E’ tutto sotto controllo…

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di Alfio Krancic

Pareva che gli esplosivi risultati elettorali in Francia e Germania potessero far saltare il banco politico europeo. Non è così. Niente paura. Con un paio di mosse l’élite ha rimesso le cose a posto. Dopo un primo momento di panico il Sistema si è subito ricompattato, mettendo in atto efficaci contromisure. Macron ha sciolto l’Assemblea Nazionale e indetto nuove elezioni, mettendo in difficoltà il Rassemblement National di Bardella e Le Pen; il presidente dei neo-gollisti Ciotti dopo aver dato il suo appoggio alla destra del RN, viene sconfessato dai suoi, con un golpe interno al partito e tutto torna in alto mare. Non solo, ma Macron auspica la nascita di un Fronte anti-destra che vada dai banchieri alla sinistra dei centri sociali. In Germania le forze anti-sistema AfD Sarha Wagenknecht insieme fanno il 21%. I partiti del Sistema possono tranquillamente unirsi in una Grosse Koalition e continuare sulla vecchia strada.

Insomma: tutto cambia per rimanere com’è.

LA SOVRANITA’ E’ LA SOLUZIONE, NON UNA PAROLACCIA

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di Matteo Castagna per www.2dipicche.news

Il Prof. Dieter Grimm è uno dei più autorevoli costituzionalisti europei. Docente emerito di Diritto pubblico della Humboldt-Universitat di Berlino, è stato giudice della Corte costituzionale della Repubblica federale tedesca. Ha insegnato a Yale, negli Stati Uniti, ed è stato visiting professor in molte università, in tutto il mondo. Ha pubblicato numerosi volumi di storia, teoria, diritto costituzionale ed europeo.

Leggere le sue pubblicazioni è estremamente utile, per comprendere in maniera esaustiva il concetto di “Sovranità”, che viene, spesso ed erroneamente, quanto maliziosamente, confuso con una forma di populismo, tanto che non c’è mai data una definizione unanime e chiara.

Da un lato fa comodo ai globalisti derubricare una dottrina politica a semplice e disprezzato sentimento popolare di protesta, dall’altro non vi è una approfondita preparazione culturale per fornire risposte concrete adeguate, che non siano uno spauracchio nel gioco delle parti, ma una precisa categoria ideale, sociale, monetaria,  economica, etica e religiosa.

Quello di “sovranità” è un concetto politico-giuridico che indica il potere di comando di una società, distinguendosi da altre associazioni umane ove tale potere non è presente. La sovranità vuole trasformare la forza di un potere legittimo, in un potere di diritto. L’idea di sovranità era già presente all’interno dell’Impero Romano nel Corpus iurisi civilis di Giustiniano con espressioni quali: maiestas, summa potestas, superiorem non recognoscens, rex est imperator in regno suo.

Il riferimento principale, cui rimanda spesso il Prof. Grimm, è al pensiero di Jean Bodin (1530-1596), che fu docente di diritto romano e poi avvocato al Parlamento di Parigi. “La politica è il nucleo essenziale della storia – scriveva Bodin – in quanto il più utile a conservare le società umane” e individua l’oggetto della civilis disciplina nell’imperium dello Stato, ovvero nella summa ratio del comandare e del proibire, che sola può armonizzare tutte le attività e le arti umane, indirizzandole alla pubblica utilità, ovvero al bene comune. In quest’ottica, Bodin definisce la sovranità come il potere assoluto e perpetuo che è proprio dello Stato. Lo Stato sovrano non riconosce dipendenza da altri, siano essi Stati, élite, unioni di potere e ben si adatterebbe ad un mondo multipolare.

La sovranità consiste nel poter dare, annullare, interpretare, abolire le leggi; dichiarare guerra e concludere la pace; imporre le tasse ed esentare dal farlo; istituire e destituire i magistrati; concedere grazie e dispense alla legge; battere moneta propria; adottare un fisco equo. La sovranità e l’autonomia, se vogliamo, si possono accompagnare, in nome del principio di sussidiarietà. Ed anche il premierato potrebbe sostituire quello che Bodin chiamava il principe. 

Per Bodin, la sovranità non può essere illimitata: tutti i governanti della terra devono essere soggetti alla Legge di Dio e della natura. La summa potestas trova il suo equilibrio entro i limiti divini, quali la trasmissione del potere sovrano, il diritto alla proprietà da parte delle famiglie, intese come cellule fondamentali e fondanti di ogni comunità. Lo Stato organico, organizzato in corporazioni garantiscono stabilità ed equità sociale. Lo stato giusto – spiega Bodin – è quello in cui chi comanda e giudica lo faccia in funzione primaria delle superiori leggi e comandamenti di Dio.

Lo Stato sovrano decide la sua forma di governo. Bodin preferiva la monarchia ereditaria, ma non escludeva né l’aristocrazia, né la democrazia.

In quest’ultimo caso, non si riconosce né relativismo né liberalismo, perché i delegati dal popolo a governare devono farlo, in prima istanza, come soggetti all’Ordine stabilito da Dio. Trono e altare devono andare in armonia per gestire al meglio, ciascuno nei propri ambiti, la giustizia e la carità, l’amor patrio e la tutela della Famiglia. Il controllo delle migrazioni è un dovere di sovranità. L’eventuale Costituzione dello Stato sovrano non può contrastare coi principi indissolubili ed assoluti del cattolicesimo romano.

Se proviamo ad applicare al presente quanto insegnava Jean Bodin e, oggi, quanto scrive il Prof. Grimm, l’Italia sovrana è un obiettivo che sembra difficile da raggiungere, nell’attuale contingenza internazionale, ma la totale autonomia dello Stato sovrano deve venire prima di ogni trattato europeo.

L’interesse della Nazione e dei lavoratori è il valore primario. Le alleanze sono consentite e, anzi, promosse in nome del bene comune, ma nessun trattato può violare la sovranità dello Stato e mettere in difficoltà cittadini, soggetti fragili e mondo economico.

Lo storico di sinistra Luciano Canfora ha ammesso, con onestà intellettuale, che “ad esempio, la difesa della sovranità nazionale di fronte al capitale finanziario non è sbagliata”.

Per realizzare quello che si era capito già più di 600 anni fa, sarebbe indispensabile, nel tempo, raddrizzare l’Unione Europea, cacciando i mercanti dal Tempio e rimettendo in ordine le cose nella Chiesa.

Il “male minore” non significa compromesso

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di Matteo Castagna per www.informazionecattolica.it

I grandi maestri della tradizione cattolica S. Tommaso d’Aquino, S. Agostino, S. Alfonso hanno insegnato un aspetto della teologia morale che è il “male minore”. L’assolutismo morale di altri, in ambito cattolico, non appartiene al concetto classico stabilito dai Dottori della Chiesa.
Chi ignora la dottrina tomista inerente l’analogia, non riesce a cogliere la definizione di male come assenza di bene, in tutte le sue implicazioni.
“Un artefice sapiente produce un male minore per evitarne uno maggiore: come il medico taglia un membro perché l’intero corpo non perisca” (S. Tommaso, Summa Teologica I, q. 48, art. 6).
Saggiamente, il ricercatore e scrittore, dottore in Scienze religiose, Prof. Fabrizio Cannone, nel suo “Per una resistenza cattolica” (Ed. Solfanelli, 2016) afferma che in certa pubblicistica cattolica, poco accorta nella pratica, si è consolidata “l’idea peregrina” secondo cui il male minore non esisterebbe o, comunque da evitare, perché indice di compromesso.
Invece, infinite volte, la Chiesa, i Santi, i Pontefici e i prìncipi cattolici ne hanno fatto ricorso, optando, nello stato di necessità, per qualcosa che non era esente dal male, che lo rendeva privo di qualche o molte perfezioni.
L’intera questione 49 della prima parte della Summa Teologica è dedicata alle cause del male, con la premessa della questione 48 sull’esistenza di due mali: quello della colpa e quello della pena. Quest’ultimo è anche un bene, e senza alcuna contraddizione. Chi non comprende l’analogia intesa dell’Angelico non valuterà mai il fatto che il male minore possa essere, altresì, il bene maggiore che si può praticare in un determinato momento storico.
Il male, in quanto assenza di Bene, più che una realtà positiva, è una privazione di giustizia, di carità, di purezza, di fede, di umiltà, di moralità, di continenza, di potere e ricchezze leciti ecc., che viene da ciò che già esiste, come la natura o l’uomo. Così, paradossalmente, il male deriva dal bene. S. Agostino scrive, infatti, che “non c’è altra sorgente che il bene da cui possa derivare il male”.  Ovviamente lo è accidentalmente e indirettamente. S. Tommaso stabilisce che dio non è causa del male morale, ma può essere causa del male (analogico) , della corruzione o distruzione di una cosa. Infatti, il Signore “fa morire e fa vivere” (1, Sam 2,6).
Ad esempio, sul tema dell’aborto, sappiamo tutti che la legge 194 è male e andrebbe abolita. Inserirla come “diritto universale” è ancor peggio. Perciò il legislatore che si opponesse ad esso e che favorisse la presenza dei cattolici nei consultori, salverebbe moltissime vite. Questa opzione per il male minore, che produce il maggior bene possibile, è assolutamente conforme alla morale cattolica, così come concepita dal tomismo. Questo atteggiamento non va visto come compromissorio, ma come prudente e, soprattutto, metafisicamente fondato.
Ammettiamo che vi siano dei candidati (democraticamente) alle elezioni, che nella loro storia personale e politica si siano distinti più di altri nel rispetto dei princìpi cristiani, sebbene in altre occasioni, per vari motivi, abbiano sbagliato e optato per il male. Altri, invece, si sono sempre comportati da anti-cristiani, amorali, immorali, oppressori del popolo, giungendo perfino al satanismo, proponendo disvalori che gridano vendetta al cospetto di Dio.
Dovrei – si chiede p. Eriberto Jone, OFM, nel suo “Compendio di Teologia morale”, dotato di imprimatur, sotto il Pontificato di Pio XII (Ed. Marietti, 1955) – astenermi dal votare il candidato migliore, poiché comunque non buono in tanti aspetti, rischiando di contribuire all’elezione del candidato nettamente peggiore, come fanno quelli che non votano mai, non essendoci attualmente alcun partito conforme alla dottrina sociale della Chiesa? Evidentemente no. E’ doverosa la scelta del “male minore”, suffragata dalle risposte di S. Tommaso d’Aquino, del Magistero e della prassi secolare della Chiesa. Padre Dragone, nella sua “Spiegazione del catechismo di San Pio X”, Sodalitium, 2009, pag. 296-297, che dispone di imprimatur, dice: “Dio è padrone della vita. Non è quindi lecito uccidere. eccetto in tre casi: in guerra, per legittima difesa, per decisione dell’autorità competente. Ci sono, dunque, delle “eccezioni” in casi particolari.
“La cooperazione nell’approvazione di una legge cattiva è peccato. Si fa eccezione soltanto quando i deputati, con la loro cooperazione possono impedire qualche male peggiore” – continua p. Dragone (pag. 155, n. 295). Il massimalismo moralista, dunque, non è mai appartenuto alla storia ed alla dottrina cattolica, quanto è molto presente nella dimensione protestante e puritana, di cui non abbiamo bisogno, soprattutto in questi tempi in cui i veri cattolici non sono molti e vengono messi in un angolo dalla secolarizzazione.

 

L’Occidente cambia strategia: Ucraina sempre più sola e negoziati in avvicinamento

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di Matteo Castagna per www.affaritaliani.it 

“Ad un certo punto, i nostri dollari non saranno più utilizzati come valuta di riserva. […] Putin ha detto questa cosa, puoi amarlo o odiarlo, ma ha detto la verità, cioè che prima dell’introduzione delle sanzioni contro la Russia, il 70% di tutte le loro transazioni erano in dollari, e dopo le sanzioni questa percentuale è diventata inferiore al 20%“. Così si è espresso il deputato americano Thomas Massie, in un’intervista con Tucker Carlson. Ed ha concluso dicendo che il dollaro non è più sicuro.
Putin ha, poi, annunciato la formazione di un sistema di pagamento indipendente all’interno dei BRICS, che verranno notevolmente ampliati, ammettendo nuovi membri, come lo Zimbabwe, che l’ha richiesto col suo Presidente Emmerson Mnangagwa al recente Forum economico internazionale di San Pietroburgo, cui hanno partecipato 21,3 mila persone provenienti da 139 Paesi, secondo il comunicato dell’organizzazione dell’evento, che ha aggiunto che al forum sono stati siglati più di 980 accordi per oltre 6,4 trilioni di rubli (66,5 miliardi di euro).
Il Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin ha dichiarato pubblicamente inammissibile l’uso di armi nucleari.
All’Agenzia Ria Novosti l’assistente speciale di Biden, direttore senior per la non proliferazione presso il Consiglio di sicurezza nazionale, Pranay Vaddi ha detto che gli Stati Uniti prendono molto sul serio questa affermazione e che gli USA cambieranno la loro strategia su tali armi, ponendo l’accento sulla competizione, per restare al passo di Russia, Corea del Nord e Cina.
Mentre, il Presidente francese Emmanuel Macron insiste con la sua linea bellicista e si dichiara pronto ad inviare truppe in Ucraina.
Ma il leader del Partito Patriottico francese Florian Philippot replica, a stretto giro, sul suo profilo X: “Macron è completamente pazzo!” e lo accusa di accelerare l’escalation, che nessuno vuole, tramite l’addestramento di 4.500 soldati ucraini e il trasferimento a Kiev dell’aereo da combattimento Mirage 2000-5. Il presidente ha scatenato l’ironia del noto giornale satirico Charlie Hebdo, che, con una vignetta rappresentante una bara con ai lati le ali e la coda di un aereo, ha spiegato quali “Miraggi” Macron trasferirà in Ucraina…
Secondo quanto riportato da Bloomberg, la Germania sta valutando l’invio di un’altra (la quarta) batteria Patriot in Ucraina.
La NATO afferma di non avere soldati in Ucraina. Il capo del comitato militare della Nato, ammiraglio Robert Peter Bauer ha affermato che, ad oggi l’Alleanza Atlantica non dispone di forze sul territorio dell’Ucraina e non ha intenzione di inviare truppe. 
Bloomberg certifica il fallimento di Zelensky per ottenere il sostegno dell’Asia, che rimane nella sua quasi totalità un alleato fedele a Russia e Cina.
Il Ministero degli Esteri ucraino riferisce che agli ucraini che non si presenteranno all’ufficio di registrazione e arruolamento militare, entro 10 giorni dalla chiamata, verranno bloccati i conti bancari, i viaggi all’estero e saranno poste limitazioni alla guida. L’Ucraina ha, anche, problemi con il pagamento delle pensioni. Lo Stato darà una “garanzia minima” – ha detto la Vice Ministro delle Politiche Sociali Dariya Marchak – ma i cittadini “dovrebbero risparmiare da soli ed essere pronti a lavorare fino ad una età avanzata“.
Il segretario generale delle Nazioni Unite non parteciperà al “vertice per la pace” indetto da Zelensky in Svizzera, escludendo la Russia. Al momento – riferisce Bloomberg – sembra che solo il presidente di Timor Est e il ministro degli esteri di Singapore si recheranno in Svizzera. A loro si unirà un rappresentante delle Filippine.
L’ IGA (Institute for Global Affairs) ha effettuato un sondaggio, dal quale risulta che il 94% degli statunitensi e l’88% degli europei occidentali ritiene che la NATO dovrebbe porre fine alla guerra in Ucraina senza indebolire la Russia o riportare l’Ucraina ai suoi confini prebellici. La TASS riferisce che “le forze armate dell’Ucraina hanno lasciato le loro postazioni nella parte orientale di Chasov Yar“.
Inoltre, il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg potrebbe abbandonare il progetto di creare un fondo di aiuti da 100 miliardi di euro per l’Ucraina, utilizzando i contributi dei Paesi dell’Alleanza nei prossimi cinque anni – riferisce Bloomberg. La nuova proposta prevederebbe 40 miliardi l’anno.
La Turchia, consigliando la NATO di evitare che le azioni previste appaiano come un inasprimento delle ostilità o un accesso diretto nei territori in guerra, riprenderà il commercio con Israele quando sarà raggiunto un accordo sul cessate il fuoco permanente sulla Striscia di Gaza. Lo ha annunciato il ministro del Commercio turco Omer Bolat.

VERONA, G. AMATO è “l’anti-pride”: “CIVILTA’ vs BARBARIE: La Famiglia prima di tutto!”

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A cura del Circolo Christus Rex-Traditio

Come ogni anno, il mese di Giugno, dedicato al Sacro Cuore di Gesù, viene profanato dalle oscene sfilate, spesso blasfeme, dei cosiddetti Gay Pride. Per una mezza giornata, le città si trasformano in Sodoma e Gomorra. Accadrà a Roma, accadrà Domenica 16 Giugno a Verona. Oltre al consueto Rosario di riparazione per lo scandalo pubblico e per l’offesa a Dio, indetto per le ore 15.00, (Catechismo della Chiesa Cattolica: il “peccato impuro contro natura” è annoverato tra i Peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio) e addirittura per l’invito allo Stato a legittimarne i loro desideri immorali, parificandone le unioni al matrimonio e dando loro in adozione dei bambini, quest’anno, Sabato 15 Giugno alle 16.30 parteciperemo all’evento organizzato da Fortezza Europa presso la sua sede di Via S. Giuseppe 28/a (zona S. Zeno): “LA FAMIGLIA PRIMA DI TUTTO!” con l’autorevole relatore Avv. Gianfranco AMATO, Presidente dei Giuristi per la Vita e collaboratore del nostro Circolo Christus Rex.

Sarà l’anti-pride per antonomasia, in una città che non è cambiata, che appartiene a noi, nonostante questo transitorio periodo di fallimentare amministrazione di sinistra, che pensa più alle manifestazioni dell’orgoglio sodomita, e al gender che alle priorità dei cittadini. E nonostante il silenzio della Curia, in linea con le sacrileghe aperture di questi anni da parte del Vaticano occupato dai modernisti conciliari.

 

Il Calvario di un accordo per fermare la carneficina a Gaza

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di Matteo Castagna per Stilum Curiae di Marco Tosatti: www.marcotosatti.com

The New York Times ha pubblicato un’analisi a firma di Steven Erlanger, capo corrispondente diplomatico in Europa, con sede a Berlino, che merita l’attenzione del mondo.
il titolo è: “Ottenere un cessate il fuoco a Gaza è stato difficile. Realizzarne uno sarà più difficile”. La proposta sostenuta dal presidente Biden  mira a fermare la guerra, almeno per ora. Ma Israele rifiuta un cessate il fuoco permanente, e Hamas ha le sue ragioni per essere riluttante.

Anche se Hamas e il governo israeliano sembrano avvicinarsi sempre di più ad un accordo per il cessate il fuoco, gli analisti sono profondamente scettici sul fatto che le parti riusciranno mai ad attuare un accordo che vada oltre una tregua temporanea.

In questione c’è un accordo in tre fasi, proposto da Israele e sostenuto dagli Stati Uniti e da alcuni paesi arabi, che, se pienamente realizzato, potrebbe portare al ritiro totale delle truppe israeliane da Gaza, al ritorno di tutti gli ostaggi rimanenti catturati nell’ottobre 2019 e ad un piano di ricostruzione del territorio.

Ma arrivare a quel traguardo è impossibile se le parti non sono disposte nemmeno a iniziare la corsa o a concordare dove dovrebbe finire. Fondamentalmente, la disputa non riguarda solo quanto dovrebbe durare un cessate il fuoco a Gaza o quando dovrebbe essere attuato, ma se Israele potrà mai accettare una tregua a lungo termine, finché Hamas manterrà un controllo significativo.

Affinché Israele possa accettare fin dall’inizio le richieste di Hamas per un cessate il fuoco permanente, deve riconoscere che Hamas non sarà distrutto e giocherà un ruolo nel futuro del territorio, condizioni che il governo israeliano non può sopportare. D’altro canto, Hamas afferma che non prenderà in considerazione un cessate il fuoco temporaneo senza le garanzie di un cessate il fuoco permanente che ne assicuri effettivamente la sopravvivenza, anche a costo di innumerevoli vite palestinesi, per timore che Israele ricominci la guerra una volta restituiti i suoi ostaggi.

 

Eppure, dopo otto mesi di guerra dura, ci sono segnali per cui le parti potrebbero avvicinarsi alla prima fase proposta: un cessate il fuoco condizionale di sei settimane. Sebbene questo passo sia difficilmente garantito, arrivare alla seconda fase del piano, che prevede la cessazione permanente delle ostilità e il completo ritiro delle truppe israeliane da Gaza, secondo gli analisti, è ancora più improbabile.

“È sbagliato considerare questa proposta come qualcosa di più di un palliativo”, ha affermato Natan Sachs, direttore del Center for Middle East Policy presso la Brookings Institution“La cosa più importante è che questo piano non risponde alla domanda fondamentale su chi governerà Gaza dopo il conflitto. Questo è un piano di cessate il fuoco, non un piano del giorno dopo”.

Hamas ha affermato che non prenderà in considerazione un cessate il fuoco temporaneo senza le garanzie di un cessate il fuoco permanente che ne assicuri effettivamente la sopravvivenza, anche a costo di un maggior numero di vite palestinesi.
I leader di Hamas e il governo israeliano, guidato dal primo ministro Benjamin Netanyahu stanno valutando cosa significherà l’accordo, non solo per il futuro della guerra, ma per il loro stesso futuro politico. Per ottenere il consenso dei partner scettici sulla prima fase del piano, Netanyahu è particolarmente incentivato a mantenere vaghi i suoi impegni per le ultime fasi.

In ogni campo ci sono figure influenti disposte a prolungare la guerra. 
Alcuni all’interno di Hamas sostengono che il gruppo, dominato da coloro che sono ancora a Gaza, come il leader locale Yahya Sinwar, non dovrebbe accettare alcun accordo che non crei immediatamente un cessate il fuoco permanente. In Israele, la semplice menzione della fine della guerra e del ritiro completo delle truppe ha portato gli alleati di estrema destra di Netanyahu a minacciare di far cadere il suo governo.

 
Martedì, in una conferenza stampa, Osama Hamdan, portavoce di Hamas, ha detto che il gruppo non approverebbe un accordo che non inizi con la promessa di un cessate il fuoco permanente e includa disposizioni per il ritiro totale delle truppe israeliane e un “serio e vero affare” per scambiare gli ostaggi rimanenti con un numero molto maggiore di prigionieri palestinesi detenuti in Israele.

Shlomo Brom, generale di brigata in pensione e ricercatore senior presso l’Istituto per gli studi sulla sicurezza nazionale, ha affermato che “chiaramente per tutti questa proposta è principalmente politica”.
“La prima fase è positiva per Netanyahu, perché alcuni ostaggi verranno liberati”, ha detto Brom. “Ma non arriverà mai alla seconda fase. Come prima, troverà qualcosa di sbagliato in ciò che fa Hamas, cosa che non sarà difficile da trovare”.


Il rilascio degli ostaggi è una priorità assoluta, ma non è chiaro se il proseguimento della guerra aumenti la pressione su Hamas affinché raggiunga un accordo per la loro libertà o metta gli ostaggi ancora vivi in ulteriore pericolo.

Netanyahu spera, dicono gli analisti, che Hamas non accetti affatto la proposta, togliendolo così dai guai. Mentre le ostilità con Hezbollah si inaspriscono nel nord, egli suggerisce ai suoi alleati che, anche se dovesse accettare la proposta di Gaza, i negoziati sulla seconda fase potrebbero andare avanti indefinitamente.
Il presidente Biden, che la scorsa settimana ha presentato il piano alla Casa Bianca, ha le sue considerazioni politiche nel far sì che le parti raggiungano un accordo, il prima possibile. Vuole chiaramente la fine della guerra di Gaza ben prima delle elezioni presidenziali di novembre, ha detto Aaron David Miller, un esperto di Medio Oriente presso il Carnegie Endowment, aggiungendo: “L’unico partito che ha davvero fretta è Biden”.


Netanyahu ha fatto del suo meglio per confondere tutti riguardo alle sue intenzioni, negando che il suo obiettivo di smantellare Hamas sia cambiato e rifiutandosi di sostenere la fine permanente dei combattimenti, che domenica ha definito “un fallimento”.
 

Biden ha anche sottolineato che Hamas “dovrebbe accettare l’accordo”, che non ha accettato, dicendo soltanto che vede la proposta “in modo positivo”.

Nella prima fase, entrambe le parti rispetteranno un cessate il fuoco di sei settimane. Israele si ritirerebbe dai principali centri abitati di Gaza e un certo numero di ostaggi verrebbero rilasciati, tra cui donne, anziani e feriti. Gli ostaggi verrebbero scambiati con centinaia di prigionieri e detenuti palestinesi, i cui nomi devono ancora essere negoziati. Gli aiuti inizierebbero ad affluire a Gaza, arrivando a circa 600 camion al giorno. Ai civili palestinesi sfollati sarà consentito di ritornare alle loro case nel nord di Gaza.

 

Durante la prima fase, Israele e Hamas continuerebbero a negoziare per raggiungere la seconda fase: il cessate il fuoco permanente, il ritiro di tutte le truppe israeliane da Gaza e la liberazione di tutti gli ostaggi viventi rimasti. Se i colloqui dureranno più di sei settimane, la prima fase della tregua continuerà fino a quando non si raggiungerà un accordo, ha detto Biden. Se mai lo faranno.

I funzionari israeliani, da Netanyahu in giù, hanno insistito sul fatto che Israele debba mantenere il controllo della sicurezza su Gaza in futuro, rendendo altamente improbabile che accettino di ritirare completamente le truppe israeliane dalla zona cuscinetto che hanno costruito all’interno di Gaza. E anche se lo facessero, Israele insiste sulla possibilità di entrare e uscire da Gaza ogni volta che lo ritenga necessario per combattere Hamas o altri combattenti rimasti o ristabiliti, come fa ora in Cisgiordania.

 

Come ha detto, senza mezzi termini, un ex alto ufficiale dell’intelligence: “Non esiste una buona soluzione qui e tutti lo sanno”.

I tempi potrebbero funzionare anche per un accordo sulla prima fase, perché Israele vuole completare il controllo militare su Rafah, nella parte più meridionale di Gaza, e sul confine egiziano. Si prevede che i combattimenti, che Israele ha intrapreso con meno truppe, meno bombardamenti e più attenzione ai civili, dopo la pressione americana, dureranno altre due o tre settimane, suggeriscono i funzionari israeliani, più o meno il tempo necessario per negoziare la prima fase del cessate il fuoco.

Con le forze di Hamas effettivamente smantellate come unità organizzate, e combattendo quasi esclusivamente come piccole bande, Israele può dichiarare finita la grande guerra a Gaza, dicono gli analisti, continuando a combattere Hamas e altri combattenti dove emergono o sono ancora concentrati, aprendo la strada a un cessate il fuoco temporaneo.

“Israele ha fatto molto, con Hamas drammaticamente degradato”, ha detto Sachs. Ma Israele non ha messo in atto nulla per governare Gaza, quando l’esercito si ritirerà.

Brom concorda sul fatto che l’esercito israeliano ha compiuto progressi reali. “La mia interpretazione”, ha detto, “è che le capacità militari e terroristiche di Hamas sono terribilmente indebolite”. È sempre difficile dichiarare la vittoria in un conflitto così asimmetrico, ha detto. “Abbiamo vinto contro lo Stato islamico? Esiste e funziona ancora”, ma molto diminuito.

Nonostante le continue sollecitazioni americane, dicono gli analisti, Netanyahu si è rifiutato di decidere chi o cosa governerà Gaza, se non Hamas.

“Dovrebbe trattarsi di una strategia politica e militare integrata, ma manca completamente l’aspetto politico”, ha affermato Brom. “Possiamo impedire ad Hamas di governare Gaza, ma chi li sostituirà? Questo è il tallone d’Achille dell’intera operazione”.

La strada per formare la nuova Commissione europea è lunga

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ELEZIONI EUROPEE

di Federico Gonzato su https://pagellapolitica.it/articoli/calendario-tappe-nuova-commissione-europea 

Una per una, abbiamo messo in fila tutte le prossime tappe da conoscere sui lavori del nuovo Parlamento europeo appena uscito dal voto     LEGGI ANCHEGuida al Parlamento europeo per principianti

Archiviati i risultati delle elezioni europee, il percorso che porterà alla formazione del nuovo Parlamento europeo e successivamente della nuova Commissione europea sarà parecchio lungo, e si concluderà a tutti gli effetti soltanto il prossimo dicembre.

Dalla formazione dei vari gruppi politici fino alla creazione del nuovo governo dell’Ue, abbiamo raccolto tutte le date fondamentali da tenere a mente.

10 giugno-15 luglio 2024
Dopo le elezioni europee iniziano i negoziati tra i vari partiti a livello europeo per la costituzione dei gruppi politici nel Parlamento europeo. All’interno del Parlamento europeo, i parlamentari non sono infatti raggruppati in base al loro Paese di provenienza, ma sono suddivisi in gruppi. Ognuno di questi gruppi è espressione di uno o più partiti europei, ma può contenere al suo interno parlamentari di forze politiche che non fanno parte di nessun partito europeo.

Un gruppo politico deve essere composto da almeno 23 deputati eletti in almeno un quarto degli Stati membri, ossia almeno sette. Per ottenere il riconoscimento ufficiale, i gruppi politici devono comunicare al Parlamento europeo il loro nome, la loro dichiarazione politica e la loro composizione entro il 15 luglio.

Nel nuovo Parlamento europeo il gruppo più numeroso sarà quello del Partito Popolare Europeo (PPE), a cui appartiene Forza Italia, e che ha eletto 186 parlamentari; il gruppo dei Socialisti e Democratici (S&D), di cui fa parte il Partito Democratico, è il secondo con 135 membri. Il terzo gruppo è Renew Europe, ossia i liberali, con 79 parlamentari. A destra ci sono i Conservatori e Riformisti Europei, al quale fa parte Fratelli d’Italia, con 73 parlamentari. Più a destra c’è il gruppo sovranista di Identità e Democrazia, a cui aderisce la Lega, con 58 membri. Sul fronte opposto ci sono i Verdi (53 parlamentari) e il gruppo della Sinistra al Parlamento europeo (36). Poi c’è il gruppo dei cosiddetti “Non iscritti”, con 45 membri, di cui fanno parte i parlamentari che non hanno aderito a nessun gruppo, come quelli eletti del Movimento 5 Stelle. Al momento, altri 55 parlamentari europei neoeletti non sono affiliati nemmeno al gruppo dei “Non iscritti”. In queste settimane questi parlamentari potrebbero aderire a uno dei gruppi del Parlamento europeo già esistenti, crearne uno nuovo o decidere di entrare ufficialmente in quello dei “Non iscritti”.

27-28 giugno 2024
Il Consiglio europeo si riunisce per trovare un accordo sul candidato alla presidenza della Commissione europea, da proporre al Parlamento europeo. Il Consiglio europeo è l’organo che riunisce i capi di Stato e di governo dei 27 Stati membri dell’Ue. La scelta del candidato alla presidenza della Commissione Ue è fatta sulla base dei risultati delle elezioni europee e sulla disponibilità dei vari gruppi politici europei a sostenere il nuovo governo dell’Ue. Per esempio, nel 2019 l’attuale presidente Ursula von der Leyen è stata proposta per l’incarico in quanto membro del Partito Popolare Europeo (PPE), prima forza politica nel Parlamento europeo. La candidatura di von der Leyen è stata poi sostenuta anche dal gruppo dei Socialisti e Democratici e da Renew Europe, che insieme ai Popolari hanno formato la maggioranza che ha guidato l’Ue negli ultimi cinque anni.

In occasione delle elezioni europee di quest’anno, il PPE ha scelto von der Leyen come suo Spitzenkandidat (una parola tedesca traducibile in italiano con “candidato di punta”) alla presidenza della Commissione Ue, per svolgere quindi un secondo mandato da presidente. Nella riunione di fine giugno, il Consiglio europeo cercherà di trovare un accordo anche sul candidato alla carica di presidente del Consiglio europeo, che dovrà essere eletto dal Consiglio stesso entro il 1° dicembre 2024. L’attuale presidente del Consiglio europeo è Charles Michel, già primo ministro del Belgio, appartenente alla famiglia politica Renew Europe. Michel è in carica dal 1° dicembre 2019 e il 24 marzo 2022 è stato rieletto per un secondo mandato, che scadrà il prossimo 30 novembre.

16-19 luglio 2024
Il Parlamento europeo si riunisce per la prima sessione plenaria della nuova legislatura, ossia la decima dal 1979 a oggi. Per “sessione plenaria” si intende la riunione di tutti i membri del parlamento nella sua sede di Strasburgo, in Francia. La prima seduta plenaria del Parlamento europeo sarà presieduta dalla presidente uscente, Roberta Metsola, deputata europea del PPE.

Nella prima seduta il Parlamento europeo elegge il suo presidente, oltre a 14 vicepresidenti e a 5 questori. Il presidente del Parlamento europeo è eletto tra una serie di candidati presentati dai vari gruppi politici e deve ottenere il voto della maggioranza assoluta dell’assemblea. Se dopo tre scrutini nessun candidato ha ottenuto la maggioranza assoluta, al quarto scrutinio vanno soltanto i due deputati che al terzo scrutinio hanno ottenuto il maggior numero di voti. In caso di parità di voti al quarto scrutinio, è proclamato eletto il candidato più anziano. Secondo lo stesso criterio sono eletti i vicepresidenti e i questori.

Immagine 2. L'attuale presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola – Fonte: Ansa

Immagine 2. L’attuale presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola – Fonte: Ansa
22-25 luglio 2024
Si costituiscono le varie commissioni parlamentari del Parlamento europeo. Le commissioni parlamentari sono “piccole assemblee” interne al Parlamento europeo, dove i parlamentari esaminano per esempio le norme dell’Ue. Le commissioni del Parlamento europeo sono in totale 20 e ognuna si occupa di un argomento specifico, dall’economia all’ambiente, passando per il lavoro. Ogni parlamentare europeo deve fare parte di una commissione.
16-19 settembre 2024
Sono le date previste al momento per l’elezione del presidente della Commissione Ue da parte del Parlamento europeo. Il candidato presidente scelto dal Consiglio europeo presenta al Parlamento il proprio programma politico per la legislatura, e al termine della presentazione il Parlamento la discute. Dopo la discussione si passa alla votazione a scrutinio segreto: per essere eletto presidente, il candidato deve ottenere la maggioranza assoluta dei parlamentari europei, ossia almeno 361 voti favorevoli sui 720 totali. Se il candidato non ottiene la maggioranza richiesta, il presidente del Parlamento europeo invita il Consiglio europeo a proporre entro un mese un altro candidato da eleggere seguendo la stessa procedura.

Nel 2019 si espressero a favore di Ursula von der Leyen 383 deputati su 747 totali, superando di poco la soglia necessaria per eleggerla presidente. Non è detto comunque che la votazione per l’elezione del presidente della Commissione Ue avvenga tra il 16 e il 19 settembre, ma potrebbe avvenire anche prima. Tutto dipende dal calendario dei lavori del Parlamento, che sarà stabilito dalla conferenza dei presidenti dei gruppi politici del Parlamento europeo in occasione della prima seduta, valutando le trattative interne al Consiglio europeo per la scelta del candidato presidente.

Immagine 3. La cerimonia di passaggio della campanella tra l'ex presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker e Ursula von der Leyen, 3 dicembre 2019 – Fonte: Ansa

 La cerimonia di passaggio della campanella tra l’ex presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker e Ursula von der Leyen, 3 dicembre 2019 – Fonte: Ansa
Ottobre-novembre 2024
Dopo l’elezione del presidente inizia la fase di formazione vera e propria della Commissione europea con la selezione dei commissari, ossia i 27 membri della Commissione. I commissari svolgono un ruolo simile a quello dei ministri all’interno di un governo e ognuno si occupa di una materia specifica. Per esempio, tra i commissari europei c’è l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, che è in sostanza il ministro degli Esteri dell’Ue ed è anche uno dei vicepresidenti della Commissione stessa.

La scelta dei commissari avviene all’interno del Consiglio europeo e a ogni Paese spetta la designazione di un commissario. Dopo averli scelti, il Consiglio europeo invia l’elenco dei candidati commissari insieme ai loro curriculum alle commissioni del Parlamento europeo competenti per materia e inizia un ciclo di audizioni, che dura circa due mesi, indicativamente tra ottobre e novembre 2024. Ogni commissario deve poi rispondere per iscritto a una serie di domande poste della commissione riguardo vari temi, dalle sue esperienze pregresse ai compiti che svolgerà come commissario. Dopodiché dovrà presentarsi di fronte alla commissione competente per un colloquio orale in cui presenterà per al massimo 15 minuti la sua candidatura e dovrà rispondere alle domande dei parlamentari europei.

Una volta esaminati tutti i commissari, le commissioni invieranno un testo riassuntivo con le loro valutazioni alla conferenza dei presidenti dei gruppi politici del Parlamento europeo, che invierà poi una risoluzione all’assemblea in seduta plenaria.

16-19 dicembre 2024
Il Parlamento europeo si riunisce in seduta plenaria per la votazione sull’intero collegio dei commissari proposti. Durante la discussione, il presidente della Commissione Ue presenta la squadra dei commissari ed espone il suo programma politico. A seguire i deputati discutono sul discorso fatto dal presidente e poi viene messa ai voti l’intera Commissione Ue per un mandato di cinque anni. Il mandato alla Commissione è approvato se ottiene la maggioranza semplice del Parlamento europeo, ossia la maggioranza dei presenti alla votazione.

Elezioni europee 2024: gli amici eletti che hanno firmato i nostri principi fondamentali

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del Circolo Christus Rex-Traditio

Come gruppo, in campagna elettorale abbiamo dato indicazione di seguire le istruzioni del Manifesto di Pro-Vita e tutti i candidati che lo hanno firmato, verso la cui preferenza ci siamo rivolti per conoscenza diretta, sono stati eletti, anche grazie al nostro contributo. Il presidio fisso a Bruxelles di Pro-Vita è garanzia di vigilanza per le battaglie, che, a causa dei globalisti, si proporranno presto. Ci faremo trovare pronti!

di Toni Brandi

Sono state settimane intense e di duro lavoro, ma finalmente possiamo dirlo: i risultati di queste elezioni europee dimostrano che la nostra campagna è stata un successo!

Grazie all’impegno di tutti coloro che hanno sostenuto il nostro lavoro con una donazione o firmando il nostro appello ai candidati, siamo riusciti ad ottenere un risultato straordinario e, nonostante il ritardo di alcuni conteggi, possiamo già da ora annunciare che 20 dei candidati che hanno firmato il nostro manifesto valoriale sono stati eletti!

Eccoti un elenco più dettagliato:

Italia Nord Occidentale


Fratelli d’Italia
: Carlo Fidanza, Mario Mantovani, Pietro Fiocchi, Mariateresa Vivaldini, Paolo Inselvini

Forza Italia-Noi Moderati: Massimiliano Salini

Lega: Roberto Vannacci, Isabella Tovaglieri


Italia Nord Orientale


Fratelli d’Italia
: Elena Donazzan, Stefano Cavedagna, Sergio Antonio Berlato, Daniele Polato

Lega: Paolo Borchia


Italia Centrale


Fratelli d’Italia
: Nicola Procaccini, Marco Squarta, Antonella Sberna, Francesco Torselli

Lega: Susanna Ceccardi


Italia Meridionale


Fratelli d’Italia
: Denis Domenico Nesci, Michele Picaro

 

Congratulazioni a tutti i cittadini attivi e a questi candidati! 

La loro elezione rappresenta non solo una vittoria significativa per tutti noi che sosteniamo i valori della vita, della famiglia e della libertà, ma anche la speranza di un nuovo inizio per la costruzione di una nuova Europa che metta al centro della sua missione la difesa e la promozione del Bene Comune.

E ti assicuro che non ci limiteremo ad osservare il loro operato a distanza… ti spiego subito cosa abbiamo in mente.

Il successo della nostra campagna ci ha reso più chiara la responsabilità del nostro impegno per influenzare le elezioni europee. Ma, appunto, si è trattato solo di un primo passo. 

Continueremo a seguire il lavoro dei politici eletti che hanno firmato il nostro manifesto in Europa, affinché venga rispettato il patto sottoscritto con te e con gli elettori.

Per questo motivo, ti annuncio che presto inaugureremo una rappresentanza stabile di Pro Vita & Famiglia a Bruxelles, per vigilare meglio sulle politiche promosse dall’UE e influenzarle, con lo scopo di riportare in Europa la giustizia, la ragione, il buon senso, e il rispetto incondizionato della dignità umana.

Sì Matteo, hai capito bene: presto Pro Vita & Famiglia avrà la sua succursale europea a Bruxelles!

Questo ulteriore passo ci permetterà di essere ancora più efficaci e presenti nelle decisioni che riguardano il futuro delle nostre famiglie, dei nostri figli e dei nostri nipoti.

Ma le buone notizie non si fermano qui…

Abbiamo anche altre ragioni per celebrare: un punto particolarmente positivo emerso da queste elezioni è che Più Europa di Emma Bonino, una delle principali avversarie dei nostri valori, non ha superato la soglia di sbarramento e quindi è rimasta fuori dal Parlamento Europeo!

Questo è un segnale forte da parte degli italiani contro le politiche pro-aborto, pro-eutanasia e pro-LGBTQIA che ha sempre sostenuto. 

Inoltre, i risultati internazionali di queste Elezioni Europee ci consegnano due fatti chiari e significativi: in primo luogo, oltre la metà degli elettori di tutta Europa ha scelto di non votare, rivelando una crisi profonda all’interno del progetto politico dell’Unione Europea, con meno di un elettore su due che si identifica con esso a livello continentale.

In secondo luogo, abbiamo osservato un notevole calo dei partiti progressisti e un’affermazione decisa dei partiti conservatori. Questo dimostra che sempre più cittadini sono stanchi delle politiche ideologiche relativiste e desiderano un ritorno ai valori fondamentali che hanno costruito la nostra civiltà, tra cui il rispetto della vita umana, il sostegno socio-economico alla famiglia e alla natalità, e la fine delle campagne ideologiche aggressive contro l’educazione dei più giovani.

Non vediamo l’ora di inaugurare la nostra nuova rappresentanza a Bruxelles per lavorare fianco a fianco con i candidati eletti e tenerti aggiornato su ogni sviluppo.

Avanti tutta, con coraggio e determinazione, per la vita, la famiglia e la libertà!

 

 

 

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