Segnalazione di Redazione BastaBugie
Cercasi disperatamente surrogate. Il titolo campeggiava qualche giorno fa nientepopodimeno che sulla home page del New York Times. Il lungo articolo parte raccontando la storia di Charlie «e suo marito» che stanno aspettando da 15 mesi la loro “surrogata” quando l’agenzia con cui hanno siglato il contratto aveva parlato di «una attesa di sei mesi al massimo». Un disservizio non da poco… I due uomini hanno già effettuato l’inseminazione artificiale attraverso gli ovuli di una donna cosiddetta donatrice (in realtà pagata per questo “servizio”) ed erano alla ricerca di una donna che si fosse resa disponibile per la gestazione, una surrogata appunto. E siccome non la trovano, scrive il New York Times, sono disposti ad alzare la posta in gioco, 50mila dollari al posto di 35mila, più extra per i vestiti, gli spostamenti e altre amenità. Chi offre di più?
Secondo il quotidiano americano nella stessa “situazione” ci sarebbero «migliaia di aspiranti genitori» negli ultimi anni a causa della pandemia, si è registrata una diminuzione di circa il 60% delle potenziali “madri surrogate”, i tempi di attesa sono raddoppiati e i costi sono aumentati sensibilmente. Ogni tanto una bella notizia, verrebbe da dire.
Tra le motivazioni di questo calo, rileva il Nyt c’è il vaccino anti Covid. Nel contratto che le parti in causa firmano – i committenti che richiedono il bambino e la mamma gestante che porta avanti la gravidanza – ci sono sempre state molte limitazioni della libertà della donna stessa, che per contratto è tenuta ad osservare una determinata dieta, stile di vita ecc. Ora però il contratto prevede la vaccinazione anti Covid che molte potenziali surrogate non sono disposte a fare. Non solo. Nei contratti viene ora richiesto di non viaggiare oppure di partecipare, per tutta la durata della gravidanza, a grandi eventi o raduni pubblici, scenario che, dopo due anni di lockdown, ha evidentemente scoraggiato anche chi ha molto bisogno di soldi. Inoltre pare che il periodo della pandemia abbia portato molte donne a ridefinire le priorità e molte scelgono di non mettersi più a disposizione per questa pratica.
Il Nyt riporta con rammarico che le coppie di “aspiranti genitori” sono così sfortunate da non poter contare su quella che è sempre stata la più economica opzione B, ovvero l’Ucraina, a causa del conflitto in corso. Un bel problema, le americane non sembrano più così disposte a farsi schiavizzare e nemmeno in Ucraina si può più rimediare. E dunque le agenzie corrono ai ripari, spingendo più sul marketing, aumentando compensi, offrendo premi extra a chi si vaccina, insomma ricchi premi e cotillons.
Sempre utile poi è raccontare le storie “positive”. Come quella di Amir «e suo marito», che sono al terzo bambino commissionato ottenuto tramite utero in affitto.
Scrive sempre il Nyt: «Hanno pagato circa $ 200.000 in totale per la loro prima maternità surrogata nel 2017: $ 35.000 per le spese di screening delle donatori di ovociti, una donazione di ovociti, l’assicurazione per la donazione di ovociti, la quota dell’agenzia di donazione, le spese di viaggio e le spese legali; $ 35.000 per la fecondazione in vitro, che includeva il recupero degli ovuli, la creazione degli embrioni e il trasferimento dell’embrione; e più di $ 120.000 per il processo di maternità surrogata, che includeva un compenso di $ 35.000 per la surrogata, più le spese di agenzia surrogata, l’assicurazione per la surrogata, le spese legali, lo screening, le spese di viaggio e altre varie. La seconda volta, a settembre 2020, hanno pagato $ 150.000, utilizzando un’agenzia diversa».
Nessuno pensa minimamente ai bambini, o anche “solo” alle donne utilizzate come forni. L’importante è risolvere il problema della carenza di prodotto sul mercato. È l’Occidente, bellezza.
Nota di BastaBugie: l’autrice del precedente articolo, Raffaella Frullone, nell’articolo seguente dal titolo “8 marzo per le donne ucraine, ma non si parla di utero in affitto” parla della situazione delle donne in ucraina e dei loro bambini.
Ecco l’articolo completo pubblicato sul Sito del Timone il 9 marzo 2022:
E così anche questo 8 marzo è passato, con il suo carico di retorica, finte rivendicazioni, strumentalizzazioni e pseudo battaglie fuori tempo massimo. Il tutto condito da mazzi di mimose ovunque. […] La variante sul tema, quest’anno, ça va sans dire, era l’Ucraina, e dunque già il giorno precedente il Ministro per le Pari opportunità Elena Bonetti ci aveva tenuto a specificare che questo 8 marzo sarebbe stato per loro, «per le donne ucraine».
E infatti ieri nel suo discorso al Quirinale ha affermato: «L’8 marzo nasce come universo di storie e lo è anche oggi: un popolo di volti e di nomi. […] Oggi, quelli delle nostre sorelle ucraine, così coraggiose, cui voglio dire: noi siamo con voi, al fianco della vostra storia e delle vostre storie. Sono le nostre storie che ci fanno rinascere quando siamo laceri, feriti, persino distrutti. Storie che, ogni giorno a rischio della propria vita, le donne raccontano da giornaliste o soccorrono da volontarie o proteggono al servizio dello Stato. Tutti questi volti, li portiamo nel cuore».
Chissà se tra le donne ucraine a cui il ministro pensa in questo 8 marzo ci sono anche le cosiddette madri surrogate, ovvero quelle migliaia di donne ucraine che ogni anno vengono sfruttate per portare avanti su commissione gravidanze per cittadini stranieri, prevalentemente occidentali, ma non solo, a cui cedono il bambino dietro compenso di denaro.
Sì perché l’Ucraina – in pochi lo stanno ricordando in questi giorni – è un hub internazionale dell’utero in affitto, uno dei pochi Paesi al mondo che consente agli stranieri di stipulare veri e propri contratti per “ottenere” un figlio da una gestante. Ciò significa che persone provenienti da Stati Uniti, Germania o Australia, ma anche dall’Italia, possono semplicemente andare e acquistare un bambino. E se i termini vi sembrano eccessivi beh, basta andare a vedere direttamente come vengono presentati questi “servizi” dalle agenzie per la cosiddetta surrogacy che si trovano prevalentemente a Kiev, la più nota delle quali è la Biotex di cui abbiamo parlato diverse volte. In Ucraina i prezzi sono più convenienti della scintillante California, dove l’operazione “bambino in mano” può arrivare a costare oltre i centocinquantamila euro, le donne ucraine sono pagate molto meno dalle loro “colleghe” californiane e quindi il prezzo scende di molto. Ce la si può cavare con circa quarantamila euro, a seconda del “pacchetto” scelto.
Eccolo un simbolo dell’occidentalizzazione ucraina, piccolo ma significativo. La reificazione dei bambini che diventano merce e lo sfruttamento delle donne ridotte ad apparati riproduttivi per altri. Il tutto per guadagnare qualche migliaia di euro insieme all’illusione – che poi verrà tradita – di una vita migliore. Che ne è di loro in queste ore? Che ne è del “corpo è mio è lo gestisco io” quando tu, il corpo, la donna, vorresti fuggire da un Paese sotto attacco ma un contratto che hai firmato come “surrogata” ti vincola a un altro corpo, quello che porti in grembo, e a restare in un determinato posto? E quando questo posto magari è un bunker anti missile nel quale sei costretta a rifugiarti e quindi ad allontanarti dalla tua famiglia che non si sa quando e se rivedrai. Che ne è di queste donne? E degli embrioni occidentali congelati in attesa di impianto, piccole vite dimenticate, che ne sarà? Nessuno se lo chiede, nemmeno quell’Occidente che pure a parole dice di aver a cuore le donne ucraine.
Anche la Russia, oggi vista come contraltare all’Ucraina, non è stata risparmiata dalla penetrazione di questo business disumano. Anche lì l’utero in affitto è stato legalizzato, per giunta da tempo, nel 1993, con Eltsin, ai tempi del far west delle liberalizzazioni. Businnes is businnes. E oggi a Mosca ci sono agenzie che realizzano la maternità surrogata – seppur con limitazioni – da oltre vent’anni. Perché il mondo non è diviso in blocchi monolitici, il male è trasversale, la realtà è molto più complessa di come ce la presentano. E non esiste l’Impero del bene, non su questa terra, si intende.