di Antonio Pilati
La crisi del governo e della sua maggioranza è rappresentata da media e analisti come una faccenda tutta italiana, anzi romana, con partiti, fazioni, leader, figuranti, primo ministro che si battono aspramente per spuntare con la rissa qualche porzione di potere in più. In realtà c’è anche un altro piano, probabilmente essenziale, che si sviluppa lontano da Roma, nelle capitali dei nostri principali alleati.
Fattore Biden
Come la nascita del secondo Governo Conte fu decisa in ambito europeo, così oggi è plausibile che, aiutando il caos sanitario e il prevedibile sperpero dei fondi comunitari fatti balenare a nostra disposizione, le opinioni che circolano oltralpe abbiano un peso determinante.
Tuttavia, rispetto all’estate 2019, è in gioco un fattore in più, il nuovo presidente americano. Biden deve ridisegnare, o almeno riassestare, la politica estera e, come segnalava qualche giorno fa questo sito, la sua azione parte con qualche handicap: in Estremo Oriente come in Europa, gli Stati alleati, forse memori della confusione e delle giravolte fatte dall’amministrazione Obama (Biden vicepresidente) in giro per il mondo, hanno tutelato i propri interessi commerciali chiudendo accordi con la Cina appena dopo l’annuncio della sconfitta di Trump.
Le due iniziative hanno un po’ l’aria di mosse negoziali: intanto mettiamo un punto fermo e poi vediamo che cosa di concreto gli Stati Uniti, in passato così volatili, portano al tavolo delle trattative. La Germania è per gli americani il primo interlocutore in Europa e un negoziato forse si è già avviata: l’Italia, che rappresenta pur sempre la terza economia della zona euro, potrebbe esserne parte.
Renzi mosso da Joe
Se si guardano i tempi della crisi, Renzi, che ambisce a essere il principale riferimento americano nell’attuale fase politica, ha cominciato a bombardare Conte appena si è saputo della vittoria di Biden, quasi mosso dall’intento (o dal suggerimento) di proclamare urbi et orbi l’inadeguatezza di Giuseppi: se l’ipotesi di un livello internazionale della crisi avesse qualche fondamento, è evidente che la soluzione Draghi ne sarebbe l’esito naturale.
Appare altrettanto evidente che molte fazioni e cricche farebbero di tutto per evitare un tale sbocco, Légion d’honneur e sinofili in prima fila. Il risultato dello scontro dipende in gran parte, ci sembra, dalla chiarezza di idee e dalle priorità della nuova leadership americana.
Fonte https://www.nicolaporro.it/perche-la-crisi-di-governo-si-decide-anche-a-washington/