così. Non si arrivava in consiglio di Circoscrizione senza sapere cosa fosse una mozione, perché c’era una struttura messa a disposizione dal partito di riferimento, che forniva i rudimenti principali, selezionando, anche i meritevoli dai deficienti (nel senso latino, dal verbo deficere) e gli arrivisti dai papponi.
Che poi, anche queste ultime due categorie facessero carriera, è un altro discorso, ma tutti sapevano in anticipo chi era arrivista e chi pappone. Oggi lo si scopre tutti quando è troppo tardi.
Con un forte richiamo ad Aristotele e San Tommaso d’Aquino, potremmo affermare che il Bene Comune è il vivere retto e la comunione nella rettitudine: «una volta che si è rinunciato alla giustizia» – insegna Sant’Agostino – «che cosa sono gli Stati se non una grossa accozzaglia di malfattori?».
Il fondamento del Bene comune sta nella Regalità Sociale di Cristo, che si realizza tramite l’uomo, “capax veri, boni et Dei”. Un’affermazione forte che ci fa comprendere come ciascuna persona è capace di bene comune anche in una società globalizzata e pluralista, dove vanno portati valori e principi chiari e netti, pur considerando che i tempi necessitano di una certa dose di pragmatismo, per non soccombere davanti a chi non è al servizio del Cristianesimo.
Per la dottrina sociale della Chiesa tutte le persone concorrono, con la propria rettitudine, al bene comune, secondo i propri doveri si stato, le proprie attitudini e capacità. La ricerca della santità e non l’ossessione compulsiva per la sanità, che attanaglia in costanti pistolotti web anche vari cattolici, non consiste nel fare cose straordinarie, ma nel fare straordinariamente bene le cose ordinarie. Soprattutto nei periodi di crisi ed emergenza, come quello che stiamo vivendo.
“Studio, preghiera e azione” – erano le tre indicazioni che dava San Filippo Neri. Nell’azione, la Chiesa ha sempre raccomandato la prudenza accanto alle virtù di fortezza e temperanza. Altrimenti, si rischia di passare da servi del global a suoi “utili idioti” o, ancor peggio, a servi delle teorie più strampalate, dimenticando che “abbiamo detto che bisogna essere affezionati al mondo, anche per cambiarlo; aggiungiamo ora che bisogna essere affezionati ad un Altro Mondo per avere qualche cosa in cui cambiarlo” (così in Ortodossia scrisse G.K. Chesterton, nella foto). Altrimenti che razza di cattolici saremmo?
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