Controllo sociale, la pericolosa affinità Cina-Big Tech

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di Nicola Porro

 

Il Festival del Libro di Nizza (Francia) ha avuto come tema una parola cara ai francesi, “Liberte’(s)”, e la prestigiosa presenza di Giuliano da Empoli in qualità di presidente. Abbiamo avuto l’occasione di intervistarlo a margine della presentazione del libro “Il Mago del Cremlino” e di conversare non tanto sul libro (peraltro molto interessante in quanto correlato all’attuale situazione in Ucraina), ma della sua visione sulla similitudine dell’approccio al controllo degli individui tra Cina e… Big Tech.

Inoltre, visto che era reduce da un incontro con Sam Altman, non abbiamo mancato di parlare della strana posizione del ceo di OpenAI sulla questione della “regolamentazione” dell’Intelligenza Artificiale.

Chi volesse ascoltare integralmente l’intervista, incluse le parti relative al libro e alla difficoltà dei rapporti tra Italia e Francia, troverà il podcast sul sito di Radio Nizza o in fondo a questo articolo.

Giuliano da Empoli è scrittore, presidente del think tank Volta, presidente del comitato scientifico dell’associazione Civita. In passato è stato consigliere del ministro dei beni culturali durante il Governo Renzi. Scrive regolarmente per Corriere della Serala RepubblicaIl Sole24Ore e il Riformista.

La vecchia Guerra Fredda

MARCO HUGO BARSOTTI: Nella presentazione di poco fa ha fatto un’osservazione che non avevo mai sentito: che l’approccio al controllo sociale della Cina e quello della Silicon Valley in qualche modo coincidono…

GIULIANO DA EMPOLI: Vero, ho accostato l’approccio cinese al controllo sociale con quello delle grandi aziende tecnologiche della Silicon Valley. Ma facciamo un passo indietro. La Guerra Fredda originale, quella tra il blocco occidentale e il blocco sovietico comunista, vedeva affrontarsi due concezioni dell’umanità e dell’essere umano.

Quella occidentale era l’idea dell’uomo, dell’individuo libero di esercitare le proprie preferenze, le proprie scelte e di seguire i propri gusti. Il che in qualche modo, senza quasi senza saperlo, produceva l’interesse collettivo, il benessere e lo sviluppo.

E poi invece c’era la concezione dell’uomo nuovo sovietico socialista: interamente dedito al benessere collettivo e che in qual che modo necessitava di valori nuovi che imponevano una  riformulazione o riformattazione dei valori umani.

Cina-Big Tech

Ebbene, oggi se si guarda la concezione del Partito Comunista Cinese e quella delle grandi aziende della Silicon Valley si scopre come in fondo abbiano la stessa concezione dell’umanità: quella di individui che possono essere misurati in tutte le loro preferenze, in tutti i loro comportamenti, in tutti i loro movimenti le loro aspirazioni.

Tutto può essere misurato e trasformato in un’enorme quantità di numeri (e di vettori con la IA, ndr) i quali poi possono essere analizzati per studiare le correlazioni.

MHB: Però difficile pensare che in Silicon Valley siano fan del sistema comunista…

GDE: Chiaramente nel caso cinese l’obiettivo è un controllo politico totalitario sulla popolazione, mentre nel caso della Silicon Valley l’obiettivo è di natura economica. Ma guardi che la concezione è un po’ la stessa, anche perché chi dispone di questi dati …

MHB: Ah, certo, come nel caso di Cambridge Analytica: non necessariamente il social network stesso…

GDE: Esattamente, chi dispone di questi dati può raggiungere determinati obiettivi e cercare di generare determinati comportamenti. Da questo punto di vista dobbiamo stare veramente molto attenti.

L’ipocrisia di Sam Altman

MHB: Lei ha avuto modo di conoscere Sam Altman di persona. Sam, che era reduce da una strana testimonianza al Senato Usa, dove con volto preoccupato chiedeva ai politici di regolamentare, forse di rallentare gli sviluppi della IA. Questo mentre contemporaneamente la sua stessa azienda continuava a sfornare novità basate su modelli di IA sempre più avanzati. Qualcosa non quadra, o sbaglio?

GDE: Ho avuto esattamente la stessa impressione. Trovo che sia una forma di vera ipocrisia che neppure gli uomini politici – diciamo – più cinici praticano su questa scala. Lui dice “Impeditemi di fare quello che sto facendo. Regolate la nostra industria altrimenti rischiamo di andare incontro a enormi catastrofi”.

È paradossale e a mio avviso non è neppure la verità. Molto diversa dalla linea storica di Google, che era più o meno “voi politici non ci capite nulla, meglio che ne restiate fuori”.

Penso che Microsoft (che possiede una quota importante di OpenAIndr) sia stata furba: chiede regolamentazioni sapendo che in realtà non arriveranno e così creano una posizione oligopolistica. Perché se vengono create leggi sulla base dei consigli di OpenAI queste taglieranno fuori la concorrenza.

E poi però mi dico: non voglio entrare nella filosofia dell’uomo, uno che tra l’altro ha creato OpenAI come no profit per poi trasformarla in un’azienda normale che vuole fare profitti.

Uno che cerca – a mio parere – di fare sia il magnate della tecnologia che il buono del settore. Uno che non vuole essere mischiato con gli altri, che magari pensa abbiano un’immagine pessima. Trovo umiliante che noi come società ci troviamo nella situazione di interrogarci sulle intenzioni e sui caratteri di questi personaggi. Dovremmo riuscire a mettere in piedi dei sistemi in cui questi personaggi devono attenersi ad una serie di regole e protocolli chiari, senza costringerci ad analizzare le loro intenzioni.

Anche se, guardandolo da un altro angolo, potrebbero pure esserci elementi genuini nel suo discorso. Forse possiamo interpretarlo come “io sono dentro una spirale nella quale per essere competitivo rispetto agli altri devo fare delle cose che se ci fosse un quadro regolamentare potrei fare diversamente, in modo più responsabile”.

Chi deve regolamentare?

MHB: Quindi dobbiamo spingere i politici a regolamentare il settore?

GDE: Forse in qualche modo l’Europa sta cercando di fare qualcosa (con il recente AI Act ndr). Francamente ritengo che quello che pensa Altman debba essere marginale: ci dovrebbero essere ben altri soggetti ad occuparsi di questi temi. Lo ripeto: chi regola non può essere lo stesso soggetto di chi crea questa tecnologia.

Anche se… se guardo il panorama politico oggi mi pare che la maggior parte dei responsabili, quando lo incontra, ha più che altra voglia di prendersi un selfie con lui, questo è il massimo al quale si arriva: temo che la sfida che abbiamo davanti sia abbastanza grande.

Due concetti chiave stanno riempiendo le agende degli imprenditori: la competitività del business e la sostenibilità dell’impresa. Due dimensioni che rischiano di apparire in contrasto, se non si tiene conto degli effetti sulle relazioni con gli istituti finanziari, con i propri clienti e in generale sul posizionamento di mercato dell’azienda.

È proprio da questa visione che ha preso il via Open-es, l’alleanza tra mondo industriale, finanziario ed istituzionale per supportare tutte le imprese nel connettere la competitività e sostenibilità del proprio business. Banche, imprese, associazioni, service provider, uniti per offrire a tutte le aziende una piattaforma digitale e gratuita per misurare, migliorare e valorizzare il proprio profilo ESG.

Questo è infatti ormai il “codice segreto”, ESG, in cui nonostante l’ordine dei fattori, la dimensione chiave per un’azienda moderna è rappresentata proprio dall’ultima lettera, la Governance. Governance significa individuare opportunità e rischi, definire priorità e azioni concrete e monitorarne i progressi e gli impatti sui risultati aziendali.

Consapevoli di questo sempre più imprese si stanno unendo a Open-es, una community collaborativa di più di 12.000 realtà che oltre alle funzionalità della piattaforma hanno a disposizione momenti di confronto, condivisione best practice e formazione sul campo. Agli imprenditori serve concretezza, un linguaggio semplice e per comprendere come collegare gli aspetti ESG con la propria strategia di Business. La piattaforma Open-es è stata pensata proprio per questo! Gli istituti finanziari e i principali gruppi industriali hanno un ruolo chiave in questa sfida e grazie all’evoluzione tecnologica e ai modelli di integrazione è sempre possibile trovare una soluzione per collaborare. La “call to action” di Open-es è aperta a tutti, un’occasione unica per il nostro sistema per unire le forze a favore delle imprese e affrontare questo percorso nell’unico modo possibile: Insieme!

Mal di Francia: separatismo islamista e un presidente solo chiacchiere

Giulio Meotti: 150 enclave, pezzi di città dove vige un mix di banditismo e islamismo e la Sharia è imposta ufficiosamente. Ma in questi anni Macron non ha fatto nulla

Ancora alta la tensione in Francia dopo giorni e notti di violenza e devastazione. Cosa sta succedendo? Quali le cause delle rivolte? Come valutare la risposta dell’attuale presidente Emmanuel Macron? A queste domande abbiamo provato a dare una risposta con Giulio Meotti, giornalista de Il Foglio, saggista e scrittore.

La cattiva coscienza dei media

TOMMASO ALESSANDRO DE FILIPPO: Quali sono le cause delle rivolte in corso in Francia? A cosa dobbiamo la tardiva e limitata copertura mediatica degli eventi?

GIULIO MEOTTI: Tutto quel che negativamente riguarda immigrazione, multiculturalismo ed islam viene trattato con imbarazzo nei nostri media, perché ne mette in discussione la coscienza. La copertura dei tg è grottesca: i rivoltosi sono descritti come “manifestanti” e le scene più traumatiche (come quelle relative ai linciaggi in corso sui poliziotti) non vengono trasmesse. Del resto, il tentativo dei media mainstream di occultare la verità è un vecchio vizio.

Il mio giudizio in merito a quanto sta avvenendo? Semplicemente drammatico! La Francia vive un fenomeno di disintegrazione. Siamo al quarto giorno di rivolte che appaiono molto diverse da quelle avvenute nel 2005 (in quell’anno rimasero circoscritte alla città di Parigi, ora avvengono in tutto il Paese) e rappresentano un attacco allo Stato nazionale, dato che vengono bruciati anche edifici pubblici, municipi, biblioteche e stazioni di polizia.

Islamizzazione incontrastata

TADF: Cosa determina questi avvenimenti in Francia in maniera carsica ma costante? Perché le rivolte non si placano?

GM: Ad un certo punto si placheranno, ma non sappiamo se uno stop arriverà stasera o tra diversi giorni. Il problema della Francia è insito nel fenomeno dell’islamizzazione del suo territorio, avanzato per decenni incontrastato.

Secondo analisi ufficiali dei servizi segreti interni, Oltralpe esistono circa 150 enclave: pezzi di città dove vige una sorta di mix tra banditismo ed islamismo. La Sharia viene imposta attraverso la cacciata degli ebrei, il rispetto del vestiario per le donne (aumentano i veli, spariscono le minigonne) e l’imposizione del cibo Halal nelle macellerie e nelle mense scolastiche.

Addirittura ci sono caffè per soli uomini ed il tutto avviene in maniera ufficiosa, dato che per ovvie ragioni sarebbe legalmente vietato. In Francia hanno concesso ad una civiltà differente di inserirsi nel territorio senza neanche chiedersi se le sue abitudini sociali e religiose fossero compatibili con la legge nazionale.

La debolezza di Macron

TADF: Il presidente Macron ha assecondato questo processo negli anni per ragioni politiche ed elettorali. Come pensa reagirà adesso? Che difficoltà rischia di affrontare se non placa le rivolte?

GM: Macron a parole si dimostra capace di affrontare ogni tema: cita il separatismo islamico, la legge islamica, il saper “vivere insieme” delle differenti comunità. Discorsi e concetti di indubbio spessore culturale. Il suo problema è quello di essere un debole nell’azione, essendo di formazione un tecnocrate e banchiere incapace di fronteggiare simili temi attivamente.

La sua debolezza strutturale non aiuta il Paese: non dichiara lo stato d’emergenza (almeno per ora) e si dimostra incapace di gestire la sicurezza dei cittadini. Per fermare e fronteggiare il fenomeno dell’islamizzazione negli anni della sua presidenza non ha fatto praticamente nulla ed i risultati si vedono.

Differenze con le rivolte Usa

TADF: Quali sono le analogie e le differenze tra quel che accade in Francia e le rivolte targate Black Lives Matter del 2020 negli Stati Uniti?

GM: Con gli Stati Uniti l’analogia è insita nella questione razziale, dato che notiamo il tentativo di “etnicizzare” lo scontro. Nel caso francese si aggiunge la questione islamica, assente in America. Le rivolte si saldano al tema delle “terze e quarte generazioni”: c’è un fenomeno di rivendicazione identitaria e religiosa assente negli altri Stati.

In Italia siamo indietro di decenni rispetto a questa problematica e rischiamo di arrivare alla stessa condizione tra venti o trent’anni. I Paesi non sono allineati nelle condizioni, piuttosto nella sfida da fronteggiare.

La nomina del generale Francesco Paolo Figliuolo a commissario straordinario per la ricostruzione post-alluvione in Emilia Romagna dimostra come l’ombra del governo Draghi si allunghi anche su quello presieduto da Giorgia Meloni.

Discontinuità incompleta

Chi, dopo le elezioni, si attendeva una netta discontinuità rispetto all’Esecutivo di unità nazionale (ribattezzato improvvidamente come il “governo dei migliori”) è rimasto un po’ deluso. Già nei scorsi mesi abbiamo avuto modo di sottolineare le titubanze e le incertezze del ministro Orazio Schillaci, che stenta ad affrancarsi del tutto dalle rigide politiche speranziane.

Ora, il ritorno di Figliuolo in ruolo così importante rappresenta, da parte della nuova maggioranza, una sorta di riconoscimento del suo operato nella fase pandemica. È vero che due partiti della maggioranza sostenevano il governo Draghi ma è altrettanto innegabile che l’attuale governo aveva promesso di archiviare definitivamente la stagione dell’emergenza sanitaria.

Invece, ci ritroviamo con le mascherine ancora obbligatorie in determinati contesti e con Figliuolo di nuovo commissario. La sgrammaticatura politica è evidente per quanto la notizia non abbia avuto molta risonanza sui media, schiacciata dagli sviluppi del conflitto in Ucraina e dalle solite polemiche pretestuose imbastite da un’opposizione in cerca di una bussola per orientarsi.

Sostenitore del Green Pass

In mancanza, ci ha pensato Beppe Severgnini sul Corriere della Sera a magnificare le imprese del generale, un uomo che “trova romantica la logistica” e che sa ascoltare. Sulla logistica non sapremmo dire, quanto all’ascolto c’è da esprimere qualche dubbio visto che, da commissario per l’emergenza sanitaria, fu uno dei più accaniti sostenitori di uno strumento coercitivo come il Green Pass.

I cittadini hanno capito che si lottava per la sopravvivenza”, disse durante il Meeting di Rimini dello scorso anno. Certo, senza carta verde, non si portava letteralmente il pane a casa. Ergo, si trattava di sopravvivere innanzitutto dal punto di vista economico e di assicurarsi un minimo di libertà di movimento.

Tra l’altro, in quell’occasione, mostrò pure un certo fastidio verso chi aveva messo in dubbio i dogmi sanitari: “Sono stati fatti molti dibattiti che potevano anche essere non fatti”. Un’idea della democrazia un po’ particolare quella in cui sono permesse solo le discussioni gradite al generale Figliuolo che, a un certo punto, voleva recarsi “casa per casa” per convincere i recalcitranti. Ma tant’è, nell’era pandemica ne abbiamo sentite di tutti i colori.

Sui vaccini smentito dai fatti

Il problema è che Figliuolo entrò un po’ troppo nella parte, non limitandosi a organizzare gli hub vaccinali ereditati dalla gestione Arcuri ma assunse un ruolo politico con ripetute esternazioni più che discutibili: “Quando raggiungeremo il 90 per cento della popolazione vaccinata e se i comportamenti continueranno a essere responsabili, ci potrebbe essere un allentamento delle misure”. Come abbiamo poi visto, neppure il 100 per cento di inoculazioni sarebbe servito a creare la famosa immunità, perché il virus nelle sue infinite mutazioni e varianti bucava impietosamente il vaccino.

A rileggere oggi affermazioni di un paio di anni fa c’è da sorridere, seppure amaramente. Allora, risulta ancora più beffardo il ritorno del generale per mano, peraltro, di un governo la cui maggiore forza politica aveva aspramente criticato l’approccio autoritario alle questioni sanitarie.

Il problema non è la mimetica

Tornando al panegirico di Severgnini, si ricorda pure il disagio di Michela Murgia per l’uomo in divisa a cui era stato affidato un incarico civile. Be’, mai nulla obiettò la Murgia a proposito delle normative liberticide imposte agli italiani. Il problema, dunque, non era la mimetica ma l’atteggiamento draconiano che ha contagiato un po’ tutti.

Con una vena di sentimentalismo, Severgnini – che ha già scritto un libro a quattro mani con Figliuolo – ci informa che il generale è diventato nonno da nove mesi. Così, quando si intrattengono nelle loro conversazioni, parlano dei rispettivi nipoti: “Gli italiani di domani, quelli che dovranno raddrizzare un Paese che noi sessantenni abbiamo lasciato crescere un po’ storto”. Nel frattempo, seguendo la logica severgniniana, il Paese si allontanerà ancor di più dalla retta via fin quando i nonni non lasceranno spazio ai nipoti. E fin quando esisteranno uomini per tutte le stagioni e per tutte le emergenze

 

Aricolo completo: Controllo sociale, la pericolosa affinità Cina-Big Tech (nicolaporro.it)

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