C’era una volta il sud ma ora non c’è più

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di Marcello Veneziani

Ma come ti salta in mente di dedicare un nuovo libro a un racconto di pensieri, sentimenti e immagini intitolato “C’era una volta il sud”? Il mondo ha altro per la testa che i ricordi del passato, per giunta del sud e della provincia; il mondo è in preda a troppe cattiverie per mettersi a fare l’elegia del tempo andato, è tempo di attaccare o difendersi, di azzannarsi prima che ti azzannino… E poi siamo nel tempo dell’Intelligenza artificiale. Ma sì, certo, avrete ragione voi, però non vogliamo concederci una pausa, pensare ad altro, lasciarci visitare da immagini, figure e memorie che ci ristorano la mente e riaprono le braccia ai nostri cari?
È un libro di immagini e scritti dedicato al sud ma sono convinto che anche chi non è del sud si troverà a casa: perché si parla di un tempo passato che non fu solo a Mezzogiorno, perché si parla di provincia e non c’è cosa più universale che il mondo provinciale, il piccolo paese, il piccolo rione, la località che ci avvolse nella sua calda prossimità, a nord come a sud, e ovunque. È un libro in formato grande, illustrato (in libreria, edito da Rizzoli) in cui si può seguire il filo delle fotografie, tutte in bianco e nero perché riportano a un passato mitico, diverso dal presente; o si può seguire il filo del racconto di pensieri e di ricordi che si intreccia all’album fotografico. Ma cosa dici, di che parli? È un passeggio, anzi uno struscio nel tempo, un viaggio multisensoriale tra gli odori, i sapori, le voci, le figure, i pensieri di un mondo che viene descritto come chiuso, piccolo, asfittico e locale e invece non è vero. Quel mondo era molto più grande nel suo piccolo rispetto al mondo globale di oggi che è solitario, virtuale, introverso: c’era il paese, c’era la campagna, c’era il mare (o per altri la montagna), c’erano gli animali, c’erano i vecchi e i bambini, tanti bambini, c’era la comunità, c’era l’antichità, c’era il favoloso, c’erano altri mondi oltre quello presente. Ed era un mondo aperto, corale, altro che chiuso; le case erano un via vai di famigliari, tanti figli, tanti cugini, le nonne e le zie “vacantine” che vivevano nella stessa casa, e altrettanti amici, vicini di casa, persone che uscivano ed entravano di continuo dalle porte, parlavano dai balconi e dalle finestre; era un insieme aperto, e all’aperto. Si viveva la vita gratis, nel senso che si pagava solo poche cose perché pochi erano i soldi, ma quasi tutto era gratis, per natura, cortesia, come l’acqua delle fontane, le panchine del giardino, il mare in cui bagnarsi, i frutti appesi da cogliere per le strade, i giochi. Vuoi dire che vivevano nel paradiso terrestre e non lo sapevano? Ma no, che dite. Quel mondo era anche duro, crudele, classista, affamato, malvestito, inclemente. Non puoi rimpiangerlo, tantomeno è possibile ritornarvi, e anche se volessi e potessi farlo non ci torneresti, non riusciresti più a vivere in quel modo.
E allora perché raccontarlo? Perché ci fa bene, ci fa stare bene, ci restituisce fette di vita, angoli di paese, ricordi e care presenze ora assenti; perché incuriosisce, diverte, fa pensare, e suscita pure qualche sentimento, magari ci aiuta a non perdere la nostra sensibilità, a non diventare automi o umanoidi artificiali. Il mondo non era racchiuso nello smartphone.
C’era una volta il sud narra con testi e immagini un mondo favoloso, un’epoca che non è più la nostra da decenni: il sud della civiltà contadina e delle famiglie numerose, il sud devoto e superstizioso, arcaico e “fatigatore”, il sud delle processioni, dei matrimoni, dei funerali, del lutto prolungato, della vita di campagna, della vita ai bordi del mare, dei circoli, delle sale da barba o dello struscio di paese. Ci sono innumerevoli scorci, quadretti di vita, immagini e figure di quel tempo, modi di dire e di fare, di quel mondo arcaico che non fu l’età dell’oro semmai l’età del pane come la chiamò Felice Chilanti. Un mondo comunitario, povero e aspro ma ricco di umanità. Figure mitiche e fenotipi, come il ciaciacco, o sgalliffo, lo sparamiinpetto, lo speranzuolo, e poi il barbiere di compagnia, la prostituta, la masciara, la bizzoca, il sacrestano. Mondi cancellati, o in via di scomparsa, di cui cerchiamo di mettere in salvo la memoria e le sue ultime tracce, prima che cali la notte e la frettolosa dimenticanza. Le foto non riguardano personaggi famosi, eventi celebri, non sono foto d’arte o di eventi storici, ma sono immagini della vita quotidiana, della gente comune; foto ricordo, in prevalenza amatoriali, private e personali, tratte dagli album di famiglia e dai ricordi paesani.
A questo viaggio ho voluto aggiungere in fondo al testo alcune riflessioni sul significato della fotografia nella nostra epoca, cercando di smentire luoghi comuni o di vedere lati nascosti di quel mondo: la fotografia è il diorama del ritorno, nasce da una forma di nostalgia preventiva, la volontà di salvare l’attimo fuggente e le vite in transito. Non è vero che l’era della riproducibilità tecnica dell’arte uccide l’aura che un tempo riguardava l’opera d’arte. A dircelo è proprio colui che teorizzò in un famoso saggio quella morte dell’aura: in quelle stesse pagine Benjamin scrisse – in un passaggio trascurato da tutti – che quell’aura resta nelle fotografie che ritraggono volti, anche se sono immagini seriali, perché sprigionano a rivederle, quel ricordo affettivo, quell’atmosfera, quella magia indicibile di figure care perdute nel tempo. Se il tempo per Platone è l’immagine mobile dell’eterno, la fotografia è l’immagine immobile di ciò che è passato. La fotografia trasforma in mito il passato. Il poeta Coleridge sognò di trovarsi in paradiso, e qualcuno gli donò un fiore. Al suo risveglio, il sognatore si trovò con quel fiore in mano. Così è la fotografia, come i fiori venuti in sogno e poi portati nella realtà. A me capitò un’esperienza analoga: sognai che ero bambino e mio padre mi dava una delle sue caramelle all’orzo. Quando mi svegliai trovai davanti a una fila di libri, appena traslocati, una caramella all’orzo che poi tenni per anni in vista. Nel libro consiglio pure un esercizio particolare con le foto, per rianimarle e vederle rivivere. Scopritelo se vi interessa.
Giorni fa sono tornato nella piazza del mio paese, detta il Palazzuolo, dove giocavo da bambino e dove un tempo si faceva lo struscio: la piazza è un quadrato vuoto al centro e circondato come da una cornice senza quadro, da due file di alberi e una serie di panchine, cinque per ogni lato, in tutto venti. Era la controra e mi sono accorto che su ciascuna di queste panchine c’era una persona sola, e non i gruppi, come succedeva un tempo. Sarà stato un caso momentaneo, ma ho avuto la percezione che i venti di solitudine e le venti solitudini sulle venti panchine della piazza, dicano davvero che il sud c’era una volta e ora non c’è più, è solo una periferia del mondo globale, sempre più devitalizzata, denatalizzata, svuotata, in declino sociale e demografico. Ho scritto questo libro per ripopolare almeno virtualmente quelle panchine.

 

Fonte: https://www.marcelloveneziani.com/articoli/cera-una-volta-il-sud-ma-ora-non-ce-piu/

Libertà e Verità

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di Matteo Castagna

La rivista Sodalitium n. 43 dell’Aprile-Maggio 1996 ha pubblicato un’omelia dal grande contenuto teologico, di Mons. Michel Guérard de Lauriers, O.P. (1898-1988), il cui contenuto è attualissimo, soprattutto perché una certa predicazione tomista non è facile da ascoltare.

La libertà non esclude forse ogni restrizione? Non è questo un fatto evidente? E, soprattutto, non è alquanto seducente questo modo di vedere? È un fatto che vi sono cristiani oggi che la pensano proprio così e, quel che più conta, conformano la loro vita a questa concezione, anche se a sostegno di essa accampano argomenti apparentemente solidi. “Dove c’è lo Spirito del Signore, là è la libertà” (II Cor. III, 17); “Il vento soffia dove vuole e la sua voce è bene udibile… e così egualmente accade a chiunque è nato nello Spirito” (Gv. III, 8). “Popolo di Dio”, “popolo di profeti”, “popolo di adulti mosso dallo Spirito, per te la libertà non consiste nel togliere di mezzo ogni restrizione e ogni legge?”; “Ama e fa quel che vuoi”; S. Agostino, il Dottore della Grazia non si è forse espresso cosi?

Ma questo è solo il primo aspetto della questione. Ve n’è infatti un secondo: “Voi siete stati chiamati alla libertà cristiana. Ma fate in modo che la libertà non finisca col divenire un pretesto per soddisfare la carne” (Gal. V, 13). E, sempre S. Paolo, raccomanda poi di praticare, attraverso la carità, l’aiuto scambievole che è, inevitabilmente, e per tutti, oneroso e vincolante. Del resto, il comportamento manifestamente pregiudizievole per tutti, di rigettare ogni regola, che si vorrebbe giustificare con il diritto di essere liberi, mostra a sufficienza che questo preteso diritto è fondato sopra una falsa concezione della libertà. “Ama e fa quello che vuoi”;

“Se ami, tu non puoi fare quello che vuoi”. È mai possibile che S. Agostino abbia contraddetto S. Paolo? Chi allora dei due ha ragione? Insomma l’uomo, il cristiano, è libero o non lo è? Esiste oppure no un’altra alternativa fra il dovere e la libertà, fra il conformismo e la contestazione? Prima di tutto cerchiamo di non cadere in uno stato di sovreccitazione. Solo così la Grazia, che non viene negata mai a nessuno, può portare i suoi frutti. “Bisogna imparare direttamente dallo Spirito in che cosa consiste la libertà, che si trova appunto solo dove lo Spirito è presente” (II Cor. III, 17). Lo “Spirito del Signore”, che garantisce “questa libertà della quale gode il cristiano, perché Cristo lo ha affrancato” (Gal. V, 1), è evidentemente lo “Spirito di Gesù Cristo” (Fil. I, 19); è lo “Spirito del Figlio, che grida dentro di noi Abba Pater” (Gal. IV, 6). Si tratta quindi dello “Spirito di Verità” (Gv. XV, 26), poiché procede non soltanto dal Padre, ma anche dal Figlio “che è la Verità” (Gv. XVI, 13). E “lo Spirito della Verità conduce alla pienezza della verità” (Gv. XVI, 13).

La libertà del cristiano, essendo quindi frutto dello Spirito, è regolata dalla Verità per la imperativa ragione che lo Spirito non può essere che Spirito di Verità, dato che Esso procede dal Figlio che è, Lui stesso, la Verità. È necessario insistere su questo punto. Lo Spirito è Verità per sua intima essenza. Procedendo infatti il suo essere “dal Figlio”, come “dal Padre”, niente è a Lui più intrinsecamente proprio che essere la Verità per il fatto stesso che Egli viene “da Colui che è la Verità”.

Se dunque il cristiano è costituito in modo da poter “andare dove vuole, perché egli segue il soffio dello Spirito”, questo può però avvenire alla sola condizione che la libertà di cui gode consiste per lui nell’essere integrato nello Spirito, nello sposare – se è possibile esprimersi così lo Spirito integralmente, sia nella Sua Sorgente, sia nei suoi frutti. E siccome lo Spirito, ovunque ci conduca, non può condurre che alla Verità perché è Spirito di Verità, così la libertà, che risiede nello Spirito, procede dalla Verità.

Questa libertà, proprio in virtù di questa sua permanente genesi, è intimamente conforme alla Verità. Pertanto, a causa di quanto comporta la sua intima essenza, la libertà, in chiunque ne rivendichi il privilegio, deve essere assolutamente conforme alle esigenze della Verità. E se il cristiano (quello cioè) che viene liberato dal Figlio, “è libero nella verità” (Gv. XVI, 39), ciò avviene perché lo Spirito, che dà questa libertà, conduce alla pienezza della Verità (Gv. XVI, 13). La conclusione, di necessità, è una sola: la vera libertà è regolata dalla Verità.

E si tratta – bisogna chiaramente precisarlo – di un principio essenziale: principio incluso – in diritto – nell’essenza stessa della libertà, principio facente parte concreta della natura di questa, e principio che gioca, di conseguenza, un ruolo immanente nell’evolversi stesso della vita. E bisogna denunciare come pernicioso errore l’opinione corrente, seconda la quale la libertà non è ancorata a regole, quando non consisterebbe addirittura, arrivando logicamente al limite, proprio nel fatto di rifiutare ogni regolamentazione.

Queste riflessioni teologiche danno al Cristiano, alla luce della Fede, una profonda convinzione, anzi la convinzione più profonda. Tali riflessioni non contrastano affatto con i cosiddetti “argomenti di ragione”, anche quando questo rapporto fosse sottinteso. È estremamente opportuno ricordare – con S. Tommaso – che la libertà sta nel libero arbitrio soltanto come derivazione. L’atto del libero arbitrio infatti consiste nello scegliere. Ora, appunto l’esercizio di questo atto è fondato sull’affinità che esiste in maniera positiva fra colui che sceglie e la cosa da lui scelta. La cosa scelta viene infatti considerata come “il bene” ed “il fine” mentre ciò che rimane escluso dalla scelta è appunto quello che non viene assimilato alla finalità scelta.

Il “bene” è esattamente l’oggetto della volontà, ed il “fine”, che nel pensiero di ciascuno definisce il “bene”, è, in concreto, la legge immanente della volontà. Ne segue che l’atto del libero arbitrio, lungi dal ridursi ad una pura opzione incondizionata nella quale si vorrebbe far consistere la libertà, è in effetti l’espressione della volontà, la quale è essa stessa, in un giuoco spontaneo, conforme al “bene” ed al “fine”. La libertà sta originariamente nella volontà e vi è regolata dal rapporto fra la stessa volontà e la natura, vale a dire da ciò che fa, della creatura ragionevole e della sua stessa volontà, in maniera divina, una sola cosa.

La libertà è regolamentata dalla verità. È altrettanto necessario in questo tempo di “crisi”, ricordare che la libertà, secondo S. Agostino, consiste nello scegliere quanto non può essere eliminato. La definizione è certamente transrazionale, ma perfettamente rispondente dal punto di vista esistenziale. L’esigenza di libertà, che vibra nell’intimo di ciascuno, deve in effetti essere soddisfatta, perché essa è sanzionata “…dalla nostra santa vocazione, che ha la sua origine non nelle opere nostre ma nel decreto di Dio e nella Sua Grazia” (II Tim. 1, 9). E questa esigenza è così assoluta che essa esclude ogni contrasto esterno.

Ciò comporta, come necessario presupposto, che il desiderio non deve essere frustrato e ciò, a sua volta, presuppone che l’uomo non desideri che quanto non può essere eliminato. S. Agostino ammette dunque chiaramente che la libertà non sopporta costrizioni; ma, d’altra parte, l’assoluto della libertà è, secondo lui innestato in un desiderio che vede solamente beni quei che non possono essere eliminati, e cioè in un desiderio regolato da Leggi superiori.

E siccome i beni che non possono essere eliminati, sono soltanto i veri beni, i beni validi per una creatura dotata dell’immortalità, ne segue ancora che la libertà ha spazio soltanto nella Verità. L’opposizione creata fra il “dovere” e la “libertà”, la necessità di optare che discende da questa opposizione, i comportamenti pratici che esprimono questa opzione e spesso vanno bene al di là di essa, tutto ciò ha per origine una vera confusione: “Parvus error in principio, fit magnus in fine”.

La confusione deriva dal non saper distinguere due tipi di necessità. Una si impone ad un essere autonomo cominciando dal punto in cui lui cessa di essere se stesso, l’altra è immanente alla natura della quale non fa altro che esprimere la determinazione. Correlativamente, per ogni operazione, ci sono due tipi di leggi. Quelle che la circoscrivono dall’esterno e sono sottoposte a restrizioni, e quelle che sono concomitanti al principio stesso dell’operazione e sono, nei confronti di questa, metro di misura.

Se si confondono questi due tipi di legge e di necessità, se si osserva – non senza ragione – che restrizione e libertà sono termini incompatibili, la logica conclusiva non può essere che una sola: la libertà deve essere priva di regolamentazione. La conclusione è giusta, senonché, essendo falsa la prima premessa ne segue che egualmente è falsa la conclusione cui si giunge. La libertà non è priva di regolamentazione; è priva di una regolamentazione esterna, perché ha in se stessa la valida regolamentazione. S. Tommaso esprime magnificamente Mons. Guérard des Lauriers o.p., durante una predica questo concetto, con queste parole: “Lex nova est instinctus Spiritus Sancti”, “la nuova legge è istinto dello Spirito Santo”.

Non crediamo ci sia bisogno di ricordare che per S. Tommaso, come per tutti i cristiani, lo Spirito Santo è lo Spirito di Verità. La libertà dunque, e particolarmente la libertà cristiana, che è “quella della Gerusalemme celeste” (Gal. IV 26 ) e della Nuova Legge, la libertà, dunque, come dicevamo, è regolata dalla Verità, da tutta la Verità.

E tutti quelli che, rifiutando ogni restrizione, rifiutano anche la Verità come regolatrice della libertà, sono nell’errore: essi non sono affatto liberi, dato che come è provato dall’esperienza essi aspirano continuamente a divenire tali. Essi aspirano – inconsciamente senza dubbio – ad essere “liberati dal peccato” (Rom. VI, 22), ad essere “liberati dal male” (Mt. VI, 13 ), da ogni male, ed in particolare dalla “corruzione” (Rom. VIII, 21) mentale che consiste nel misconoscere la natura della creatura spirituale e, di conseguenza, la natura stessa della libertà.

Questi poveri esseri smarriti non potranno essere soddisfatti nel loro legittimo desiderio che convertendosi; non potranno essere soddisfatti se non volgendosi a questo suggerimento che lo Spirito Santo (non si può fare a meno di sperarlo) loro silenziosamente dà” (Giov. 14, 26). Allora “essi conosceranno la Verità e la Verità li farà liberi” (Giov. 8 32). E noi, i cristiani, siamo liberi? Certamente non lo siamo tanto da non doverlo divenire ancora di più. Infatti la libertà, che è “la gloria dei figli di Dio” (Rom. 8 21) è infinita come il desiderio ed assoluta come la Verità. La sua non offuscabile grandezza sta nell’essere regolata dalla Verità ma soltanto dalla Verità e dal non avere altri metri di misura. Doppia esigenza alla quale dobbiamo, per intima vocazione, soddisfare in tutte le circostanze.

In questo tempo di “crisi”, e come in tutti i tempi, essere libero vuol dire essere lo strumento attraverso il quale Dio realizza il suo disegno, vuol dire essersi conformati a questo disegno e pertanto essere regolati dalla Verità: essere liberi, in pratica, vuol dunque dire sottomettersi a tutto ciò che Dio manifesta essere la Sua volontà. In tempo di “crisi”, come sempre e dovunque, ma in maniera tutt’affatto particolare quando questa crisi proviene dal fatto che è l’autorità stessa a non essere più regolata dalla Verità, esser liberi significa non chiedere come un favore ciò che è soltanto un sacro diritto, diritto del quale il principio necessitante è la Verità stessa.

Sarebbe infatti soltanto una adulazione alle Autorità, riconoscerle indirettamente che essa ha il diritto di forgiare leggi false, contrarie alla Verità; in ultima analisi si tratterebbe di riconoscere, come fatto legittimo, che la Verità non è l’unica regolatrice della libertà, ma può essere sostituita da una qualunque costrizione: e questo sarebbe peccato contro la Verità, e rinunciare alla libertà. In tempo di “crisi” e particolarmente nella crisi attuale, è la Verità che rende liberi.

La libertà “di favore” può ingannare la fame di coloro che cenano con “il padre della menzogna” (Giov. VIII, 44); ma non può assolutamente soddisfare tutti coloro che “Dio ha chiamato dalle tenebre per condurli alla Sua impareggiabile Luce” (1 Pt. 2, 9), e che, sotto pena “di essere gettati fuori, debbono rimanere in Colui” (Giov. XV, 6) “che è la Verità” (Giov. XIV, 6).

Non c’è altra Libertà vera da quella di “conoscere la Verità” (Giov. VIII, 3), non c’è altra libertà che quella di far brillare in tutto il suo fulgore la Luce, facendo trionfare la Verità.

Fonte: https://www.informazionecattolica.it/

Ma l’ex Presidente uruguagio comunista “Pepe” Mujica fu davvero un iconico eroe?

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di Matteo Castagna

Il 13 Maggio è deceduto a quasi novant’anni l’ex Presidente uruguayano José Alberto Mujica Cordano, meglio noto col soprannome di “Pepe”. Si era ritirato a vita privata da qualche anno ed era conosciuto come il politico più povero del mondo. Icona della sinistra mondiale, è stato salutato dall’ Eurodeputata di AVS Ilaria Salis con un post celebrativo su X: “Buon riposo, guerriero” […] seguito da una sua fotografia col pugno chiuso alzato.

I grandi media italiani ne hanno parlato con toni enfatici. La Repubblica l’ha definito “faro della sinistra latino-americana”, per Il Post fu “un uomo comune straordinario”. La7 ha scritto del suo funerale: “figura amatissima nel Paese e simbolo mondiale di umiltà e coerenza politica”. Il Fatto Quotidiano ha titolato: “Con la morte di Pepe Mujica finisce un’epoca: testimone e protagonista, ha incarnato un ideale”. Il Corriere della Sera ci ricorda le sue ultime, umili parole: “Tutto è intestato a mia moglie, un essere superiore a cui devo ogni cosa. Sarò sepolto sotto una sequoia che ho piantato io stesso, insieme alla mia adorata cagnolina Manuela”.

Il Manifesto ci informa che è morto l’ “ultimo ideologo del buon senso”. Infine L’Unità: “A dare la notizia [del decesso, n.d.r.] l’attuale presidente dell’Uruguay, Yamandú Orsi. “Con profondo dolore comunichiamo la morte del nostro compagno Pepe Mujica. Presidente, militante, referente e guida. Ci mancherai molto, grazie per tutto quello che ci hai dato e per il profondo amore per il tuo popolo”. Il Giornale, Libero, La Verità danno la notizia in maniera piuttosto asettica.

L’Italia è stata criticata dalla sinistra perché il nostro paese è, per libertà di stampa, al 49esimo posto della classifica mondiale stilata da Reporter senza Frontiere. Sarà, però ciascuno può farsi un’idea dell’orientamento mediatico rispetto alla verità dei fatti ed all’obiettività delle osservazioni, se ha la voglia di scavare più a fondo, ad esempio, su questa figura, tanto celebrata.

Giorgio Bongiovanni è noto per le sue denunce a Cosa Nostra ed è un giornalista eclettico e controverso, fondatore e direttore di Antimafia 2000, che secondo Antonio Ingroia “è un po’ l’organo ufficioso della procura di Palermo” (fonte: Il Foglio). Il 15 gennaio del 2018 pubblicò sulla sua rivista un’intervista che fece a Montevideo (Uruguay) a Gustavo Salle, avvocato penalista uruguagio di nota esperienza, che si candidò nel 2024 con il partito “Identidad Soberana”, contro l’attuale presidente, sostenuto da Pepe Mujica.

In America Latina è un uomo molto conosciuto, a livello mediatico, molto colto e grande conoscitore della politica internazionale. E’ celebre per le sue indagini e denunce contro fatti di corruzione, dentro e fuori lo Stato. Fu promotore dell’indagine che coinvolse l’ex presidente Mujica e il suo partito, colpevoli, secondo l’accusa, di aver raccolto fondi per il finanziamento politico attraverso rapine e atti criminali dopo la dittatura dei militari, cioè in piena democrazia.

“Diverse volte si sono alzate delle voci che contrastavano la grande immagine di Mujica, che la sinistra uruguaiana aveva costruito a livello internazionale” – scrive Antimafia 2000 – e prosegue: “gli incontri tra Mujica e George Soros o David Rockefeller, i permessi di sfruttamento minerario concessi a grandi multinazionali, contratti firmati con loro alle spalle del popolo, leggi create “su misura” a vantaggio dei grandi capitali, l’istallazione di impianti di cellulosa (uno è il più grande al mondo), l’inquinamento delle acque e l’indifferenza e insensibilità, dimostrata in diverse occasioni, per quanto riguarda le indagini sui casi di violazione dei Diritti Umani da parte di militari e polizia e la ricerca di desaparecidos seppelliti in caserme militari, oscurano (e hanno oscurato) gradualmente l’immagine e la gestione del “presidente più povero del mondo” “.

L’Avv. Salle ne ribalta l’immaginario collettivo, dicendo: “Mujica è un delinquente; è stato un delinquente con una determinata posizione ideologica politica e poi, dopo un evento traumatico a livello internazionale inevitabile, come l’implosione del socialismo reale, c’è stato un cambio nella sua posizione ideologica, filosofica e politica. Dal punto di vista pratico, Mujica è stato forse uno dei personaggi più nefasti della storia dell’Uruguay. Se Mujica non fosse nato, l’ Uruguay non avrebbe patito tante sofferenze nel passato e nel presente”.

Parole pesanti, mai smentite, né risultanti oggetto di procedimenti legali, egli continua, sempre in tempi non sospetti: “Dal momento in cui Mujica venne eletto prima senatore e poi presidente della Repubblica iniziò a trasformarsi in un elemento di laboratorio in elaborazione. Era un individuo con un trascorso da guerrigliero, e ciò catturava l’attenzione e la simpatia dei settori di sinistra, che nel paese erano importanti perché quelli tradizionali erano già molto screditati. Allo stesso tempo aveva un apparato militare ed uno economico”.

“Le logge massoniche nel nostro paese, prosegue l’autorevole penalista su Antimafia 2000 del 2018 – hanno una storia di potere incommensurabile. Pertanto, niente di quanto accade a livello politico è estraneo al lavoro surrettizio, confidenziale, segreto, dietro le quinte, della massoneria. Questo ci porta ad una prima conclusione: indubbiamente la massoneria ha messo da parte i partiti tradizionali, che si dimostravano inefficaci nella loro tabella di marcia.

Il Frente Amplio si trasformò nello strumento più efficace della realizzazione dei loro programmi. I partiti tradizionali, invece, non erano mai riusciti a dominare il sindacato, un elemento importante nella tradizione storica di questo paese. Le logge massoniche notarono che, una volta caduta l’Unione Sovietica, una volta che questa gente rimase senza un posto dove poter trarre vantaggio, sarebbero state disposte a rivedere tutto riguardo al potere imperiale anglosassone e occidentale”. “Mujica, tra altre cose, secondo me è un individuo che incoraggia il consumo di droga. Il governo è stato nefasto, il governo di Mujica si è caratterizzato per aver depredato fondi pubblici per distribuirli tra gli amici dell’organizzazione”. Fu il suo governo a legalizzare la droga, prima ancora l’aborto e infine i matrimoni omosessuali.

Infine, conclude: “lui poteva dare anche tutto lo stipendio senza problemi, perché è stato tanto grande il saccheggio e il furto che ha fatto l’organizzazione che lui gestiva e che dietro le quinte poteva ricevere milioni di dollari”. Non parrebbe un santone francescano amico dei poveri e dei lavoratori, anzi un comunista corrotto e senza scrupoli, che ha saputo ingannare il suo popolo, manipolando ad arte l’informazione, che se libera, pur ponendo degli interrogativi su una verità che, forse emergerà o non sapremo mai, ma quantomeno sarebbe da raccontare. Così, per metter tutto sul piatto della bilancia.

Fonte: https://www.marcotosatti.com/

Silvia Sardone, sotto scorta, sconcertata perché “la sinistra è sempre dalla parte sbagliata della storia”

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di Matteo Castagna

Silvia Sardone, milanese doc, ha sempre dimostrato di avere parecchia determinazione in tutte le sue battaglie politiche. Laureata con pieni voti in Giurisprudenza all’università commerciale Luigi Bocconi, successivamente, mentre svolge il praticantato presso uno studio di diritto del lavoro, vince una borsa di studio per un dottorato di ricerca in Relazioni del lavoro presso l’ Università di Modena e Reggio Emilia, che consegue nel marzo 2011. Ottiene in seguito, a pieni voti, anche un master in Business Administration presso il Politecnico di Milano.
Nel giugno 2023 si è sposata con Davide Caparini, leghista della prima ora e amico personale di Umberto Bossi è stato deputato dal 1996 al 2018, mentre dal 2018 al 10 marzo di quest’anno assessore al Bilancio della Regione Lombardia. E’ mamma di due bambini.
 

1. Silvia Sardone, lei è al secondo mandato all’Europarlamento, peraltro con 75.357 preferenze. È la donna italiana più votata e da pochi giorni Vicesegretaria della Lega. Ci parli un po’ di lei e della sua passione per la politica. Come si fa a prendere così tanti voti?

Da eletta, ho iniziato la mia attività politica a 21 anni, in consiglio di zona, ero all’università e già lavoravoNon credo ci sia una ricetta per prendere i voti, se non quella di fare politica per passione in maniera instancabile con grinta e dedizione. Sicuramente la presenza sul territorio è fondamentaleunita anche al lavoro nelle istituzioni e alla comunicazione di quello che si fa. Direi che se dovessi dire una ricetta, questi sarebbero i pilastri per costruire il consenso.

2. Una delle sue battaglie politiche principali è l’immigrazione. Perché è un problema e perché l’Europa è così miope? Cosa può fare in concreto il Parlamento europeo per fermare gli sbarchi e per la sicurezza?

Dobbiamo fare una distinzione tra l’immigrazione regolare e quella irregolare. Le persone che sono sul territorio in maniera regolare, pagano le tasse, rispettano le regole, lavorano e danno il loro contributo non rappresentano un problema, anzi… Il problema è costituito dall’immigrazione irregolare che ha portato solo insicurezza e a dirlo sono anche i tanti stranieri perbene che vivono sul territorio. L’Europa, che anche in occasione delle ultime elezioni ha fatto di tutto per mettere alla porta i cosiddetti partiti sovranisti anti-immigrazione, sembra odiare  stessa: mossa da un desiderio di iper altruismo e buonismo preferisce accogliere indiscriminatamente, anziché rafforzare i propri confini e quindi la propria identità. Innanzitutto l’Ue non dovrebbe mettere i bastoni tra le ruote, con ogni mezzo, ai Paesi che avanzano politiche decise contro l’immigrazione clandestina; dopodiché servirebbe uno snellimento generale delle procedure per l’accoglimento o meno delle domande d’asilo, la creazione di hotspot in Nord Africa, norme più semplici per le espulsioni.

Questo appare un passaggio fondamentale: l’attuale Unione Europea impedisce la re-migrazione in favore di un mondialismo che ha dimostrato di essere un modello socialmente ed economicamente fallimentare. Non è il governo che non vuole espellere, sono le sinistre che sostengono, in Italia e in Europa un terzomondismo business sulla pelle dei popoli.

3. Lei è vittima, spesso, di intimidazioni da parte di odiatori seriali della sinistra. Come reagisce? Avrebbe bisogno della scorta? E il mondo femminile, mi pare stenti a farsi sentire quando la vittima è una donna non di sinistra. Perché? Riceve almeno in privato un po’ di solidarietà da qualche paladina dei diritti violati? Se sì ci fa uno o più nomi?

Sono sotto scorta ormai da oltre un anno per le minacce che ricevo quotidianamente da persone di fede islamica e non solo che non digeriscono il mio essere libera. Di femminista non ne ho vista né sentita mezza darmi supporto, anzi spesso si dice che vado a cercarmele… Il silenzio delle donne del Pd è sconcertante. Battersi per i diritti delle donne velate e sottomesse da genitori, mariti e fratelli significa andare a cercarsele? Stiano tutti tranquilli: continuerò le mie battaglie a testa alta, senza paura di attacchi e minacce. In questo si dimostra la tenace battagliera di sempre.

4. Quanto conta la fede cattolica nel suo vivere la politica? Come vedono a Bruxelles una donna, della Lega, e pure di profonda formazione cattolica?

Io ho fatto la catechista e sono cristiana. A prescindere da questo credo che sia necessario tutelare le nostre tradizioni, i nostri valori. L’Europa o è cristiana, o non è, e non si possono negare le origini spirituali millenarie del nostro continente. Sono anche convinta che tutte le volte che indietreggiamo su ciò che siamo, una cultura più forte ed identitaria come quella musulmana si diffonda e ci sottometta e io non voglio finire sottomessa all’Islam. A Bruxelles c’è un quartiere come Molenbeek, dove non si vedono donne se non con il velo islamico, accompagnate da un uomo per uscire di casa. È questo il futuro che vogliamo per l’Europa?

5. Lei ha scritto un post ricordando che il compare di Ramy è stato arrestato per spaccio. Lo stesso galantuomo che veniva difeso dalla sinistra…non è un po’ politicamente da Tafazzi l’atteggiamento di certa sinistra?

Assolutamente sì. La sinistra sta sempre dalla parte sbagliata e il caso Ramy è stato emblematico di tutto ciò. Carabinieri messi alla gogna senza passare nemmeno dal via e strenua difesa di chi non si era fermato al loro alt mettendo in pericolo la vita di chiunque li incontrasse lungo la loro fuga. Ma alla fine il tempo è sempre galantuomo e ristabilisce verità e giustizia.

6. Temi etici. C’è una confusione voluta tra diritti e desideri? La famiglia cos’ è? Aborto, eutanasia, utero in affitto. Decide l’Europa? Lei come la pensa e cosa farete per contrastare il pensiero unico?

La famiglia è il primo pilastro della civiltà ed è dove c’è amore. Incondizionato. La pratica dell’utero in affitto è ignobile già nel suo stesso nome e il governo di centrodestra l’ha resa giustamente reato universale. Sui temi etici non deve decidere l’Europa, ma i singoli Stati. Il pensiero unico è il pensiero comunista. Lo contrasteremo facendo politica. Fuori dalla mia classe alle elementari c’era scritto “ognuno è unico ed irripetibile”. In alcune scuole c’è scritto “siamo tutti uguali”. Preferisco la mia

7. Geopolitica. Come vede il contesto internazionale? I “volenterosi” sono un aiuto o un ostacolo alla pace? E su Gaza la può spendere una parola? 

I volenterosi con alcune dichiarazioni sembrano di più rappresentare un ostacolo alla pace, anzi con qualche tono sembrano alimentare la prosecuzione della guerra invece di spingere sulla pace. Pensare di inviare truppe dei vari eserciti in Ucraina è pura follia, a meno che non si voglia cominciare il terzo conflitto mondiale. Quanto a Gaza, finché esisterà Hamas la parola pace sarà un’utopia. Israele resta l’unica democrazia del Medio Oriente e ha reagito a un attacco terroristico. Bisogna essere chiari: un conto è la Palestina, un conto è l’organizzazione terroristica di Hamas. Dopo di che è ovvio che bisogna lavorare per la pace perché è inaccettabile anche solo un morto per le guerre. Questo concetto andrebbe indirizzato ai guerrafondai che abbiamo anche in Europa. 

8. È sugli stessi scranni con il gen. Vannacci. Com’ è nel gruppo Lega? Si è ben integrato? Lei ha un buon rapporto, nel senso che ha punti di contatto con il suo pensiero? 

Con Roberto stiamo lavorando bene in Europa e in generale sui territori: è una persona molto intelligente e preparata, non avevo dubbi si sarebbe integrato nella famiglia della Lega. Con lui condivido la lotta all’immigrazione clandestina, la difesa delle nostre tradizioni e l’opposizione all’ideologia woke. Abbiamo storie diverse ma tanti punti in comune: ognuno fa il suo percorso, per il bene degli italiani e della Lega.

9. Pronostici. Cosa si aspetta di portare a casa per i suoi tanti elettori e cosa vorrebbe fare ma la burocrazia di Bruxelles e la UE la fermano?

In Europa sono capogruppo dei Patrioti nella commissione ambiente. Combatto quotidianamente contro l’ideologia green che per esempio su automobili e case da adeguare è letteralmente una bomba a mano che minaccia centinaia di migliaia di famiglie e posti di lavoro. Procedere per rinvii, come si sta facendo, serve solo a posticipare il problema senza risolverlo. Il Green Deal va abbattuto. L’Ue vuole governare il mercato senza capire la portata delle conseguenze per i cittadini: tutto ciò non solo è assurdo ma è anche profondamente antidemocratico. Il rispetto per l’ambiente non si discute ma deve altresì conciliarsi col tessuto economico dei singoli Paesi: se in Europa tutti girano in auto elettrica ma in Cina e in India non riducono le emissioni, a cosa serve essere green se non a essere più poveri?

Fonte: https://www.affaritaliani.it/

Verona nei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni

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La città di Verona appare una sola volta nei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni. Il nome della città fa capolino nel Capitolo XVII. Siamo nel 1628, e Verona è ancora parte dei possedimenti di terra della repubblica di Venezia e ci troviamo a due anni da una nuova ondata di peste bubbonica, che distruggerà quel fragile mondo.

Il capitolo inizia con Renzo Tramaglino a Gorgonzola, in fuga da Milano, dove aveva sfiorato l’arresto e l’impiccagione da parte delle autorità spagnole:

Basta spesso una voglia, per non lasciar ben avere un uomo; pensate poi due alla volta, l’una in guerra coll’altra. Il povero Renzo n’aveva, da molte ore, due tali in corpo, come sapete: la voglia di correre, e quella di star nascosto: e le sciagurate parole del mercante gli avevano accresciuta oltremodo l’una e l’altra a un colpo.

Renzo era stato messo in mezzo all’assalto al Forno delle Grucce ed era diventato il ricercato numero uno dalle autorità milanesi e per questo motivo era combattuto tra il desiderio di correre e di star nascosto. Decise di mettersi in cammino verso il fiume Adda, che allora segnava il confine con lo Stato Veneziano, dove aveva un parente, Bortolo Castagneri, che lavora in una filanda da quelle parti. Trovò un barcaiolo che lo traghettò e poi, sentendosi libero, spese gli ultimi soldi che aveva in tasca per mangiare e poi lasciò il resto a una famiglia di povera gente che stava morendo di fame fuori da un’osteria.

Il pezzo dei Promessi Sposi che parla di Verona

Finalmente incontrò il suo parente, che lo aiutò, anche se gli disse che il momento non era dei migliori:
– L’ho detto io della Provvidenza! – esclamò Renzo, stringendo affettuosamente la mano al buon cugino.
– Dunque, – riprese questo, – in Milano hanno fatto tutto quel chiasso. Mi paiono un po’ matti coloro. Già, n’era corsa la voce anche qui; ma voglio che tu mi racconti poi la cosa più minutamente. Eh! n’abbiamo delle cose da discorrere. Qui però, vedi, la va più quietamente, e si fanno le cose con un po’ più di giudizio. La città ha comprate duemila some di grano da un mercante che sta a Venezia: grano che vien di Turchia; ma, quando si tratta di mangiare, la non si guarda tanto per il sottile. 
Ora senti un po’ cosa nasce: nasce che i rettori di Verona e di Brescia chiudono i passi, e dicono: di qui non passa grano.

Che ti fanno i bergamaschi? Spediscono a Venezia Lorenzo Torre, un dottore, ma di quelli! È partito in fretta, s’è presentato al doge, e ha detto: che idea è venuta a que’ signori rettori? Ma un discorso! un discorso, dicono, da dare alle stampe. Cosa vuol dire avere un uomo che sappia parlare! Subito un ordine che si lasci passare il grano; e i rettori, non solo lasciarlo passare, ma bisogna che lo facciano scortare; ed è in viaggio. E s’è pensato anche al contado. Giovanbatista Biava, nunzio di Bergamo in Venezia (un uomo anche quello!) ha fatto intendere al senato che, anche in campagna, si pativa la fame; e il senato ha concesso quattro mila staia di miglio. Anche questo aiuta a far pane. E poi, lo vuoi sapere? se non ci sarà pane, mangeremo del companatico. Il Signore m’ha dato del bene, come ti dico. 

Non è mai esistito un nunzio Biava a Venezia, e qui il Manzoni deve aver dismesso i panni dello storico per indossare quelli del romanziere.

Questo vale pure per quel Lorenzo Torre mandato dai bergamaschi a Venezia per impedire l’imposizione di dazi da parte di Verona e Brescia sulle granaglie sbarcate a Venezia e dirette nella bergamasca. Un segno di mai sopito campanilismo, pur essendo tutti parte dello stesso stato veneziano. Forse l’ispirazione al Manzoni gli venne leggendo qualcosa di Lorenzo Da Torre (1699-1766) un ecclesiastico, giurista, storico di origine friulana, ma venuto subito dopo il periodo storico dei Promessi Sposi.

Fonte: https://www.giornaleadige.it/2025/05/15/verona-promessi-sposi-manzoni/

”Mujica è stato ed è un delinquente…” – 1/2

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di Giorgio Bongiovanni

Montevideo – Uruguay. Dicembre 2017“Mujica è stato ed è un delinquente”. Queste le parole usate dall’avvocato Gustavo Salle riguardo il noto presidente uruguaiano, José “Pepe” Mujica. Gustavo Salle è uruguaiano e avvocato penalista di nota esperienza. È un uomo molto conosciuto a livello mediatico, molto colto, istruito e grande conoscitore della politica internazionale. In Uruguay è noto per le sue indagini e denunce contro fatti di corruzione, dentro e fuori lo Stato. È stato uno dei primi ad innalzare la bandiera contro la figura di “benefattore” che i mezzi di comunicazione uruguaiani ed internazionali hanno cucito addosso all’ex presidente della repubblica. Salle, membro fondatore e allo stesso tempo critico del Frente Amplio (partito al governo), oggi è parte accusatrice e promotore dell’indagine che coinvolge l’ex presidente Mujica e il suo partito, colpevoli, secondo l’accusa, di aver raccolto fondi per il finanziamento politico attraverso rapine e atti criminali dopo la dittatura dei militari, cioè in piena democrazia.
Diverse volte si sono alzate delle voci che contrastavano la grande immagine di Mujica che la sinistra uruguaiana aveva costruito a livello internazionale.
Gli incontri tra Mujica e George Soros o David Rockefeller, i permessi di sfruttamento minerario concessi a grandi multinazionali, contratti firmati con loro alle spalle del popolo, leggi create “su misura” a vantaggio dei grandi capitali, l’istallazione di impianti di cellulosa (uno è il più grande al mondo), l’inquinamento delle acque e l’indifferenza e insensibilità, dimostrata in  diverse occasioni, per quanto riguarda le indagini sui casi di violazione dei Diritti Umani da parte di militari e polizia e la ricerca di desaparecidos seppelliti in caserme militari, oscurano (e hanno oscurato) gradualmente l’immagine e la gestione del “presidente più povero del mondo”.
Ma Gustavo Salle va oltre e lancia dure accuse contro il governo dichiarando di essere in possesso di prove presentate in più occasioni dinnanzi alle procure corrispondenti.
È Gustavo Salle un Don Chisciotte? Un giustiziere? È Mujica un “delinquente”? Una marionetta al servizio di grandi poteri? Oppure un ingenuo? Un combattente sociale?
A voi, cari lettori la risposta.

L’intervista
Secondo l’opinione pubblica italiana, così come quella europea, in Uruguay, negli ultimi dieci/quindici anni si è stabilizzata la democrazia dopo essersi liberato dalla dittatura, a cui sono succeduti i governi di sinistra. Eppure le statistiche ci dicono che la povertà e la disoccupazione sono in aumento, la corruzione non è finita nonostante i governi di sinistra e le promesse dei grandi statisti come Pepe Mujica. In Italia questo personaggio gode di grande fama ed è considerato un benefattore del suo popolo, su di lui sono stati pubblicati vari e importanti articoli, è stato invitato a tenere conferenze e gli hanno assegnato onorificenze per essere stato “il presidente dei poveri, il governo dei cittadini”. Ma con il suo governo cos’è cambiato?
Devo prima fare una puntualizzazione fondamentale: Mujica è un delinquente; è stato un delinquente con una determinata posizione ideologica politica e poi, dopo un evento traumatico a livello internazionale inevitabile, come l’implosione del socialismo reale, c’è stato un cambio nella sua posizione ideologica, filosofica e politica. Dal punto di vista pratico, Mujica è stato forse uno dei personaggi più nefasti della storia dell’Uruguay. Se Mujica non fosse nato, l’ Uruguay non avrebbe patito tante sofferenze nel passato e nel presente.
Da un punto di vista politico e ideologico Mujica è un traditore, un individuo assolutamente incongruente. Nel decennio tra il ’60 e il ‘70 – soprattutto nel secondo periodo- ci sono i primi segnali di una rivoluzione armata. Il sistema politico del paese era formalmente democratico, funzionavano i partiti, gli apparati politici, inclusi quelli di estrema sinistra. In quel momento, stava nascendo un movimento per arrivare al governo per mezzo della lotta armata: una vera follia.

Prima della dittatura?
Sì, la dittatura era un fenomeno estraneo a Mujica ed ai tupamaros. Non aveva niente a che fare con loro. È una questione di carattere regionale con dei connotati economico-finanziari, non tanto militari. E quando uno vede gli sviluppi della storia si chiede fino a che punto questi individui non furono gli agenti catalizzatori di quel processo che derivò dai golpe militari, per segnare un processo di carattere politico-finanziario-culturale-sociale o implementato dai centri di potere. Per poter capire come funziona la politica a livello globale – non solo in questo piccolo paese, ma anche in grandi paesi come Stati Uniti, Germania, Francia, Italia – dobbiamo identificare gli attori protagonisti che sono dietro le quinte, che non sono quelli noti alla gente comune. Mi riferisco alle grandi corporazioni, alle grandi logge, alle grandi organizzazioni criminali. È lì che si trova il potere reale. Altra cosa è il potere formale, quello che si affaccia sul palco davanti al popolo. Quanto più degradata è la cultura, l’intellettualità, la capacità di astrazione degli esseri umani che formano il conglomerato sociale, più semplice è il lavoro di questi centri di potere per ingannare il popolo. Per questo motivo faccio una distinzione tra democrazia formale, che è quella contemplata da un punto di vista rigorosamente di forma, nella Costituzione, nella legge, e quella reale. Quest’ultima non esiste, nè in Uruguay, né in Italia, e nemmeno negli Stati Uniti. Se abbiamo chiaro questo concetto, è fondamentale rendersi conto che gli apparati politici sono degli strumenti di questi gruppi economici, che hanno un denominatore comune: sono gruppi criminali senza moralità, la cui unica finalità è il lucro, l’arricchimento. Importando quella macro visione in Uruguay, Mujica si è convertito in un elemento di laboratorio. Io dico sempre che l’Uruguay è un laboratorio sociologico.

Di quale epoca stiamo parlando?
Dal momento in cui Mujica venne eletto prima senatore e poi presidente della Repubblica iniziò a trasformarsi in un elemento di laboratorio in elaborazione. Era un individuo con un trascorso da guerrigliero, e ciò catturava l’attenzione e la simpatia dei settori di sinistra, che nel paese erano importanti perché quelli tradizionali erano già molto screditati. Allo stesso tempo aveva un apparato militare ed uno economico. La campagna elettorale di Mujica, sulla quale si sta indagando, fu finanziata da bande dedite a reati comuni, ma allora questo personaggio serviva come leader e facilitatore. Allo stesso tempo, Mujica portava una controcultura, era cioè l’immagine di tutto ciò che si confrontava con la cultura tradizionale, con l’intellettualità che aveva caratterizzato l’Uruguay negli anni ’50 e ’60. È quello che qui conosciamo come “chabacano”, l’individuo che cerca di portare ogni cosa ad un bassissimo livello, non a quello popolare.
Lui ci è riuscito con il suo governo, con un discredito totale, decadenza del sistema educativo, della controcultura, dei valori. Se analizziamo l’influenza di José Mujica, vediamo che è stata perversa, negativa  in qualsiasi ambito. Ma la cosa più importante forse è che per il suo passato da guerrigliero in un’organizzazione al margine della legge, lui, dal governo, con quel pragmatismo, con quella conoscenza delle organizzazioni criminali, ha architettato ed inserito nel governo una vera organizzazione a delinquere. Nel nostro Paese il crimine organizzato è il Governo: è Tabaré Vázquez, il ministro Carolina Cosse, il ministro Rossi, il ministro Astori. Sono loro a tratteggiare i grandi crimini multimilionari in dollari contro il popolo ma, allo stesso tempo, attraverso dei meccanismi legali, come segnalava il Dr. Viana (intervistato assieme a Salle, ndr) sono riusciti ad eliminare totalmente il Potere Giudiziario, a fare un colpo di stato tecnico – come io lo definisco – ed avere un individuo – militante del Partito Comunista – incaricato di questa macchina di impunità rappresentata dal servizio decentralizzato della Procura Generale.

Mujica, come Huidobro, viene da una storia reale o apparente, di persecuzione, di prigionia e torture?
Questo è in discussione.

La destra, il partito colorato e quello bianco, i grandi partiti che sempre hanno avuto il potere in questo Paese, le logge massoniche, di fronte a una grande contraddizione come quella che ci segnala, come si sono mossi? Sono scesi a patti, hanno finanziato questo fenomeno? Perché le logge massoniche uruguaiane – come avviene anche in Italia – sono o sono state potentissime in questo Paese.
Effettivamente le logge massoniche nel nostro paese hanno una storia di potere incommensurabile. Pertanto, niente di quanto accade a livello politico è estraneo al lavoro surrettizio, confidenziale, segreto, dietro le quinte, della massoneria. Questo ci porta ad una prima conclusione: indubbiamente la massoneria ha messo da parte i partiti tradizionali, che si dimostravano inefficaci nella loro tabella di marcia. Il Frente Amplio si trasformò nello strumento più efficace della realizzazione dei loro programmi. I partiti tradizionali, invece, non erano mai riusciti a dominare il sindacato, un elemento importante nella tradizione storica di questo paese. Le logge massoniche notarono che una volta caduta l’Unione Sovietica, una volta che questa gente rimase senza un posto dove poter trarre vantaggio, sarebbero state disposte a rivedere tutto riguardo al potere imperiale anglosassone e occidentale. È qui che nasce la famosa frase di Tabaré Vázquez sull’”impero buono”. Perchè quando non erano al governo, e non ricevevano le tangenti degli Stati Uniti, c’era l’”impero brutto”. Poi quando hanno messo da parte i partiti tradizionali che intascavano le tangenti e hanno cominciato ad essere loro funzionali all’impero ad a essere ripagati allora l’impero è diventato buono. Tutto in pochi  mesi. Esemplare ed oscena è stata la trasformazione del Dr. Tabaré Vázquez: attorno al giugno 2004, durante un discorso a Minas de Corrales, Vázquez condannava gli impianti di cellulosa perché erano inquinanti e il loro trasferimento dall’Europa all’America latina. Sono bastati pochi mesi e la vittoria alle elezioni perchè Vázquez si mostrasse a favore di nuovi impianti. Infatti oggi ci troviamo con l’istallazione di un terzo impianto di UPM. Un contratto tra UPM ed il governo di Vázquez  che con il Dr. Enrique Viana abbiamo denunciato penalmente per essere l’oggettivazione di un commercio basato su tangenti con le quali il privato è riuscito a corrompere il funzionario pubblico. La prova è il contratto stesso: le ineguaglianze, la mancanza di reciprocità degli obblighi, l’abusivismo, un contratto vile per il popolo uruguaiano.
I partiti tradizionali sono stati messi da parte perché il Frente Amplio ha i suoi agenti nel PIT CNT (si riferisce alla centrale dei lavoratori, ndr) un’agenzia del governo incaricata di vendere la classe operaia.  Si può dire che è il braccio estorsivo. Quando Mujica e Vázquez si incontrano personalmente con Soros, o Rockefeller il PIT CNT è la loro lettera di presentazione per negoziare. Oggi il Frente Amplio è già al governo per la terza volta e probabilmente lo sarà per una quarta. Dal punto di vista ideologico, politico, filosofico, non c’è differenza. È quello che noi chiamiamo il “PUNOM” Partito Unico del Nuovo Ordine Mondiale. Non importa chi governi, loro rispetteranno l’agenda disposta dalle grandi corporazioni internazionali. Alcuni funzionari che erano sotto il presidente Sanguinetti  oggi stanno lavorando nella Presidenza della Repubblica con delle cariche molto importanti, come ad esempio il segretario della presidenza Miguel Toma.

 

Fonte: https://www.antimafiaduemila.com/home/terzo-millennio/256-estero/68554-mujica-e-stato-ed-e-un-delinquente.html

Quel che dovrebbe fare un Papa secondo sant’Alfonso Maria de’ Liguori

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di Altaterradilavoro

Dopo la morte di papa Clemente XIV (1769-1774) si stava preparando il conclave che avrebbe dovuto eleggere il suo successore. Alfonso Maria de Liguori, allora vescovo di Sant’Agata dei Goti e già molto stimato negli ambienti della curia romana (si ricorda che assistette papa Clemente XIV sul letto di morte e partecipò ai suoi funerali in bilocazione perché non lasciò mai la sua diocesi), venne contattato dal suo amico Cardinale Castelli che gli chiese di scrivere una lettera al riguardo dei provvedimenti che avrebbe dovuto prendere il nuovo Papa per riformare la Chiesa afflitta dal rilassamento generale. Riportiamo qui di seguito la lettera alfonsiana.

«Amico mio e Signore, circa il sentimento che si desidera da me intorno agli affari presenti della Chiesa e circa l’elezione del Papa che sentimento voglio dar io miserabile ignorante, e di tanto poco spirito qual sono? Dico solo che vi bisognano orazioni e grandi orazioni, mentre, per sollevare la Chiesa dallo stato di rilassamento e confusione in cui si trovano universalmente tutti i ceti, non può darvi rimedio tutta la scienza e prudenza umana, ma vi bisogna il braccio onnipotente di Dio.

Tra’ vescovi, pochi sono quelli che hanno vero zelo delle anime. Le comunità religiose quasi tutte, e senza quasi, sono rilassate; poiché nelle religioni, nella presente confusione delle cose, L’osservanza è mancata e l’ubbidienza è perduta.

Nel clero secolare vi è di peggio: onde vi è necessità precisa di una riforma generale per tutti gli ecclesiastici, per indi dar riparo alla grande corruzione de’ costumi, che vi è ne’ secolari. E perciò bisogna pregar Gesù Cristo che ci dia un Capo della Chiesa, il quale, più che di dottrina e di prudenza umana, sia dotato di spirito e di zelo per l’onore di Dio, e sia totalmente distaccato da ogni partito e rispetto umano; perché se mai, per nostra disgrazia, succede un Papa che non ha solamente la gloria di Dio avanti gli occhi, il Signore poco l’assisterà, e le cose, come stanno nelle presenti circostanze, andranno di male in peggio. Sicché le orazioni possono dar rimedio a tanto male, con ottenere da Dio che egli vi metta la sua mano e dia riparo…

Aggiungo: Amico, anch’io desidererei, come V. S. Ill.ma, vedere riformati tanti sconcerti presenti; e sappia che su questa materia mi girano mille pensieri nella mente, che bramerei di farli noti a tutti; ma rimirando poi la mia meschinità, non ho animo di farli comparire in pubblico, per non parere ch’io volessi riformare il mondo. Le partecipo non però con confidenza, per mio sfogo, i miei desideri.

Bramerei primieramente che il Papa venturo (giacché ora mancano molti Cardinali che si han da provvedere) scegliesse, fra quelli che gli verranno proposti, i più dotti e zelanti del bene della Chiesa, ed intimasse preventivamente a’ Principi, nella prima lettera in cui darà loro parte della sua esaltazione, che, quando gli domanderanno il Cardinalato per qualche loro favorito, non gli proponessero se non soggetti di provata pietà e dottrina; perché altrimenti non potrà ammetterli in buona coscienza.

Bramerei inoltre che usasse fortezza in negare più benefizi a coloro che stanno già provveduti de’ beni della Chiesa, per quanto basta al loro mantenimento secondo quel che conviene al loro stato. Ed in ciò si usasse tutta la fortezza avverso gl’impegni che s’affacciano.

Bramerei, di più, che s’impedisse il lusso nei prelati, e perciò si determinasse per tutti (altrimenti a niente si rimedierà) si determinasse, dico, il numero della gente di servizio, giusta ciò che compete a ciascun ceto de’ prelati: tanti camerieri e non più; tanti servitori e non più; tanti cavalli e non più; per non dare più a parlare agli eretici. Di più, che si usasse maggior diligenza nel conferire i benefizi solamente a coloro che han servito la Chiesa, non già alle persone particolari.

Di più, che si usasse tutta la diligenza nell’eleggere i vescovi (da’ quali principalmente dipende il culto divino e la salute dell’anime) con prendersi da più parti le informazioni della loro buona vita e dottrina necessaria a governare le diocesi; e che, anche per quelli che siedono nelle loro chiese, si esigesse da’ metropolitani e da altri, segretamente, la notizia di quei vescovi, che poco attendono al bene delle lor pecorelle.
Bramerei ancora che si facesse intendere da per tutto che i vescovi trascurati, e che difettano o nella residenza o nel lusso della gente che tengono al loro servizio, o nelle soverchie spese di arredi, conviti e simili, saranno puniti colla sospensione o con mandar vicari apostolici a riparare i loro difetti; con darne l’esempio da quando in quando, secondo bisogna.

Ogni esempio di questa sorta farebbe stare attenti a moderarsi tutti gli altri prelati trascurati. Bramerei ancora che il Papa futuro fosse molto riserbato nel concedere certe grazie che guastano la buona disciplina; come sarebbe il concedere alle monache l’uscir dalla clausura per mera curiosità di vedere le cose del secolo, il concedere facilmente a’ religiosi la licenza di secolarizzarsi, per mille inconvenienti che ne vengono.

Sovra tutto desidererei che il Papa riducesse universalmente tutti i religiosi all’osservanza del loro primo Istituto, almeno nelle cose più principali.

Or via, non voglio più tediarla. Altro non possiamo fare che pregare il Signore, che ci dia un Pastore pieno del suo spirito, il quale sappia stabilir queste cose da me così accennate in breve, secondo meglio converrà alla gloria di Gesù Cristo».

 

Fonte: https://www.altaterradilavoro.com/quel-che-dovrebbe-fare-un-papa-secondo-santalfonso-maria-de-liguori/

La donazione di Trump per influenzare il Conclave? 14 milioni per tirare la volata a Prevost

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L’assegno staccato in occasione del funerale di papa Francesco. Il tycoon punta sull’attività negoziale del cardinale americano Dolan

Città del Vaticano, 8 maggio 2025 – Dollari, dollari e ancora dollari. Sembra quasi un déjà-vu rispetto al Conclave del 1922 quando furono proprio i dollari americani a salvare la realizzazione dell’elezione del Papa. In quel caso, dopo quattordici scrutini, venne eletto papa il cardinale Achille Ratti, che prese il nome di Pio XI.

Che il Vaticano sia in deficit non è una novità ma certo è stato ben accolto l’assegno di 14 milioni di dollari staccato da Donald Trump in occasione del funerale di Papa Francesco, quando ha avuto il colloquio a quattr’occhi con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.

Una donazione molto generosa per un Vaticano che ha un deficit di circa 70 milioni di euro e che tira la volata a qualche candidato gradito proprio al presidente americano che è pur sempre impegnato in un grande sforzo di pacificazione mondiale.

Un’interferenza, un’indebita intromissione, un possibile caso di simonia? Le domande sono legittime, ma storicamente gli Stati Uniti sono insieme con la Germania tra i maggiori contributori della Santa Sede. Un’organizzazione che non vive del gettito fiscale, ma di una serie di entrate che puntano appunto sulle donazioni in primis e poi sui biglietti dei Musei Vaticani, concessione italiana ai tempi dei Patti Lateranensi.

Donald Trump, che è già stato in Vaticano come presidente degli Stati Uniti al primo mandato, sa come funzionano le cose di mondo. D’altronde anche nelle campagne presidenziali americane generosi donatori finanziano i possibili presidenti. E certo si tratta di una bella mano per un Vaticano che sta affrontando le spese extra e ingenti proprio del conclave, con il personale in pensione richiamato a mille euro per assistere la sicurezza, il servizio d’ordine, con le ingenti spese dei rifacimenti delle stanze di Santa Marta con nuove suppellettili e arredi di prim’ordine. Quando venne nel corso del suo primo mandato, Donald Trump fu accompagnato dalla moglie Melania che si aspettava da Jorge Mario Bergoglio una donazione per la sua Fondazione a sostegno dei bambini. Un vero equivoco: a sua volta il Vaticano si aspettava una donazione per il Bambino Gesù, l’ospedale che a Roma accoglie bambini malati e incurabili da tutto il mondo. Non se ne fece nulla e rimase molta ruggine.

Ma ora Francesco è morto, gli Stati Uniti rispolverano l’antica alleanza con il Vaticano (Pio XII temeva il rapimento da parte dei nazisti e per questo firmò una preventiva lettera di dimissioni che avrebbe invalidato un rapimento) e Trump ha un alleato di ferro nel Conclave come il cardinale di New York, Timothy Dolan. Non un papabile, ma un king maker. Uno che può dire la sua con una certa influenza.

In questi giorni Dolan, nelle sue stanze del Pontificio collegio americano vista Cupolone di San Pietro, ha avuto diversi incontri, colloqui. Probabilmente a favore del cardinale statunitense ma spendibile anche nel Sudamerica, Francis Prevost. Su di lui ci sarebbe stata in queste ultime ore una convergenza degli americani. Tra Nord, Sud e Centro America, un bel pacchetto di voti.

Ci vorrebbe un papa credente

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di Marcello Veneziani

Ma tu chi vorresti come Papa? È un toto-scommessa globale, l’Italia si scopre un popolo di vaticanisti della domenica; impazzano pronostici, dietrologie e papalipomeni, per parafrasare il titolo di un poemetto ironico di Giacomo Leopardi. I criteri per la scelta sono sommari e somatici, facciali e vocali; basta una battuta, una diceria su di uno o contro l’altro, o semplicemente la schedatura dei media, il papometro, per promuovere o bocciare un papa. Al vaticanista del terzo piano piace la sinistra perciò vuole un papa progressista, non è importante che sia cattolico; e sui media impazza l’offerta di due papi dem e italiani al prezzo di uno. Al vaticanista del piano di sotto, invece, piaceva Ratzinger, piacciono quelli della Tradizione, e via a cercare il papa giusto, magari un po’ meloniano. Ce ne sono anche qui un paio, di papi neri ma in questo caso si dovrebbe dire proprio negri per non confondere con un papa gesuita o addirittura un papa fascista. E altri più defilati. Poi c’è il papa sorteggiato alla Fiera campionaria, che risponde a quesiti etnico-turistici: per qualcuno stavolta ci vorrebbe un bel papa asiatico, magari cinese, quantomeno coreano. No, meglio africano, perché loro stanno peggio di tutti; eppure sarebbe un bel colpo un papazzo americano, magari anti-Trump, che scomunica chi mette i dazi e reputa peccato mortale baciare i deretani dei potenti, così il mainstream è contento. C’è chi la butta sull’anagrafe e chiede un Papa giovane, in salute, aitante, che guidi la sua papamobile e giochi a tennis con le guardie svizzere, in modo da non vivere più tra pontefici cagionevoli, assistiti e malridotti; un papa palestrato più che ospedaliero. Già, ma poi la Chiesa che fine fa, se il papa dura in carica mezzo secolo? Si riduce a una Monarchia Assoluta e Perpetua, diventa ereditaria, il Vicario diventa Titolare?

C’è chi invece punta sulla competenza e la specializzazione, un papa al passo dei tempi, magari indicato da Chat gbt prima che dallo Spirito Santo. Che so, un papa scienziato, un papa influencer, un papa manager, un papa partigiano, un papa attore globale o artista di strada, un papa trans o simili, come suggeriva il film…

Per taluni anche il papa se vuol essere davvero universale, cioè di tutti, deve seguire l’alternanza tra un credente e un laico, o magari dev’essere un fantasista eclettico e sincretico, ebreo-musulmano, con ascendente luterano e segno zodiacale buddista, cuspide shintoista e in transito un po’ induista. Un Papa arcobaleno, basta col bianco o il nero, che sia arancione come i guru, verde come i green, rosso e giallo, insomma di tutti i colori. Pace.

Il mainstream suggerisce ai condomini vaticanisti una parola magica: continuità. L’importante è che sia come Bergoglio, che la pensi come lui e segua la sua scia; e confidano sui vagoni di cardinali che Papa Francesco ha scaricato sul Conclave per garantire proprio quella continuità, che poi vuol dire pure – non dimenticatelo – polizza per la sua santificazione. Vogliono un Papa come Bergoglio che piace più ai non credenti che ai credenti, che sia inclusivo e accogliente, anche se le chiese si svuotano, non accolgono nessuno e i cattolici della tradizione e dell’ordo missae sono esclusi. Un papa green, femminista fino a un certo punto, aperto ai gay (ma non in chiesa, precisava Francesco), che sia neutrale sui temi sensibili e sensibile ai temi ideologici. Che dica pure le sue menate pacifiste, ecologiste e pauperiste, tanto non fermano i guerrafondai, gli avvelenatori del pianeta e i capitalisti; faccia pure le sue critiche a Israele, chi se lo fila, e perfino i suoi affondi sull’aborto e temi sconcertanti, che passeranno anche stavolta inosservati. Un papa così sta bene nel presepe globale, è un personaggio conforme al quadro generale; poi quando dice qualcosa di difforme rispetto allo Spirito del tempo, tutti fanno finta di non sentire. Guai a cambiare, squadra che perde non si cambia, è funzionale all’ateismo galoppante sulla terra, al relativismo, al nichilismo gaio e alla fluidità.

Già, ma tu chi vorresti come papa? Non li conosco abbastanza, i cardinali, per indicarne uno adatto al compito, mi auguro che stavolta lo Spirito Santo faccia la sua parte, venga ascoltato e ben interpretato. Posso solo dirvi come vorrei che fosse.

Innanzitutto vorrei un papa che creda davvero in Dio e se qualcuno pensa che io stia continuando a scherzare, avverto: no, il contrario, da qui in poi sono serio. Non è affatto scontato quel che ho detto; serpeggia una vena di scetticismo e di miscredenza anche in seno alla Chiesa. E la parola serpeggia mi sembra la più adatta. Certo, se uno la fede la perde, o vacilla, non può darsela né può fingere di averla. Ma il primo assoluto requisito che si richiede a un papa è dire, anzi gridare al mondo: Cari voi tutti, Dio esiste, anzi meglio: Dio è. (punto) Tutto ciò che è, è in Dio, Intelligenza dell’Essere. E poi via a rendere chiaro e semplice quel Principio, con le sue Implicazioni e conseguenze. Poi dal Padre scenderà al Figlio e da questo risalirà allo Spirito Santo, che è per un credente-pensante in Dio, la forza che muove l’Universo, spira e ispira.

Vorrei che il papa scommettesse tutto su Dio; poi il resto, l’amore, la santità, la bontà, la carità, la misericordia, il catechismo, vengono di conseguenza, alla Sua luce. Vorrei un papa che esprimesse il Pensiero più Forte e Potente che si possa pensare e dicesse: sono qui per Amor di Dio, ben sapendo che ogni tradizione ha la sua scala per andare verso di Lui. E poiché amo Dio amo tutto ciò che ne discende, ogni essere, in una gerarchia degli esseri e dei beni che va dall’uomo all’animale, dal regno vegetale al regno minerale; o che discende dal cielo alla terra, dal sole alla luna, dalla miriade di stelle ai miliardi d’anni luce.

Vorrei un papa che parlasse nel nome di Dio, senza pretendere di disporre della Verità, inconoscibile per intero anche a lui; e parlasse poi al mondo nel nome della Madonna e dei Santi, e solo dopo nel nome degli uomini, a partire dai poveri e dai malati, ma senza fermarsi a quelli. Il papa dei poveri, almeno nel nostro mondo italiano, europeo e nordoccidentale, sarebbe un papa per la minoranza, perché qui da noi i poveri sono la decima parte della popolazione; e degli altri nove decimi che ne facciamo? Così come il papa dei migranti, rispetto al mondo intero, sarebbe un papa per la minoranza dell’umanità, perché – non mi stancherò mai di dirlo – i migranti sono milioni, i restanti sono miliardi sulla faccia della terra. Cioè chi vive dove è nato, chi resta a casa, nella sua terra, sono la stragrande maggioranza degli otto miliardi di abitanti del pianeta.

Vorrei un Santo Padre che parlasse il linguaggio del sacro, e dunque parlasse attraverso i riti, i simboli, la liturgia, la tradizione, prima che attraverso i discorsi, le battute e i viaggi. Un papa che esprimesse il suo ruolo ieratico e pontificale, cioè di ponte tra l’umano e il divino, e i significati annessi a quel carisma e a quel soglio. Un papa cosciente di parlare a un mondo indifferente, cioè peggio che ostile, refrattario, sordo, cieco e indaffarato, che non sta ad ascoltarlo. Ma il papa non maledirà mai l’umanità distratta, li aspetterà al largo della loro vita, nutrendo fiducia che come tutti i nodi vengono al pettine, così tutti gli esseri tornano all’Essere.

Un papa così non si commissiona su Amazon né nasce dai magheggi dei cardinali maneggioni; lo trova solo lo Spirito Santo. Amen.

 

Fonte: https://www.marcelloveneziani.com/articoli/ci-vorrebbe-un-papa-credente/

L’udienza di San Pio X a Theodor Herzl, fondatore del sionismo

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Il 26 gennaio, 1904, Theodor Herzl ebbe udienza da Papa San Pio X, in Vaticano, per chiedere il suo sostegno allo sforzo sionista di stabilire uno stato ebraico in Palestina.
Questa è la sua versione dell’incontro, registrata nel suo diario.
Fui condotto dal Papa passando per un gran numero di piccoli saloni. Egli mi ricevette in piedi e mi tese la mano, che io non baciai… […] Io gli sottoposi brevemente il mio problema. Egli rispose con tono severo e categorico:
«Noi non possiamo sostenere questo movimento [sionista]. Non potremo impedire agli Ebrei di andare a Gerusalemme, ma in nessun caso possiamo sostenere la cosa. Anche se non è sempre stata santa, la terra di Gerusalemme è stata santificata dalla vita di Gesù Cristo. Come capo della Chiesa io non posso dirvi altro. Gli Ebrei non hanno riconosciuto Nostro Signore, e per questo noi non possiamo riconoscere il popolo ebraico». […]
Ecco, pensai, ricomincia il vecchio conflitto fra Roma e Gerusalemme; lui rappresenta Roma, io Gerusalemme […].
«Ma che dice, Santo Padre, della situazione attuale?» – gli chiesi –
Ed egli mi rispose: «Io so che è spiacevole vedere i Turchi in possesso dei nostri luoghi santi. Siamo costretti a sopportalo. Ma sostenere gli Ebrei perché ottengano essi i luoghi santi è una cosa che non possiamo fare».
Io feci notare che la nostra motivazione era il disagio degli Ebrei, e che intendevamo lasciare da parte le questioni religiose.
«Sì» – mi disse – «ma noi, e in particolare io, come capo della Chiesa, non possiamo farlo». Due sono i casi che possono presentarsi: o gli Ebrei rimangono fedeli alla loro credenza e continuano ad attendere il Messia, che per noi è già venuto; e in questo caso essi negano la divinità di Gesù e noi non possiamo fare alcunché per loro; o essi vanno in quelle terre senza alcuna religione, e in questo caso noi possiamo sostenerli ancora meno. La religione ebraica è stata la base della nostra, ma essa è stata rimpiazzata dalla dottrina di Cristo e da allora noi non possiamo più riconoscere la sua esistenza. Gli Ebrei, che avrebbero dovuto essere i primi a riconoscere Gesù Cristo, fino ad oggi non l’hanno fatto.»
Io stavo per dirgli: «E’ quello che accade in tutte le famiglie. Nessuno è profeta nella sua famiglia», e invece gli dissi: «Il terrore e le persecuzioni non erano certo i mezzi migliori per illuminare gli Ebrei»
E questa volta egli replicò con una semplicità disarmante: «Nostro Signore è giunto senza disporre di alcuna potenza. Era povero. E’ venuto in pace. Egli non ha perseguitato alcuno, ma è stato perseguitato. Anche gli Apostoli lo hanno abbandonato. E’ solo dopo che Egli è cresciuto: è solo dopo tre secoli che la Chiesa è stata stabilita. Quindi gli Ebrei hanno avuto tutto il tempo per riconoscere la divinità di Gesù Cristo senza alcuna pressione esterna. Ma non l’hanno fatto e continuano a non farlo fino ad oggi»
«Ma Santo Padre» – gli dissi – «la situazione degli Ebrei è spaventosa. Io non so se Vostra Santità si rende conto di tutta l’ampiezza di questo dramma. Noi abbiamo bisogno di un paese per i perseguitati».
Ed egli ha replicato: «E questo dev’essere Gerusalemme?»
 «Noi non chiediamo Gerusalemme» – ho replicato – «ma la Palestina, solo il paese profano» Ed egli mi ha risposto: «Noi non possiamo sostenere questa cosa».
«Santo Padre, lei conosce la situazione degli Ebrei?» gli chiesi.
«Sì, l’ho conosciuta a Mantova» – mi ha risposto – «dove vi sono degli Ebrei, D’altronde, io ho sempre avuto delle buone relazioni con gli Ebrei. Recentemente, una sera, sono venuti in visita da me due Ebrei. E’ vero che esistono dei rapporti che si collocano al di fuori della religione: dei rapporti di cortesia e di carità; noi non rifiutiamo agli Ebrei né gli uni né gli altri. Del resto, noi preghiamo per loro, affinché si illumini il loro spirito. Proprio oggi noi celebriamo la festa di un miscredente che, sulla via di Damasco si è convertito in maniera miracolosa al vero credo [San Paolo]. Così, se voi andate in Palestina e lì stabilite il vostro popolo, noi prepareremo delle chiese e dei sacerdoti per battezzarvi tutti».
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