Quirinale, dal Ddl Zan prove tecniche per l’elezione del capo dello Stato

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LETTERE DEL LETTORE

di Ferdinando Bergamaschi

Quirinale: il voto sul Ddl Zan ha aperto uno squarcio su una nuova prospettiva riguardo all’assetto delle forze in Parlamento. Con questo voto tutti hanno visto quelli che possono essere i futuri schieramenti per la partita del Colle che si giocherà il prossimo febbraio.

Centrodestra: c’è già una maggioranza?

Renzi parla di 40 franchi tiratori e biasima il Partito democratico per avere gestito malissimo questa partita. Il Pd dal canto suo parla di 16 franchi tiratori; e accusa Renzi di aver sabotato l’approvazione della legge votando a favore della tagliola assieme al centrodestra. Salvini, infine, rinfaccia a Letta di aver agito con arroganza, evitando di confrontarsi con la Lega per una mediazione che partorisse una legge sull’omotransfobia condivisa da tutti i partiti.

Comunque stiano le cose, dalla partita sul Ddl Zan è saltata fuori una maggioranza in Senato composta dal centrodestra unito più Italia Viva. E non si può non osservare che questo nuovo quadro può essere considerato come la prova tecnica per l’elezione del prossimo presidente della Repubblica. Difficile fare nomi per il Colle che possano uscire da questa maggioranza parlamentare: i più papabili al momento paiono Casini e lo stesso Berlusconi. 

L’indebolimento del Pd

Sullo sfondo di questo nuovo assetto parlamentare però si delinea soprattutto un altro punto: non c’è un centrosinistra sommato ai 5 Stelle che abbia i numeri per giocare da solo la partita del Quirinale. Il Pd (e precedentemente l’Ulivo) infatti era abituato bene dai tempi di Scalfaro fino a Mattarella, riuscendo sempre a far eleggere un capo dello Stato che gli fosse gradito. O addirittura, come nel caso di Napolitano ma anche dell’attuale inquilino del Colle, che fosse espressione diretta della propria classe politica. Questo, con tutta probabilità, non potrà più avvenire dal prossimo scrutinio per eleggere il presidente della Repubblica.

Draghi in pole position

Detto ciò, è inutile negare che la carta di Mario Draghi per il Colle rimane la più plausibile. Metterebbe d’accordo (quasi) tutti. Con il premier che raggiungendo il Quirinale già nel febbraio 2022 potrebbe giocare la sua partita in senso presidenzialista. Naturalmente, per essere eletto da questo Parlamento, Draghi dovrebbe dare a deputati e senatori la garanzia di non sciogliere a stretto giro le Camere, impegnandosi a portare il Paese alle elezioni politiche previste dalla scadenza naturale del 2023. Con un altro vantaggio per il presidente appena eletto: in caso di elezioni anticipate, qualsiasi maggioranza ne uscisse indebolirebbe il suo potere già nel primo anno al Colle, visto che il capo dello Stato dovrebbe adeguarsi in anticipo ai risultati delle urne, rimettendosi alle logiche del nuovo quadro politico.

In più, Draghi sa bene di essere il solo in questo momento a poter dare garanzie internazionali sull’Italia. E probabilmente ritiene in cuor suo che non sia ancora maturo il momento di riaffidare tout court le sorti del Paese ai partiti. Ecco quindi che, come sostiene anche Federica Capurso dalle colonne de La Stampa, potrebbe nascere un asse portante, con 5 Stelle, Italia viva, Forza Italia e la parte di Lega a trazione giorgettiana, pronto a eleggere il premier al Quirinale. E poi pronto a votare un nuovo Governo presieduto dall’attuale ministro dell’Economia Franco, stretto collaboratore di Draghi, fino alla fine naturale della legislatura.

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