QUINTA COLONNA
di Marcello Veneziani
Che succede se in ogni gara o selezione non vengono premiati i migliori ma chi rappresenta un popolo colpito o una minoranza offesa?
C’è un Mostro travestito di Bontà che si aggira nel mondo occidentale e rischia di alterare la realtà e la verità. E’ un mostro che sostituisce la vita reale col moralismo correttivo; l’intelligenza, il valore, la bellezza, l’eccellenza con la retorica del vittimismo. Ne abbiamo avuto un esempio recente. Il trionfo della canzone ucraina all’Eurovision, in seguito a una richiesta di Zelensky, è l’effetto di una tendenza che serpeggia da tempo nel mondo dello sport, dello spettacolo, del cinema, della cultura e della letteratura, fino a propagarsi nella scuola e nella vita. Investe le competizioni, le gare, i premi letterari. E’ la sostituzione dell’eccellenza con l’emergenza, della bravura con la solidarietà, del Migliore con la Vittima, del Competere col Compatire. Finisce lo spirito della sfida e lo sprone a dare il meglio di sé: l’importante è partecipare perché a vincere sarà comunque la vittima del momento, secondo i canoni umanitari del politically correct. Naturalmente non si verifica la stessa mobilitazione per tante altre tragedie che si sono consumate in questi anni. Quanti premi e quanti campionati avrebbero dovuto vincere i paesi invasi e le popolazioni massacrate e bombardate nel mondo?
Immaginate cosa accadrebbe se alle Olimpiadi, ai Mondiali di Calcio, di Tennis o di qualunque altro sport, al Giro d’Italia, ma anche ai festival del cinema, del teatro, della canzone, ai premi letterari, non vincessero i migliori, i più meritevoli, i più forti, ma il riconoscimento fosse assegnato alle nazioni invase, agli atleti che hanno patito violenza, fame e sofferenza, agli scrittori disabili o agli artisti di paesi dove ci sono genocidi, agli attori, ai cantanti o alle miss che provengono da paesi sinistrati, che hanno subito sopraffazioni, eccidi, terremoti, calamità di ogni genere, miseria inclusa. Il criterio umanitario applicato ovunque produce mostri e uccide gli ambiti a cui si applica. E quel criterio minaccia pure la scuola, l’università, il mondo del lavoro: il riconoscimento non deve più andare a chi esprime il meglio, ma a chi se la passa peggio; non a chi ha meritato per il suo impegno e le sue capacità ma a chi è ritenuto vittima di qualcosa, di una guerra o di una discriminazione, vera o presunta.
Se si sa già in anticipo chi premiare per ragioni umanitarie, che senso ha gareggiare, cercare di dare il meglio, raggiungere primati, battere avversari, se poi non viene riconosciuto alcun talento ma tutto è prestabilito a tavolino in nome della solidarietà?
Qualcuno dirà che comunque nel caso dell’Eurovision ha votato una giuria popolare: ammesso che il voto elettronico sia davvero attendibile, ammesso pure che non sia manipolabile, ammesso perfino che non vi siano pressioni psicologiche o d’altro tipo per incanalare verso quella scelta, il problema non cambia. Se in qualunque competizione prevalgono motivazioni estranee al campo di gioco, è finita ogni gara, ogni premio, ogni campionato. Finiremo col premiare solo i danneggiati, gli emarginati, i discriminati, allora addio gara e addio riconoscimento a chi vince sul campo. Già da tempo ormai una corsia preferenziale, un trattamento privilegiato è assegnato al Nero, alla Donna, al Gay, al Migrante,e via dicendo; ancor più se accede allo statuto di vittima di violenze, abusi, ingiustizie. La bravura conta sempre meno, la qualità è sottoposta alla correttezza etica.
Quando ho scritto un tweet sulla vittoria “corretta” dell’Ucraina all’Eurovision, il presidente della Regione Emilia-Romagna, il piddino Stefano Bonaccini, è insorto dicendo che in Ucraina ci sono migliaia di vittime e di profughi, e dunque è doverosa la solidarietà. Non ha capito o ha finto di non capire che non si tratta di dimenticare i fatti tragici di questi giorni e nemmeno la solidarietà alle vittime. Ma tutto questo non può ricadere su una competizione canora, sportiva o letteraria. L’ottundimento ideologico non riesce a vedere la realtà, a capire le differenze, a distinguere gli ambiti. E’ una deviazione mentale, anzi una mentalità totalitaria e propagandistica travestita da bigottismo morale. Ma si manifesta anche in altri ambiti. Per esempio se stai parlando di argomenti religiosi, filosofici, culturali, c’è sempre un’anima bella che dice: mentre voi state discutendo di queste cose, c’è gente che muore, qualcuno sta invadendo l’Ucraina, qualche donna viene stuprata, o stanno abbattendo alberi in Amazzonia. Ma che c’entra, che nesso c’è?
Ogni giorno sulla terra ci sono delitti, catastrofi, brutture; che facciamo, smettiamo di vivere e di fare altro, per pensare al male del giorno? E ammesso che l’assurda prescrizione sia adottata, quando abbiamo pensato a questo, abbiamo parlato e solidarizzato con le vittime anziché occuparci del resto della vita, del mondo, del pensiero, cambia qualcosa per le vittime, abbiamo realmente mutato il corso degli eventi, abbiamo impedito violenze e catastrofi? Allo stesso modo, pensate che la vittoria all’Eurovision aiuterà l’Ucraina a vincere la guerra e a scacciare l’invasore russo? E’ un modo stupido e falso di solidarizzare, del tutto infruttuoso, subdolamente propagandistico, che cancella ogni differenza fondata sul merito, il talento, le capacità. Se diventa il nuovo metro di giudizio, il nuovo metodo di valutazione universale, allora scivoliamo per troppo buonismo nella barbarie, per troppo umanitarismo nella morte della civiltà. Attenti alla neurovision.