DeepSeek R1: L’avanzata strategica cinese nell’IA open source e le implicazioni per l’equilibrio tecnologico globale

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di Claudio Verzola

In un contesto geopolitico caratterizzato da crescenti tensioni tecnologiche tra Oriente e Occidente, la Cina con Liang Wenfeng ha lanciato DeepSeek R1, un modello di intelligenza artificiale open source sviluppato con risorse limitate ma in grado di rivaleggiare con i sistemi proprietari di OpenAI, Google e Meta. Questo traguardo, raggiunto in soli due mesi e con investimenti ridotti rispetto agli standard occidentali, non rappresenta solo un progresso tecnico, ma un’abile mossa strategica per ridisegnare i rapporti di forza nel settore critico dell’IA.

L’adozione di un modello open source da parte di Pechino ribalta il tradizionale paradigma del controllo centralizzato, tipico delle corporation statunitensi. La pubblica accessibilità del codice di DeepSeek permette a Stati e organizzazioni di studiare, modificare e implementare soluzioni senza dipendere da attori esteri, un fattore cruciale per nazioni come l’Italia che mirano a rafforzare la propria autonomia digitale. In un’epoca in cui i dati sono un’arma strategica, questa apertura riduce il rischio di esposizione a monopoli tecnologici stranieri e facilita lo sviluppo di infrastrutture critiche nazionali, allineandosi agli obiettivi di sicurezza delineati dal PNRR europeo e dalla dottrina NATO sulla cyber-resilienza.

DeepSeek dimostra che l’eccellenza tecnologica non richiede necessariamente capitali illimitati. Con un addestramento ottimizzato e hardware contenuto, il modello cinese sfida la narrazione occidentale secondo cui solo investimenti miliardari garantiscono superiorità nell’IA. Questo approccio low-cost/high-yield potrebbe ispirare alleati degli Stati Uniti, come i Paesi europei, a rivedere le proprie strategie di innovazione, privilegiando efficienza e collaborazione transnazionale rispetto a modelli ipercompetitivi e frammentati.

Il lancio di DeepSeek coincide con un momento di frizione geopolitica acuta, segnato dal ritorno di politiche protezionistiche negli USA e dalle restrizioni all’export di semiconduttori avanzati verso la Cina. Pechino, tuttavia, ha aggirato queste limitazioni puntando sull’ottimizzazione algoritmica e su un ecosistema open source che mobilita risorse globali. Questo modello non solo indebolisce il vantaggio occidentale basato su tecnologie chiuse, ma trasforma l’IA in uno strumento di soft power, attirando Paesi in via di sviluppo alla ricerca di alternative accessibili ai sistemi occidentali.

Le recenti offensive informatiche contro DeepSeek, che hanno ostacolato l’accesso agli utenti occidentali, evidenziano un nuovo fronte di competizione. Sebbene non vi siano prove dirette, è plausibile che tali attacchi riflettano tentativi di sabotaggio da parte di entità legate a interessi concorrenti, in linea con le tattiche di guerra ibrida sempre più comuni nel cyberspazio. La resilienza di DeepSeek a queste minacce sarà un banco di prova per la credibilità del modello cinese come alternativa sicura e affidabile.

La rivalità tra modelli aperti e chiusi affonda le radici nella Guerra Fredda, quando il blocco sovietico e quello NATO perseguivano strategie divergenti nell’informatica. Negli anni ’80, il software libero di Richard Stallman rappresentò una risposta ideologica alla privatizzazione del codice promossa da Microsoft. Oggi, DeepSeek riattualizza questo scontro, posizionando la Cina come paladina di un’IA “democratizzata”, in contrasto con l’oligopolio occidentale. Tuttavia, dietro la retorica collaborativa, Pechino persegue obiettivi chiari: ridurre la dipendenza da tecnologie USA e consolidare la propria influenza tecnologica in aree strategiche come l’Africa e il Sudest asiatico.

Il successo di DeepSeek ha già innescato un terremoto nei mercati: il crollo delle azioni delle Big Tech occidentali riflette timori di un ridimensionamento del loro dominio. Per gli Stati Uniti e gli alleati della NATO, la sfida è duplice:

  • Preservare la leadership tecnologica senza ricadere in una corsa agli armamenti economica insostenibile.
  • Bilanciare sicurezza e apertura, evitando che il controllo sulle esportazioni di IA soffochi l’innovazione interna.

La risposta occidentale dovrà essere coordinata e multifattoriale: potenziamento dei centri di ricerca pubblici, partnership con aziende emergenti e revisione delle politiche di cybersecurity per contrastare le minacce ibride.

DeepSeek non è solo un modello algoritmico, ma un simbolo del riallineamento del potere tecnologico globale. La Cina ha dimostrato che l’open source può essere un’arma efficace per erodere il primato occidentale, combinando pragmatismo economico e visione geopolitica. Per le democrazie liberali, il rischio non è tanto la superiorità tecnica cinese, quanto l’incapacità di adattarsi a un mondo in cui l’IA è sempre più decentralizzata, accessibile e weaponizzata. La partita è aperta, ma una lezione è già chiara: nell’era dell’intelligenza artificiale, la vera potenza non risiede nei chip, ma nella capacità di plasmare gli ecosistemi che li governano.

 

Fonte: https://www.difesaonline.it/evidenza/cyber/deepseek-r1-lavanzata-strategica-cinese-nellia-open-source-e-le-implicazioni

A CAPODANNO UN POLLO IN PENTOLA AD OGNI POVERETTO

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EDITORIALE

di Matteo Castagna per https://www.2dipicche.news/a-capodanno-un-pollo-in-pentola-ad-ogni-poveretto/

Giovannino Guareschi (1908-1968), scrittore, giornalista, umorista, vignettista è il romanziere italiano più letto al mondo, con venti milioni di copie vendute e traduzioni in quaranta lingue, compreso l’eschimese. Non è corretto dare delle etichette di partito a chi non ebbe mai tessere in tasca e ad un intellettuale originale e completo. Ma possiamo definirlo, senza timor di smentita, un anticomunista, cattolico vecchio stampo, allergico agli stereotipi ed al modernismo più becero e arrogante.

Non era ben visto dal potere di ogni colore, perché sapeva dissacrare con intelligenza e fare satira con una sagacia propria delle menti migliori e, nello stesso tempo, con l’umiltà tipica delle sue origini della bassa romagnola.  Alla presentazione della rivista Il Candido, scrisse, con la sua proverbiale ironia: «Qualcuno si ostinerà a voler trovare che Candido ha vaghe tendenze destrorse, il che non è vero per niente in quanto Candido è di destra nel modo più deciso e inequivocabile».

Guareschi sentiva le feste natalizie come qualcosa di sacro, fonte della nostra identità e tradizione, quindi, mentre il Natale era già passato e il nuovo anno non ancora arrivato, la sua fantastica fantasia immaginava don Camillo infervorato dai più bei propositi inventare un piano dettagliato in vista del cenone di San Silvestro: Don Camillo aveva studiato un grandioso programma di festeggiamenti per l’arrivo del nuovo anno. Un programma che era, in verità, molto semplice, in quanto poteva essere riassunto così:

 “A Capodanno, un pollo nella pentola di ogni poveretto”.

E così, don Camillo aveva cominciato il suo giro di raccolta, circa due settimane prima della fine d’anno.

Ogni aia era stata visitata: ogni proprietario, ogni affittuario, ogni mezzadro della parrocchia aveva ascoltato con molta attenzione la parola di don Camillo e nessuno aveva mancato di lodare, alla fine, la nobile iniziativa del parroco.

Disgraziatamente, in molte aie, la moria aveva fatto strage di polli, in altre ancora la poca polleria disponibile era già stata venduta o consumata. Il giorno 30 dicembre don Camillo si trovò ad aver racimolato a stento, oltre i suoi due polletti, sei pollastri il più in carne dei quali pareva lo Smilzo travestito da gallina. E a don Camillo ne occorrevano, come minimo, trenta.

Nobilissimo il programma del prete guareschiano, molto meno nobili le reazioni di chi si era ben guardato dal donare almeno un pollastrello al parroco che, così, va a lamentarsi con il Crocifisso: “Gesù, è credibile tanto egoismo? Cos’è mai un pollo per chi ne ha tanti?” “È un pollo” rispose mestamente il Cristo. Don Camillo spalancò le braccia:

“Gesù” esclamò indignato: “è mai possibile che la gente non comprenda la bellezza di un piccolissimo sacrificio che può procurare così grande gioia?” “Don Camillo, per troppa gente ogni sacrificio è sempre grandissimo, a troppa gente interessa, soprattutto, la propria letizia. E, per troppa gente, il non dare il superfluo è letizia”.

Un’amarissima considerazione, quella del Gesù di “Mondo piccolo”: anche per chi possiede molto, donare il superfluo è un sacrificio troppo grande, mentre il pretone della Bassa, che ha le mani grandi come il suo cuore, vorrebbe che tutti potessero godere almeno di un momento di felicità, nel festeggiare l’anno che inizia.

Ma Guareschi poteva far arrendere don Camillo? E, così, ecco arrivare improvvisamente, la soluzione del problema, pur se in modo non del tutto «canonico»: «[…] don Camillo non intendeva rinunciare al suo programma: “A Capodanno un pollo nella pentola d’ogni poveretto”. Stava rodendosi il fegato per scoprire una qualsiasi soluzione del complicato problema, quando gli si affacciò alla mente una domanda: “Un pollo è un pollo: e sta bene. Però: cos’è un fagiano? Non si potrebbe, per esempio, dire: il fagiano è un pollo che vola?”

Don Camillo concluse che, in fondo, il programma dei festeggiamenti non sarebbe sostanzialmente cambiato se lo slogan invece di suonare: “A Capodanno, un pollo nella pentola d’ogni poveretto” fosse stato puntualizzato in: “A Capodanno, un fagiano nel tegame d’ogni poveretto”».

Servivano la bellezza di ventidue fagiani e, di qui al prendere il piccolo «flobert» per non fare rumore e convincere un nobile cane da caccia come Ful ad accontentarsi dello schioppetto anziché della doppietta, il passo è brevissimo e il parroco, naturalmente infagottato in un pastrano, si ritrova in una riserva di caccia dove: «I fagiani se ne stavano appollaiati sui rami delle piante più basse, quasi completamente rimbambiti.

Erano tre anni che i Finetti si trovavano all’estero e, da tre anni, nessuno aveva sparato una fucilata in tutta la riserva. A ogni “plik” dello schioppetto corrispondeva il tonfo di un fagiano e, pur dovendo perdere un sacco di tempo nella ricarica, don Camillo fece un eccellente lavoro e arrivò al ventunesimo fagiano liscio come un olio. Il ventiduesimo fu quello che gli diede molti dispiaceri.

Ful aveva già dato segno di irrequietezza e ciò significava che qualcosa non funzionava e non si trattava di fagiani o di lepri. Ma don Camillo voleva arrivare ai ventidue polli volanti e disse a Ful di non rompere l’anima e di star tranquillo. Ful obbedì a malincuore ma, proprio mentre don Camillo stava sparando al ventiduesimo fagiano, ebbe uno scatto. Don Camillo capì di aver esagerato, però era troppo tardi. Il guardiacaccia stava arrivando. Buttò lo schioppetto in un cespuglio e, agguantato il sacco coi ventun fagiani, partì a tutta birra».

Occorre dire, qui, che allora i guardiacaccia avevano la maledetta abitudine di impallinare i bracconieri e così, senza pensarci due volte, la doppietta del guardiacaccia sparò. Don Camillo e Ful, sgattaiolati fuori da un buco nella recinzione, si ritrovarono in strada dove, per loro fortuna, stava passando il camion di Peppone che, intuendo la situazione, prese a bordo cane e cacciatore di frodo, portando don Camillo dal vecchio medico di Torricella per farlo «spiombare», prima di recapitarlo in canonica con il sacco del «polli volanti»:

«Uscito Peppone, don Camillo tirò il catenaccio della porta e andò in cantina a sistemare i ventun polli volanti. I quali risultarono in effetti ventidue perché, tra essi, c’era anche un meraviglioso cappone già bell’e spennato e pulito. Ed era quello che Peppone aveva comprato a Torricella per completare il numero».

Tutto bene, dunque? Manca all’appello la voce del Cristo, cui don Camillo confessa il malfatto: «Gesù, il mio cuore è pieno d’angoscia perché mi rendo conto del male che ho commesso.” “No, don Camillo: tu menti. Il tuo cuore è, invece, pieno di gioia perché pensi alla felicità che tu darai domani ai trenta poveretti».

È la vera carità dimostrata da quel Cristo capace di sorridere, l’umanità di Guareschi e il desiderio che, davvero, il Capodanno fosse festa per tutti.

Io che, a volte mi sento un po’ Guareschi, un po’ don Camillo e un po’ Peppone…credo che la morale di questo racconto sia il miglior augurio per un 2025 migliore dell’anno passato.

L’Occidente cambia strategia: Ucraina sempre più sola e negoziati in avvicinamento

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di Matteo Castagna per www.affaritaliani.it 

“Ad un certo punto, i nostri dollari non saranno più utilizzati come valuta di riserva. […] Putin ha detto questa cosa, puoi amarlo o odiarlo, ma ha detto la verità, cioè che prima dell’introduzione delle sanzioni contro la Russia, il 70% di tutte le loro transazioni erano in dollari, e dopo le sanzioni questa percentuale è diventata inferiore al 20%“. Così si è espresso il deputato americano Thomas Massie, in un’intervista con Tucker Carlson. Ed ha concluso dicendo che il dollaro non è più sicuro.
Putin ha, poi, annunciato la formazione di un sistema di pagamento indipendente all’interno dei BRICS, che verranno notevolmente ampliati, ammettendo nuovi membri, come lo Zimbabwe, che l’ha richiesto col suo Presidente Emmerson Mnangagwa al recente Forum economico internazionale di San Pietroburgo, cui hanno partecipato 21,3 mila persone provenienti da 139 Paesi, secondo il comunicato dell’organizzazione dell’evento, che ha aggiunto che al forum sono stati siglati più di 980 accordi per oltre 6,4 trilioni di rubli (66,5 miliardi di euro).
Il Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin ha dichiarato pubblicamente inammissibile l’uso di armi nucleari.
All’Agenzia Ria Novosti l’assistente speciale di Biden, direttore senior per la non proliferazione presso il Consiglio di sicurezza nazionale, Pranay Vaddi ha detto che gli Stati Uniti prendono molto sul serio questa affermazione e che gli USA cambieranno la loro strategia su tali armi, ponendo l’accento sulla competizione, per restare al passo di Russia, Corea del Nord e Cina.
Mentre, il Presidente francese Emmanuel Macron insiste con la sua linea bellicista e si dichiara pronto ad inviare truppe in Ucraina.
Ma il leader del Partito Patriottico francese Florian Philippot replica, a stretto giro, sul suo profilo X: “Macron è completamente pazzo!” e lo accusa di accelerare l’escalation, che nessuno vuole, tramite l’addestramento di 4.500 soldati ucraini e il trasferimento a Kiev dell’aereo da combattimento Mirage 2000-5. Il presidente ha scatenato l’ironia del noto giornale satirico Charlie Hebdo, che, con una vignetta rappresentante una bara con ai lati le ali e la coda di un aereo, ha spiegato quali “Miraggi” Macron trasferirà in Ucraina…
Secondo quanto riportato da Bloomberg, la Germania sta valutando l’invio di un’altra (la quarta) batteria Patriot in Ucraina.
La NATO afferma di non avere soldati in Ucraina. Il capo del comitato militare della Nato, ammiraglio Robert Peter Bauer ha affermato che, ad oggi l’Alleanza Atlantica non dispone di forze sul territorio dell’Ucraina e non ha intenzione di inviare truppe. 
Bloomberg certifica il fallimento di Zelensky per ottenere il sostegno dell’Asia, che rimane nella sua quasi totalità un alleato fedele a Russia e Cina.
Il Ministero degli Esteri ucraino riferisce che agli ucraini che non si presenteranno all’ufficio di registrazione e arruolamento militare, entro 10 giorni dalla chiamata, verranno bloccati i conti bancari, i viaggi all’estero e saranno poste limitazioni alla guida. L’Ucraina ha, anche, problemi con il pagamento delle pensioni. Lo Stato darà una “garanzia minima” – ha detto la Vice Ministro delle Politiche Sociali Dariya Marchak – ma i cittadini “dovrebbero risparmiare da soli ed essere pronti a lavorare fino ad una età avanzata“.
Il segretario generale delle Nazioni Unite non parteciperà al “vertice per la pace” indetto da Zelensky in Svizzera, escludendo la Russia. Al momento – riferisce Bloomberg – sembra che solo il presidente di Timor Est e il ministro degli esteri di Singapore si recheranno in Svizzera. A loro si unirà un rappresentante delle Filippine.
L’ IGA (Institute for Global Affairs) ha effettuato un sondaggio, dal quale risulta che il 94% degli statunitensi e l’88% degli europei occidentali ritiene che la NATO dovrebbe porre fine alla guerra in Ucraina senza indebolire la Russia o riportare l’Ucraina ai suoi confini prebellici. La TASS riferisce che “le forze armate dell’Ucraina hanno lasciato le loro postazioni nella parte orientale di Chasov Yar“.
Inoltre, il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg potrebbe abbandonare il progetto di creare un fondo di aiuti da 100 miliardi di euro per l’Ucraina, utilizzando i contributi dei Paesi dell’Alleanza nei prossimi cinque anni – riferisce Bloomberg. La nuova proposta prevederebbe 40 miliardi l’anno.
La Turchia, consigliando la NATO di evitare che le azioni previste appaiano come un inasprimento delle ostilità o un accesso diretto nei territori in guerra, riprenderà il commercio con Israele quando sarà raggiunto un accordo sul cessate il fuoco permanente sulla Striscia di Gaza. Lo ha annunciato il ministro del Commercio turco Omer Bolat.

La morte di Al Raisi, le domande senza risposta, i sospetti di un attentato

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ESTERI

di Matteo Castagna per https://www.marcotosatti.com/2024/05/20/la-morte-di-al-raisi-le-domande-senza-risposta-i-sospetti-di-un-attentato-matteo-catsagna/

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, Matteo Castagna, che ringraziamo di cuore, offre alla vostra attenzione queste considerazioni sulla situazione geopolitica, anche alla luce della morte di Al Raisi e dell’attentato a Robert Fico. Buona lettura e condivisione.

Arriva di prima mattina la notizia, diramata da tutte le agenzie del mondo, inerente la morte del premier iraniano Ebrahim Raisi, a seguito dello schianto su una montagna nei pressi di Jolfa, ai confini con l’Azerbaigian, dell’elicottero su cui viaggiava il 19 maggio. I resti del velivolo sono stati trovati lungo la strada per il villaggio iraniano di Khoilar-Kalam, a circa 100 chilometri da Tabriz. Nove le persone a bordo. Le autorità hanno identificato i corpi carbonizzati. Deceduti anche il ministro degli Esteri dell’Iran, Hossein Amirabdollahian, il governatore della provincia dell’Azerbaigian orientale Malek Rakhmati e l’imam di Tabriz, Ali Ale-Hashem.
Il lutto avviene a pochi giorni dall’attentato terroristico al presidente slovacco Fico, noto per le sue posizioni sovraniste e non allineate all’atlantismo della maggioranza degli Stati europei.eu
In Libano sono stati dichiarate tre giornate di lutto nazionale per la morte del presidente iraniano. “La grande nazione iraniana supererà questa tragedia con il consueto coraggio”. Lo ha affermato il primo ministro pakistano Shehbaz Sharif, annunciando che il Pakistan osserverà una giornata di lutto e che le bandiere sventoleranno a mezz’asta. Il Quotidiano Nazionale di oggi annuncia anche che il presidente del Venezuela, Nicolás Maduro, ha fatto sapere di essere “sconvolto” per la notizia della morte dell’omologo iraniano Ebrahim Raisi. Secondo quanto riporta Mehr, Maduro si è detto molto dispiaciuto di dover dire addio a Raisi, definendolo “una persona eccezionale e un grande essere umano, difensore della sovranità del popolo iraniano e amico incondizionato” del Venezuela.
Il primo ministro indiano Narendra Modi si è detto ”profondamente rattristato” per la morte del presidente iraniano Ebrahim Raisi, aggiungendo che il defunto presidente iraniano ha contribuito ”a rafforzare le relazioni bilaterali India-Iran”.
Hamas ha espresso “sincere condoglianze, profonda simpatia e solidarietà” al leader supremo dell’Iran, Sayyed Ali Khamenei, per la morte del presidente Ebrahim Raisi, per quella del ministro degli esteri Hussein Amir Amirabdollahian e degli altri dirigenti deceduti. Tutti leader, ha sostenuto su Telegram il movimento, “che hanno avuto un lungo percorso per il rinascimento dell’Iran, e posizioni onorevoli a sostegno della nostra causa palestinese, e della legittima lotta del nostro popolo contro l’entità sionista”.
Gli Hezbollah libanesi hanno reso omaggio al presidente iraniano Ebrahim Raisi, morto nell’incidente in elicottero, definendolo il “protettore dei movimenti di resistenza”.
Tutti i paesi della regione hanno offerto solidarietà e aiuti. La Turchia aveva inviato un elicottero dotato di visori notturni, insieme a 32 esperti in soccorso in quota. Offerte di aiuto erano arrivate anche da Emirati, Oman, India ma anche dall’Arabia Saudita, nemica di vecchia data della Repubblica Islamica. La Russia si è attivata inviando una squadra con 47 specialisti, veicoli fuoristrada e un elicottero BO-105.
Il presidente cinese Xi Jinping ha definito la morte del presidente iraniano Ebrahim Raisi come “una grande perdita per la sua gente”. Xi ha inviato un messaggio di cordoglio al primo vicepresidente iraniano al fine di esprimere “profonde condoglianze a nome del governo e del popolo cinesi, che ha perso un buon amico”.
Sulla stessa linea la Siria: Il presidente Bashar al-Assad ha espresso solidarietà allo stretto alleato Teheran, che lo ha sostenuto durante anni di guerra. Assad ha espresso “la solidarietà della Siria con la Repubblica islamica dell’Iran e con le famiglie del defunto e i suoi compagni”. Condoglianze dal premier armeno Pashinyan: “Sono scioccato”.
La Tass riferisce che in un messaggio inviato alla Guida iraniana, Ali Khamenei, Putin afferma che, “da vero amico della Russia, Raisi ha dato un contributo personale inestimabile allo sviluppo delle buone relazioni tra i nostri Paesi e ha fatto grandi sforzi per portarli al livello di partnership strategica”.
L’Unione europea “esprime le sue sincere condoglianze per la morte del presidente”. La premier italiana Giorgia Meloni esprime “solidarietà al popolo iraniano”, secondo quanto riferito da Sky News24.
L’analista militare della Cnn, Cedric Leighton, ha spiegato che probabilmente Raisi stava viaggiando su un elicottero Bell 212 che iniziò ad operare alla fine degli anni ’60. “È stato introdotto per la prima volta durante l’ultimo periodo del regno dello Scià nel 1976 in forma commerciale e ha avuto una vita prima nell’esercito americano, quindi l’inizio effettivo di questo particolare tipo di elicottero potrebbe essere avvenuto già alla fine degli anni ’60”, ha spiegato Leighton. “Di conseguenza – ha aggiunto – i pezzi di ricambio sarebbero stati sicuramente un problema per gli iraniani”.
L’ipotesi più accreditata, e non esclusa nemmeno dalle autorità iraniane è, al momento, quella dell’incidente.
Il Quotidiano Nazionale riporta, anche, che il politologo iraniano, Prof. Pejman Abdolmohammadi, insegnante di Storia dei Paesi Islamici all’Università di Trento ha reagito con queste parole: “La Guida Suprema è fisicamente molto debole e il potere in crisi di consenso. Una rivoluzione democratica è possibile a Teheran e produrrebbe un effetto domino in tutta l’area”.
Risalta il fatto che l’Azerbaigian abbia buoni rapporti con Israele. Alla luce del conflitto tra Iran e Israele è giustificato il sospetto che l’elicottero sia precipitato per una manomissione eseguita dai servizi israeliani?
Secondo l’insegnante iraniano “è una ipotesi che è sicuramente sul tavolo, ed è molto plausibile, sebbene non sia provata. Non a caso, due settimane fa, intervenendo a una trasmissione televisiva in Italia, dissi che come la Repubblica islamica usa il territorio libanese per colpire Israele, così Israele oltre ad avere ottimi rapporti con l’Azerbaigian, ha una sua presenza militare, in chiave anti iraniana, in quel Paese. Quindi, può essere stato, ipoteticamente, un colpo israeliano al suo nemico storico, la Repubblica islamica iraniana. Non a caso, è stato un media israeliano, la tv Canale 12, il primo a dire che Raisi non è sopravvissuto”.
Inoltre, Raisi era politicamente debole, non era carismatico e riusciva a mantenere il potere solo perché persona di estrema fiducia dell’Autorità Suprema – spiega il professore. “Per la popolazione iraniana è uno choc che potrebbe ridare fiato all’opposizione, largamente maggioritaria nel Paese, e che sui social ha subito reagito in maniera massiccia alle notizie dell’incidente. Dopo le grandi proteste del 2021 e del 2022, rischia di essere un elemento che può sparigliare i giochi”.
Secondo il governo italiano non ci sono particolari preoccupazioni per un’ immediata escalation del conflitto, sebbene Teheran abbia fatto sapere che non cambierà nulla della sua politica estera. Il ruolo di presidente viene assunto, nell’immediato, dal primo vicepresidente esecutivo, Mohammad Mokhber. Questo è quanto prevede l’articolo 131 della Costituzione della Repubblica Islamica.
Stabilita un’autorità provvisoria, un consiglio composto dal primo vicepresidente, dal presidente della Camera, Mohammad Bagher Ghalibaf, e dal capo della magistratura, Gholam-Hossein Mohseni-Ejei, avrà il compito di organizzare l’elezione di un nuovo presidente entro il termine massimo di 50 giorni. Raisi era stato eletto presidente nel 2021. Le prossime elezioni sono, al momento, previste nel 2025.

 

Guerra e attentato a Mosca, un panorama della stampa internazionale

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di Matteo Castagna,

“Politico”: l’Unione Europea tratterrà 5 miliardi di euro di interessi sui beni congelati alla Federazione Russa per coprire i costi delle spese legali, anziché trasferirli in Ucraina. Potrebbero servire per un’eventuale guerra mondiale. E’ cosa nota che il Presidente francese Emmanuel Macron voglia intervenire militarmente a sostegno delle truppe di Azov. L’Agenzia statunitense Bloomberg ha raccontato che la dichiarazione di Macron ha fatto infuriare i funzionari americani. Egli vuole gestire la politica estera europea, ma non tutti concordano con questo ruolo, come il tedesco Olaf Scholz, che teme un conseguente scontro diretto con Moscae non invierà truppe.
La situazione non è certo rosea per Kiev. Sempre Politico scrive che il pacchetto da 300 milioni di dollari, approvato la settimana scorsa dal Congresso e firmato da Biden, è già stato speso, perché, in realtà, fu stanziato a novembre 2023, spiega alla rivista un funzionario dell’amministrazione presidenziale degli Stati Uniti. “Ora non sono disponibili per l’uso” e, del resto – conclude il giornale – non avrebbero comunque influito su nulla.
Il canale televisivo francese LCI ha esaminato possibili scenari inerenti l’invio dei suoi militari in Ucraina. Primo: la Francia costruisce stabilimenti militari in Ucraina, inviando i propri ingegneri. Secondo: la Francia bonifica i territori minati e addestra le forze armate ucraine. Terzo: la Francia difende Odessa installando innanzitutto la difesa aerea. Se i loro militari abbattono obiettivi russi, allora Parigi potrebbe entrare in guerra. Quarto: la Francia schiera truppe per creare una zona cuscinetto. Quinto: la Francia combatte insieme alle forze armate ucraine contro la Russia, iniziando la terza guerra mondiale.
Maurizio Belpietro ha scritto su “X” che la NATO ammassa ai confini con Mosca 100.000 soldati...”che presto diventeranno 300.000. E’ solo l’ultimo segnale di una deriva inquietante. Sergio Mattarella prenda la parola e ci dica se tutto ciò è in linea con la Carta”. Il deficit di bilancio francese sta sfuggendo dal controllo del governo – scrive Bloomberg – in quanto il divario tra entrate e uscite è salito al 5,5% del PIL nel 2023, ben oltre l’obiettivo del governo del 4,9%.
Il Presidente Vladimir Putin ha risposto alle accuse e ai timori occidentali che la Russia non si appresta a combattere la NATO. Tali illazioni sono, per lui, una “sciocchezza” e le speculazioni su un possibile attacco alla Polonia, ai Paesi Baltici e alla Repubblica Ceca sono un modo per ingannare la gente. Poi ha affermato, col consueto stile da leader: “la Russia non ha paesi ostili, ma ha élite ostili in alcuni di questi paesi”.
Il politologo russo Nikolai Starikov attacca, invece, USA e Regno Unito, sostenendo che “in linea di principio, gli anglosassoni non possono essere veri alleati della Russia. E non lo saranno mai”, perché la loro politica di sempre, come dimostrato nella prima e nella seconda guerra mondiale, è quella di usare abilmente alcuni contro altri per i propri interessi, non per il bene dei popoli.
The Daily Telegraph ha intervistato l’ex ministro della Difesa e deputato britannico John Spellar, che ha detto:”se scoppia la guerra, l’esercito inglese cesserà di resistere entro 10 giorni da quando finiranno le munizioni”, ossia non più di due mesi.
Interessante il “Digest internazionale” realizzato da “War Digital News” (PRISCO): il giornale turco Hurriyet ha scritto che il numero dei migranti ucraini in Europa è in aumento. Sempre il turco Daily Sabah: “la Turchia si pone delle curiose domande: perché l’ISIS “anti-americano” sta attaccando la Russia e l’Iran?”. Il tedesco Die Welt ha annunciato che “è improbabile che la guerra in Ucraina duri ancora per molti anni”. The Washington Post: “il crollo del ponte di Baltimora ha messo alla prova l’unità americana”. Si tratta del porto più grande degli USA per l’importazione ed esportazione di automobili, il che pone seri rischi per l’economia americana, a seguito del crollo e della conseguente paralisi. Irozhlas: “un attacco missilistico tedesco su Mosca è impensabile”. Un esperto spiega le fluttuazioni nella fornitura di missili all’Ucraina.
Secondo l’ANSA il Presidente Joe Biden, parlando della sua proposta di aumentare le tasse ai più ricchi per mandare più missili in Ucraina, ha affermato che i 400 miliardi di dollari di entrate aggiuntive legate ad un aumento dell’aliquota fiscale del 25% potrebbero essere usati per “ridurre drasticamente il deficit federale. Potremmo fare tantissime cose, incluso assicurarci finalmente di proteggere l’Ucraina da quel macellaio di Putin”.
A proposito di “macelleria”, va registrato l’intervento del direttore dell’FSB della Federazione Russa, Bortnikov: “Stati Uniti, Gran Bretagna e Ucraina sono dietro l’attacco terroristico al municipio di Crocus”, che ha provocato la morte di 137 civili innocenti, “anche se il mandante non è stato ancora trovato”, ma la manovalanza è di matrice jihadista. “Sappiamo – ha aggiunto Bortnikov – che l’Ucraina ha addestrato miliziani in Medio Oriente” e “riteniamo che la USB vada riconosciuta come organizzazione terroristica”.
Oggi, il Times pubblica un articolo in cui si accusa l’FSB di reclutare attivamente i residenti filo-russi di Odessa, attraverso il canale Telegram “Tipico Odessa”. I giornalisti del Times hanno calcolato che un abitante su cinque di Odessa starebbe con Putin, quindi definisce, nel titolo, questo 20% una “minoranza silenziosa”. Poi, racconta con una certa dose di naturalezza, dell’arresto di migliaia di residenti, solo perché considerati filo-russi. Questo sì che è il bello della democrazia!

 

Articolo completo: https://www.marcotosatti.com/2024/03/28/guerra-e-attentato-a-mosca-un-panorama-della-stampa-internazionale-matteo-castagna/

Servizi segreti russi in Italia: i casi oscuri degli ultimi 10 anni

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di Davide Bartoccini

 

L’Italia al pari degli altri stati europei è stata oggetto di operazioni dello spionaggio russo. Negli ultimi dieci anni sono stati riscontrati ben 8 casi di spionaggio ai danni della Nato collegabili al nostro paese come base o luoghi di scambio. E potrebbe non essere tutto.

Sembra un caso, ma proprio il 21 febbraio di trenta anni fa un uomo dall’aspetto apparentemente comune, che rispondeva al nome Aldrich Ames, alto dirigente della Cia distaccato a Roma, veniva arrestato da agenti dell’Fbi mentre scendeva da una Jaguar. Era stato reclutato dallo spionaggio russo come doppiogiochista, e aggirandosi tra i locali e i ristoranti che appartennero alla Dolce Vita di Fellini, agì pressoché indisturbato nella cessione di informazioni classificate, usando il nostro Paese come “zona franca” per bruciare la copertura di agente del blocco occidentale e accumulare il denaro necessario a “vivere” la vita che desiderava.

Quella che oggi ci sembra una lontana storia “da Guerra fredda“, proprio in questi giorni in cui gli italiani stanno dimostrando il loro cordoglio per la morte di Alexei Navalny e diffuso discredito nei confronti del capo del governo russo Vladimir Putin; mentre il capo del Cremlino esprimeva parole affettuose nei confronti del nostro Paese dicendo a una studentessa dell’università di Mosca quanto l’Italia sia sempre “stata vicina alla Russia“e come si fosse “sempre sentito a casa“; dovrebbe invece ricordarci come nell’ultima decade il nostro paese sia stato – al pari di molti altri stati europei – soggetto a operazioni di spionaggio da parte degli agenti russi, che hanno reclutato personale militare ed elementi civili, avvicinato politici, e secondo alcune visioni addirittura tentando di “interferire” nel processo democratico delle elezioni.

I servizi segreti russi e l’Italia

Le agenzie d’intelligence russe che operano in Italia e all’estero, sono principalmente l’Svr, servizio di intelligence esterna analogo alla Cia e al nostro Aise, il Gru, servizio d’intelligence militare, e particolari distaccamenti dell’Fsb, servizio federale di sicurezza che si occupa delle questioni interne alla Russia e che viene spesso definito l’erede diretto del Kgb sovietico, da sempre esperto nel reclutamento di spie e doppiogiochisti, come nella conduzione di operazioni che miravano a “influenzare e destabilizzare” la politica e psicologica dei paesi “avversari” di Mosca.

Come spiegava tempo fa su Formiche.it l’analista Luigi Sergio Germani, “uomini e le donne dell’intelligence russa presenti in Italia“, o che si “occupano di Italia” e degli italiani dalle loro basi operative in Russia, sono in parta “preposti ad operazioni Sigint”, intercettazione di comunicazioni, e alle operazioni di cyber-spionaggio; ma la “maggioranza svolge attività Humint” ossia di human intelligence: “il reclutamento e la gestione di collaboratori occulti inseriti in strutture istituzionali sensibili e settori strategici del sistema-Italia“.

Le spie russe e la “calamita di via Gaeta”

Andando a ritroso nella storia, in parte documentata nel libro di Antonio Talia “La stagione delle spie. Indagine sugli agenti russi in Italia”, da quella che viene definita da alcuni la “calamita di via Gaeta” con riferimento all’ambasciata russa in Italia – situata nella suddetta via che alcuni vorrebbero intitolare a Navalny a beneficio dello zeitgeist di giornata e in dispetto d’ogni riguardo dell’antica arte della diplomazia – sono stati attirati diversi elementi.

L’ultimo caso noto alle cronache è quello del capitano di fregata Walter Biot, arrestato nel 2021 per aver venduto dei documenti classificati della Nato all’agente del Gru identificato come Dmitrij Ostroukhov. Nel 2020 il tenente colonnello francese M. L. , di stanza alla base Nato di Napoli, venne arrestato a Parigi per essere stato reclutato da un agente russo del Gru in Italia. Sempre a Napoli, rilevante snodo portuale italiani e punto di riferimento per le portaerei degli Stati Uniti di passaggio nel Mediterraneo, nel 2019 venne arrestato proprio su richiesta degli americani Alexander Korshunov, agente di Fsb e Svr. L’accusa era quella di “traffico di tecnologie militari”. L’Italia decise di espellerlo dal paese rimandandolo in Russia. Una sorte simile a quella che sarebbe spettata a Olga Kolobova, alias Maria Adela Kuhfeldt Rivera, spia del Gru che si era “infiltrata per 3 anni tra gli ufficiali Nato di Napoli” poi fuggita per tempo a Mosca.

Nel 2016, a Roma, era stato invece posto in stato di fermo l’agente dell’Svr Sergey Nicolaevich Pozdnyakov per aver ricevuto “documenti della Nato” da parte del funzionario portoghese Carvalho Gil. L’agente russo venne rilasciato e non estradato a Lisbona, ricorda l’analista Matteo Pugliese in una sua disamina dei casi di spionaggio legati al nostro paese. Senza dimenticare i tentativi di avvicinamento da parte dei russi al nostro apparato politico, concentratisi o rivelatisi nel contatto di personalità separate dallo spionaggio come Aleksandr Dugin e il diplomatico russo Oleg Kostyukov, ma associati ad entità dei servizi segreti russi come Andrei Kharchenko, ufficiale del V° Servizio dell’Fsb, e Igor Kostyukov, capo del Gru.

Un ultimo caso, sul quale ancora è stata fatta poca luce, è quella della fuga dell’oligarca russo Artëm Uss, figlio di un ex governatore russo vicino a Vladimir Putin, arrestato sempre su mandato delle autorità statunitensi con l’accusa di spionaggio militare e industriale e “contrabbando di petrolio dal Venezuela e riciclaggio”, poi evaso dagli arresti domiciliari a Milano mentre attendeva l’estradizione negli Stati Uniti. L’operazione venne coordinata dall’intelligence russa nel dicembre nel 2023.

Articolo completo: https://www.ilgiornale.it/news/difesa/servizi-segreti-russi-e-italia-i-casi-oscuri-degli-ultimi-10-2286541.html

DSA: IL DIRITTO DI PAROLA “CONCESSO” DALLA UE

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di Andrea Caldart

La conquista della libertà di parola e di pensiero critico sono la base fondante per uno Stato democratico, ma oggi questa conquista è in grave pericolo.

️ Il 17 febbraio scorso è entrato definitamente in funzione il DSA Digital Service ACT, il quale dietro la giustificazione della guerra ai Big Digital made USA, nasconde la sua vera essenza, ovvero il controllo sul dissenso pubblico e libero, soprattutto nell’online.

️ La UE con il DSA ha l’obiettivo di silenziare quel “complottismo” che scorre nelle venature di chi non si allinea alla forma mentis transumanista voluta da quei filantropi di Davos, imponendo invece un diritto di parola “concesso”.

️ Una disinfestazione del diritto di libero pensiero per diventare i padroni della parola contro quei giornalisti e giornali che con spirito critico, diventano antisistema con l’obiettivo di cancellarli.

️Frantumare il concetto di libero arbitrio per ridurre al silenzio o meglio nel silenzio imposto con la forza di legge, chi ad esempio non si adegua alle previsioni meteo degli ecogretini o peggio ancora, chi si batte per i propri diritti, vedi ad esempio i Queer, che lottano forse, contro chi li vorrebbe “purificare”.

️Dobbiamo difendere la libertà di parola perché debba essere assoluta, consentendo a ogni individuo di esprimere qualsiasi opinione senza restrizioni, perché la UE con il DSA, ritiene invece che ci debbano essere limiti a questa libertà, specialmente quando il legittimo dubbio, ad esempio, sulle proprietà “salvifiche” del “vaccini”, possa danneggiare la reputazione di Big Pharma.

Prepariamoci ad azioni che possono assumere varie forme, tra cui leggi restrittive sulla libertà di stampa, censura online, intimidazioni contro giornalisti e oppositori politici, nonché limitazioni ai diritti di associazione e di riunione.

Articolo integrale ⤵️

https://www.quotidianoweb.it/politica/dsa-il-diritto-di-parola-concesso-dalla-ue/

Il WEF a Davos ha mascherato con l’arroganza le sue debolezze

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EDITORIALE

di Matteo Castagna per Stilum Curiae e Affaritaliani

Nel corso della settimana si è svolta la cinquantaquattresima edizione del World Economic Forum a Davos. Come da consolidata tradizione, è stato un inno al politicamente corretto e alla sua “religione” transumanista, guerrafondaia, gretina e zeppa di amene fantasie distopiche. L’approccio dovrebbe essere quello di non prendere quest’assemblea troppo sul serio, solo perché vi partecipano i grandi della Terra.

Spesso, le uscite più deliranti non si avverano, ma servono come metodo comunicativo del terrore, per assoggettare le masse. L’ANSA del 18/01/24 diceva che a Davos prevedono che “la crisi climatica potrebbe causare 14,5 milioni di morti entro il 2050”. Si tratta di una pianificazione artefatta da psicopatici, di un metodo terroristico per arricchirsi sulla balla del riscaldamento globale, o di uno studio argomentato che, però, non viene reso pubblico?

Il giornalista Massimo Balsamo, in un articolo del 16 gennaio sul blog di Nicola Porro, ci racconta qualche retroscena, a partire dalla chiusura, con una cena in sala LGBTQI+. “Secondo quanto reso noto, l’appuntamento era riservato ai leader arcobaleno e avrebbero partecipato, tra gli altri, Shamina Singh, responsabile del Centro per la crescita inclusiva di Mastercard e l’economista capo di Allianz, Ludovic Subran. Una trovata sicuramente al passo dei tempi, ma probabilmente il contributo ai temi principali del vertice non sarà significativo”.

Il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha avuto un colloquio con il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg per richiedere un po’ di tutto, oltre al armi e soldi, anche una particolare forma di difesa aerea, che sarà discussa al prossimo incontro di Washington dell’Alleanza Atlantica. La giornalista Olga Skabeeva riporta un virgolettato di Stoltenberg, che ammette: “la situazione sul campo di battaglia è estremamente difficile.

I russi stanno ora avanzando su molti fronti. E, naturalmente, le offensive su larga scala degli ucraini lo scorso anno non hanno prodotto risultati. Lo speravamo tutti. La Russia ora sta rafforzando le sue forze, acquistando droni dall’Iran, creando la propria fabbrica di droni e ricevendo missili dalla RPDC. Non dobbiamo sottovalutare la Russia. Non dovremmo mai sottovalutarla”.

In questo scenario, non appare propriamente opportuna la scelta condivisa dal ministro delle finanze belga Vincent van Peteghem, che ha dichiarato che l’Unione europea ha iniziato i lavori, a livello tecnico, per sequestrare i beni congelati della Banca di Russia. Parliamo di 300 miliardi di dollari. Quiradiolondra.tv comunica che il 6 gennaio 2024, il presidente dell’Ucraina ha invitato gli alleati ad accelerare il trasferimento dei beni a Kiev.

La discussione del disegno di legge, necessario a tal fine, è prevista per febbraio 2024. Ma potrebbe iniziare prima del secondo anniversario dell’inizio delle ostilità, sul territorio dell’Ucraina. Il trasferimento di beni potrebbe essere una misura presa come ulteriore assistenza finanziaria a Kiev. Il Cremlino, per parte sua, ha, evidentemente, promesso di rispondere allo stesso modo al sequestro dei suoi beni.

Zenit riassume l’intervento di Zelensky sul palco di Davos in questo modo: egli “vorrebbe un’escalation tra la NATO e la Russia e si rammarica del fatto che le occasioni che avrebbero potuto portare all’allargamento e all’aggravamento del conflitto non siano state sfruttate dall’Alleanza Atlantica, che invece – fortunatamente – ha finora preferito non colpire direttamente la Federazione Russa”.  Si è auto-convinto che «le possibili direzioni e persino la tempistica di una nuova aggressione russa oltre l’Ucraina diventino sempre più evidenti», nonostante, in quasi due anni di combattimenti, su larga scala, l’Armata Russa non abbia ancora neppure completato la conquista del Donbass.

Eppure il Presidente ucraino si dice convinto che Putin possa perdere la guerra, che possa essere sconfitto sul campo di battaglia e rifiuta l’idea di un nuovo congelamento diplomatico delle ostilità.

La redazione di Zenit conclude evidenziando che questa sia “un’assurdità, che, però, trova sponda nella Presidente della Commissione Europea – Ursula von der Leyen – la quale, intervenendo anche lei al Forum, sostiene che «l’Ucraina può prevalere in questa guerra», ignorando quanto le conseguenze economiche e politiche del conflitto stiano danneggiando l’Ucraina e le casse della UE.

Il Ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius – riferisce sempre la conduttrice televisiva russa, Olga Skabeeva –  ha detto che “la guerra tra la NATO e la Federazione Russa potrebbe iniziare tra 5-8 anni”, basandosi sulle recenti dichiarazioni bellicose dei russi verso i Paesi baltici, oramai considerati membri NATO di fatto. Stoltenberg si augura di riuscire a fiaccare la Russia con una “guerra di logoramento”: “ciò significa che ora non dobbiamo solo implementare nuovi sistemi, ma anche pensare di avere abbastanza munizioni e abbastanza pezzi di ricambio”.

Ma le parole del Segretario Generale NATO sono in netto contrasto con le recenti parole del Primo Ministro slovacco, Robert Fico, convinto che l’assistenza militare occidentale all’Ucraina porterà solo ad un aumento di vittime, e che il conflitto in sé, “non ha soluzione militare”, come riporta l’inviato di guerra Andrea Lucidi.

Parlando degli attuali legami tra Mosca e Pechino, Lavrov ha spiegato che “le relazioni Russia-Cina, come i nostri leader hanno ripetutamente sottolineato, stanno attraversando la migliore fase di sempre. Queste relazioni sono più durature, affidabili ed avanzate di qualsiasi alleanza militare all’interno del vecchio quadro dell’era della Guerra Fredda”, ha aggiunto. Questo “riflette il modo in cui stanno realmente le cose”, ha sottolineato il ministro degli Esteri russo, citando come esempio i dati del commercio bilaterale dello scorso anno, che hanno ampiamente superato la soglia dei 200 miliardi di dollari.

“E questa tendenza continuerà ad evolversi”, ha assicurato Lavrov, promettendo sforzi in direzione di meccanismi nella cooperazione commerciale e di investimenti con la Cina tali “da non essere soggetti ad alcuna influenza occidentale”, con l’uso del rublo e dello yuan negli accordi commerciali bilaterali, che si aggira già intorno al 90%.

Nonostante questo scenario, secondo quanto riferisce la Cina, l’ufficio stampa di Zelensky avrebbe evitato di avallare l’incontro con il premier cinese Li Qiang. Zelensky ha dichiarato: “il primo ministro cinese può essere incontrato dal nostro primo ministro. Io vorrei incontrare il leader della Cina. Per quel che ne so, Xi Jinping prende le decisioni in Cina, in Ucraina invece lo faccio io. Non mi serve un dialogo, mi servono decisioni importanti dai Leaders che possono prenderle”.

Pechino non ha commentato riguardo ad un possibile incontro con il presidente cinese. L’Agenzia IZ RU riferisce che la decisione della Cina di non incontrare gli ucraini sembra essere stata intenzionale e non il risultato di problemi di programmazione. Due alti funzionari statunitensi hanno detto a “Politico” che la delegazione cinese ha rifiutato l’offerta dell’Ucraina per un incontro.

Nel frattempo, il Parlamento europeo, con un impulso di chiara matrice democratica, ha approvato una risoluzione, raccogliendo 345 voti favorevoli, che condanna i tentativi sistematici del governo ungherese di minare i “valori fondamentali” dell’UE. I membri del Parlamento europeo (MEP) hanno esortato l’Euro consiglio a valutare se l’Ungheria abbia violato l’articolo 7, paragrafo 2, del trattato UE attraverso una procedura più diretta.

Lo scrittore conservatore russo Nikolay Starikov osserva la riunione del WEF a Davos e afferma: “Che bello. L’ideologo globalista Klaus Schwab, in una conversazione con Serghey Brin, il creatore di Google, afferma che le elezioni, in linea di principio, non sono più necessarie. C’è l’intelligenza artificiale, che già prevede correttamente chi vincerà.

Allora perché perdere tempo e spendere soldi in queste procedure inutili? Basta chiedere all’intelligenza artificiale chi vincerà e nominarlo. Brin è, comprensibilmente, d’accordo e afferma che Google dispone già di tali sviluppi.

I ragazzi non sono più timidi di fronte a nulla. È chiaro perfino allo sciocco, chi l’intelligenza artificiale consiglierà di scegliere. Per una felice coincidenza, questo sarà sempre un personaggio gradito a Schwab e Brin. Ad esempio, tra Trump e Biden, il saggio robot di Google consiglierà naturalmente Biden. Semplice matematica. Nessun imbroglio di sorta. Davvero”. Mentre in Italia si distrae il popolo trascorrendo le settimane a discutere sulla legittimità dei “saluti romani” alle cerimonie commemorative…

La reazione della Rappresentante Ufficiale del Ministero degli Affari Esteri della Federazione Russa Maria Zakharova sull’esito del nuovo incontro svoltosi a Davos, non si è fatta attendere. “Una risoluzione pacifica che sia davvero completa, giusta e stabile è possibile solo attraverso il ritorno dell’Ucraina alle origini della sua integrità statale, ossia a una posizione di Paese neutrale, non allineato e denuclearizzato, che agisce nel totale rispetto dei diritti e delle libertà dei cittadini residenti sul suo territorio, qualunque sia la loro etnia di appartenenza. […] Ed ha concluso:

“Purtroppo, tali presupposti non rientrano né nella “Formula di pace” di Vladimir Zelensky, né nell’agenda degli incontri del “formato di Copenhagen”, come Davos e gli incontri che verranno, che sono insensati e dannosi ai fini di una risoluzione della crisi ucraina. I “principi di pace per l’Ucraina”, che i suoi organizzatori stanno tentando di elaborare sono impraticabili a priori”.

Chi sembra non accorgersi che equilibri, alleanze e rapporti di forza sono in totale cambiamento, continuando a comportarsi con l’arrogante presunzione di chi vive fuori dalla realtà, appaiono solamente gli USA e l’Occidente suo vassallo.

Fonte: https://www.marcotosatti.com/2024/01/20/il-wef-a-davos-ha-mascherato-con-larroganza-le-sue-debolezze-matteo-castagna/

Fonte: https://www.affaritaliani.it/esteri/davos-2024-il-solito-inno-al-politicamente-corretto-le-debolezze-del-wef-896797.html

Perché solo la vera Destra ha la verità?

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EDITORIALE

di Matteo Castagna
Adriano Romualdi (1940-1973), che andrebbe studiato e rivalutato, ha fornito delle interessanti riflessioni in merito “ad una cultura per l’Europa”, titolo di uno dei suoi libri, edito da <<Settimo Sigillo>> (Roma, 2012). L’omologazione su alcuni principi fondamentali di certa “destra” con certa sinistra, in particolar modo sull’ egualitarismo, sullla verità oggettiva, sui temi etici, derivanti da una lunghissima tradizione di precetti religiosi cattolici, annulla il weltanshauung (visione del mondo) dell’uomo di destra, che diventa un’ibrida brutta copia dell’ideale, sottomessa all’avversario democratico, sovvertitore dell’ordine, del diritto naturale, dell’identità e della normalità, intesa come adeguamento alla consuetudine storica e morale della Nazione.
Julius Evola (1898-1974) stimava molto il giovane Romualdi, che lo andava a trovare a casa e si confrontava sulle idee. Entrambi avevano lo stesso approccio nel rispondere alla domanda: che cosa dignifica “essere di destra”?
Romualdi risponde in modo molto simile ad Evola: “…in primo luogo significa riconoscere il carattere sovvertitore dei movimenti scaturiti dalla rivoluzione francese, siano essi il liberalismo, o la democrazia (degenerata nella negazione della verità oggettiva, n.d.r.) o il socialismo”. E poi continua: “essere di destra significa, in secondo luogo, vedere la natura decadente dei miti razionalistici, progressistici, materialistici, che preparano l’avvento della civiltà plebea, il regno della quantità, la tirannia delle masse anonime e mostruose”.
“Esser di destra significa in terzo luogo concepire lo Stato come una totalità organica, dove i valori politici predominano sulle strutture economiche e dove il “detto” a ciascuno il “suo” non significa uguaglianza, ma equa disuguaglianza qualitativa”. “Infine, esser di destra significa accettare come propria quella spiritualità aristocratica, religiosa e guerriera che ha improntato di sé la civiltà europea, e – in nome di questa spiritualità e dei suoi valori – accettare la lotta contro la decadenza dell’Europa”.
Julius Evola amplia l’analisi nel testo: “Gli uomini e le rovine” (Ed. Mediterranee, Roma, 1967-2001, pag. 61-69) ove tratta di Rivoluzione, Controrivoluzione e Tradizione. Il male assoluto è radicato nella sovversione, determinata in Europa dalle rivoluzioni dell ’89 e del ’48. “Il male va riconosciuto in tutte le forme e i gradi (…) per cui il problema fondamentale è di stabilire se esistono ancora uomini capaci di respingere tutte le ideologie, tutte le formazioni politiche e partitiche che comunque, direttamente o indirettamente, derivano da quelle idee.Il che vale a dire tutto il mondo che va dal liberalismo al democraticismo, fino al marxismo e al comunismo. (…) Di rigore, la parola d’ordine potrebbe essere dunque “controrivoluzione” “. Ma la sovversione si è stabilita da molto tempo nella gran parte delle Istituzioni vigenti e, quindi, l’uomo di “destra” deve rappresentare la “reazione, che da tempo, gli ambienti di sinistra hanno fatto sinonimo di ogni nequizia e di ogni infamia ed essi non perdono nessuna occasione per stigmatizzare con questo termine tutti coloro che non si prestano al loro gioco, che non seguono la corrente, ciò che per loro sarebbe il “senso della storia””.
Evola prosegue l’analisi affermando che “se questo da parte loro è naturale, non lo è affatto il complesso di angoscia che spesso la parola (reazione, n.d.r.) suscita, a causa di una mancanza di coraggio politico, intellettuale e potremmo dire anche fisico, perfino negli esponenti di una presunta Destra o di una “opposizione nazionale”, i quali non appena si sentono tacciare di “reazionari” protestano, si scagionano, si mettono a dimostrare che le cose stanno altrimenti.
Perciò, secondo Evola, doveva “nascere un nuovo “schieramento radicale”, con frontiere rigorose fra l’amico e il nemico”. E, a questo punto, il ragionamento si fa, addirittura profetico: “Se la partita non è ancora chiusa, l’avvenire non sarà di chi indulge alle idee ibride e sfaldate oggi predominanti, negli stessi ambienti che non si dicono certo di sinistra, bensì di chi avrà, appunto, il coraggio del radicalismo – quello delle “negazioni assolute” o delle “affermazioni sovrane”, per usare le parole di Juan Donoso Cortès.
 (…) Joseph “De Maistre” rilevò che ciò di cui si tratta, più che “controrivoluzione” in senso stretto e polemico, è “il contrario di una rivoluzione”, ossia un’azione positiva, che si rifà sempre alle origini”. Evola si riferisce alle tradizioni, per cui l’uomo che “riconosce l’esistenza di principi immutabili per ogni ordine vero, e fermo in essi, non si lascia trasportare dagli eventi, non crede alla “storia” e al “progresso” quali misteriose sovraordinate entità, s’intende a dominare le forze dell’ambiente e a ricondurle a forme superiori e stabili. Aderire alla realtà, per il tradizionalista significa questo”.
Poiché la realtà è verità, possiamo concludere con San Tommaso d’Aquino, il quale, ne “Le Quaestiones disputatae de veritate”  sostiene che la  verità è connessa all’essere, anzi coincide con l’essere stesso: l’ens e il verum sono reciprocamente convertibili; dalle questioni, condotte secondo il metodo dialettico del sic et non, emerge, quindi, la dottrina classica della verità come adeguazione della mente umana alla cosa conosciuta in quanto realmente esistente. 
 
A sinistra, il pensiero è totalmente contrario, e “intrinsecamente perverso”, come ebbe a rilevare Papa Leone XIII. E’ l’uomo che crea la realtà e ciascuno è totalmente libero di credere a presunte verità soggettive, tanto quanto chiamare diritti i desideri e confondere il male col bene, negando il principio di non contraddizione e identità. In questa fluidità, tutto può essere e non essere, in stile distopico, senza bisogno, ogni volta, di realtà tangibili, che ciascuno può inventare come gli pare e piace, nella pseudo-felicità umanitarista, egualitarista, mondialista, globalista, materialista, tecnicista, violenta, intollerante, zeppa d’odio verso i “reazionari” e sessuomane, appiattita sugli interessi del grande Capitale, che, per i liberal di oggi non è più così brutto e cattivo, come insegnava Karl Marx…
 

Putin vince con lentezza, la Nato ignorante perde

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del Prof. Alessandro Orsini

Dopo avere dissanguato l’esercito per conquistare quasi niente, Zelensky sta perdendo pure quello.
Ad agosto l’Ucraina aveva ripreso il villaggio di Robotine al prezzo di migliaia di morti nell’Oblast di Zaporizhzhia. Muovendo da Robotine, Zelensky giurava di marciare su Tokmak e Melitopol per riconquistare il Mar d’Azov. Gli ucraini avrebbero spaccato l’esercito russo in due impedendo alla Crimea di ricevere rifornimenti dalla madrepatria. Caduta la Crimea, Putin avrebbe supplicato Zelensky di non imporgli una pace troppo umiliante. E, invece, gli ucraini non si sono mai mossi da Robotine. Questo fatto, di per sé iper-tragico, basterebbe a chiudere ogni discorso sulla sconfitta della Nato, ma le cose sono andate addirittura peggio.
Mentre scrivo, i russi hanno deciso di riprendersi pure Robotine, il quasi-niente costato quasi-tutto agli ucraini. Dissi che la controffensiva sarebbe stato un fallimento colossale che avrebbe dissanguato l’esercito ucraino esponendolo alla “contro-controffensiva” russa. È quel che sta accadendo. Quando politici e media ritraevano la Russia come un esercito di cartone “perché non ha conquistato l’Ucraina in tre giorni”, spiegavo che quella lentezza era intenzionale poiché perseguiva sei obiettivi.
Il primo obiettivo della lentezza era di concedere all’esercito ucraino il tempo di crollare. I generali russi procedono lentamente perché preferiscono conquistare il maggior numero possibile di territori contro un esercito esangue e demotivato. La Russia si è data il tempo di dare il tempo all’Ucraina di crollare. La presunzione dell’Occidente non ha consentito alle lobby della Nato – che controllano radio, televisioni e dipartimenti di scienza politica – di comprendere il significato tragico della lentezza russa.
Il secondo obiettivo della lentezza era di non infastidire la società civile. Procedendo un po’ alla volta, Putin non ha dovuto avviare una mobilitazione totale che gli avrebbe sottratto consensi. La vita quotidiana in Russia scorre come sempre e Putin viaggia verso la riconferma alle prossime presidenziali.
Il terzo obiettivo della lentezza era di attendere che l’Unione europea andasse in recessione, com’è accaduto.
Il quarto obiettivo era di attendere la crisi dell’industria militare dell’Unione europea che si è verificata. L’Unione europea non riesce a dare a Zelensky la protezione aerea di cui ha bisogno, come dimostra l’ultima pioggia di missili caduta sugli ucraini. Dai carri armati agli F-16, dalle batterie anti-aeree alle munizioni per l’artiglieria, l’industria militare europea non regge il passo di quella russa.
Il quinto obiettivo della lentezza russa era di non precipitare l’Occidente nel panico lanciando un assalto fulmineo con un milione e mezzo di soldati. Una mossa così rapida avrebbe diffuso il panico in Europa aumentando il rischio della sua partecipazione diretta al conflitto con l’invio di truppe.
Il sesto obiettivo della lentezza di Putin è di dare il tempo alla Russia di attrezzarsi per la Terza guerra mondiale, come sta facendo. La lentezza della guerra in Ucraina favorisce la velocità del riarmo in Russia.
Un giorno i Draghi, i Calenda & C. capiranno la ragione della lentezza russa. Tuttavia la comprensione richiede che l’Occidente si liberi dei propri complessi di superiorità, in stile Corriere della Sera, che lo inducono a vedere gli altri popoli come inferiori, ignoranti, arretrati e dipendenti dall’economia europea. Salvo scoprire che l’Europa dipende dalla Russia più di quanto la Russia dipenda dall’Europa.

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