Un riarmo sciagurato, una piazza fuori strada

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di Marcello Veneziani

Il pacifismo è una brutta malattia, il bellicismo è un pessimo vizio. Ma quest’Europa pacifista e bellicista, oltre a sommare il vizio alla malattia, sta inscenando una ridicola e costosissima tragedia.

È comprensibile il realismo duttile di Giorgia Meloni che si allinea al riarmo ed è commovente l’irrealismo puerile di Elly Schlein, contraria al riarmo europeo mentre il suo partito è diviso tra favorevoli e astenuti. Ma il riarmo europeo proposto da Ursula von der Leyen puzza di ripicca, velleità e ipocrisia. Riarmarsi per ripicca contro Donald Trump non è una scelta lungimirante; rischia di partorire mostricciattoli ed errori macroscopici che pagheremo caro. Riarmarsi nel nome dell’Ucraina, poi, ancor più, significa perseverare in un errore che è già costato caro a noi europei, senza arrecare vantaggi all’Ucraina né progressi per la soluzione del conflitto o per l’equilibrio mondiale. Farlo con una pioggia di miliardi, un’altra pioggia, la terza dopo quella generata dal covid e poi quella per la green economy, significa smentire decenni di rigore punitivo verso gli stati indebitati (do you remember Grecia?) Vi ricordate la mannaia dello spread, su cui cadevano i governi; avevano solo scherzato, era un caso di euro-goliardia? Era vietato sforare, ora è d’obbligo tracimare. Quel giro vorticoso di miliardi tirati fuori in fretta e furia sarà una campagna che servirà a finanziare la boccheggiante industria di alcuni paesi in difficoltà o gli arsenali di alcuni signori della guerra ma dubito che servirà davvero a far nascere un’efficace difesa dell’Europa.

Non sono un esperto di cose militari e non oso esprimere giudizi specifici nel merito. Da tempo auspico un esercito europeo, e abbiamo avuto mille motivi per istituirlo in passato, dalla guerra del Golfo all’attacco alle Torri gemelle, dal terrorismo alle tensioni ad est e nel mondo, dalla necessità di non appiattirsi sulla Nato e sul dominio Usa ai rischi di un’area sguarnita che ha recitato per anni il ruolo pacifista di mammola imbelle; tanto c’era la Nato a fare il lavoro sporco delle guerre, a cui ci accodavamo ma un po’ defilati.

Oggi inveiscono contro Trump che perlomeno non ha pretese di ergersi a dominatore del mondo e non vuole trascinarci in guerre “umanitarie” come Clinton (alle porte dell’Europa), e i Bush, Obama e Biden. Anzi ci dà la possibilità, visto che vuol pensare alla “sua” America e non caricarsi dell’intero pianeta, di poter avere finalmente un’Europa adulta e indipendente che fa da sé e non al rimorchio degli Usa.

La prima considerazione da fare in tema di riarmo è che i 27 stati europei spendono già complessivamente un’imponente cifra per la difesa delle singole nazioni; ma non riescono a coordinare gli sforzi, a massimizzare le risorse, evitando sovrapposizioni inutili e attivando il mutuo soccorso e la cooperazione. Da profano e non addetto ai lavori vorrei quantomeno chiedere: ma è proprio impossibile convogliare le difese nazionali in un piano comune europeo? Ossia configurare che gli apparati di difesa rispondano normalmente ai singoli stati sovrani e agli interessi della loro nazione; ma vi sia poi un’area condivisa di armi a livello europeo e un protocollo di difesa comune in modo che vi sia la possibilità, all’occorrenza, di dare priorità alla sicurezza europea e di riconvertire la difesa di ciascuno in difesa di tutti. Quel che manca è un disegno strategico e sinergico, un accordo generale e una volontà politica: poter riconvertire in tempo di pericolo e in caso di necessità quegli apparati di difesa nazionale sotto una guida sovranazionale che ne assume il comando supremo quando si pone l’emergenza. Questo non ridurrebbe largamente il grande investimento militare annunciato, che si annuncia pure insufficiente per colmare il gap con le altre potenze in campo? Fatemi capire, è proprio impossibile sintonizzare gli apparati di difesa nazionali in un comune programma di difesa europea? La linea maestra dell’Europa resti il negoziato, la diplomazia, il buon uso della geopolitica e delle relazioni internazionali; anche se ci è ben chiaro che non basta il diritto internazionale, occorre anche la forza dissuasiva e dunque la deterrenza. Oggi l’Europa non dispone né del bastone della decisione né della carota del dialogo. Non ha né l’arma della ragione né la ragione delle armi. Non sa fare né la pace né la guerra.

Nel nome del realismo e non del pacifismo mi pare avventata e tutt’altro che rassicurante questa corsa europea al riarmo, questo dispendio di energie e risorse che vorremmo usate in ambiti di maggiore interesse sociale per i popoli, sulle priorità economiche, sanitarie e civili, oltre che in ambiti come l’istruzione e la salvaguardia della cultura e della natura. Quando le strategie di riarmo non nascono da un lungimirante progetto di difesa comune europea ma dall’urgenza di replicare a una trattativa di pace che esclude l’Europa, come quella che si profila in Arabia; e dalla follia di continuare la guerra in Ucraina, rischiamo di subire un rovinoso contraccolpo. Oltretutto riarmarsi con questo spirito di ostilità può far precipitare gli eventi anziché esercitare dissuasione. Con queste premesse vendicative può infatti accadere che sia proprio il riarmo a far precipitare i contrasti in conflitti. E l’idea di doversi armare per far dispetto a Trump e contro Putin, quando finora l’Europa non ha ricevuto minacce dalla Russia, semmai dall’Islamismo e sul piano commerciale, strategico e tecnologico dalla Cina, segna una pericolosa miopia.

Per passare dai Palazzi alla Piazza, e dalla storia alla satira, ci siamo goduti la solita sfilata del valoroso popolo di sinistra, che come è noto non ha bisogno di eroi – come disse Bertolt Brecht – ma ha bisogno di comici, attori, cantanti, sacrestani, scrittori psicopatici, sciampisti intellettuali e carri allegorici per testimoniare tutta la sua indignazione contro Trump, contro l’Europa stessa, contro l’Italia meloniana nel nome di un’Europa virtuosa e virtuale, cioè immaginaria. E ora che hanno manifestato la loro indignazione e la loro preoccupazione, ora che hanno detto “mai in mio nome”, ritengono di aver messo a posto l’universo e la propria coscienza, e possono ritirarsi a casa soddisfatti per seguire Gruber, Fazio e compagnia bella che li celebreranno come intrepidi e inascoltati profeti della pace contro il Demonio in agguato. Che anime belle in questo brutto mondo.

 

Fonte: https://www.marcelloveneziani.com/articoli/un-riarmo-sciagurato-una-piazza-fuori-strada/

Migranti, si cambia: arriva il divieto di ingresso in Ue, rimpatri comuni e hub extra Ue: la linea Meloni

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di Federica Argento

Il nuovo regolamento Ue: avanza l’idea che per contrastare l’immigrazione clandestina occorre basarsi su provvedimenti concreti come sta facendo l’Italia. La bozza della Commissione Europea recepisce il principio secondo cui creare hub per i rimpatri nei Paesi terzi con cui esistano accordi specifici è la strada da seguire.

Un «Ordine di rimpatri europeo» che farà da terreno comune per le decisioni dei 27 Paesi membri, fornendo «chiarezza» per l’intera Unione. Si apre un nuovo capitolo. È questa una delle maggiori novità che, a quanto si legge nella bozza visionata dall’Ansa, è contenuta nel nuovo regolamento sui rimpatri Ue, atteso per martedì. Il regolamento si compone di 52 articoli ed è direttamente, e obbligatoriamente, applicabile dai singoli Stati membri. «L’attuale mosaico di 27 diversi sistemi nazionali di rimpatrio, ciascuno con il proprio approccio e le proprie procedure, compromette l’efficacia dei rimpatri a livello Ue», si legge nell’introduzione del testo.

La bozza del regolamento

L’articolo 10 del regolamento rimpatri prevede l’istituzione del «divieto d’ingresso» nel territorio dell’Ue alla persona che «non collabora con il processo volontario» di rimpatrio – che scatta per tutti coloro i quali non hanno diritto all’asilo – o non lascia lo Stato membro «entro la data indicata» oppure si sposta in un altro Stato membro «senza autorizzazione». Il divieto – che arriva ad un massimo di 10 anni – scatta poi anche in base all’articolo 16, ovvero per chi pone «un rischio alla sicurezza» dei Paesi Ue.

L’Ue punta a regole uniche su rimpatri

«L’istituzione di un sistema europeo efficace e comune per i rimpatri è un pilastro centrale del Patto su migrazione e asilo. Per funzionare, qualsiasi sistema di gestione della migrazione deve avere una politica credibile ed efficace in materia di rimpatrio. Quando persone che non hanno il diritto di rimanere nell’Ue rimangono, l’intero sistema di migrazione e asilo viene minato. È ingiusto nei confronti di coloro che hanno rispettato le regole, compromette la capacità dell’Europa di attrarre e trattenere i talenti e, in ultima analisi, erode il sostegno dell’opinione pubblica a favore di società aperte e tolleranti. Incentiva gli arrivi illegali ed espone i clandestini a condizioni precarie e allo sfruttamento da parte delle reti criminali», si legge nel testo. Che ricorda come «attualmente, solo il 20% circa dei cittadini di Paesi terzi a cui viene ordinato di lasciare l’Unione lo fa effettivamente. Le persone a cui viene intimato di lasciare l’Unione spesso sfuggono alle autorità e si trasferiscono in altri Stati membri».

“L’attuale direttiva rimpatri lascia un ampio margine di manovra alle legislazioni nazionali per l’attuazione delle norme Ue e ai tribunali nazionali per la loro interpretazione. Gli Stati membri segnalano problemi legati alla mancanza di chiarezza delle norme e al protrarsi dei procedimenti amministrativi, che compromettono il giusto processo. Ciò crea ambiguità e incertezza per i cittadini di Paesi terzi interessati e per le autorità che gestiscono i rimpatri”, spiega il Regolamento Ue; secondo il quale inoltre “la mancanza di cooperazione dei cittadini di Paesi terzi, che possono opporre resistenza, fuggire o vanificare in altro modo gli sforzi di rimpatrio, rende difficile l’esecuzione delle decisioni di rimpatrio. Gli Stati membri hanno difficoltà a tenere traccia dei cittadini di Paesi terzi durante le diverse fasi delle procedure di rimpatrio, il che rallenta o impedisce i progressi”.

Ulteriori strette

Un’ulteriore stretta è prevista dall’articolo 16, che introduce il divieto di ingresso per chi rappresenta “un rischio alla sicurezza” dell’UE. Queste misure mirano a rafforzare il controllo sulle persone irregolarmente presenti nel territorio europeo e a ridurre i movimenti non autorizzati all’interno dello spazio Schengen.

Rimpatri negli “hub” extra-Ue: cosa dice il regolamento

Il regolamento interviene anche su uno dei temi più scottanti della politica italiana: come lo spostamento di migranti irregolari e richiedenti asilo nei nuovi hub albanesi. La proposta di regolamento della Commissione Europea sui rimpatri introduce di fatto la possibilità di spostare le persone “nei confronti delle quali è stata emessa una decisione di rimpatrio verso un Paese terzo con il quale esiste un accordo o un’intesa di rimpatrio (hub di rimpatrio)”. Un vero e proprio  endorsement all’iniziativa del governo Meloni.  In questo caso “un accordo o un’intesa può essere concluso solo con un Paese terzo dove sono rispettati gli standard e i principi internazionali in materia di diritti umani; in conformità con il diritto internazionale, compreso il principio di non respingimento” sottolinea il testo del regolamento. Non solo: “Tale accordo o intesa deve stabilire le modalità di trasferimento, nonché le condizioni per il periodo durante il quale il cittadino del paese terzo soggiorna nel Paese, che può essere a breve o più lungo termine” viene specificato nella bozza. Quindi un sostanziale via libera al ricollocamento di migranti irregolari, in attesa di espulsione, presso paesi terzi, sia pure a determinate condizioni.

Lisei: L’Ue fa sul serio, grazie a Meloni

“La Ue comincia a comprendere che per contrastare l’immigrazione clandestina occorre basarsi su provvedimenti concreti come sta facendo l’Italia. La bozza di regolamento della Commissione Europea finalmente recepisce il principio secondo cui creare hub per i rimpatri nei Paesi terzi con cui esistano accordi specifici è la strada da seguire, come ha sempre sostenuto il governo Meloni e soprattutto che bisogna favorire i rimpatri veloci”. Sono le parole del senatore di Fratelli d’Italia Marco Lisei. “E’ passato il tempo in cui le sinistre invocavano la redistribuzione dei migranti per gli Accordi di Dublino; facendosi prendere in giro dalle altre nazioni. Possono sbraitare, boicottare, aggrapparsi a qualche magistrato, ma se ne facciano una ragione: se oggi l’Europa cambia regole migratorie è per merito di Giorgia Meloni. La difesa dei confini è una priorità anche per l’Europa e non sarà fermata da sentenze che sanno più di politica che di giustizia”.

Rampelli: “Si apre un nuovo capitolo grazie al governo Meloni”

“La revisione del regolamento sui rimpatri consente la razionalizzazione di un sistema che fino a oggi ha causato difformità nei processi di allontanamento dell’immigrato clandestino. Finalmente gli Stati membri dell’Ue parleranno una sola lingua: quella della difesa dei confini europei e del riconoscimento dei diritti a chi ne ha davvero bisogno”. Plaude al nuovo regolamento il vicepresidente della Camera dei deputati Fabio Rampelli, di Fratelli d’Italia. “Si apre dunque un nuovo capitolo grazie alla capacità persuasiva del presidente Meloni. Una conquista che fino a pochi anni fa sembrava impossibile. Tale era l’ostinazione della sinistra che governava a tutti i livelli creando un sistema che, ben lontano dalla vera solidarietà, foraggiava il traffico degli esseri umani e il business dell’accoglienza, consegnando gli immigrati a un destino di indigenza, lavoro nero e sfruttamento dalla criminalità”, conclude l’esponente di Fdi.

Delmastro: L’Europa inizia a capire…

Interviene il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro: “Da un lato, una parte della magistratura italiana che, con sentenze assurde, prova a smontare il lavoro del Governo per difendere i confini; dall’altro un’Europa che finalmente inizia a capire che l’immigrazione clandestina va fermata con strumenti concreti”. È quanto dichiara in una nota Andrea Delmastro delle Vedove, deputato di Fratelli d’Italia e Sottosegretario alla Giustizia. ”La bozza di regolamento della Commissione Europea apre alla possibilità di istituire hub per i rimpatri nei Paesi terzi con cui esistano accordi specifici. Un principio di buon senso, che rafforza la nostra strategia e dimostra che la strada tracciata dall’Italia è quella giusta. Con il Governo Meloni, l’Italia non subisce più, ma guida il cambiamento.”

Fonte: https://www.secoloditalia.it/2025/03/migranti-arriva-il-divieto-di-ingresso-in-europa-rimpatri-comuni-e-hub-extra-ue-e-la-linea-meloni/

Senza eredi. Marcello Veneziani a Verona per presentare il suo libro

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di Giovanni Perez

Marcello Veneziani è tornato a Verona per presentare il suo ultimo libro intitolato: Senza eredi e il cui sottotitolo suona come un potente appello alla curiosità del lettore: Ritratti di maestri veri, presunti e controversi in un’epoca che li cancella. Ad organizzare l’incontro, Paolo Danieli, Massimo Mariotti e gli altri animatori de L’Officina, che è da tempo una delle realtà più vitali e solide del mondo culturale veronese, capace sempre di dar vita ad eventi e momenti di riflessione di altissimo livello, e di quest’ultimo, sarà impossibile dimenticare una certa magica atmosfera, che tutti hanno potuto respirare.

Veneziani ha voluto descrivere un fenomeno che, per un verso, è fortemente voluto da coloro che operano ormai in maniera esplicita verso la realizzazione di un Grande Reset di ciò che ancora rimane in piedi della nostra tradizione culturale e che, per un altro verso, viene troppo spesso vissuto come alcunché di inevitabile e necessario per essere al passo con i tempi, in sintonia con l’attualità. L’esito è comunque il medesimo: farla finita con qualsiasi eredità, la quale di per sé ci impedirebbe di essere assolutamente moderni.

La nostra epoca celebra sé stessa non solo perché presume e pretende di non essere vincolata a nessuna forma di eredità, ma anche perché, a priori, non intende lasciare di sé stessa e trasmettere nessuna eredità o traccia. Tutto quanto si dovrebbe esaurire nel breve volgere di un ciclo chiuso in sé stesso, dove si nasce, si cresce e si precipita in un nulla, che nessuno è più nemmeno interessato a raccontare a chi verrà in un ingombrante dopo.

Quest’epoca respinge perciò l’idea stessa che ciascuno di noi cresca e venga educato da chi ci è padre e maestro, ai cui insegnamenti siamo però chiamati ad aggiungere le nostre peculiari virtù, che ci distinguono da ogni altro individuo consentendoci di diventare persone, cioè eredi attivi e radicati in una storia concreta, ossia in una famiglia, in una comunità e, per approssimazioni successive, in una umanità. Nulla merita di essere salvato e trasmesso, essere cioè oggetto di conservazione e tradizione, ma tutto si deve esaurire nel breve spazio di un mattino, condannati alla nostra sola contemporaneità, senza nemmeno interrogarsi sulla sua genesi, quasi fosse un fungo venuto su dal nulla. Che questo sia il modo migliore, ignorando l’ammonimento dei classici, per ripetere i propri errori, poco importa e interessa.

Veneziani. Al posto dei maestri gli influencer

Un’epoca senza maestri né eredi, ammonisce Veneziani, è anche un’epoca senza amici, il che è sotto gli occhi di tutti, così come di solare evidenza, solo per fare uno tra i tanti esempi possibili, il fallimento di una Unione Europea capace di chiamare alle armi e lanciare programmi guerrafondai, ma incapace e priva di quel coraggio necessario per indicare le proprie fondamenta culturali, le ragioni del proprio essere una civiltà dalle radici millenarie.

Un grande filosofo del diritto spagnolo, che fu molto amico dell’Italia, Francisco Elías de Tejada, scrisse che la principale ragione che distingue una Destra da una Sinistra, prima ancora che il tema dell’egualitarismo, consiste nella diversa concezione dell’essere umano, secondo il dualismo tra un’idea di uomo concreto, ossia erede di una storia, radicalmente diversa da quella di uomo astratto, ossia che prescinde da qualsiasi riferimento alle circostanze specifiche in cui ciascun essere umano è di fatto nato e cresciuto.

Questo dualismo tra uomo concreto e uomo astratto, lo ritroviamo nella celebre intervista rilasciata da Martin Heidegger ad un giornalista dello “Spiegel”, alla cui domanda circa il posto che l’umanità avrebbe dovuto darsi in questo nostro tempo difficile, così rispose: “Secondo la nostra umana storia ed esperienza o, almeno, per quello che è il mio orientamento, io so che tutto ciò che è essenziale e grande è scaturito unicamente dal fatto che l’uomo aveva una patria ed era radicato in una tradizione”.

Gli inviti alla lettura che Veneziani dedica ai suoi stessi maestri, “veri, presunti e controversi”, vanno nella direzione di chi guarda le cose con realismo e intelligenza, oltre i limiti del disincanto e della rassegnazione o, peggio ancora, della frustrazione. Molto opportunamente, la ricognizione parte con Marsilio Ficino, che, salendo sulle spalle degli antichi, nano rispetto a loro ma, così facendo, capace di guardare oltre il loro stesso orizzonte, contribuì alla nascita del Rinascimento italiano. Altrettanto belle sono poi le pagine conclusive dedicate a Federico Faggin, lo scienziato che, ad un certo punto della sua vita, si accorse di ritornare alle grandi domande che avevano appassionato suo padre, Giuseppe, il celebre studioso di Plotino, l’ultimo dei grandi filosofi antichi.

Veneziani ha concluso nel modo migliore, descrivendo la celebre scultura di Gian Lorenzo Bernini, che raccoglie in un solo gruppo marmoreo, Enea, nel momento di abbandonare Troia, dopo aver caricato sulle spalle il vecchio padre Anchise, che reca stretto nella mano il vaso con le ceneri degli antenati, seguito dal piccolo figlio Ascanio. Enea, congiunzione tra il padre e il figlio, affronta così il futuro, nella consapevolezza di portare con sé il proprio passato. Grazie Marcello per averci ricordato che tutto ciò significa essere portatori e custodi di un’eredità, quella stessa che porterà il principe troiano, secondo la leggenda, a fondare la stirpe di Roma, ossia il futuro, una volta trasfigurato in una rinnovata civiltà.

 

Fonte: https://www.giornaleadige.it/2025/03/10/senza-eredi-veneziani-verona-libro/

Sentenza choc delle toghe: il governo deve risarcire i clandestini della Diciotti

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di Franco Lodige

Peggio del processo a Matteo Salvini con l’assurda accusa di sequestro di persona, da cui è stato ovviamente assolto, fatti salvi anni di costosi processi, c’è solo la condanna a risarcire i migranti della Diciotti che erano stati tenuti in mare per qualche giorno. Fantasia? No, realtà. Le Sezioni Unite civili della Cassazione hanno accolto il ricorso di un gruppo di migranti eritrei che tra il 16 e il 25 agosto del 2018 vennero trattenuti a bordo della nave della Marina italiana dall’allora ministro dell’Interno Salvini. Il collegio ha rinviato al giudice di merito la quantificazione del danno di fatto, condannando però il Governo

Risarcire i clandestini

La richiesta era quella di risarcire i danni non patrimoniali derivati dalla privazione della libertà. I giudici hanno dato loro ragione sulla base di due principi. Primo: l’azione del governo “non può ritenersi insindacabile” lì dove sono “in gioco i diritti fondamentali dei cittadini e degli stranieri”, quindi può essere sottoposto al giudizio delle toghe. Secondo: il soccorso in mare è un dovere e prevale su ogni scelta politica contro il contrasto dell’immigrazione irregolare. Quindi in barba al diritto dei governanti di difendere i confini da immigrati clandestini (perché tali erano), lo sbarco della Diciotti secondo loro andava “autorizzato nel più breve tempo possibile”.

La cosa assurda, o forse no, è che sia il Tribunale di primo grado che la Corte di Appello avevano bocciato la richiesta di risarcimento. Ma le toghe della Cassazione invece hanno deciso che di fronte ai diritti della persona non possono prevalere né “l’incertezza normativa in ordine alla individuazione dello Stato competente”, né la comprensibile “flessibilità sulle determinazioni da adottare al momento di individuare” il porto di sbarco. Insomma, tradotto dal giuridichese: i diritti inviolabili della persona limitano gli “spazi di discrezionalità” del governo. “L’azione del Governo, ancorché motivata da ragioni politiche, non può mai ritenersi sottratta al sindacato giurisdizionale quando si ponga al di fuori dei limiti che la Costituzione e la legge gli impongono; soprattutto quando siano in gioco i diritti fondamentali dei cittadini (o stranieri), costituzionalmente tutelati”.

Il caso Diciotti

Ricordiamo che a bordo della Diciotti c’erano 190 migranti. Il governo Conte I non concesse lo sbarco immediato, fatta eccezione per i minori e per le persone con problemi di salute. L’autorizzazione all’approdo in Italia avvenne solo quando l’Europa garantì la redistribuzione degli immigrati in altri Stati e in alcune strutture del Vaticano. Per questo fatto il ministro Salvini venne indagato per sequestro di persona. Il fascicolo, trasmesso a Catania, portò il procuratore a chiedere l’archiviazione ma quando il caso venne valutato dal Tribunale dei ministri questi chiesero l’autorizzazione a procedere al Senato. Autorizzazione che, a differenza del caso Open Arms, venne negata.

La sentenza choc

La Corte come visto ha sancito alcuni principi su cui molto si dibatterà. Prima di tutto, l’obbligo di soccorso in mare che supera ogni altra valutazione perché “corrisponde ad una antica regola di carattere consuetudinario, rappresenta il fondamento delle principali convenzioni internazionali, oltre che del diritto marittimo italiano e costituisce un preciso dovere tutti i soggetti, pubblici o privati, che abbiano notizia di una nave o persona in pericolo esistente in qualsiasi zona di mare in cui si verifichi tale necessità”. Il salvataggio deve dunque “considerarsi prevalente su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare”.

I migranti però erano stati recuperati dalla nave italiana. Dunque? Dunque secondo i giudici non solo andavano salvati, come successo, ma andavano anche fatti sbarcare. E subito, senza poter “trattare” la loro redistribuzione in altri Stati europei. “Va certamente escluso – si legge nella sentenza – che il rifiuto dell’autorizzazione allo sbarco dei migranti soccorsi in mare protratto per dieci giorni possa considerarsi quale atto politico sottratto al controllo giurisdizionale. Non lo è perché non rappresenta un atto libero nel fine, come tale riconducibile a scelte supreme dettate da criteri politici concernenti la Costituzione, la salvaguardia o il funzionamento dei pubblici poteri nella loro organica struttura e nella loro coordinata applicazione”. Non essendo un atto politico, dunque, ma “ontologicamente amministrativo” era allora da svolgere nell’immediato. Nel caso della Diciotti, infatti, “deve ritenersi che, indipendentemente dalle contestazioni sullo Stato competente secondo la ripartizione in zone SAR, le operazioni di soccorso erano state di fatto assunte sotto la responsabilità di una autorità SAR italiana, la quale era tenuta in base alle norme convenzionali a portarle a termine, organizzando lo sbarco, ‘nel più breve tempo ragionevolmente possibile’”. Da qui il risarcimento.

Giorgia Meloni protesta

Critica Giorgia Meloni: “Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno condannato il governo a risarcire un gruppo di immigrati illegali trasportati dalla nave Diciotti perché il governo di allora, con Ministro dell’Interno Matteo Salvini, non li fece sbarcare immediatamente in Italia – scrive su X la premier – Lo fanno affermando un principio risarcitorio assai opinabile, quello della presunzione del danno, in contrasto con la giurisprudenza consolidata e con le conclusioni del Procuratore Generale. In sostanza, per effetto di questa decisione, il Governo dovrà risarcire – con i soldi dei cittadini italiani onesti che pagano le tasse – persone che hanno tentato di entrare in Italia illegalmente, ovvero violando la legge dello Stato italiano. Non credo siano queste le decisioni che avvicinano i cittadini alle istituzioni, e confesso che dover spendere soldi per questo, quando non abbiamo abbastanza risorse per fare tutto quello che sarebbe giusto fare, è molto frustrante”.

 

Fonte: https://www.nicolaporro.it/sentenza-choc-delle-toghe-il-governo-deve-risarcire-i-clandestini-della-diciotti/

La MalaItalia include i giudici e la sinistra

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di Marcello Veneziani

 

È passato inosservato un libro che fa la storia di Tangentopoli, scritto da un inviato speciale de la Repubblica che per tanti anni seguì in prima linea Mani pulite e si trovò tempestato di querele. Sto parlando di Enzo Cirillo, autore di un libro uscito da poco: “Mani pulite. Fu vera gloria?” edito da Gangemi col sottotitolo “perché non è mai morta la prima repubblica e perché l’Italia rischia”.

Ma come, il libro di una firma di Repubblica contro la corruzione che passa in silenzio? Si, perché sostiene tre tesi non proprio in linea col mainstream. La prima è che Tangentopoli coinvolse appieno la sinistra, anche se fu risparmiata nelle inchieste giudiziarie e mediatiche. La seconda è che la magistratura non era la parte sana che indagava la parte malata delle istituzioni, ma era pienamente dentro quel potere e lottava per la supremazia. La terza è che la corruzione non fu sradicata affatto ma ha continuato imperterrita anche dopo Mani Pulite.

Percorro in grandi linee le tesi di Cirillo. Per cominciare, la corruzione che passava dal ministero dei lavori pubblici (e dei favori privati) arricchiva tutti, “rubavano tutti”; e la corruzione politica fece da volano al salto di qualità di Mafia, Camorra e ‘Ndrangheta e alla loro longa manus nella pubblica amministrazione.

Il libro si apre con una citazione di Luciano Violante: “Noi magistrati eravamo pronti a prendere il potere in Italia. Dopo Tangentopoli aspettavamo il passaggio del testimone”. Lo stesso Violante, passato dalla toga al Pds, sposta le aspettative di ricambio dal piano giudiziario al piano politico e afferma: “Aspettavamo, noi del Pci-Pds che la mela cadesse. Puntavamo sui benefici di mani pulite”, non cogliendo quel che invece Bettino Craxi aveva ben colto: la disgregazione dei partiti trascinerà e delegittimerà tutti. Infatti arrivò il Cavaliere outsider con le opposizioni non coinvolte in Mani pulite, vale a dire l’Msi e la Lega, più i sopravvissuti del pentapartito non assorbiti dalla sinistra.

Oltre le spartizioni trasversali, Cirillo cita anche altre pagine del malaffare che coinvolsero imprenditori sotto l’ombrello protettivo della sinistra. È il caso di Carlo De Benedetti, all’epoca editore de la Repubblica, “finito nel grande proscenio della corruzione che flagellava l’Italia” e sentito a San Vittore da Tonino Di Pietro. Ne nacque pure un’intervista di Giampaolo Pansa all’editore che aveva ammesso di aver pagato tangenti. La difesa dell’editore-finanziere fu che se avesse provato a rivelare il sistema delle tangenti “mi avrebbero distrutto”; dunque per sopravvivere meglio l’omertà e la partecipazione al gioco… L’intervista è dura ma chi ne esce bene è l’intervistatore, Pansa, non certo l’intervistato, e il suo gruppo.

È pure il caso dei Benetton, legati al Pd e al gruppo L’Espresso, e della tragedia del ponte Morandi, con 43 morti, dopo più di vent’anni di gestione della società autostrade con profitti per decine di miliardi. Cirillo si addentra nella vicenda e nella manutenzione mancata del ponte, col finale salvacondotto firmato dal governo giallo-rosso. A la Repubblica di De Benedetti, si affianca l’Unità, ancora organo del Pci, poi Pds, “un giornale – scrive Cirillo – indispensabile e utile per disarticolare il dissenso e distruggere professionalmente e umanamente i nemici, in ossequio alle verità inoppugnabili del Bottegone, ma se necessario anche randello mediatico per amici poco ortodossi e alleati riluttanti o troppo autonomi per accettare la leadership culturale e politica del Pci”.

C’è poi il capitolo dei “faccendieri falce e martello”: “la lunga strada del business tra consulenze, voti di scambio, mazzette, appalti miliardari e occupazione dei posti di comando e gestione nasce e si sviluppa, a sinistra, a partire dagli anni ottanta”. Ovvero, faccio notare, da quando si chiuse il generoso rubinetto sovietico, le mediazioni sull’export-import con l’est, gli aiuti di Mosca. Ma per dirla in sintesi con il titolo di un capitolo: “Corruzione. Il Pci-Pds era parte del sistema”.

“Si inizia con le cooperative emiliane per finire a D’Alema, Renzi ed Emiliano, il presidente della Regione Puglia…passando per Carrai e il suicidio-omicidio di Davide Rossi del Monte dei Paschi di Siena. Matteo Renzi è il più fantasioso. D’Alema il più grezzo e arrogante”. Eccoli, “i piazzisti d’Arabia”: altro che rottamazione e discontinuità, siamo in piena continuità. Sorse un conflitto tra la linea di d’Alema che difendeva (come Craxi) il primato della politica e la linea giustizialista di Violante. Al pool di Mani pulite, commenta Cirillo “mancò il coraggio di sedersi sulle macerie di un sistema dove anche i magistrati avevano giocato la loro partita sporca”. Chi non era di sinistra è finito in galera per traffico d’influenza, collusioni, voti di scambio e via dicendo. A sinistra, invece l’hanno fatta franca quasi tutti.

Il libro si conclude senza happy end, anzi: l’Italia del Malaffare non fu affatto sgominata con Mani Pulite ma prosegue ancora, con la sinistra ancora coprotagonista. “Il sistema della tangenti si spezza ma non crolla” dopo le inchieste giudiziarie. Molti gli episodi recenti citati.

Perché ho ripreso questa ricostruzione di Tangentopoli? Perché per capire il presente dobbiamo capire meglio il passato che lo ha prodotto. E per capire le tensioni odierne tra politica e magistratura di oggi dobbiamo tornare alle tensioni di ieri e ai moventi, che non sono cambiati. Serve conoscere quella storia per capire il ruolo di potere della sinistra anche oggi, nell’epoca Meloni. Tangentopoli non fu una guerra tra i corrotti e gli onesti, tra guardie e ladri, ma un conflitto di poteri, anzi una contesa per la supremazia in Italia; quasi un derby. Poi, certo, ci sono da distinguere gradi e livelli diversi di corruzione e responsabilità.

Faccio notare che la sinistra nel nostro Paese ha giocato su due tavoli, anzi tra un tavolo e sottobanco: da un verso partecipava alla spartizione del potere e dei vantaggi derivati dal malaffare e dall’altro portava all’incasso la sua posizione di partito moralizzatore e anti-corrotti, ergendosi al ruolo di giudice in un processo in cui avrebbe dovuto essere coimputata. La vera accusa da rivolgere sul piano storico e politico alla sinistra non è dunque solo di aver partecipato al malaffare, ma di aver giocato due parti in commedia, ossia una partita doppia, ambigua, succhiando sia i benefici pratici del malaffare che i benefici etici contro il malaffare. Con una mano rubava e con l’altra puntava l’indice accusatore.

La Magistratura e i suoi alleati in alto loco non hanno combattuto una battaglia nel nome della giustizia contro l’illegalità, ma una guerra per l’egemonia giudiziaria, interna al Palazzo. Lo confermò Giovanni Pellegrino, esponente dei dem e all’epoca presidente della commissione autorizzazioni a procedere e poi della commissione stragi. La molla di Mani pulite, dichiarò, fu il primato del potere giudiziario, “in contrasto col disegno costituzionale”. E su Tangentopoli: “Apparentemente il mio partito non prendeva soldi, però nella cordata vincitrice di ogni appalto c’era sempre una cooperativa rossa con una percentuale dei lavori dal 10 al 15%”.

Non so se davvero, come sostiene Cirillo, sia ancora vivo come allora il malaffare ma so che anche oggi non siamo dotati di anticorpi per fronteggiare il malaffare: ossia forti motivazioni politiche e ideali, rigorosi criteri di selezione e rotazione della classe dirigente, basati sulla capacità e sulla qualità e non sull’affiliazione servile; la lungimiranza di chi sa vedere oltre il “particulare” e oltre il presente, alla storia e a quel che lasciamo in eredità a chi verrà dopo. Senza questi tre fattori, la politica è ancora esposta al malaffare, a destra come a sinistra.

 

Fonte: https://www.marcelloveneziani.com/articoli/la-malaitalia-include-i-giudici-e-la-sinistra/

Vietare Gentile nel suo paese natio

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di Marcello Veneziani

Avete presente Giovanni Gentile, il più grande filosofo italiano del Novecento, il ministro che lasciò la più duratura riforma della scuola, l’intellettuale italiano che fondò la più grande impresa culturale del nostro Paese, l’Enciclopedia Treccani, e che fu maestro di Antonio Gramsci e di Guido Calogero, di Ugo Spirito e di Eugenio Garin, di Michele Federico Sciacca e di Armando Carlini? Beh, l’unico paragone appropriato non è con Benedetto Croce o con Martin Heidegger, come hanno fatto in tanti studiosi, ma con Matteo Messina Denaro, il capo supremo della mafia scomparso di recente, nato anch’egli a Castelvetrano.
Ho tra le mani due documenti che mi giungono dal suo paese natio, Castelvetrano, appunto, in provincia di Trapani. In vista dei 150 anni della sua nascita e a cento anni esatti dalla nascita dell’Enciclopedia italiana, il comune di Castelvetrano ha pensato di ricordarlo con una serie di convegni, iniziative e studi, tra i quali un mio intervento il prossimo 30 maggio. È stato ristampato ora Pensare l’Italia (Le Lettere), antologia gentiliana da me curata e introdotta e pubblicata dai nipoti del filosofo. Gentile è stato ricordato anche all’Accademia dei Lincei, all’Istituto dell’Enciclopedia e in altre sedi istituzionali.
Ma nella sua città natale c’è chi si oppone all’iniziativa. Dopo l’Anpi, l’associazione partigiani estinti, e Rifondazione Comunista anche il Comitato per la difesa della Costituzione di Trapani scende in campo contro la celebrazione del 150° della nascita del filosofo Gentile, prevista dall’amministrazione comunale guidata dal sindaco Giovanni Lentini. Il comitato ricorda “l’acceso sostegno” al regime fascista del filosofo, ucciso dai partigiani il 15 aprile del 1944. Secondo il comitato non può esistere alcuna celebrazione dedicata a Gentile: “Dal vocabolario Treccani alla parola celebrazione leggiamo ‘lodare, esaltare, glorificare persona o cosa – festeggiare solennemente’. Allora, essendo questo il significato, alcuna celebrazione può essere fatta ad un simile personaggio”. E a chi afferma che Gentile viene ricordato dal suo paese natale in quanto castelvetranese, il comitato risponde che “anche Matteo Messina Denaro lo era, e certamente non si pensa assolutamente a celebrarlo se non essendo collusi con la mafia. Se si celebra un ideologo fascista non si è per caso collusi con l’ideologia fascista?”. Eccolo il paragone infame: Gentile come Messina Denaro. Vi rendete conto a quale abissi di barbarie conduce il delirio d’intolleranza o la chiusura mentale?
Immaginate, a parti invertite, se un comitato anticomunista si opponesse a ricordare Antonio Gramsci nella sua città natale a Ghilarza, in Sardegna, perché lui fu teorico del comunismo e della violenza rossa compiuta in suo nome; aggiungendo che se dobbiamo ricordare un barbaricino famoso, perché allora non celebrare pure i famosi banditi sardi, nativi del nuorese… Non so se chiederebbero di arrestarlo o di internarlo in un manicomio per l’assurdo paragone. Invece, si può paragonare Gentile a un capo mafioso senza che nessuno abbia nulla a ridire.
La nota del comitato termina con la speranza che “tutti i partiti antifascisti e i consiglieri comunali antifascisti possano portare l’amministrazione comunale alla revoca di tale celebrazione”. Rivolgo l’appello opposto agli studiosi gentiliani, già comunisti e sempre antifascisti, che chiamo per nome: Biagio de Giovanni, Massimo Cacciari, Giacomo Marramao e Roberto Esposito, e molti altri, di respingere con sdegno l’accostamento di Gentile a Messina Denaro e la conseguente proposta di cancellare, censurare, convegni e commemorazioni dedicati al filosofo, ai quali peraltro tutti i predetti studiosi hanno sempre partecipato, senza riserve ideologiche e chiusure mentali.
Vi rendete conto a che punto siamo in Italia, per giunta nel nome della Costituzione, che già nel suo primo articolo recepisce l’umanesimo del lavoro teorizzato dallo stesso Gentile?
Lo sanno, gli sciagurati ignoranti (dal verbo ignorare) che disprezzano Gentile senza conoscerlo, cosa egli fece per dare spazio nell’Enciclopedia e per salvare all’Università e nei luoghi di ricerca coloro che erano antifascisti, ebrei o semplicemente non erano allineati al regime? Sanno, i sullodati compagni che quando Lenin scrisse la biografia critica di Marx l’unico filosofo vivente che citò per la sua interpretazione marxiana fu un giovane italiano che si chiamava Giovanni Gentile? Sanno che all’epoca di Ordine nuovo di Togliatti e Gramsci, come scrisse uno di loro, Angelo Tasca, “eravamo tutti gentiliani, non crociani”? Conoscono il debito teorico che Gramsci aveva con Gentile su cui ha scritto pagine acute Augusto del Noce? Ma conoscono più vastamente l’impronta che Gentile lasciò sulla cultura italiana, anche quella che a fascismo finito si rivolse poi al Partito comunista, all’antifascismo militante e al Partito d’Azione? Hanno una vaga idea delle opere di Gentile e dell’impronta che lasciarono nel pensiero teoretico? Sono in grado di cogliere la differenza tra vittima e carnefice, tra chi uccide e fa uccidere innocenti e chi viene massacrato per le sue idee e non si tira indietro quando ha tutto da perdere nello schierarsi ancora dalla parte perdente? Sanno, infine, che il pensiero di Gentile fu quasi tutto concepito prima che nascesse il fascismo, e dunque non risente minimamente dell’impronta ideologica e civile di quel regime, che egli considerò come il braccio secolare, l’espressione contingente di quel momento della storia italiana?
No, non sanno, e non vogliono saperne, preferiscono cancellare, sopprimere per la seconda volta la voce del filosofo. E dopo più di ottant’anni stanno ancora lì a negare cittadinanza ideale al pensiero. Non pensate che Gentile abbia già pagato con la vita il suo debito con la storia e che sia tempo di affrontare il suo pensiero, al di là degli eventi storici della sua epoca? Eccoli, dove sono, i veri nemici della cultura; a destra ci sono tanti estranei alla cultura, ma i nemici militanti, ideologici della cultura e della circolazione delle idee stanno precisamente da quella parte, presso l’Ufficio Permessi dell’Intellettuale Collettivo. Prediche inutili, con la sola consolazione che nonostante questi deliri Gentile sarà ugualmente ricordato, anche nella sua città natale, si spera. Sic transit infamia mundi.

Fonte: https://www.marcelloveneziani.com/articoli/vietare-gentile-nel-suo-paese-natio/

Il ricordo di due difensori della Fede cattolica

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Il ricordo di due difensori della Fede cattolica

Il 27 febbraio ricorre l’anniversario di morte di mons. Umberto Benigni (+ 1934) e di mons. Guérard des Lauriers (+ 1988).

“Bonum certamen certavi, cursum consumavi et fidem servavi” (2 Tim 4, 7).

Mons. Umberto Benigni, Perugia, 30 marzo 1862 – Roma, 27 febbraio 1934
https://www.sodalitium.biz/mons-benigni/
https://www.sodalitiumshop.it/prodotto/sodalitium-n-74-numero-speciale-in-difesa-di-mons-umberto-benigni/

Mons. Michel Louis Guérard des Lauriers, o.p.
Suresnes, 25 ottobre 1898 – Cosne-Cours-sur-Loire 27 febbraio 1988.
https://www.sodalitium.biz/mons-guerard-des-lauriers/
https://www.sodalitiumshop.it/prodotto/breve-esame-critico-del-novus-ordo-missae-dei-cardinali-ottaviani-e-bacci/

 

Fonte: https://www.centrostudifederici.org/il-ricordo-di-due-difensori-della-fede-cattolica/

Ue, il green deal finisce nel dimenticatoio: arrivano meno vincoli per le imprese

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L’Unione Europea si prepara a rivedere in modo significativo alcune delle normative ambientali cardine del green deal. Secondo una bozza della legislazione Omnibus, trapelata e pubblicata da Politico, la Commissione europea proporrà una riduzione degli obblighi di rendicontazione sulla sostenibilità per le imprese, limitandoli solo alle aziende più grandi. Il pacchetto Omnibus, che dovrebbe essere presentato ufficialmente il 26 febbraio, punta a semplificare le normative e ridurre la burocrazia per incentivare la crescita economica.

 

 

Tra le principali modifiche in discussione ci sarebbero interventi su tre regolamenti fondamentali: la direttiva sulla rendicontazione della sostenibilità aziendale (CSRD), che obbliga le aziende a comunicare il proprio impatto ambientale e i rischi legati al cambiamento climatico; la direttiva sulla due diligence sulla sostenibilità aziendale (CSDDD), che impone alle imprese di monitorare e affrontare eventuali violazioni dei diritti umani e danni ambientali lungo la catena di approvvigionamento; la tassonomia UE, che definisce quali investimenti possono essere considerati sostenibili.

 

 

Tra le modifiche più rilevanti, secondo Il Giornale, la rendicontazione sulla sostenibilità verrebbe posticipata di un anno e si applicherebbe solo alle aziende con almeno 1.000 dipendenti e un fatturato superiore ai 450 milioni di euro. Questo rappresenterebbe un netto allentamento rispetto alla normativa attuale, che riguarda già le società quotate con almeno 50 dipendenti e un fatturato di 8 milioni di euro. Anche la normativa sulla due diligence potrebbe essere ridimensionata, riducendo l’obbligo di monitorare l’intera filiera di approvvigionamento e limitandolo ai soli fornitori diretti. Inoltre, alcune aziende potrebbero non essere più tenute a implementare un piano di transizione climatica, uno degli obblighi previsti dalla versione originaria della legge. Il dibattito politico si preannuncia acceso, con il fronte progressista – in particolare socialisti e verdi – deciso a opporsi a un allentamento delle norme. Maria van der Heide, responsabile della politica UE presso l’organizzazione ShareAction, ha commentato che, se confermata, la proposta di legge sarebbe «sconsiderata». Ma Bruxelles sembra proprio pronta a un’inversione a “U” sulla rivoluzione verde.

Fonte: https://www.iltempo.it/politica/2025/02/24/news/green-deal-unione-europea-meno-vincoli-imprese-cosa-cambia-norme-ambiente-41704006/

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