Se l’alternativa di governo è ridotta a dissenso

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di Marcello Veneziani

Tutti presi dal covid, dai vaccini e dal green pass, abbiamo perso di vista l’orizzonte e non siamo più in grado di vedere oltre la prossimità e le misure che si minacciano. Che vuol dire perdere l’orizzonte? Che non siamo più in grado di distinguere strategie sul futuro, alternative sul piano economico, sociale, politico, culturale, posizioni lungimiranti. Un tempo, che non era poi la preistoria, avevamo semmai il problema opposto: una proiezione eccessiva nei sistemi futuri, negli scenari della storia ventura.

Ma senza andare lontano, due anni fa, cioè prima del covid, si distinguevano all’orizzonte due differenti risposte politiche: quella che veniva a torto o ragione chiamata nazional-sovranista e quella internazional-globalista, ed esistevano due differenti proposte di governo dell’economia e della politica che si fronteggiavano: una che potremmo definire progressista e l’altra che a partire da Trump per arrivare ad alcuni governi europei, proponeva soluzioni differenti per fronteggiare il mercato e la concorrenza globale, una diversa linea in politica estera, e un diverso modo di affrontare l’immigrazione planetaria e i temi dei diritti civili, famigliari, nazionali, perfino religiosi. Oggi, esautorato Trump e tramontata la scalata dell’Europa, non c’è più una contesa tra chi propone un modello economico imperniato sul libero mercato globale e chi pone alternative di economia sociale di mercato o di protezione delle economie nazionali, a forte rischio di sopravvivenza per la concorrenza globale.

C’è invece un Solo Modello Imperante, con alcune variazioni nei sottosistemi interni e poi c’è l’area magmatica del dissenso. Regime o dissenso, sistema globale omologato o dissenso, mainstream o dissenso.

È come se ci fosse un Unico Regime Planetario, un enorme serpentone, e poi al suo interno svariate sacche di dissenso, ma niente che somigli a un’organica, articolata risposta alternativa o antagonista. Si può ancora compiutamente parlare di democrazia e di libertà se è consentito, a volte a malapena, comunque di malavoglia, solo il margine del dissenso, ma non è ammessa la sfida ad armi pari e a parità di riconoscimenti tra almeno due proposte sociali, economiche, politiche e perfino sanitarie diverse? Nel caso italiano siamo caduti perfino dignitosamente nel Sistema Unico Integrato, con la guida di Draghi, perché avevamo di peggio al governo. Lui, perlomeno, fa parte dell’eurocrazia, non rientra nel personale inserviente.

In questa luce, appare fuori dal mondo e dal tempo, rimettere in discussione il nuovo capitalismo che controlla non solo il privato ma anche il pubblico, in un perverso intreccio di capitalismo e statalismo, liberismo economico e regime della sorveglianza.

Non c’è più competizione tra differenti proposte di governo, perché ogni volta che si propone un’alternativa viene subito declassata, demolita e demonizzata come anomalia, dispotismo, mezzo fascismo. Prendete il caso dell’Ungheria e della Polonia: è curioso pensare che la loro linea è esattamente quella che gran parte dell’Europa abbracciava fino a pochi anni fa, la linea non dei conservatori o dei nazionalisti ma semplicemente dei popolari d’ispirazione democristiana di qualche tempo fa. Oggi invece sono sanzionati e deplorati come stati canaglia perché difendono le famiglie, i minori, le tradizioni nazionali e religiose, gli usi e costumi tramandati, le economie locali, i margini di sovranità degli stati nazionali.

Torniamo dunque alla situazione che descrivevamo: da una parte c’è il regime sovranazionale, dall’altra ci sono le sacche di dissenso. Sacche locali, nazionali, tematiche. È sparita la dialettica politica tra maggioranza e opposizione, anche perché in molti casi la maggioranza coincide col dissenso e la minoranza coincide col governo e con la cupola detta più neutralmente establishment.

L’antagonista politico, sociale, economico è ridotto a dissidente, no-qualcosa, se non addirittura bollato come negazionista. Ma non solo: il dato allarmante della situazione è che c’è una disarticolazione del dissenso, una disaggregazione per nuclei tematici. Pensateci: oggi c’è il dissenso per così dire sanitario-libertario, che riguarda i green pass, i vincoli, le limitazioni, le restrizioni all’orizzonte. C’è poi il dissenso politico, che contesta le imposizioni, le sanzioni e le censure del Politically Correct in tutti i suoi aspetti, dai temi storici fino alle questioni inerenti la sfera sessuale e privata. E ancora: c’è il dissenso verso la governance globale dell’economia, della tecnica e della finanza, o se preferite lo strapotere delle grandi centrali di potere sovranazionale, che commissariano i poteri locali e settoriali di tutto il mondo. C’è il dissenso sociale verso la libera circolazione dei migranti, l’accoglienza e il sostegno a coloro che vengono da noi per ragioni economiche.

Queste aree di dissenso sono a volte coincidenti, a volte non sono componibili, ma vengono via via disarticolate, ridotte in compartimenti stagni. Anzi, la mia impressione è che il dibattito intorno al green pass stia diventando un modo per concentrare l’opinione pubblica sulla questione sanitaria, tralasciando il resto; per esempio che società stiamo disegnando, anche con i fondi per il rilancio dopo il covid. I partiti d’opposizione e gli interpreti del dissenso, rischiano di infognarsi su quei temi, col rischio aggiuntivo di perdere consensi per la loro posizione “mediana” tra gli apocalittici e gli integrati. E di perdere il polso della situazione generale. In questo senso dicevo che stiamo perdendo di vista l’orizzonte e siamo piegati su tematiche ineffabili, irrisolvibili o di matrice sanitaria. Ora che si avvicina il vero capodanno della società, la ripresa dopo la pausa estiva, è tempo di riprendere l’esercizio lungimirante di guardare l’intero e l’orizzonte e non solo la parte e l’immediato.

MV, La Verità (17 agosto 2021)

 http://www.marcelloveneziani.com/articoli/se-lalternativa-di-governo-e-ridotta-a-dissenso/

 

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