di Valerio Savioli
OCCORRE MANDARE UN SEGNALE ALL’ATTUALE INDUSTRIA DELLO SPETTACOLO, DISTRARSI DALLA MELMA DI GUANO IPER-POLITICAMENTE CORRETTA E INTRISA DI OGNI VENATURA CANGIANTE DI CANCEL CULTURE PROPINATA DA HOLLYWOOD & CO
Guardare The sound of freedom è cosa buona e giusta e lo è per mandare un segnale nei confronti dell’attuale industria dello spettacolo, ma anche per distrarsi dalla melma di guano iper-politicamente corretta e intrisa di ogni venatura cangiante di Cancel culture propinata da Hollywood & co.
È notizia di questi giorni che la pellicola, uscita in USA non casualmente il quattro luglio (Independence Day), con quasi quattro milioni di spettatori stia registrando incassi record, umiliando all’esordio, i blockbuster dai budget astronomici come Indiana Jones and the Dial of Destiny, Spider-Man: Across the Spider-Verse e Transformers: Rise of the Beasts e Elemental, quest’ultimo di Pixar e Disney.
Una soddisfazione nella soddisfazione.
Certo, ci vuole fegato per guardare un film del genere, una volta terminato desidererete fare di tutto per riportare la vostra coscienza all’ordinarietà della vostra quotidianità e convincervi che quello che avete visto sia tutto frutto di fantasia, in verità, The Sound of Freedom non porta sul grande schermo un episodio storico che, per la sua lontananza temporale potremmo considerare archiviato, ma sbatte in faccia allo spettatore la cruda realtà di quanto accade quotidianamente. Non sarete più quelli di prima.
La trama di una storia vera
La trama è, tutto sommato, semplice e lineare sebbene col passare dei minuti si stratifichi sempre più. Il film esordisce raccontando la storia di un padre onduregno che viene indotto da una prominente figura femminile, la quale si dice essere rappresentante di un’agenzia di giovani talenti capace di garantire ai piccoli un futuro radioso nel mondo dello spettacolo.
L’offerta sinistramente seducente – perché il male tenta lì dove si è più fragili – propinata da una donna, ben conscia del destino di quei piccoli, ferisce lo spettatore nel profondo delle sue (residue) certezze attuali.
Purtroppo, l’esca funziona alla perfezione, anche facendo leva sui due fratellini – spiccano, in particolar modo in questo film gli occhi e in questo frammento sono quelli della sorellina a sognarsi star – il genitore capirà troppo tardi di aver offerto su un piatto d’argento i suoi piccoli al peggiore dei destini possibili: l’agenzia, infatti, risulta essere una copertura per trafficanti di bambini.
Qui entra in gioco l’agente Tim Ballard, impersonato dall’eccellente Jim Caviezel, già noto per aver recitato ne La Passione di Mel Gibson (e vedrete quanti fili si ricongiungono man mano). È con Ballard, agente speciale del Department of Homeland Security, che la pellicola comincia a tratteggiare le varie sfumature di bene e male, di giusto e sbagliato.
Balza subito all’occhio quanto sia potenzialmente distruttivo per Ballard – e lo sarebbe per chiunque – combattere il traffico di piccoli innocenti e lo sforzo interiore è uno dei pilastri simbolici.
È visivamente eloquente una delle scene iniziali in cui all’agente viene chiesto di esaminare le VHS in cui sono registrati violenze perpetrate ai danni di bambini, di cui uno di appena tre anni.
“Hanno abusato dei ragazzi fino a quando i loro corpi non sono stati spezzati”, questo nelle parole e soprattutto negli occhi – resi brutalmente veri dalla recitazione di Caviezel – di Ballard, il quale distrutto da quelle scene avverte la necessità atavica di rientrare in contatto con qualcosa di sano: la sua numerosa famiglia (nella vita reale ha nove figli, di cui due cinesi adottati).
In quel contesto di compensazione riequilibratoria che tanto evoca la vestizione delle armi di omerica memoria, Ballard abbraccia (anche) simbolicamente i suoi figli per poi venire consolato dalla moglie Katherine, la cui sottile ma implacabile presenza simboleggia l’armatura imprescindibile che il protagonista deve indossare nei confronti del putridume che lo attende, la stessa Katherine che nella realtà sarà colei che incoraggerà Ballard a lasciare l’incarico di agente speciale e dedicarsi, anima e corpo, ma come privato a combattere il traffico di minori.
Contro il relativismo imperante: la necessità del ritorno delle categorie di male e di bene
Immergersi in tutto quell’orrore, fronteggiare il lato oscuro e incrociare lo sguardo del distillato più puro del male – un impatto paragonabile al PTSD, il disturbo da stress post-traumatico reperibile nei veterani di guerra – può provocare due reazioni contrapposte: o quella di desistere, ed è il caso del collega di Ballard, o farne una questione di principio e ripudiare indefessamente la complice indifferenza e questa, come immaginerete, è la storia di Ballard che trovandosi al cospetto di tutto quel che di più bieco ci si possa immaginare, affronta lo scontro senza che egli a sua volta si tramuti in malvagio.
Uno dei passaggi più potenti dell’intero film è racchiuso in un passaggio di rara intensità spirituale: alla domanda “Tim, perché fai tutto questo?” il protagonista risponde “Perché i figli di Dio non sono in vendita.”
L’elefante nella stanza
Il film è quindi basato sulla storia vera dell’agente Tim Ballard, i fatti, tra cui alcuni secondi di autentici rapimenti catturati dalle telecamere di sicurezza, ricostruiti nella pellicola non sono frutto dell’immaginazione ma è quanto accade ogni giorno, un brutale risveglio per chi si crogiola quotidianamente nel soporifero e indottrinante circo di consumi indotti e non si cura più di tanto dell’esistenza del male.
Il volto di Ballard, dopo aver lavorato sotto copertura per più di un decennio ed essendo ormai diventato noto a livello planetario, non è più spendibile per le delicate operazioni a cui si era prestato e, dopo aver lasciato il suo storico impiego, l’ex agente nel 2013 ha fondato O.U.R. (Operation Underground Railroad) che annovera tra i donatori maggiori anche Tony Robbins. L’organizzazione è stata coinvolta in ben 4.000 operazioni che hanno portato 6.500 arresti.
Tutta quell’attenzione ha attirato l’attore e produttore messicano Eduardo Verástegui, che ha voluto fortemente trasformare la storia eroica di Ballard in un film.
Uno sponsor d’eccezione e un elemento ancora più scomodo: Mel Gibson e la fede
Una delle voci che più si è spesa attraverso i social per la promozione di Sound of Freedom è quella del celebre attore Mel Gibson: “Uno dei problemi più disturbanti nel mondo di oggi è il traffico umano e nello specifico il traffico di bambini. I bambini sono il nostro futuro. Ora, il primo passo per eradicare questo crimine è la consapevolezza. Andate a vedere Sound of Freedom.”
Mel Gibson cadde – o meglio fu gettato – nel dimenticatoio nel 2006 a causa di alcune note inveterate, con tutta probabilità alterate dai fumi dell’alcol, ma con assoluta certezza dell’evidenza in base alle conseguenze che ne sono seguite per l’attore, dirette contro il vero potere, ossia quello che non devi osare criticare.
Inoltre, in questi giorni è tornata popolare una clip del 1998 in cui lo stesso Gibson tocca i tasti evidentemente proibiti di quel mondo dello spettacolo su cui tanto si specula; l’attore esordisce sostenendo di avere avuto “strani sospetti paranoici su Hollywood quando è arrivato. Poi pensai, no, mi sbagliavo. È un pensiero folle. Sono solo paranoico. Ho immaginato quella roba. Non potrebbe essere questo il motivo per cui il tal dei tali si comportava così, vero? E poi scopri più tardi che eri esattamente sulla buona strada con molte di queste cose che alcuni dei tuoi peggiori incubi erano reali in quel momento, e pensi…”. La faccia dell’attore si esibisce in una smorfia di shock.
A Mel Gibson è direttamente collegato Jim Caviezel che dopo aver recitato ne La Passione di Cristo, tornerà a recitare nei panni di Gesù Cristo ne La Resurrezione, la cui produzione è attesa per fine anno o al massimo per il 2024.
E qui c’è un altro aspetto interessante dei tre protagonisti della nostra storia: hanno tutti la fede e sono tutti cristiani; nello specifico Mel Gibson e Jim Caviezel, cattolici. L’afflato spirituale gioca un ruolo fondamentale e il protagonista non ne fa mistero nel film e anzi, ritiene che sia proprio la fede stessa a dargli la forza per perseverare e combattere il male attraverso gli strumenti del bene.
L’esatto opposto degli eroi hollywoodiani che per sconfiggere il male si sentono in diritto di avvalersi del lato oscuro. Una curiosa via d’uscita per giustificare l’essere malvagi.
Le porte chiuse di Disney & co. Business is Business non è una regola sempre valida
Secondo The Blaze le riprese del film erano terminate nel 2018 ma la Disney (un tempo sembrava avesse a cuore i più piccoli), che aveva reperito il materiale dalla 20th Century Fox, decise di non distribuire e parcheggiare momentaneamente (shelved) la pellicola che fui poi acquistata dalla Angel Studios di Ohio.
Oltre alla Disney tante altre porte sono state chiuse alla pellicola, come ha ricordato in un’intervista l’attore e produttore Eduardo Verástegui: “Molte porte ci sono state chiuse in questi anni; Disney, Netflix, Amazon e altre case di distribuzione hanno detto ‘no, questo film non fa per noi, non è un buon affare, nessuno vedrà un film sul traffico di bambini”.
Ci sono comunque voluti anni per trovare chi si occupasse della distribuzione, ossia l’Angel Studio, a cui va anche il merito di aver pubblicato il film.
Per non farci mancare nulla, anche Verástegui ha quel curriculum perfetto a renderlo inviso, per usare un altro eufemismo, a Hollywood e all’intero sistema politicamente corretto, prodigandosi da anni, in America Latina, per conto dei movimenti pro-vita (pro-life), alla fine del 2019 ha girato tutto il Messico per promuovere la versione spagnola di Unplanned.
Ad oggi The Sound of Freedom è campione d’incassi al botteghino. Sicuramente non un buon affare, un ottimo affare, soprattutto se si considera che sia stato proiettato in sole 2.600 sale, riuscendo a superare Indiana Jones che invece è stato proiettato in 4.600 sale il giorno dell’esordio. Il primo giorno il film ha incassato 14 milioni di dollari, mentre il film Disney con Harrison Ford ne ha incassati 11.
Un successo clamoroso che ha appena cominciato il suo percorso: ci sarà infatti un sequel, in cui ritroveremo Tim Ballard impersonato da Jim Caviezel e sarà ambientato ad Haiti.
Che cos’è l’economia della pedofilia. Alcuni (impressionanti) dati: Stati Uniti in testa alla classifica
È interessante cominciare con le dichiarazioni di Ballard in merito al poroso, per usare un eufemismo, confine tra USA e Messico: “Ho trascorso 10 anni su 12 al confine meridionale e per sapere cosa sta succedendo, devi capire l’economia della pedofilia. Gli Stati Uniti sono il consumatore numero uno al mondo di video di stupri infantili. Ora siamo tra i primi uno o due per la produzione. Una volta era [un fenomeno] più diffuso all’estero.” Dichiarazioni a dir poco scottanti che devono aver infastidito qualcuno.
Gli atroci video che Ballard ha dovuto visionare come agente hanno avuto un incremento, solamente negli ultimi due anni, del 5000%. E ancora una volta fanno rabbrividire le parole di chi quell’orrore l’ha visto coi suoi occhi, ossia il nostro agente Ballard, il quale dopo aver enfatizzato sulla sorprendete quantità di pedofili e sul materiale (Ballard parla di milioni di pedofili, gran parte di questi dall’aspetto completamente insospettabile, un mercato di altrettante foto e video) che vengono sequestrati ha sostenuto: “la prima persona che vedete arrestare nel film è una persona vera, a lui sono state sequestrate due milioni [tra foto e video] a casa sua… essere messi di fronte a milioni di persone che si vogliono sbizzarrire a guardare bambini di cinque anni violentati sessualmente… guardare il corpo di quei bambini spezzarsi nell’atto della violenza sessuale, in situazioni che la tua mente non potrebbe mai evocare, nemmeno se ci provi ma è così vero da cambiare la tua vita per sempre. Dico spesso alle persone che mi sembra di avere un milione di buchi neri nel cervello, perché ho dovuto vedere migliaia di ore di quel materiale. Gli occhi di Jim Caviezel che vedete nella scena iniziale, sono stati i miei per dieci anni.”
Ma accenniamo ad alcune cifre: il giro d’affari della tratta minorile globale ammonterebbe a circa 150 miliardi di dollari e i bambini coinvolti sarebbero milioni di cui – ci teniamo a ribadirlo – il mercato con la domanda più elevata è quello americano, paese dal quale arriva anche la notizia, sollevata dai senatori repubblicani Marsha Blackburn e Josh Hawley della sparizione nel nulla di 85.000 immigrati minorenni solamente negli ultimi due anni.
Perché una dosa di cocaina la si può vendere una sola volta, mentre un bambino è vendibile dalle cinque alle dieci volte al giorno. Per dieci anni.
Una storia altrettanto vera: l’inquietante reazione dei media liberal
Se c’è una cosa che provoca sconcerto, di fronte al successo di The Sound of Freedom, è la reazione compatta del comparto mediatico liberal – progressista. Una viscida operazione di screditamento ed etichettatura che rappresenta la vera medaglia per tutti coloro che hanno reso possibile questo film.
Il progressista The Guardian ha definito il film “un thriller vicino a QAnon”, mentre Jezebel ha fatto anche di peggio etichettandolo come un “fantasy anti-tratta adatto a QAnon”.
La versione di Rolling Stone, rivista patinata e ultra-liberal passa direttamente all’offesa e parla di un “film di supereroi per papà con i vermi cerebrali”. Il giornalista Mike Rothschild (sic!) ha dichiarato alla CNN: “Questi tipi di film sono creati da panico morale… ‘Sound of Freedom’ in particolare sta esaminando i concetti QAnon di questi giri di traffico di bambini”.
La stessa Rolling Stone che, come si evince da uno sconcertante articolo di marzo scorso riportato da NPR, tramite la manina dell’editor in chief Noah Shachtman avrebbe depennato, da un articolo a firma di Tatiana Siegel, le vere motivazioni dietro un raid dell’FBI ai danni del celebre giornalista James Gordon Meek. La Siegel, infatti, si sarebbe vista rimuovere dal suo articolo la natura dell’investigazione ai danni del noto giornalista: pornografia minorile.
Di fronte a tutto questo la risposta di Ballard non si è fatta attendere e infastidito ha dovuto specificare: “Questo film non è stato progettato per essere politico. Sound of Freedom è un messaggio sulla protezione dei bambini dai cartelli del traffico di bambini”. E ancora: “Non posso spiegare, e nemmeno loro. In ogni spettacolo che ho visto, a loro piace solo buttare fuori la parola, ‘QAnon’. Non fanno alcun collegamento con la storia vera. È molto difficile stabilire questa connessione quando in realtà è basata su una storia vera.” E infine: “[…] Questa è solo un’altra agenda… chi vorrebbe interferire con pedofili e trafficanti di esseri umani? Questa è la domanda più importante in tutto questo. Perché mentire per promuovere un’agenda il cui obiettivo è tenere i bambini in cattività? È [una cosa] malata.”
Capito?! Una produzione cinematografica capace di mostrare il vero volto dell’oscena e immensa tratta dei minori, secondo i media politicamente corretti sarebbe frutto della paranoia tipicamente destrorsa (con tutto l’assortimento di aggettivi che vi viene in mente) la quale, in preda alla sua proverbiale ossessione e alla intrinseca e naturale propensione nei confronti del cosiddetto complottismo, avrebbe attinto a piene mani dalla narrazione di QAnon (e similare); il richiamo polemico allo scandalo Pizza Gate sembra evidente, mentre sullo scandalo Epstein e relativa isola privata frequentata dalla crème dell’intrattenimento e non solo, chissà se si saprà mai la verità.
Che dire poi dell’emittente televisiva CBS che nel 2014 applaudiva il lavoro di Tim Ballard e della U.O.R. (poi ripreso dal film) contro il traffico di bambini. A distanza di dieci anni gli stessi media definiscono “paranoico” il film ispirato al suo lavoro.
Altrettanto palese è il tentativo di quel processo già in atto da decenni, ossia la normalizzazione della pedofilia: se abbiamo avuto modo di scrivere tante volte in merito agli eventi Drag Queen nelle scuole americane e alla sessualizzazione dei minori: su quest’ultima pratica va menzionata la scena del film in cui i bambini adescati vengono truccati e imbellettati, impossibile non pensare a Cuties, pellicola al centro di un’aspra polemica sulla sessualizzazione dei più piccoli e indovinate da che parte stavano i professionisti dell’informazione?
Il tentativo di cambiare la percezione generale del pedofilo, termine considerato “eccessivamente stigmatizzante”, ha recentemente portato ad altre sconcertanti proposte di iniziative linguistico-cognitive come quelle di definirlo M.A.P, ossia persona attratta da minori, con lo scopo di desensibilizzare l’opinione pubblica rispetto all’odioso fenomeno. Va ad Allyn Walker il merito di aver diffuso il termine, grazie al suo testo A Long, Dark Shadow. Minor-attracted people and their Pursuit of Dignity.
Tutto questo, senza menzionare lo scontro sulle pratiche di transizione sessuale dei minori (chi voglia sprofondare nell’orrore di questa pratica cerchi, tra le tante, la storia di Chloe Cole), spesso incoraggiate dalle scuole e con l’ambiguo ruolo dello Stato, sempre e solo nel nome della santa inclusività.
Insomma, se tutto questo mondo non vuole che si guardi The Sound of Freedom, allora guardarlo è assolutamente doveroso.
Questi sono giorni in cui tutta la produzione del film è sotto la luce dei riflettori ma, tra le tante dichiarazioni, ce n’è una dello stesso Caviezel che aiuta a collegare i puntini: “Ovviamente, voi capirete il contenuto del film. Una volta che il mondo vedrà questo film, una volta che le persone vedranno le navi che trasportano i bambini avanti e indietro… non ci sono altri film come questo. La nostra industria [dell’intrattenimento] non può produrre un film del genere al momento, per la ragione che troppe persone sono coinvolte [nel traffico minorile] in tutto il mondo e molte di loro sono famosissime.”
Attori, comparse e finali già scritti: la verità ha sempre un prezzo
Siamo immersi nella Società dello Spettacolo, un presente ribaltato che pretende ci si batta contro quella schiavitù che ormai la storia ha definitivamente archiviato e che si chiudano gli occhi su quella schiavitù ancora vergognosamente in essere, un tempo svuotato nella sua proiezione, fissato nell’unica miseria possibile, quella del presente sostanzialmente repellente a qualsivoglia valore condiviso, una comoda vacuità in cui sono le star della dissoluzione in stile Kardashian e tutte le relative filiazioni mostruose ad essere idolatrati e seguite da milioni di persone (?), di cui il 99% non è e soprattutto non ha nessuna intenzione di venire a conoscenza di questa orrenda tratta e di personalità come Tim Ballard.
Ed è nauseante nella sua tranquillizzante ridondanza la massima di Bertold Brecht “sventurata la terra che ha bisogno d’eroi”, vero velo di Maya di un’epoca che ne avrebbe invece disperata necessità.
Con tutta probabilità, maneggiando con la massima cura possibile religione e psicologia, è solo guardando negli occhi il male e affrontandone il lacerante peso che si acquisisce il senso ultimo dell’esistenza e del suo scopo.
Scrollarsi di dosso il comodo torpore allucinatorio è quindi una questione di credo, coraggio e volontà, per tutto il resto The Show Must go On.
Articolo completo: “The Sound of Freedom”: Tutto sul film che Hollywood non vuole che guardiate – informazionecattolica.it