Vaccinazioni e tutela della privacy dei lavoratori

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In mancanza di una legislazione specifica, volta ad obbligare alcune categorie di lavoratori a vaccinarsi, il datore di lavoro deve rispettare il diritto alla privacy dei lavoratori e non può acquisire informazioni sulla salute o sullo stato vaccinale. Questo vale anche per la scuola e pertanto il Dirigente scolastico non ha il potere di pretendere dal personale neppure informazioni circa la disponibilità a vaccinarsi.

1. L’avvio delle vaccinazioni Covid suscita interrogativi in materia di privacy. A metà febbraio, a Pordenone, diversi docenti hanno manifestato dissenso sulla procedura adottata dai Dirigenti scolastici di acquisire le adesioni alla vaccinazione da parte del personale docente e amministrativo, da trasmettere alle Asl competenti: la richiesta che è parsa in contrasto con la normativa a tutela dei dati personali. Per questo è stata portata all’attenzione del Garante privacy, peraltro già in parte intervenuto sull’argomento, pubblicando delle Faq esplicative, alcune delle quali proprio in merito al rapporto di lavoro e al trattamento dei dati personali dei dipendenti pubblici o privati in tempo di pandemia.

Già nelle Faq del mese di febbraio 2021 il Garante aveva infatti chiarito che il datore di lavoro “non può chiedere ai propri dipendenti di fornire informazioni sul proprio stato vaccinale o copia dei documenti che comprovino l’avvenuta vaccinazione anti Covid-19”, in quanto “ciò non è consentito dalle disposizioni dell’emergenza e dalla disciplina in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro”. Il datore di lavoro non può ritenersi autorizzato a fare diversamente neppure in presenza del consenso dei lavoratori, dal momento che ‒ secondo la normativa vigente, e in particolare di quanto previsto dal considerando n. 43 del GDPR ‒ il consenso non è una valida condizione di liceità del trattamento dei dati personali in ragione – sempre per il Garante ‒ “dello squilibrio del rapporto fra titolare e interessato nel contesto lavorativo”.

La questione di Pordenone si inserisce in quella più ampia del bilanciamento fra interesse pubblico alla salute e interesse privato alla riservatezza, e offre l’occasione per riflettere anche alla luce della condivisibile posizione dal Garante. L’Autorità preposta alla salvaguardia dei dati personali ha infatti ribadito, anche nell’affrontare il tema dei “pass vaccinali”, che è necessario un intervento del legislatore conforme ai principi in materia di protezione della privacy (fra cui quelli di proporzionalità e minimizzazione dei dati), volto a realizzare quel bilanciamento di cui si è detto fra l’interesse pubblico e l’interesse individuale. “I dati relativi allo stato vaccinale” – ha osservato il Garante ‒ “sono dati particolarmente delicati e un loro trattamento non corretto può determinare conseguenze gravissime per la vita e i diritti fondamentali delle persone: conseguenze che, nel caso di specie, possono tradursi in discriminazioni, violazioni e compressioni illegittime di libertà costituzionali”.

2. La gestione dell’emergenza sanitaria impone l’adozione di tutte le cautele necessarie per contrastare la diffusione del virus, ma questo non può tradursi nella violazione dei dati personali dei lavoratori. Se da una parte, ai sensi dell’art. 2087 cod. civ. il datore di lavoro deve garantire la sicurezza dei luoghi ove viene prestata l’attività da parte dei dipendenti, adottando tutte le misure necessarie “a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”, è altrettanto vero che ai sensi dell’art. 20 del D.Lgs n. 81/2008 in materia di sicurezza sul lavoro è fatto obbligo a tutti i lavoratori di “prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro”: ma ciò non autorizza i datori di lavoro, in assenza di una legge che lo consenta, a raccogliere dati sulla salute dei lavoratori.

Sul punto il Garante privacy, in un comunicato stampa dello scorso 2 marzo, ha osservato che “i datori di lavoro devono astenersi dal raccogliere, a priori e in modo sistematico e generalizzato, anche attraverso specifiche richieste al singolo lavoratore o indagini non consentite, informazioni sulla presenza di eventuali sintomi influenzali del lavoratore e dei suoi contatti più stretti o comunque rientranti nella sfera extra lavorativa”. Questo compito non spetta infatti al datore di lavoro, in quanto “la finalità di prevenzione dalla diffusione del Coronavirus deve essere svolta da soggetti che istituzionalmente esercitano queste funzioni in modo qualificato”.

Come è stato chiarito dal Ministero della Salute, al momento non vi è l’obbligatorietà della vaccinazione, e non sono state neppure previste per legge categorie di lavoratori obbligati a vaccinarsi in ragione del potenziale maggior rischio di contagio che possono correre. Questo vale anche per il settore della scuola.

Daniele Onori e Daniela Bianchini

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