Fonte: Andrea Zhok
La nausea che prende oramai a discutere di Covid e vaccini dev’essere considerato un sintomo primario della pandemia.
Però a fronte delle proposte che circolano, oscillanti tra l’insensato e il pericoloso, talvolta tornarci sopra è inevitabile.
L’ultima discussione che è partita è quella sui richiami dei vaccini. Pfizer dice di star lavorando ad una terza dose. Ma di fatto che la terza dose sia diversa dalle precedenti e studiata ad hoc, o che sia una replica delle altre, la prospettiva che ci viene proposta come inevitabile è quella di richiami periodici, probabilmente alla scadenza dei 9 mesi dalla precedente, come segnalato dalla certificazione di avvenuta vaccinazione.
E questo idealmente per l’intera popolazione.
Ora, che in una situazione di emergenza il vaccino, un qualche vaccino, per quanto limitatamente testato, sia meno pericoloso che l’esposizione diretta al Sars Cov-2 è stato argomentato in modo convincente per le fasce d’età dai 50 in su.
Più si riduce l’età, più tale probabile vantaggiosità è discutibile. (Personalmente, dati alla mano, non mi sembra sostenibile per la fascia sotto i 20 anni – in assenza di particolari patologie).
L’argomento collaterale volto al raggiungimento della famosa “immunità di gregge” riemerge ciclicamente nonostante nessuno si sia preso la briga di spiegarne la dinamica nel contesto presente. Come ci si immagina il raggiungimento di tale “immunità di gregge” per vaccini che coprono dai sintomi, ma solo in piccola parte dall’infezione, e per un virus che circola oramai in tutto il mondo, senza limiti stagionali? Esattamente cosa si ha in mente, visto che l’eradicazione è matematicamente esclusa?
In questo contesto la prospettiva sembra dunque essere la seguente: continuare per tutta l’eternità a girare nei luoghi chiusi con la mascherina, fare lezione o a allenarsi in palestra con mascherina e/o distanziamento, e farsi somministrare ciclicamente per tutta la vita un vaccino sperimentale. Questo, peraltro, sapendo già che le dosi cumulative nel tempo possono far insorgere problemi specifici, ancorché ignoti (sui vaccini a MRNA questo è stato già dichiarato ufficialmente: ogni ulteriore somministrazione tende a incrementare la risposta organica, sia quella desiderata, sia quelle indesiderate).
Ecco, francamente alimentare una prospettiva del genere mi pare miope e insostenibile: pesantissima sul piano comportamentale e anche crescentemente pericolosa sul piano sanitario.
Nel medio periodo, al meglio di quanto sono in grado di valutare, credo si debbano avere in vista due direzioni:
1) da un lato bisognerebbe incrementare l’attenzione sulle cure sintomatiche, di cui si continua a parlare troppo poco; siamo da due anni in un laboratorio mondiale aperto h24 per trattare milioni e milioni di contagiati; man mano che i casi di studi si moltiplicano è impossibile che non si siano elaborati trattamenti di contenimento di cui si è valutata una qualche efficacia, e su ciò bisognerebbe concentrare le risorse;
2) in secondo luogo, all’opposto di quanto viene proposto ora, bisognerebbe consentire alle persone che rischiano di meno, o per la giovane età, o perché già vaccinati, di esporsi al virus, in modo da costruire gradualmente un’ampia fetta della popolazione che abbia approntato risposte fisiologiche capaci di creare le condizioni per convivere con un virus endemico. Dunque ora, lungi dallo stigmatizzare ossessivamente assembramenti estivi, bisognerebbe tendenzialmente permetterli, e più in generale bisognerebbe ridurre drasticamente le cautele per i più giovani e per i vaccinati. Così facendo il numero delle persone che richiederanno la vaccinazione andrà progressivamente scemando nel tempo, e la convivenza di lungo periodo farà il resto, dando spazio a varianti tollerate dalla popolazione.
Mentre l’intervento di contenimento forzato nella fase di esplosione del virus poteva essere considerato necessario per non distruggere la funzionalità degli ospedali, ora tale tipologia di intervento non solo non è necessaria, ma risulta decisamente controproducente.