di Lorenzo Cianti
Non si arresta il malcontento verso la segretaria dem: con lei una mutazione genetica del partito
Nuovo terremoto all’interno del Partito democratico. Trenta esponenti dem in Liguria, tra cui la recordwoman di preferenze alle scorse comunali di Genova Cristina Lodi e il consigliere regionale Pippo Rossetti, hanno abbandonato il Pd per approdare ad Azione, manifestando il loro dissenso sulla svolta massimalista della segreteria Schlein. Non sono né i primi, né saranno gli ultimi ad andarsene. Inutile dirlo, i malumori sono cominciati da tempi non sospetti al Nazareno. E hanno spinto numerosi membri di Base Riformista – ma non solo – a cercare altri lidi.
I dem fuoriusciti
Il primo a sventolare il fazzoletto bianco è stato Beppe Fioroni, volto dei teodem, già ministro con Prodi e storico dirigente de La Margherita. “Prendo atto della marginalizzazione dell’esperienza popolare. Questo non è più il mio partito”, aveva affermato a malincuore lo scorso 27 febbraio, all’indomani della vittoria di Elly Schlein alle primarie. Ad aprile l’addio di Andrea Marcucci, intenzionato a far parte di una non meglio precisata federazione centrista. Stessa sorte per Enrico Borghi, che di lì a poco avrebbe aderito ad Italia Viva. È una new entry di Forza Italia l’eurodeputata Caterina Chinnici, figlia di Rocco Chinnici, giudice istruttore ucciso dalla mafia il 29 luglio 1983. Perentorio il suo giudizio: “Schlein è troppo a sinistra, mi sono sentita sola sui miei temi”.
Non dimentichiamo il bonacciniano doc Carlo Cottarelli. L’economista, doppiato da Daniela Santanché nel collegio di Cremona, ha lasciato il suo seggio senatoriale per tornare tra i banchi dell’Università Cattolica di Milano. Alessio D’Amato, candidato per il centrosinistra alle elezioni regionali nel Lazio sconfitto da Francesco Rocca, si è trasferito chez Calenda criticando la subalternità del Pd alle politiche grilline. Peccato che D’Amato fosse vicepresidente della giunta Zingaretti, la stessa che aveva accolto i consiglieri pentastellati in maggioranza.
Certo, il clima non è dei migliori neanche tra i fedelissimi di Schlein, presunti o tali. Basti pensare al poco incoraggiante: “Con questa non prendiamo nemmeno il 17 per cento” di Nicola Zingaretti. Che cosa ha voluto dire? Il messaggio è chiaro: se Schlein performerà peggio di Letta alle prossime europee, c’è il rischio che la sua segreteria venga troncata dai probiviri dem.
Mutazione genetica del Pd
L’ecatombe piddina testimonia la mutazione genetica in atto nel Pd. Espunto l’aggettivo “riformista” dal patrimonio lessicale dem; liquidato qualsiasi riferimento alla vocazione maggioritaria di Veltroni; incentivate le tendenze liberticide d’oltreoceano, come il wokismo e la cancel culture. È così che l’erede della stagione ulivista, nato dall’unione tra post-comunisti e democristiani di sinistra, si sta trasformando in quello che Augusto Del Noce avrebbe definito “partito radicale di massa”: un soggetto politico che incarna istanze ultra minoritarie. Come spiegava il politologo Domenico Fisichella in un’intervista su Atlantico Quotidiano, il Pd sta subendo un’erosione dovuta alla “spinta centrifuga” nella società civile. Potremmo parlare di Democrazia proletaria 2.0, perché no.
Il piano di Renzi
Le defezioni dal Pd fanno gola a molti: c’è chi vorrebbe rimpinguare le fila del fu Terzo polo. Matteo Renzi punta a sottrarre nomi e consensi ai dem in modo da lanciare a Bruxelles la sua nuova creatura, Il Centro. Da giorni il leader di Italia Viva sta facendo tappa in Lombardia, terra di tradizione storicamente moderata. Il suo è un opa ostile: Schlein ignora i centristi? Ci penso io a fare man bassa. Non solo negli ex feudi della Balena bianca, ma anche nelle aree metropolitane. Il Partito democratico, schiacciato tra la demagogia grillina alla sua sinistra e le velleità neo-dorotee alla sua destra, deve chiarire quale sia la sua missione. Altrimenti la fuga dei riformisti sarà inarrestabile.
Articolo completo: Il Pd si ribella a Elly Schlein (nicolaporro.it)