Segnalazione Corrispondenza Romana
di Mauro Faverzani
In Germania la crisi interna alla Chiesa cattolica diviene sempre più acuta ed ormai oltre un terzo dei tedeschi – il 36%, per la precisione – è convinto di uno scisma imminente con Roma: a rivelarlo, è un sondaggio promosso dal settimanale cattolico Die Tagespost. Il 42% degli intervistati non sa e non intende sbilanciarsi, solo il 22% è convinto che, alla fine, tutto sia destinato a rientrare. Le percentuali divengono ancora più drammatiche, qualora si consideri un campione costituito dai soli cattolici: in questo caso, ben il 42% degli intervistati prevede lo scisma, peraltro a breve, il 29% non sa e solo il restante 29% è convinto del lieto fine. Mentre nel Vecchio Continente prosegue quell’«apostasia silenziosa», già chiaramente espressa nel 2003 da Giovanni Paolo II al n. 9 dell’Esortazione apostolica Ecclesia in Europa, altrove, in Africa per la precisione, Nigeria e Kenya risultano essere i due Paesi al mondo con la più alta percentuale di cattolici praticanti. Il che ha dell’incredibile, trattandosi di territori segnati dal sangue del terrorismo islamico con organizzazioni quali Boko Haram nel primo caso e al-Shabaab nel secondo, aree cioè in cui essere e dirsi cristiani non è scontato, né facile, né prudente. Eppure, a confermarlo è l’indagine condotta dal World Values Survey sulla base di dati provenienti da 36 Paesi del mondo.
Tutto indurrebbe a ritenere che nelle terre della jihad sia necessario non ostentare la propria fede, viverla in modo nascosto, per evitare di pagare con la vita tale coraggio. Invece, accade proprio il contrario: nell’Occidente, dove – teoricamente – tutto sarebbe possibile, ci si vergogna non solo di dirsi cattolici, ma ancor più di vivere i valori e le virtù, insegnati dalla Dottrina, dal Magistero e dal diritto naturale; nell’Africa, in cui professare il proprio credo può costare il martirio, si è pronti al sacrificio, pur di non rinunciare e di non rinnegare Dio.
Così, ecco in Nigeria il 94% degli adulti cattolici recarsi alla santa Messa ogni settimana; in Kenya fa altrettanto il 73% dei fedeli, in Libano il 69%. Seguono Filippine (56%), Colombia (54%) e solo al sesto posto si trova il primo Paese europeo, la Polonia, col 52%. E poi ancora Ecuador (50%), Bosnia-Erzegovina (48%), Messico (47%), Nicaragua (45%), Bolivia (42%), Slovacchia (40%), Italia (34%), Perù (33%), Venezuela (30%), Albania (28%), Spagna e Croazia (27%), Nuova Zelanda e Regno Unito (25%), Ungheria e Slovenia (24%), Uruguay (23%), Australia ed Argentina (21%), Portogallo e Repubblica Ceca (20%), Austria e Usa (17%; negli Stati Uniti era il 24% prima del Covid), Lituania (16%), Germania e Canada (14%), Lettonia e Svizzera (11%), Brasile e Francia (8%) e Paesi Bassi (7%). Si può notare come la maggior parte dei Paesi, culla della societas christiana, si trovino nella zona più bassa della classifica, da una parte confermando le previsioni di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI circa il suicidio spirituale dell’Europa, dall’altra contestualizzando meglio la portata e le dimensioni di un eventuale scisma in una Germania, in cui, indipendentemente da esso, la presenza cattolica è già oggi quasi irrilevante e ridotta ai minimi storici. Viceversa gli Stati, caratterizzati da maggiore instabilità sociale, violenza e miseria, sono anche quelli, ove più salda risulta l’appartenenza religiosa degli intervistati. E questo è un dato molto significativo, su cui il cosiddetto Occidente dovrebbe riflettere.
L’indagine individua anche una relazione tra il Pil pro capite e la religiosità di un Paese: maggiore è il primo, minore è la seconda, come se il benessere immanentizzasse il cuore degli uomini, anziché spalancarlo alla dimensione spirituale (non foss’altro che per una doverosa gratitudine nei confronti della Divina Provvidenza). Viceversa il gruppo di nazioni con un Pil pro capite inferiore ai 25 mila dollari registra le percentuali più alte di religiosità dichiarata. Sono dati significativi, perché la dicono lunga non solo con numeri e grafici, bensì con i contenuti, per intuire cosa alberghi nel cuore dell’uomo. Ed allora riecheggia, forte e grave come una condanna, la domanda che Nostro Signore Gesù Cristo pose: «Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18, 8).