Senza alternative i Popoli finiscono male

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QUINTA COLONNA

Che fare, oltre a denunciare? Sarebbe bello suonare la carica, invocare il risveglio dei popoli e della politica, ma sarebbe ipocrita: in sede politica puoi fare poco, nelle piazze puoi fare ancor meno, l’estremismo è il miglior alleato del potere perché ne legittima le restrizioni; le rivoluzioni e le guerre non si usano più, nessuno è disposto a rischiare nulla e se pure potesse, sarebbe destinato solo a soccombere, a prendere mazzate. Qualcuno cerca perlomeno di capitalizzare i dissensi, ricavare profitti personali o politici ma spaccia illusioni. Perché poi il contraccolpo dei fallimenti è la diserzione, la disaffezione, la fuga nel privato o nel velleitario radicalismo.

di Marcello Veneziani

Qual è la password del potere vigente nella nostra società, italiana, europea e globale? Ha il nome casereccio di una signorina, Tina, ma è in realtà un acronimo lanciato dai leader liberisti degli anni ottanta, poi ripreso dai socialdemocratici, dall’intero establishment e da tutti quelli che non ammettono altre possibilità: Tina, anzi T.I.N.A. è la sigla per dire There Is Not Alternative, non c’è alternativa. Abbiamo imboccato una strada a senso unico, la direzione è obbligata e non si può sgarrare. Vi faccio tre esempi diversi della sua applicazione. A livello europeo, se non accetti i dogmi dell’Europa, se ti appelli alla civiltà, alla tradizione, al diritto nazionale e non ti pieghi agli editti imperativi, sei considerato fuori: è il caso della Polonia che per aver difeso con argomentazioni giuridiche di buon senso, la sovranità nazionale e la tradizione giuridica dello Stato libero e democratico, è messa fuori dal consesso europeo e se non rientra sarà punita sospendendo ogni fondo. Non è un caso a sé, come taluni s’illudono di pensare; già c’era stato il precedente con l’Ungheria, con un governo legittimo, rieletto con più voti di prima, libero e democratico, guidato da un signore che era nel partito popolare, d’ispirazione cristiana. E c’è il caso dei dodici paesi europei che vogliono fortificare i confini ma l’UE non lo permette. Ma soprattutto vale come minaccia, spada di Damocle e avvertimento a tutti i popoli europei e a tutte le forze politiche: se provate a sgarrare, a votare in direzione non conforme, sappiate che vi taglieremo i fondi e l’ossigeno. Messaggio diretto per l’Italia, la Francia e chiunque coltivi intenzioni “sovraniste” di fuoruscita dall’alveo consentito, la forbice tecnocratica e sinistro-progressista.

Secondo esempio, globale. L’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, per comunicare col suo popolo e far conoscere la sua azione politica è stato costretto a farsi un suo network alternativo, che ha chiamato la Verità (Trump è passato da Bannon al nostro Belpietro); perché Facebook e Twitter lo hanno oscurato, “bannato”, insomma censurato. Ma lui può permettersi d’investire 875 milioni di dollari.

Terzo esempio, locale. Chi critica il green pass non può manifestare senza essere da un verso assimilato a frange estremiste di destra, di sinistra o anarchiche e dall’altro verso castigato e colpito, a volte anche fisicamente. Perché la politica è ormai la continuazione della sanità con altri mezzi: e se ti opponi, devi vedertela con i protocolli sanitari e con gli obblighi previsti per protrarre lo stato d’emergenza anche in tempi ordinari e in ambiti che poco o nulla hanno a che vedere con la prevenzione e la salute. Potrei continuare e soffermarmi sui diritti civili, il dogma globale dell’aborto e l’impossibilità di sottrarsi ai nuovi obblighi e alle nuove censure.

In tutta onestà reputo sterile e puerile il ribellismo di piazza e inadeguata e inefficace l’opposizione politica a questo andazzo; non sono un seguace di Trump e penso che vi siano altre priorità sociali, economiche, vitali, spirituali e ideali rispetto ai pass o i muri. Ma resta il problema di fondo: siamo entrati, senza accorgercene, in modo asettico, neutrale, in una  sfera totalitaria. Perché TINA si traduce così: non è ammesso nulla che non sia dentro quell’alveo. Non c’è alternativa, non può essere nemmeno pensata, se consideriamo la censura estesa anche alle opinioni.

Certo, il populismo sgangherato che ha governato il nostro Paese ha offerto un alibi formidabile per invocare il rigore e il passaggio di testimone a più credibili e affidabili “governance”. Ma il problema resta, ed è un problema strutturale con inquietanti prospettive future. Dopo aver vissuto la fase espansiva della globalizzazione in termini di mercato, economia, tecnologia e assimilazione dei modelli di vita e di consumo, ora siamo nella fase repressiva della globalizzazione, intesa come un orizzonte totalitario a cui non puoi sottrarti. Globale si traduce con Totale. Eppure la vita, l’intelligenza, la libertà hanno bisogno di alternative, altrimenti soffocano.

Che fare, oltre a denunciare? Sarebbe bello suonare la carica, invocare il risveglio dei popoli e della politica, ma sarebbe ipocrita: in sede politica puoi fare poco, nelle piazze puoi fare ancor meno, l’estremismo è il miglior alleato del potere perché ne legittima le restrizioni; le rivoluzioni e le guerre non si usano più, nessuno è disposto a rischiare nulla e se pure potesse, sarebbe destinato solo a soccombere, a prendere mazzate. Qualcuno cerca perlomeno di capitalizzare i dissensi, ricavare profitti personali o politici ma spaccia illusioni. E quindi? Si, denunciare, pensare altrimenti, criticare, sottrarsi, proporre alternative, seminare contraddizioni in campo avverso, inserirsi nei varchi incustoditi, insomma fare la propria parte fino in fondo, ma senza atteggiamenti infantili o rancorosi e senza aspettative di salvezza. Perché poi il contraccolpo dei fallimenti è la diserzione, la disaffezione, la fuga nel privato o nel velleitario radicalismo.

È molto difficile ma è necessario provarci, a lasciar tracce del proprio dissenso e della propria visione alternativa; magari i tempi cambiano, gli equilibri mutano, nuovi fattori col tempo potranno cambiare verso alla storia, la realtà prima o poi insorge… Di più, onestamente, non è dato fare o sperare.

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