Ancora su Cassazione e Crocifisso, fra laicità e reasonable accomodation

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QUINTA COLONNA – LA PAROLA AI GIURISTI

Segnalazione del Centro Studi Livatino

di Manuel Genarin per https://centrostudilivatino.us18.list-manage.com/track/click?u=36e8ea8c047712ff9e9784adb&id=f6e75b580c&e=d50c1e7a20

Da una prima lettura della sentenza 9 settembre 2021, n. 24414 delle Sezioni unite civili della Cassazione, sull’esposizione del crocifisso nelle scuole, emergono luci e ombre, le cui ricadute pratiche saranno tutte da verificare.

Prosegue la riflessione avviata il giorno stesso della pubblicazione (https://www.centrostudilivatino.it/cassazione-sul-crocifisso-nessun-divieto-di-affissione-ma-adesso-necessario-lintervento-del-parlamento/), proseguita con gli interventi dell’avv. Angelo Salvi (https://www.centrostudilivatino.it/sezioni-unite-e-crocifisso-perplessita-sulla-regola-del-caso-per-caso/) e del presidente emerito di Cassazione Piero Dubolino (https://www.centrostudilivatino.it/sezioni-unite-e-crocifisso-perche-il-ragionevole-accomodamento-non-convince/), con l’intervento del dott. Manuel Ganarin, ricercatore di Diritto ecclesiastico e canonico all’Alma Mater Studiorum Università degli Studi di Bologna.

1. Sono due i punti centrali affrontati nella sentenza.

Quanto al primo punto, le Sezioni unite evidenziano come l’obbligo di esposizione del crocifisso (art. 118 del r.d. n. 965/1924) si inserisca in un «quadro normativo fragile», ponendosi in contrasto con l’ordinamento costituzionale. Esso si sostanzierebbe in una precisa «scelta confessionale» con la quale lo Stato si identifica con una religione, violando il principio che distingue l’ordine suo proprio da quello delle confessioni religiose (art. 7 c. 1 e 8 c. 2 Cost.). Lo Stato, del resto, non può servirsi di simboli religiosi per conseguire i suoi fini.

Il richiamo di tale principio suscita perplessità alla luce della funzione e del significato del crocifisso nel contesto italiano. La Cassazione infatti sottolinea come la croce «descriv[a] anche uno dei tratti del patrimonio culturale italiano e rappresent[i] una storia e una tradizione di popolo», richiamando «valori (la dignità umana, la pace, la fratellanza, l’amore verso il prossimo e la solidarietà) condivisibili, per il loro carattere universale, anche da chi non è credente». La centralità della valenza culturale e valoriale del crocifisso ci pare faccia sì che l’imposizione dello stesso possa considerarsi un’opzione pienamente laica – anche per il credente, si badi bene, nel contesto scolastico, e proprio per quel dualismo che connota nel profondo il cristianesimo –. L’obbligo di esibizione del simbolo non si traduce in una scelta tipica di uno Stato confessionale, introducendo semmai una differenziazione ragionevole tra simboli religiosi che prende atto di come il cattolicesimo sia parte della cultura popolare italiana (cfr. art. 9, n. 2 Accordo 1984). Appare allora incongruo invocare la distinzione degli ordini, onde restituire a Dio un simbolo che appartiene pure a Cesare, avendo contribuito a forgiare la sua identità.

2. Le Sezioni unite menzionano altri due corollari del principio di laicità: «l’imparzialità e l’equidistanza che devono essere mantenute dalle pubbliche istituzioni nei confronti di tutte le religioni». I giudici tuttavia avallano una certa idea di neutralità, omettendo di richiamare parti della nota sentenza Lautsi c. Italia della Grande Chambre della Corte europea dei diritti dell’uomo, ove si è precisato che «la decisione di perpetuare o meno una tradizione rientra in linea di principio nell’ambito del potere discrezionale dello Stato» (§ 68). In Europa, d’altronde, convivono diversi modelli di laicità; pertanto occorrerebbe relativizzare il concetto di neutralità perché lo Stato, qualsiasi decisione prenda circa i simboli religiosi, è in qualche modo ‘di parte’: e ciò sia quando li vieta, sia quando li include, sia quando ne impone uno solo per ragioni culturali e valoriali, compiendo, nel rispetto dei diritti e delle libertà individuali, valutazioni politiche di sua esclusiva pertinenza. E questo a fortiori sulla base dell’asserto della Corte di Strasburgo fatto proprio dalla Cassazione, che ribadisce come il crocifisso sia «un simbolo essenzialmente passivo, perché non implica da parte del potenziale destinatario alcun atto, neppure implicito, di adesione ad esso».

3. In secondo luogo, presupposta l’incostituzionalità dell’obbligo de quo la Cassazione, anziché disapplicarlo, ne prospetta un’interpretazione «evolutiva» formulando il principio di diritto secondo cui «l’obbligo di esporre il crocifisso nelle scuole […] va interpretat[o] nel senso che l’aula può accoglierne la presenza allorquando la comunità scolastica interessata valuti e decida in autonomia di esporlo, nel rispetto e nella salvaguardia delle convinzioni di tutti, affiancando al crocifisso, in caso di richiesta, gli altri simboli delle fedi religiose presenti all’interno della stessa comunità scolastica e ricercando un ragionevole accomodamento che consenta di favorire la convivenza delle pluralità».

Tale principio, che dischiuderà nuovi e problematici scenari applicativi, è ampiamente motivato in alcune pagine suggestive della sentenza, ove il sostrato assiologico ed i contenuti della «laicità italiana» sono esplicati con lucidità. In Italia, infatti, la laicità non «misconosce il contributo che i valori religiosi possono apportare alla crescita della società», ma è «accogliente delle differenze» e promotrice del «dialogo interreligioso e interculturale»: così da porre al centro la comunità scolastica quale istanza capace di trovare una soluzione la più possibile condivisa, che determina se esibire «simboli culturali di integrazione», religiosi e non.

È tuttavia il dirigente scolastico che da ultimo media, ricercando un bilanciamento che non accrediti solo la ragione dei più ma superi pragmaticamente la «tensione strutturale tra libertà religiosa positiva e negativa». Il reasonable accomodation, quindi, consiste in una «soluzione mite», che nel caso riguardante un docente ateo, il quale rimuoveva il crocifisso durante le ore di lezione, avrebbe dovuto condurre, per esempio, al suo riposizionamento o all’«affissione sulla parete della stessa aula, accanto al crocifisso, di un simbolo o di una frase capace di testimoniare l’appartenenza al patrimonio della nostra società anche della cultura laica».

4. Questo metodo, pur ispirato da apprezzabili intenti, presenta degli evidenti problemi. Esso, infatti, prospetta accomodamenti tra loro eterogenei all’interno di ogni singolo istituto scolastico: eppure la Cassazione è consapevole «che la disciplina dei diritti costituzionali non tollera eccessive elasticità». Inoltre, il principio di diritto suppone la ‘parete bianca’, in quanto nella scuola si «può» scegliere per l’esposizione dei simboli. Questo non significa che i crocifissi debbano essere rimossi in attesa che nelle scuole si discuta e si deliberi sulla questione, se ogni comunità rimane acquiescente circa la loro esibizione. Né l’ipotesi di escludere simboli, se decisa a maggioranza, pare attuabile dal dirigente, essendo tenuto a ricercare un compromesso che coinvolga tutti e venga incontro ad ogni richiesta, inclusa quella della minoranza, adottando la «determinazione maggiormente coerente con questo metodo».

Ma ciò che principalmente solleva preoccupanti dubbi è proprio la necessità di considerare le «convinzioni di tutti»: nonostante la Cassazione abbia esplicitamente escluso che l’affissione del crocifisso dia luogo ad una discriminazione diretta o indiretta nei confronti di chi professa convinzioni religiose negative, ledendo la libertà di insegnamento del ricorrente, la cui «percezione soggettiva […] da sola non è in grado di intaccare la sfera delle sue convinzioni personali e delle sue opzioni in materia religiosa, né di pregiudicare la possibilità di esprimerle e di manifestarle […] nell’ambiente scolastico». Qui sembra emergere una contraddizione: se per un verso si reputa il crocifisso non discriminante, per l’altro si dà rilevanza giuridica a «percezioni» meramente individuali che ora sono esigibili e, perciò, giustiziabili: anche in presenza di una relazione sensibilmente asimmetrica, come quella tra docente e alunni, che vede in questi ultimi i soggetti più vulnerabili prioritariamente da proteggere.

5. Deve ritenersi in conclusione che il modello del reasonable accomodation rischi di generare ostilità, invece di prevenirle o risolverle: perché la «procedimentalizzazione della dialettica» promuove un’accentuata subiettivizzazione dell’esperienza giuridica, ove sembra assistersi all’eclissi della funzione normativa, superata da un approccio casistico alla definizione dei conflitti in una società frammentata che non permette ai pubblici poteri di esprimere scelte di valore. Risuonano così come profetiche le riflessioni del compianto Giuseppe Dalla Torre sulle fragilità del «“diritto debole”», che non distingue «tra le diverse posizioni alla luce del principio di giustizia» né protegge la «parte più debole» (Lezioni di diritto ecclesiastico, Torino, 20196, p. 10).

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