L’Ucraina non entrerà mai nella NATO. Ecco perché. L’analisi

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Le sanzioni volute dagli Usa fanno morire il dollaro

di Matteo Castagna per https://www.affaritaliani.it/esteri/l-ucraina-non-entrera-mai-nella-nato-ecco-perche-l-analisi-918603.html 

Conflitto sempre più in salita per l’Occidente
Il presidente russo Vladimir Putin ha rilasciato un’intervista all’agenzia di stampa cinese Xinhua alla vigilia della sua recente visita in Cina. Putin ha affermato che la strada scelta per perseguire gli interessi e la sovranità nazionale si è rivelata strategicamente corretta. A suo avviso, in un contesto di difficoltà economiche in Occidente, Russia e Cina stanno dimostrando successo nella loro cooperazione commerciale. Il presidente russo ha detto che Russia e Cina hanno posizioni “simili o identiche” su questioni chiave dell’agenda internazionalePutin ha osservato che Mosca e Pechino “respingono i tentativi occidentali di imporre un ordine basato su bugie e ipocrisia, su alcune regole mitiche create da nessuno sa di chi”. 
I meccanismi multilaterali quali i Brics e la Sco “stanno unendo i Paesi del Sud globale in uno spirito di uguaglianza, apertura, trasparenza e inclusività, spingendo per riforme nel sistema di governance globale”, ha aggiunto.
Secondo Bloomberg la Cina vende il debito pubblico americano a un ritmo record. “La vendita di titoli statunitensi da parte della Cina potrebbe accelerare con la ripresa della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina” – ha affermato l’analista finanziario di Bloomberg Stephen Chiu. la quota d’oro nelle riserve ufficiali della Cina è aumentata al 4,9% ad aprile, a causa della svendita di asset in dollari. E’ il dato più alto dal 2015.
Gita Gopinath, vice direttrice del Fondo monetario internazionale ha confermato questo dato ed ha aggiunto che, invece in Occidente la situazione è stabile e che “gli acquisti di oro da parte di alcune banche centrali potrebbero essere stati guidati dalle preoccupazioni sul rischio di sanzioni”.
Uno dei più autorevoli economisti americani, Paul Craig Roberts ha reso nota da tempo la sua opinione: “le sconsiderate sanzioni statunitensi che portano alla dedollarizzazione sono l’unica ragione della morte del dollaro”.
Sul fronte israeliano segnaliamo che alla CNBC il primo ministro Netanyahu ha dichiarato esclude la soluzione a due Stati, perché “sarebbe una ricompensa per i terroristi”.
Il Ministro slovacco Tomas Taraba ha detto ai giornalisti – riferisce la BBC – che l’operazione di Fico, dopo l’attentato, si è conclusa bene ed è fuori pericolo di vita. Il premier slovacco aveva previsto “l’omicidio di alcuni dei principali politici del governo” in un video pubblicato sui social media il 10 Aprile 2024 e ripreso da Sputnik. Juraj Cintula, che ha sparato e tentato l’omicidio di Fico, ha ammesso la sua colpevolezza durante l’interrogatorio.
Interessante la presa di posizione del Washington Post: “non solo carenza di rifornimenti. La Russia avanza anche per meriti propri e per gli errori degli ucraini”. L’articolo prosegue nell’elencare i successi russi sul campo di battaglia, grazie a tecnologie avanzate come la guerra elettronica. “Le nuove avanzate russe, a Kharkiv e nella vicina regione di Donetsk hanno sollevato interrogativi sulla fattibilità della difesa dell’Ucraina, non solo se Kiev riuscirà a mantenere la promessa di cacciare tutti gli invasori, ma anche se la Russia presto sopraffarà le forze ucraine e conquisterà territori, come sembra”.
Sempre The Washington Post riferisce che Trump si sta preparando per una deportazione di migranti su larga scala e senza precedenti. E scrive: “La retorica anti-immigrazione è una pietra miliare della campagna elettorale di Trump e può far pendere la bilancia a suo favore nelle elezioni”.
Il New York Times dice che il Pentagono si sta precipitando a contrastare le minacce russe e cinesi in orbita, attraverso l’implementazione di una nuova generazione di sistemi terrestri e spaziali per proteggere la propria rete satellitare dagli attacchi. Il segretario dell’aeronautica americana Frank Kendall scrive che il Pentagono è preoccupato principalmente per Pechino, “perché ha schierato una serie di risorse spaziali progettate per attaccare le nostre forze”. Sempre secondo il quotidiano, sarebbe pronto l’invio di truppe NATO in Ucraina per cercare di non perdere una guerra che si sta avvicinando alla completa sconfitta.
Nel mezzo di un conflitto sempre più in salita per l’Occidente, l’ANSA ha battuto la notizia per cui venerdì un tribunale russo ha sequestrato 463 milioni di euro a UniCredit Russia, la filiale russa della seconda banca italiana UniCredit. Il tribunale di San Pietroburgo ha sequestrato e congelato conti e beni dopo una denuncia di Ruskhimalyans, un’unità Gazprom che produce gas liquido. La misura ha coinvolto anche la banca tedesca UniCredit AG.
Intanto, l’Ungheria ha posto il veto alla risoluzione del Consiglio d’Europa sull’Ucraina, poiché prevedeva il riconoscimento di un solo “piano di pace”: quello di Zelensky. L’Ungheria ha chiesto veri negoziati con la partecipazione della Russia. Il Cremlino ha sostenuto il piano di pace cinese, che comporta la fine della guerra in prima linea.
A sorpresa, il Segretario di Stato americano Antony Blinken si è recato a Kiev, dove ha mangiato una pizza ucraina contenente salsiccia – ha voluto precisare – con Kuleba. Ha suonato la chitarra, ha raccontato agli studenti i vantaggi della mobilitazione e poi è andato in un club e cantato “Nell Young”, dimenticandosi parte del testo. Tra un drink e una cantatina, ha servito all’Ucraina la notizia amara per cui “non ci sarà alcuna adesione alla NATO, bensì un accordo di sicurezza della durata di 10 anni”. 
Doccia gelata per Zelensky, che dal 21 maggio perderà anche la sua legittimità formale come Presidente. La patata bollente della gestione della guerra con la Russia pare passare dritta nelle sole mani degli ucraini. Zelensky, sconsolato, ha dichiarato a France Presse che l’avanzata delle truppe russe nella regione di Kerkov “è solo il primo passo” di una nuova offensiva.

Germania anno zero?

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di Giuseppe Masala per l’AntiDiplomatico 

In più di una circostanza ho esposto la tesi che le responsabilità di fondo dell’attuale, pericolosissima, crisi geopolitica sia dovuta alla folle politica tedesca e dei paesi del nord Europa legati a filo doppio a Berlino come l’Olanda, la Danimarca, la Svezia, l’Austria, tanto per non fare nomi.

Il movimento della Storia a cui abbiamo assistito in Europa con la riunificazione della Germania è stato niente di più che il terzo assalto al cielo del potere mondiale tentato dalle élites tedesche. Se i primi due tentativi si sono svolti con strumenti sostanzialmente militari sia dalla Germania guglielmina che da quella nazista, il terzo, sotto le furbe mani di Angela Merkel si è svolto utilizzando le armi del libero mercato e soprattutto i paradigmi neoliberali che dalla caduta del Muro di Berlino sono diventati dogma in tutto il mondo. 

La costituzione dell’Unione Europea con il Trattato di Maastricht è servita innanzitutto ad assoggettare paesi come l’Italia che avevano un sistema produttivo in grado di fare concorrenza a quello teutonico: ciò è stato possibile sia grazie all’utilizzo dei parametri del Trattato di Maastricht come delle clave in grado di inibire i fondamentali investimenti pubblici dello stato italiano, sia grazie  anche all’introduzione dell’euro che ha azzerato quella formidabile valvola di sfogo delle svalutazioni competitive che era in grado di ridare slancio alla produzione italiane nei momenti di crisi.

Successivamente, l’entrata dei paesi dell’Est Europa nella Unione Europea è servita alla Germania da un lato a delocalizzare le produzioni più mature così da mantenerle competitive grazie al costo del lavoro più basso dei paesi dell’Est e dall’altro lato a garantire un flusso in entrata di manodopera a basso costo per l’abnorme apparato produttivo di Berlino.

Il terzo pilastro fondamentale della politica tedesca è stata certamente l’ostpolitik nei confronti della nuova Russia non più comunista. Certamente ci sono stati investimenti colossali di Berlino in Russia, ma è altrettanto vero che Mosca ha semplicemente regalato materie prime fondamentali alla Germania e all’Europa; questo naturalmente a partire dal gas e dal petrolio. Tutto ciò ha dato un volano di competitività alla Germania rendendola di nuovo paese egemone in Europa, e per giunta senza sparare un solo colpo! La Merkel sembrava aver trovato l’uovo di Colombo.

Il resto della storia non è che un saggio di scaltrezza della Merkel, dote peraltro che la matrona tedesca in più di una circostanza ha dimostrato di praticare con capacità funamboliche. Sfruttando le regole dell’apertura dei mercati mondiali introdotta con l’istituzione del World Trade Organisation (WTO) la Germania è riuscita a spiazzare completamente la competitività del sistema produttivo americano lasciando in questo paese distese di capannoni industriali dismessi e milioni di cittadini disoccupati o sottoccupati.

Nel frattempo i capitalisti tedeschi grazie a questi stratagemmi accumulavano ricchezze sconfinate ben rappresentate dall’andamento del NIIP (Net International Investment Position) tedesco.

Va detto che il sulfureo Wolfgang Schäuble in più di una circostanza manifestò l’interesse di Berlino ad ottenere la bomba atomica, o quantomeno un ombrello atomico di protezione indipendente da quello statunitense; segno evidente questo che le élites tedesche sapevano benissimo i rischi enormi della politica economica di Berlino. Le guerre – inutile girarci attorno – iniziano soprattutto per questo motivo: nessun paese è disposto a far demolire il proprio sistema produttivo senza reagire. Questo vale, a maggior ragione quando il paese “spiazzato” è la massima potenza militare del pianeta come, appunto, gli Stati Uniti.

Il primo a protestare e a chiedere agli europei (rectius, i tedeschi) un riequilibrio della bilancia commerciale è stato Barack Obama che propose il Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP), con il fine di aumentare l’export americano in EU. Anche Trump protestò molto contro l’opportunismo tedesco che importava energia a basso costo dalla Russia, facendo una concorrenza forsennata alle aziende di oltreoceano, per non parlare poi del fatto che Berlino si faceva pagare le spese militari dagli americani guadagnando così margini di bilancio per “aiutare” le sue aziende esportatrici.

A ribaltare le sorti della situazione in favore degli americani è stato il Dipartimento di Stato di Washington che imbastendo il colpo di stato di Majdan è riuscito a rovinare i rapporti tra Europa e Russia elevando una nuova Cortina di Ferro tra est e ovest dell’Europa.

Il resto è cronaca dei nostri giorni. Il conflitto in Ucraina e le conseguenti sanzioni occidentali alla Russia hanno demolito buona parte della competitività europea e tedesca. Il colpo di grazia, a tale proposito, è arrivato con l’incredibile sabotaggio del gasdotto Northstream che portava il gas dalla Russia in Germania bypassando paesi ostili come la Polonia grazie alla sua condotta sottomarina posata sui fondali del Baltico.

La competitività di Berlino è così profondamente minata che anche il ministro dell’economia tedesco, Robert Habeck ha definito la situazione drammatica portando le previsioni di crescita per il 2024 al + 0,2% dal + 1,3% precedentemente stimato.

Per quanto riguarda la fuga delle aziende dal paese sta diventando emblematica la situazione del settore automotive, un tempo fiore all’occhiello del Made in Germany: ora anche la Porsche annuncia di voler lasciare la Germania per gli USA, grazie ai sussidi e al sostegno alle imprese varato dal governo di Washington. Porsche non vuole più costruire uno stabilimento per la produzione di batterie elettriche “Cellforce Gigafactory” nel Baden-Württemberg, come aveva già annunciato, ma vuole aprirlo negli Stati Uniti, dove fino ad ora la Casa di Stoccarda non ha ancora nemmeno uno stabilimento produttivo. Secondo gli esperti il fattore principale che ha influenzato la decisione sono stati i sussidi governativi: in America le autorità sono pronte a dare 2 miliardi di dollari mentre in Germania la casa automobilistica può ottenere al massimo 800 milioni di euro. Per fare un altro esempio, anche la BMW sta costruendo uno stabilimento in Carolina del Sud, così come la Audi sta progettando di aprire stabilimenti negli Stati Uniti  e il suo CEO ormai lo dice apertamente che gli USA sono molto più competitivi della Germania.  Una situazione questa che solo due anni fa era inimmaginabile anche per uno scrittore di romanzi distopici.

Come sempre si verifica quando l’economia  reale entra in fibrillazione anche le banche teutoniche iniziano a soffrire. Per ora ad aver lanciato un allarme è stata la Deutsche Pfandbriefbank AG che ha aumentato gli accantonamenti a causa della crisi del settore immobiliare commerciale americano dove ha fortemente investito. Ma è chiaro che se l’economia tedesca non fosse così fiacca, le eventuali perdite sarebbero state abilmente nascoste.

Infine molto interessante anche un articolo del Financial Times che prefigura possibili tagli al Welfare Tedesco per finanziare il riarmo di Berlino. Per ora, spiega il giornale inglese che dei 72 miliardi di euro destinati alle spese militari, 52 miliardi di euro proverranno dal bilancio ordinario mentre i rimanenti 19,8 miliardi di euro da un fondo di investimento che però si prosciugherà entro il 2027 costringendo la Cancelleria a porre mano alle forbici per tagliare il Welfare e finanziare le ora inderogabili spese militari.

Insomma stiamo assistendo – anche nella migliore delle ipotesi, ovvero quella che l’Europa non sia coinvolta direttamente in un conflitto bellico – ad un vero e proprio cambio di paradigma della politica di Berlino, che non potrà più essere fondata sull’abile opportunismo utilizzato negli ultimi 20 anni che alla lunga ha portato alla rovina economica e politica.

Un cambio di paradigma però tutto da scrivere e che vede la Germania (e con lei l’Europa) ripartire per la terza volta in un secolo da zero.

 

Articolo completo: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-germania_perch_siamo_allanno_zero/29296_53151/

 

Una drammatica testimonianza dall’inferno di Gaza

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Segnalazione del Centro Studi Federici

Nella Striscia di Gaza, malgrado le difficili condizioni di vita causate dal completo isolamento a partire dal 2007, la piccola comunità cristiana ha sempre cercato di conservare una vita dignitosa. In questo senso, le scuole hanno avuto un ruolo importante: l’articolo che segnaliamo è la testimonianza della professoressa di francese nella scuola delle Suore del Rosario, precipitata con tutta la famiglia nell’incubo dei bombardamenti, che hanno già causato 23.000 morti e 60mila feriti che non possono essere assistiti a causa della distruzione degli ospedali. E ora la fame e le malattie stanno accelerando la decimazione della popolazione civile.
 
«A Gaza cerchiamo ogni giorno un modo per sopravvivere»
 
Amal Abuhajar è una insegnante palestinese di francese nella scuola cattolica delle suore del Rosario di Gaza. Dopo due evacuazioni, ora è rifugiata in una scuola dell’Unrwa a Rafah con suo marito e i sei figli. Racconta l’inferno di una quotidianità fatta di carenze, code, paura e condizioni insalubri.
 
«Il 7 ottobre è stata una giornata nera. Non siamo stati noi a decidere questa guerra e da allora viviamo i giorni più terribili della nostra vita». Con questo messaggio datato 22 dicembre e scritto in francese, come tutti i seguenti, Amal Abuhajar, insegnante di francese alla scuola del Rosario di Gaza, inizia il racconto di questi ultimi tre mesi, che hanno stravolto la sua vita.
«Avevo una grande casa a est di Khan Younis, con un grande giardino verde e ben tenuto. Con rose di tutti i colori, alberi che producono olive, datteri, guaiave, arance, limoni, uva e clementine.
Tutti i vicini se ne sono andati il 7 ottobre. Io non volevo lasciare la mia casa. Ma ho vissuto la notte peggiore della mia vita a causa dei bombardamenti. I bambini non facevano che piangere. Alla fine, siamo partiti alle 7 del mattino dell’8 ottobre per andare nel mio vecchio appartamento a Khan Younis. È stato straziante lasciare la casa.
Cercavo la calma, ma lì tutto era più drammatico, più tragico. Mio figlio di sette anni mi ha detto: «Qui ascoltiamo e vediamo la morte, mentre a casa la ascoltavamo soltanto». E questo è vero. Nel pomeriggio dell’8 ottobre, l’occupazione israeliana ha ucciso decine di bambini e donne davanti ai nostri occhi. Un’abitazione di sette piani è andata in pezzi.
 
Sono sicura di aver perso le mie rose…
Le urla, le ambulanze, i rumori di morte e di paura, gente che correva… Tutto questo davanti ai nostri occhi, davanti ai nostri figli. Mi sentivo impotente. Che cosa potevo fare? Avevo paura, piangevo sempre. Avevo la sensazione che ogni notte sarebbe stata l’ultima.
Dal 7 ottobre non c’è più alcun significato nella vita. Ho perso tutto: la mia casa, il mio lavoro, i miei studenti… sono sicura di aver perso le mie rose… Che aspetto ha la mia casa? Come stanno i miei uccelli? Questa guerra è come un’orribile pièce teatrale sezna fine. Questa è la nostra vita quotidiana qui a Gaza. Il mattino è nero come la notte. La notte è un incubo.
Non c’è elettricità, niente acqua, niente internet… Cerchiamo ogni giorno un modo per sopravvivere, per salvare i nostri figli. Mio marito va dal fornaio alle tre del mattino a prendere il pane… Fa la fila per 10 o 15 ore e riesce a malapena a sfamare i bambini. Poi prende la bicicletta per andare a comprare l’acqua. Anche lì deve fare la fila per ore prima di portarne un po’».
Tre giorni dopo la fine della tregua, il 4 dicembre, Amal e la sua famiglia hanno ricevuto l’ordine di evacuare il quartiere in cui si trovavano a Khan Younis.
«Siamo andati a Rafah. Abbiamo dormito in macchina, per mancanza di un posto altrove. Dopo due giorni di ricerche, abbiamo trovato posto presso la scuola elementare “B” dell’Unrwa, quella per le bambine. Da allora, abbiamo condiviso la nostra sofferenza con duemila sconosciuti. Condividiamo le code della vita quotidiana: quella per caricare il cellulare in biblioteca, per lavarsi, quella per ritirare le scatolette…».
 
Tre lattine e tre bottiglie d’acqua a settimana
«A Rafah non c’è abbastanza cibo rispetto al numero di persone. Tutti quelli che abitavano al nord e a Khan Younis sono rifugiati lì. Dato che ho sei figli, ci sono concessi tre prodotti in scatola e tre bottiglie d’acqua ogni settimana. Ci bastano appena per un giorno. Quindi devi integrare altrove, ma tutto è troppo costoso. Non riceviamo lo stipendio dal 7 ottobre. La gente vende la legna degli alberi lungo la strada per alimentare i forni dove viene cotto un po’ di pane».
«Il più piccolo dettaglio della nostra vita quotidiana, anche i bisogni più semplici, tutto è complicato», scrive Amal, che non ha avuto accesso a una doccia adeguata da quando è arrivata alla scuola.
«Ho bisogno di piangere, di urlare. A volte vado al mare da sola e piango fino al mattino. Sono stanca, triste, odio il sole del mattino, perché è sinonimo di nuove sofferenze. Di notte non c’è luce, tranne quella dei bombardamenti. Il suono delle donne e dei bambini che piangono, dei feriti che soffrono per il freddo e le malattie.
Onestamente prendo dei farmaci, così posso dormire due o tre ore a notte. Sai come abbiamo paura del rumore degli aerei? Sai che cosa si prova a sentire i bombardamenti? Le minacce quotidiane che viviamo? Qui a Gaza aspettiamo la morte. Aspettiamo la fine e preghiamo di morire insieme».
Il 26 dicembre Amal riprende la tastiera: «Ieri gli israeliani hanno minacciato di bombardare la libreria accanto alla nostra scuola. La gente ha cominciato ad andarsene, molti dormivano per strada… Ho portato i miei figli a casa di un’amica, ma non abbiamo potuto portare le nostre cose per dormire. Fa freddo, molto freddo di notte».
La libreria non è bombardata. Amal deve lasciare la casa della sua amica. «Camminiamo continuamente a sud-ovest di Rafah», ha scritto il 27 dicembre. Il giorno seguente, lei e i suoi figli sono tornati alla scuola dove c’è un problema di risalita delle acque reflue, a causa della mancanza di elettricità che attiva le pompe per la bonifica delle acque. «È terribile e disgustoso – confida Amal –. Comincio a cercare un altro posto… Siamo tutti malati. Le scuole non sono adatte alla vita delle persone».
 
 

C’era una volta il saluto romano

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di Marcello Veneziani

Non prendete questa cicalata sul saluto romano per un pezzo di nostalgismo politico e nemmeno per una chiosa alla cerimonia di Acca Larenzia, di cui abbiamo già scritto, e un commento alle previste condanne per apologia di fascismo. Sarebbe surreale e insensato, fuori luogo, fuori tempo. Questo è puro vintage, racconto di colore, dove la nostalgia assume tratti sentimentali, emotivi ed estetici, non politici, storici e ideologici; temperati dall’ironia.

Novantanove anni fa entrava in vigore un decreto governativo che rendeva obbligatorio il saluto romano nei luoghi pubblici e nelle sedi amministrative. Non fu una trovata di qualche oscuro gerarca; l’idea originaria veniva da D’Annunzio ed evocava il romano Ave Caesar.

Ci restano nelle memorie degli anni passati, distese di saluti romani ai funerali di Almirante e Romualdi, di Rauti e di Buontempo, ma anche di Giano Accame e di altri meno famosi personaggi. Il camerata officiante gridava il nome del defunto e la comunità ripeteva in coro “Presente!”, facendo tutti il saluto romano.  Anche a chi era estraneo al piccolo mondo antico del cameratismo, quel rito d’addio pareva avere una forza liturgica e rituale così intensa e corale che nemmeno la funzione religiosa riusciva a esprimere. Raccontava una vita e una morte, una storia e una comunità. Nulla di retorico o di minaccioso. Mi colpirono da ragazzo i saluti romani indirizzati alla bara del Principe Junio Valerio Borghese. Erano allora un atto di epica strafottenza verso il mondo e il potere, la viltà dei benpensanti e l’arroganza dei pugni chiusi accompagnati da spranghe e catene. Li vedevo con gli occhi di un ragazzo colpito dai gesti simbolici in luoghi sacri. Erano gli anni settanta, duemila anni fa.

“Selva di braccia tese”, cantava Lucio Battisti e i ragazzi con la testa “fasciata” pensarono orgogliosi che si riferisse a loro. Vero o falso, come poi mi disse il suo paroliere, Mogol, quella frase entrò nel mito, nei cuori e nelle mani di molti ragazzi. Lucio è nostro, Lucio è nostro…

I più teatranti allungavano il braccio al cielo, i più ispirati ne rivolgevano pure lo sguardo, i più timidi accennavano una manina atrofizzata, i più fanatici salutavano alla tedesca, i più coreografici accompagnavano il saluto romano con un batter di tacchi e il mento in alto. Comodi, riposo, dicevano i più ironici e chi sapeva distinguere tra la storia e la parodia. Al saluto romano i più scettici con licenza ginnasiale rispondevano: Ave Caesar morituri te salutant. E il camerata dopo il saluto romano usava la stessa mano per una più prosaica grattata ai genitali. “A noi!” gridavamo in sezione al vecchio camerata sordastro. “Tutto a noi e niente a loro”, rispondeva sempre lui. Un altro lo chiamavano Mani di fata, l’unico gay capitato tra i virili camerati, che salutava romanamente con la manina delicata; poco fascio ma tanta grazia. Se a un democristiano stringere le mani in campagna elettorale portava voti, a un candidato missino li toglieva. Ogni mano stretta era un saluto romano in meno. Sarà un traditore, un badogliano, non avrà le mani pulite. I camerati duri e puri, invece, non si accontentavano del Saluto Romano, preferivano il saluto personale con l’avambraccio, uno avvinto all’altro. L’intensità del saluto misurava il camerata in purezza. Ammazza che forza, sarà un camerata de core e de fegato, un centurione.

Il saluto romano cominciò a declinare quando cominciarono le vie di mezzo, i saluti a mezz’asta, le manine ambigue con leggera motilità, per dissimulare l’atto impuro, come quelle che si usavano nelle auto kitsch di un tempo appiccicate ai lunotti.

Sono grotteschi i saluti romani a babbo morto in epoca democratica e antifascista. Ma ancora più ridicolo era far scattare la denuncia d’apologia di fascismo per un saluto innocuo e antico, come se il folclore fosse criminalità; per giunta in una cerimonia funebre. Il fatto che le cerimonie fasciste coi saluti romani siano avvenute tutte ai funerali dimostra ancora di più che il fascismo è terra dei morti e in articulo mortis non c’è articolo di legge che regga. La nostalgia è un sentimento, a volte un risentimento, ma non un delitto, e nemmeno un reato. Si può esser giudicati fessi per un saluto romano, non delinquenti. Anacronisti, non terroristi. Tanto per fare archeologia comparata, non mi dispiace neanche il pugno chiuso, ha una forza simbolica raccolta e concentrata, una promessa che coincide con una minaccia, ma indica la fierezza di un movimento in lotta. Il saluto romano è un segno più estroverso, meno cattivo, più classico, più latino, più naturale, più socievole e più teatrale, perfino autoironico…

Il saluto romano evitava con un gesto unico e collettivo giri prolissi con fastidiose strette di mano, scambi di cortesi e sudate ipocrisie del tipo “piacere, onorato, molto lieto”, e via coglionando il prossimo con ricevuta di ritorno. 

Mi sovvenne il saluto romano dopo una conferenza in un Lions o in un Rotary club, quando alcune persone stringendomi la mano, mi tastarono con un dito il polso; pensai che fossero medici ma poi mi dissero che era un saluto massonico. Se era ridicolo il primo, non vi pare ridicolo pure il secondo? Erano un po’ comici i camerati che a fascismo sepolto andavano in camicia nera, ma non trovate un po’ comici pure i fratelli col cappuccio e il grembiulino nelle loro sedute segrete?

Rimpiansi, invece, il saluto romano affacciandomi a Bologna da osservatore a un’assemblea nazionale di An. Dovevo urinare con una certa urgenza (fui precursore della Meloni incontinente) ma entrando in bagno fui bloccato da una fiumana di postfascisti reduci dai gabinetti – si vede che dopo Fiuggi la parola d’ordine, categorica e impegnativa per tutti, era: Mingere e Mingeremo – e mi strinsero tutti calorosamente la mano. Considerando che, secondo statistica, uno su due uscendo dal bagno non si lava le mani, e la statistica non mi pare limitata all’arco costituzionale, fu una catastrofe sanitaria. Rimpiansi allora i tempi d’oro del saluto romano, più rapido, più igienico, come diceva Trilussa e poi Almirante. Memorie prostatiche alla ricerca del tempo perduto.

La Verità – 13 gennaio 2024

Pubblica un video contro Israele: il calciatore del Nizza Youcef Atal condannato a 8 mesi di carcere

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Fonte: https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/01/03/pubblica-un-video-contro-israele-il-calciatore-del-nizza-youcef-atal-condannato-a-8-mesi-di-carcere/7399904/

di F.Q.

Una multa di 45mila euro e 8 mesi di carcere (con sospensione della pena): questa la condanna del Tribunale di Nizza per Youcef Atal, calciatore della squadra locale e della Nazionale dell’Algeria. Atal è stato condannato per “provocazione all’odio a causa della religione” per aver condiviso un video sui social che invocava “una giornata nera per gli ebrei“. Il giocatore era già stato sospeso dal Nizza, che milita in Ligue 1, mentre la Federcalcio francese ha deciso di sospenderlo per 7 partite a partire dallo scorso 31 ottobre.

Atal, nell’ambito del conflitto tra Israele e Hamas, aveva rilanciato il video del predicatore palestinese Mahmoud al-Hasanat che chiedeva appunto a Dio una punizione contro Tel Aviv. Il Tribunale, oltre a condannarlo, ha stabilito che il calciatore algerino dovrà pubblicare a proprie spese la sentenza sul quotidiano Nice-Matin e su Le Monde. Non solo, la stessa sentenza dovrà essere pubblicata anche sul suo account Instagram – doveva aveva condiviso il video al centro del processo – e rimanerci per almeno un mese.

Atal gioca per il Nizza dal 2018 (è stato anche compagno di squadra di Mario Balotelli). Di ruolo terzino, conta quasi 100 presenze con la maglia dei rossoneri di Francia, ma in questa stagione l’ultima volta che è sceso in campo risale al primo ottobre. Con la Nazionale algerina invece ha vinto la Coppa d’Africa nel 2019 in Egitto.

ENNESIMO BARBARO ATTACCO DEL REGIME DI KIEV ALLA POPOLAZIONE CIVILE RUSSA

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DICHIARAZIONE DEL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI DELLA FEDERAZIONE RUSSA IN RELAZIONE ALL’ENNESIMO BARBARO ATTACCO DEL REGIME DI KIEV ALLA POPOLAZIONE CIVILE RUSSA

Il regime di Kiev HA MOSTRATO ANCORA UNA VOLTA LA SUA INIQUA NATURA NAZISTA. Ha commesso un altro crimine cinico e sanguinoso attaccando con lanciarazzi multipli i quartieri residenziali della città di Belgorod.

I consiglieri britannici e americani, che OSTINATAMENTE E IRRESPONSABILMENTE regolarmente incitano le autorità dell’attuale UCRAINA a commettere crimini sanguinosi, sono stati direttamente coinvolti nell’organizzazione di questo attacco terroristico. Anche i Paesi dell’Unione Europea ne sono responsabili, poiché continuano a rifornire di armi le autorità ucraine.

Va sottolineato che l’attacco è stato deliberatamente mirato a luoghi in cui erano ammassati i civili, famiglie con bambini.
I criminali ucraini hanno utilizzato munizioni a grappolo per aumentare il numero delle vittime dell’attacco terroristico.

Il bombardamento di aree popolate nel Donbass, nelle regioni di Kherson e Zaporozhye, in Crimea e in altre regioni russe, l’uccisione spietata e cieca di civili testimoniano l’agonia del regime neonazista di Zelensky, impantanato nel terrorismo, nell’illegalità, nella corruzione e nel cinismo, che nella sua rabbia impotente cerca di uccidere il maggior numero possibile di russi per compiacere i suoi padroni occidentali.

Tutti gli organizzatori e gli autori di questo e di altri crimini della giunta di Kiev saranno inevitabilmente puniti secondo la legge.

Chiediamo a tutti i governi responsabili e alle strutture internazionali competenti di emettere una forte condanna di questo brutale attacco terroristico e di prendere pubblicamente le distanze dal regime di Kiev e dai suoi collaboratori occidentali che commettono tali crimini.

IL SILENZIO IN RISPOSTA ALLA BARBARIE DEGLI UKRONACISTI E DEI LORO COMPLICI PROVENIENTI DALLE “DEMOCRAZIE CIVILIZZATE” EQUIVARRÀ A FAVORIRE LE LORO AZIONI SANGUINARIE.

Fonte

Bibbia Queer: “Blasfemie contro la Madonna nel commentario al Vangelo di Luca”

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Segnalazione di L.C.

Indizio n.162 Commentario Bibbia Queer: “Blasfemie contro la Madonna nel commentario al Vangelo di Luca: qualche alto prelato ha letto i contenuti pubblicati dalla ‘cattolica’ EDB?”
di INVESTIGATORE BIBLICO

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