Gli effetti a cascata della guerra informatica

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di Leonid Savin

In questo articolo, affronteremo gli aspetti attuali della guerra informatica [“cyber”] condotta dagli Stati Uniti e dai Paesi della NATO contro la Russia. Naturalmente, il concetto stesso di “cyber” dovrebbe essere inteso nel senso tradizionale e platonico, dove “cybernet” è il sovrano. Di conseguenza, anche l’applicazione delle moderne tecnologie di comunicazione è una questione di dominio e controllo.

Il 10 marzo 2022 si è tenuta negli Stati Uniti un’altra conferenza giuridica del Cyber Command, per discutere una serie di aspetti legali e questioni di sicurezza nazionale.

Dato che l’operazione della Russia in Ucraina in quel momento era già in corso, il capo del Cyber Command, il generale Nakasone, non ha potuto fare a meno di menzionarla, osservando che:

“Il Cyber Command sta monitorando la prima linea digitale delle azioni russe in Ucraina… Il conflitto ucraino aumenta la probabilità che operazioni russe nel cyberspazio abbiano come obiettivo gli interessi degli Stati Uniti e degli alleati… La situazione in Ucraina ha rinvigorito le nostre alleanze e ha aumentato tra i nostri partner internazionali l’appetito per operazioni congiunte nel cyberspazio.”

Questa è un’ammissione aperta riguardo la struttura d’élite del Pentagono che lavora contro la Russia. Sembra che già dai primi giorni ci siano state, a Washington, alcune conclusioni.

Il tenente generale Charles Moore, che è il vice di Nakasone, ha spiegato che combinare le operazioni di informazione con le misure informatiche potrebbe dare agli Stati Uniti un vantaggio strategico sui futuri avversari:

“Senza dubbio, abbiamo appreso che le operazioni di attacco informatico, se combinate – più che altro un approccio globale – con quelle che tradizionalmente chiamiamo operazioni di informazione, sono uno strumento estremamente potente.”

Moore ha affermato che gli Stati Uniti dovrebbero adottare “una strategia volta a influenzare le percezioni degli avversari”.

Questo è un livello di guerra psicologica, cognitiva o mentale della guerra informatica.

Nel frattempo, Moore ha affermato che il comando ha le autorizzazioni necessarie per condurre operazioni quotidiane volte a impegnarsi continuamente con gli avversari nel cyberspazio per esporre le loro misure informatiche e costringerli a farne le spese:

“Stiamo dimostrando che possiamo operare in questo spazio al di sotto del livello di uso della forza – al di sotto di quello che considereremmo un conflitto armato – e difenderci meglio senza escalation” ha affermato ancora.

In altre parole, questo è il tipo di guerra ibrida a cui gli esperti della NATO hanno sempre fatto riferimento negli ultimi anni, poiché una delle sue caratteristiche è un livello al di sotto della soglia del tradizionale conflitto armato.

Sul lato pratico, bisogna guardare all’esercitazione informatica della NATO chiamata “Locked Shields”, che si è svolta dal 19 al 22 aprile presso il Centro di Sicurezza Informatica di Tallinn.

Secondo i funzionari, questa esercitazione annuale di difesa della rete in tempo reale offre ai partecipanti un’opportunità unica per esercitarsi nella protezione dei sistemi IT civili e militari nazionali e delle infrastrutture critiche e si svolge in un ambiente ad alta pressione, con una serie di sofisticati attacchi informatici a squadre. Le esercitazioni sono un’opportunità per praticare la cooperazione in caso di crisi tra unità civili e militari, nonché tra il settore pubblico e privato, poiché questi decisori tattici e strategici devono collaborare in caso di attacco informatico su larga scala.

Nello scenario di quest’anno, l’immaginaria nazione insulare di Berelia stava vivendo una situazione di sicurezza in deterioramento. Una serie di eventi ostili era coincisa con attacchi informatici coordinati ai principali sistemi informatici militari e civili.

Oltre a proteggere più sistemi cyber-fisici, le squadre coinvolte hanno praticato il processo decisionale tattico e strategico, la cooperazione e la subordinazione in una situazione di crisi in cui dovevano affrontare anche questioni giudiziarie e legali e rispondere alle sfide delle operazioni di informazione.

Le somiglianze con l’Ucraina sono evidenti.

Quest’anno, più di 2.000 partecipanti provenienti da 32 Paesi hanno partecipato a queste esercitazioni. Sono stati coinvolti circa 5.500 sistemi virtualizzati, oggetto di oltre 8.000 attacchi. Oltre a proteggere i sistemi IT complessi, le squadre partecipanti dovevano anche segnalare in modo efficace gli incidenti e occuparsi di operazioni forensi, legali, mediatiche e di guerra dell’informazione.

L’esercitazione è stata organizzata dalla NATO in collaborazione con Siemens, Taltech, Arctic Security e CR14. Il Centro ha riconosciuto anche gli elementi unici aggiunti a Locked Shields 2022 da Microsoft Corporation, Financial Services Information Sharing and Analysis Center (FS ISAC), SpaceIT, Fortinet.

Quindi possiamo vedere che la grande industria occidentale sta aiutando apertamente la NATO nella guerra informatica.

Dovremmo aggiungere che molti esperti di sicurezza informatica occidentali e funzionari ucraini hanno costantemente affermato che la Russia completerebbe le sue operazioni con un potente attacco informatico mirato alle infrastrutture critiche.

In generale, le pubblicazioni incentrate sull’esercito negli Stati Uniti diffondono continuamente informazioni su possibili nuovi attacchi informatici da parte della Russia contro infrastrutture critiche negli Stati Uniti e in altri Paesi occidentali.

Per inciso, alla vigilia dell’esercitazione, il Centro di Tallinn ha pubblicato un’altra monografia collettiva sulla sicurezza informatica, dedicata alle attribuzioni di attacchi informatici. Ha accusato la Russia di aver interferito nelle elezioni statunitensi e di aver lanciato un attacco informatico contro SolarWinds nel 2020.

E il 7 aprile è stata lanciata presso la sede della NATO una nuova iniziativa volta allo sviluppo di tecnologie critiche ed emergenti, il Defense Innovation Accelerator for the North Atlantic – DIANA.

DIANA dovrebbe riunire il personale della difesa con le migliori e più brillanti start-up dell’Alleanza, ricercatori accademici e società tecnologiche per affrontare le sfide critiche sulla difesa e la sicurezza. Gli innovatori che partecipano ai programmi DIANA avranno accesso a una rete di dozzine di siti di accelerazione e centri di test in più di 20 Paesi alleati. I leader della NATO hanno convenuto che DIANA avrà un ufficio regionale in Europa e Nord America. L’ufficio regionale europeo di DIANA è stato selezionato a seguito di un’offerta congiunta di Estonia e Regno Unito e il Canada sta valutando attivamente di ospitare un ufficio regionale nordamericano.

DIANA si concentrerà su tecnologie profonde e rivoluzionarie che la NATO ha identificato come priorità, tra cui: intelligenza artificiale, elaborazione di big data, tecnologie quantistiche, autonomia, biotecnologia, nuovi materiali e spazio.

Gli alleati hanno anche deciso di istituire un Fondo multinazionale per l’innovazione della NATO. Questo è il primo fondo a capitale di rischio multi-sovrano al mondo: investe 1 miliardo di euro in start-up in fase iniziale e altri fondi tecnologici profondi che corrispondono ai suoi obiettivi strategici.

Se guardate la mappa dei centri di questa iniziativa, si vede che sono concentrati nell’Europa orientale, cioè più vicino ai confini di Ucraina e Russia/Bielorussia. Questa posizione è stata chiaramente scelta con una certa intenzione.

Osservando altri aspetti pratici della guerra contro la Russia, è molto importante l’indagine giornalistica sul programma di spionaggio “Zignal Labs”, attraverso il quale gli Stati Uniti hanno seguito il movimento delle truppe russe anche prima dell’operazione in Ucraina e ne hanno identificato i soldati.

Ovviamente, questi dati sono stati trasmessi alla parte ucraina.

Anche la digitalizzazione del Pentagono procede a ritmi accelerati. Il 25 aprile, uno dei dirigenti di Lyft, Craig Martell, è stato nominato capo della trasformazione digitale e dell’intelligenza artificiale al Pentagono.

Martell ha anche lavorato sull’apprendimento automatico presso Dropbox e LinkedIn. È noto che il suo vice sarà Margaret Palmieri, capo della guerra digitale presso la Marina degli Stati Uniti.

Le forze armate statunitensi stanno ora utilizzando l’intelligenza artificiale per analizzare le operazioni di combattimento in Ucraina, il che consente un’elaborazione più rapida di grandi quantità di dati e la simulazione di vari scenari. È probabile che gli Stati Uniti vogliano ricavare una formula generale che consentirà loro di calcolare le vulnerabilità della Russia e di utilizzarle in futuro.

Inoltre, a giudicare dal sito web del Dipartimento di Stato americano, l’agenzia si sta ora concentrando sulle attività anti-russe, che non possono che essere allarmanti. Se si va sul sito del Dipartimento di Stato, si potrà vedere le pubblicazioni dedicate alla Russia ed esclusivamente in una luce negativa. Ad aprile sono stati pubblicati tre articoli, sebbene i temi siano del 2017, 2018 e 2020. Chiaramente tutto questo è integrato nella campagna di disinformazione generale contro la Russia. Detto questo, lo stesso sito Web di ShareAmerica è, come indicato, realizzato per coprire la vita e gli eventi negli Stati Uniti.

 

 

Mettendo tutto in un unico enigma e aggiungendo il flusso h24, 7 giorni su 7, di falsità fabbricate e messe in scena per scopi politici, otteniamo una conclusione piuttosto seria con cui bisogna fare i conti e rispondere di conseguenza.

Traduzione a cura di Costantino Ceoldo

Foto: Geopolitika.ru

30 aprile 2022

Fonte: https://www.ideeazione.com/gli-effetti-a-cascata-della-guerra-informatica/

Massoneria ebraica e guerra in Ucraina. Come l’ebraismo massonico ha alimentato il conflitto. Tutta la verità

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di Javier André Ziosi

Contrariamente a quanto si possa pensare, l’Ucraina è dominata da una potente loggia massonica di matrice ebraica, la B’nai B’rith, che fin dal 2014 ha soffiato sul fuoco della guerra, conducendo all’attuale conflitto

Poche ore dopo l’invasione russa dell’Ucraina (cominciata alle prime ore del 24 febbraio), la sezione inglese della loggia massonica ebraica B’nai B’rith – nota per influenzare la politica e i governi di tutto l’Occidente – ha emanato un significativo, seppur breve, comunicato di denuncia, che rivela le reali posizioni dell’ebraismo massonico e militante nei confronti del conflitto ucraino:

La loggia B’nai B’rith denuncia l’invasione ingiustificata illegale dell’Ucraina da parte delle forze della Federazione Russa. È chiaro che questo attacco è una grave violazione del diritto internazionale e una violazione fondamentale della pace e della sicurezza in Europa. È altrettanto chiaro che le vite e le libertà di molti ucraini innocenti sono ora a rischio, comprese quelle di molti membri B’nai B’rith nel paese. La loggia B’nai B’rith chiede ai leader occidentali di fornire un vasto sostegno al popolo ucraino e di intraprendere tutte le azioni necessarie per contribuire a ripristinare la sovranità e l’integrità territoriale del paese. Senza tali azioni, la libertà di molte nazioni sarà in pericolo dal comportamento degli stati aggressivi [come la Russia].

Anche il governo d’Israele – molto critico nei confronti della Russia di Putin e dell’imperialismo slavo – ha espresso il proprio sostegno al popolo ucraino, condannando fermamente l’invasione. «L’attacco russo all’Ucraina è una grave violazione dell’ordine internazionale», ha dichiarato Yair Lapid, Ministro della Difesa israeliano. «Israele condanna l’attacco ed è pronto a fornire assistenza umanitaria ai cittadini ucraini».

Così, anche il Primo Ministro d’Israele, Naftali Bennet (che, a ottobre 2021, aveva partecipato ad un incontro «caloroso e positivo» con Putin), si è espresso a favore del popolo ucraino e contro l’invasione russa. «Come tutti gli altri, preghiamo per la pace e la calma in Ucraina», ha asserito. «Questi sono momenti difficili tragici, e i nostri cuori sono con i civili, che non per colpa loro sono stati catapultati in questa situazione».

Pertanto, è doveroso domandarsi: che cosa unisce l’ebraismo militante e massonico, e con esso Israele, all’Ucraina e al suo presidente, l’ebreo Volodymyr Zelens’kyj? Esiste un legame occulto fra la B’nai B’rith e la nuova Ucraina europeista e filo-americana emersa dal “golpe” del 2014? Di chi sono le responsabilità del conflitto?

Maidan: progetto sionista?

Per rispondere a tali domande è necessario ritornare a novembre 2013, anno in cui il presidente ucraino filo-russo Viktor Yanukovych – stretto collaboratore di Putin – decise di sospendere l’accordo di libero scambio con l’Unione Europea, provocando forti proteste popolari, che, «appoggiate dal governo americano di Barack Obama e dalle logge massoniche progressiste occidentali», presero il nome di Euromaidan.

Fra le logge occidentali più influenti che hanno supportato finanziariamente e moralmente le proteste, contribuendo – nel febbraio 2014 – allo sviluppo di un vero e proprio colpo di Stato (al quale aderì anche l’ebreo ungherese George Soros), vi è la potentissima B’nai B’rith, loggia pre-sionista «d’ispirazione totalmente massonica, ma con una specificità giudaica», strettamente legata a Israele, ma con sede negli Stati Uniti.

Obiettivo della B’nai B’rith, in sintesi, fu quello di coinvolgere gli ebrei ucraini (e altre minoranze etniche, come i tatari) nelle proteste, convogliando tutte le forze anti-russe – compresa la destra radicale, composta dal partito Svoboda, dal Congresso Nazionalista e dal movimento Pravyj Sektor – in un unico, grande cartello europeista e filo-americano, in grado di condurre ad un radicale cambio di governo e svincolare così l’Ucraina dalle grinfie della Russia. Attraverso ONG e attivisti locali e stranieri, la loggia B’nai B’rith soffiò sul fuoco del malcontento ucraino, portando ad una veloce escalation delle proteste e alla conseguente fuga di Yanukovych (febbraio 2014), che, come previsto, lasciò il paese in mano alla cricca europeista e filo-sionista del nuovo presidente Petro Porošenko, il quale, un anno dopo, è già a Gerusalemme per stringere diversi accordi bilaterali, ammettendo: «L’Ucraina è con lo Stato di Israele».

Guerra in Donbass

Ma non tutti i cittadini ucraini hanno accettato in silenzio la rimozione del presidente Yanukovych e l’instaurazione di un governo europeista e filo-sionista. Difatti, mentre la Crimea, dopo un controverso referendum vinto con oltre il 90% dei voti, viene annessa alla Federazione russa, in Donbass (sud-est dell’Ucraina) esplode un’intensa guerra civile, dalla quale emergono due nuove repubbliche indipendenti anti-sioniste, la Repubblica di Doneck e la Repubblica di Lugansk, i cui leader accusano subito «del conflitto in corso i massoni americani ed europei», dichiarandosi ideologicamente vicini alla Russia di Putin.

«Nessuno è responsabile del fatto che le nostre banche, i negozi, l’aeroporto [di Doneck] siano chiusi, ad eccezione dei fascisti ucraini e dei liberi muratori degli Stati Uniti e dell’Europa», dichiarò Vladimir Antiufeyev, all’epoca vice Primo Ministro della Repubblica di Doneck. «Non siamo consapevoli dell’influenza che esercitano le logge massoniche in Occidente?!».

Volontari ebrei

Per contro, gli attivisti del B’nai B’rith, col supporto dalle logge progressiste e dei gruppi ebraico-sionisti americani, si sono attivati per mobilitare, in ottica anti-russa, gran parte degli ebrei ucraini, la cui comunità costituisce la terza più grande comunità ebraica in Europa e la quinta più grande al mondo. Fin dal 2014, numerosi ebrei vengono così arruolati come volontari, finendo inquadrati persino in reparti dichiaratamente nazionalsocialisti, come il famigerato battaglione Azov (equipaggiato con armi israeliane), il cui fondatore – Andry Bilecky – ha incredibilmente ammesso di essere «un convinto sostenitore di Israele», in quanto «il suo modello di società e di difesa è molto vicino al modello ideale per l’Ucraina». «Diversi ebrei hanno combattuto con noi», ha infine confessato. «Le opinioni personali non contano, conta difendere il Paese».

A conferma di ciò, Josef Zissels, co-presidente dell’Associazione delle organizzazione e delle comunità ebraiche in Ucraina, ha dichiarato che, dopo il golpe del 2014, «l’atteggiamento verso gli ebrei [in Ucraina] è drasticamente migliorato, poiché essi erano attivi durante [le proteste di] Maidan e si sono arruolati per combattere al fronte. Gli ebrei hanno dimostrato che si identificano con lo Stato ucraino, con il suo futuro e le sue sfide, e che sono pronti ad assumersi la loro parte di responsabilità».

Nuova Gerusalemme

Nel 2015, la maggior parte del debito sovrano dell’Ucraina viene acquisito dal fondo di investimento statunitense Franklin Templeton, che è di proprietà della famiglia Rothschild. Ma è nell’aprile 2016 che vi è la svolta. Appoggiato dalla B’nai B’rith e dall’ebraismo militante internazionale, il sionista ebreo Volodymyr Grojsman – presidente dal 2014 della Verchovna Rada – diviene Primo Ministro, succedendo ad Arsenij Jacenjuk. Il suo obiettivo, fin da subito, è quello di eseguire – affianco al compare Porošenko – gli ordini più rivoluzionari e ambiziosi della loggia B’nai B’rith, ossia ebraicizzare l’Ucraina, per farla diventare – come auspicava un tempo l’ebraismo “chassidico” dei Chabad Lubavitch – una sorta di nuova Israele.

È il giornale Kremenchug che, per la prima volta, in un articolo del 2017 scritto dal generale ucraino Grigory Omelchenko, svela al mondo il progetto occulto della B’nai B’rith. Secondo Omelchenko, il governo Grojsman-Porošenko avrebbe infatti «sviluppato un piano», per creare una «”nuova Gerusalemme“» in Ucraina, coinvolgendo le città di OdessaZaporizhzhyaDnipropetrovskMykolaïv e Cherson. Questa «nuova repubblica», con «capitale culturale» Odessa, avrebbe dovuto rappresentare, in antitesi alle prerogative di russificazione di Putin, una «”Gerusalemme ucraina“», nella quale reinsediare – secondo le direttive del piano – «circa 5 milioni di ebrei» provenienti da Israele o da altri paesi.

Stando alle parole del generale, furono persino formati i quadri politici (precisamente «dodici leader») di questa nuova repubblica, promettendo ad ogni abitante «una pensione di 500 euro mensili, indipendentemente dall’esperienza lavorativa». Ma, alla fine, a causa del proseguimento del conflitto in Donbass e della forte instabilità del paese, si decise di accantonare il progetto e attendere tempi più favorevoli.

Arriva Zelens’kyj

Dopo tre visite ufficiali del presidente Porošenko a Gerusalemme e la conclusione di vari accordi bilaterali con lo Stato di Israele, nel maggio del 2019 vince le elezione ucraine, con il 73% dei voti, il sionista e uomo della B’nai B’rith Volodymyr Zelens’kyj, divenendo il primo presidente ebreo nella storia dell’Ucraina.

Egli, affascinato dal vecchio progetto della “Gerusalemme ucraina” ideato da Grojsman e Porošenko, rafforza fin da subito i legami fra Ucraina e Israele, arrivando a firmare – nell’agosto del 2019 – un accordo con Netanyahu finalizzato a «promuovere lo studio della lingua ebraica nelle istituzioni educative in Ucraina». In sostanza, si comincia a insegnare l’ebraico nelle scuole. In tutte le scuole.

Ma v’è di più. Una ricerca condotta in quel periodo dal Pew Research Center di Washington, ha concluso che, fra le varie nazioni europee esaminate durante la ricerca, l’Ucraina è «la nazione più amichevole verso gli ebrei». Il generale Omelchenko, che è stato anche deputato della Verkhovna Rada, ha addirittura concluso che «l’Ucraina è il premio principale per il sionismo internazionale» e che essa «si sta trasformando in un “piccolo Israele”».

Biden e la guerra

Tuttavia, fino al 2020 l’Ucraina gode di una relativa pace, con l’insorgere di sporadici episodi di micro-conflitto fra i separatisti del Donbass e le forze nazionali ucraine, nelle quali continuano a combattere numerosi ebrei. Ma, nel gennaio 2021, con l’arrivo alla Casa Bianca di Joe Biden (agente occulto della B’nai B’rith e «uomo di Israele a Washington»), le direttive cambiano radicalmente.

È Biden, infatti, su ordine della massoneria occidentale (tra cui la B’nai B’rith), ad emanare nuove disposizioni al governo e all’esercito ucraino, «in modo da far innervosire Putin e sperare in un suo attacco improvviso contro l’Ucraina, al fine di fare apparire la Federazione Russa, nell’ambito dell’opinione pubblica internazionale, la nazione che ha dato vita al conflitto». L’obiettivo principale della loggia B’nai B’rith, non a caso, è quello di riportare la Crimea e i territori del Donbass all’Ucraina, indebolendo così la Russia e facendo entrare l’Ucraina nella NATO.

«Siamo davanti ad atti provocatori lungo la linea di contatto», ha dichiarato ad aprile 2021 Dmitri Peskov, portavoce del Cremlino. «Sono le forze armate dell’Ucraina che hanno intrapreso un percorso verso l’escalation di questi atti provocatori, e stanno continuando questa politica. Queste provocazioni tendono a intensificarsi. Tutto questo sta creando una potenziale minaccia per la ripresa di una guerra civile in Ucraina».

Nello stesso mese, anche Maria Zakharova, portavoce del Ministero degli Esteri russo, ha dichiarato che la situazione in Donbass peggiora di giorno in giorno a causa delle «intenzioni bellicose di Kiev».

«Truppe ed equipaggiamenti militari vengono dispiegati nella regione e i piani di mobilitazione vengono aggiornati», ha concluso Zakharova. «I media ucraini stanno fomentando l’isteria basata sul mito della minaccia russa».

Obiettivo raggiunto

In risposta alle provocazioni ucraino-americane, il 24 febbraio 2022 Vladimir Putin dichiara guerra all’Ucraina, mirando alla capitale Kiev, dove risiede il presidente Volodymyr Zelens’kyj. «Ho preso la decisione di un’operazione militare», ha enunciato il presidente della Federazione russa. «Un ulteriore allargamento della NATO ad est è inaccettabile».

Dunque, l’obiettivo della loggia B’nai B’rith è stato raggiunto: l’Ucraina è in guerra con la Russia. Così, per una seconda volta, gli uomini della B’nai B’rith – capitanati dal presidente della sezione ucraina, il “fratello” Vadim Kolotushkin – chiamano a raccolta l’intera galassia ebraica, che, in Ucraina, è rappresentata da oltre centossessanta comunità, tra cui «duecento famiglie di emissari Chabad Lubavitch», molte delle quali residenti a Kiev.

«Gli ebrei d’Ucraina combatteranno a fianco dei loro vicini contro l’invasione russa», ha dichiarato Meir Stambler, rabbino capo di Kiev vicino alla B’nai B’rith. «È vero, questo Paese è intriso del nostro sangue e la nostra storia, qui, è complessa e dolorosa. Ma gli ultimi anni sono stati buoni, abbiamo un’ottima relazione con i nostri concittadini e condividiamo le sofferenze di questa assurda invasione: fianco a fianco».

A conferma di ciò, l’ebreo italiano Paolo Salom, sul Corriere, ha rammentato che tantissimi ebrei «ora sono in prima linea a difendere quello che considerano il proprio paese [ossia l’Ucraina]. Dunque, ha senso parlare di «denazificazione»?».

«Non credete alla propaganda», ha fatto eco un artista di Kiev. «Giusto per vostra informazione, nel nostro parlamento non c’è un solo deputato nazista, mentre abbiamo eletto un presidente ebreo [Volodymyr Zelens’kyj]».

Appello ebraico

Tuttavia, oltre a supportare lo sforzo bellico delle forze armate ucraine, la B’nai B’rith ha lanciato una campagna di supporto a favore degli ebrei residenti in Ucraina, i quali sarebbero vittima del «nazionalismo antisemita» di Vladimir Putin. Tale campagna, analoga alla campagna di supporto che avviò la B’nai B’rith in epoca sovietica, ha preso il nome di “B’nai B’rith Disaster and Emergency Relief Fund” e opera per ricevere donazioni economiche da tutto il mondo.

«Questa è una crisi alla quale noi ebrei più fortunati non dobbiamo chiudere gli occhi e le orecchie», ha dichiarato Alan Miller, presidente della sezione britannica della B’nai B’rith. «Non possiamo ignorare la situazione. Dovremo aumentare considerevolmente gli aiuti… Tutti noi ci faremo avanti finanziariamente, per aiutare coloro che hanno un così grande bisogno».

De-ebraicizzazione?

Pertanto, sorge spontanea una domanda: è corretto, nel caso dell’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe russe, parlare di «denazificazione», quando invece i cosiddetti “nazisti” ucraini non possiedono alcun seggio in parlamento e il paese è governato da un ebreo massone? «Dobbiamo concentrarci sui fatti», ha dichiarato il reporter Avi Yemini. «I russi hanno invaso perché l’Ucraina è nazista? No. Esiste un problema di estremismo in Ucraina? Sì, ma non è questa la ragione che spiega quello che sta accadendo».

Dunque, non sarebbe forse più giusto parlare di de-ebraicizzazione? In ogni modo, la giornalista ebrea Anne Applebaum, domandandosi: «Perchè l’Ucraina è diventata l’ossessione di Putin?», ha risposto: «È una democrazia, e questo per [Putin] è un pericolo. Putin è spaventato all’idea che a Mosca possa ripetersi quello che è accaduto a Kiev nel 2014. Lo considera una minaccia personale. Ho sempre pensato che Putin fosse razionale, a modo suo. Non ha mai preso grossi rischi, in fondo. Era brutale, magari, ma non si è mai buttato in sfide che non potesse vincere. Oggi è diverso. L’invasione sembra un azzardo. […] Non so di cosa abbia paura, se della morte o di perdere il potere».

Fonte: https://www.ardire.org/2022/03/02/massoneria-ebraica-e-guerra-in-ucraina-come-lebraismo-massonico-ha-alimentato-il-conflitto-tutta-la-verita/

La roulette russa

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di Fabio Falchi

Fonte: Fabio Falchi

“Non accettiamo i ricatti dei russi” ha affermato  von der Leyen, che evidentemente, come la stragrande dei politici europei (Draghi incluso), non si è ancora resa conto che la Russia è in guerra non solo contro l’Ucraina ma contro la Nato che oltre a consegnare armi di ogni genere all’esercito ucraino che sta combattendo contro l’esercito russo, collabora con lo stato maggiore ucraino, dato che l’apparato militare di Kiev è ormai “integrato” nel sistema di comando, controllo e comunicazioni della Nato.
In gioco quindi per Mosca non c’è soltanto la sicurezza del Donbass ma quella della Russia stessa, tanto più che il ministro della Difesa americano ha dichiarato che lo scopo della Nato è mettere la Russia nelle condizioni di non potere più rappresentare una minaccia per qualsiasi Stato. In altri termini è quello di infliggere una sconfitta alla Russia tale che non possa più muovere guerra a nessun Paese. E questo sarebbe possibile, ovviamente, solo se la Russia non esistesse più o non fosse più uno Stato in grado difendere la propria indipendenza e sovranità.
La guerra, anche mediatica ed economica, che l’Occidente a guida angloamericana di fatto sta combattendo contro la Russia quindi ha scopi ben diversi dalla necessità di garantire l’indipendenza e la sovranità dell’Ucraina, e conferma invece la “percezione della realtà” che hanno i russi (si badi, non solo quella di Putin), vale a dire che la Russia adesso è impegnata in una lotta per la vita o per la morte. Perciò Putin, sapendo di contare sul sostegno del popolo russo, che non ha certo dimenticato la Seconda guerra mondiale, al riguardo è stato chiarassimo: la Russia è disposta ad andare fino in fondo, costi quel che costi.
Non è dunque Putin ad essere prigioniero della propria propaganda come sostengono i media occidentali, ma sono i politici e i media occidentali che rischiano di essere prigionieri della propria propaganda. Manca cioè in Occidente la percezione del pericolo reale che si sta correndo e non si può ritenere che limitarsi ad affermare che si devono muovere mari e monti per aiutare la resistenza ucraina sia una strategia politica razionale, sempre che non si pensi che l’Ucraina possa resistere “da qui all’eternità”.
L’Ucraina e gli angloamericani vogliono cioè “vincere” la guerra contro la Russia. Ma che significa “sconfiggere la Russia”? I successi tattici degli ucraini possono anche essere notevoli ma non possono cambiare i reali rapporti di forza sotto il profilo strategico. O si può forse davvero credere che l’esercito ucraino riconquisti l’intero Donbass e pure la Crimea, e che quindi i russi si arrendano agli ucraini e accettino di subire una sconfitta disastrosa?
La Nato può prolungare questa guerra, ma non all’infinito, e più passa il tempo e peggio diventa la situazione non solo per l’Ucraina ma per l’intera Europa. Trattare del resto, non significa affatto arrendersi. E le condizioni per trattare ci sono, senza che vi sia bisogno di sacrificare “sull’altare” del realismo geopolitico l’indipendenza e la sovranità dell’Ucraina. Casomai, indipendentemente da quelle che possono essere le colpe della Russia, si tratta di non difendere il “narcisismo identitario” degli ucraini e di non condividere l’immagine fasulla della realtà diffusa dai media occidentali e dalla Nato ovvero dagli angloamericani che sembrano disposti a combattere contro la Russia fino all’ultimo ucraino e anche fino all’ultimo europeo.
Washington e Londra stanno cioè giocando alla roulette russa anche con le nostre vite, perché ciò che preme davvero agli angloamericani – che di fatto hanno il controllo del regime ucraino, dato che ormai quest’ultimo dipende militarmente ed economicamente dagli aiuti occidentali – è non certo cercare una soluzione diplomatica di questo conflitto, bensì cercare di “dissanguare” la Russia,  anche a costo di rischiare una guerra nucleare, perché, se non lo si fosse ancora capito, è questo il rischio che si sta correndo. D’altronde, anche la geopolitica ha le sue leggi e solo il realismo geopolitico può evitare che la sua meccanica sia irreversibile.

L’Italia è la Bielorussia della Nato

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Come essere intellettualmente onesti e non essere d’accordo con questo pensiero di Pietrangelo Buttafuoco? (n.d.r.)

QUINTA COLONNA

Segnalazione di Arianna Editrice

Fonte: La Verità

di Pietrangelo Buttafuoco 

O con la Nato o con Putin. Se questo è il bivio, lei da che parte va?

«Quando sei di fronte a una guerra, non puoi che andare ai fondamentali nudi e crudi. La situazione è questa: la Russia muove sullo scacchiere e invade l’Ucraina. Ho ben chiaro chi attacca e chi difende, chi è l’aggressore e chi l’aggredito. Ma in Italia la cosa che più mi colpisce è l’assenza di un serio dibattito. Tutto è destinato alla propaganda, alla malafede obbligata».

In che senso obbligata?

«Nel senso che a questa propaganda sei costretto ad adeguarti. L’Italia, rispetto alla Nato, è come la Bielorussia per Putin. Solo l’infinita autorevolezza di Draghi, grazie a Dio, gli impedisce di vestire i panni del Lukashenko occidentale. Per il resto, non abbiamo margini di manovra. Ricordiamoci che tra le potenze sconfitte nella seconda guerra mondiale il nostro Paese è l’unico che non ha potuto imbastire una sua autonomia in assenza di sovranità. La Germania un primato egemonico in economia se l’è costruito, e oggi si avvia al riarmo; lo stesso Giappone ha superato il grande tabù sulle forze armate. L’Italia no».

Dunque non abbiamo la forza per perseguire i nostri interessi nazionali?

«Chi avrebbe mai immaginato che la Turchia sarebbe diventata il protagonista Nato nel continente euroasiatico? Conta molto più dell’Italia e della Francia, è diventato il punto di riferimento degli Stati Uniti. Non avendo problemi di sovranità, i turchi possono fare delle scelte sulla base del loro interesse nazionale, anche assumendo una posizione critica sulle sanzioni. Cosa che a noi è impedito».

Le sanzioni fanno più male a noi che a loro?

«Quando il Fondo Monetario Internazionale dice che l’Italia rischia la recessione senza il gas russo, si incarica, purtroppo, di smentire compassati editorialisti di cui beviamo ogni parola, e autorevoli statisti cui guardiamo sempre con trepidazione e indiscussa fedeltà. Forse seguendo l’esempio di altri con la testa a posto, come Germania e Turchia, cambieremo registro anche noi. A meno che l’ansia di essere la Bielorussia dell’Occidente non ci faccia scantonare».

Anche in passato eravamo definiti un Paese a sovranità limitata. Oggi è peggio di ieri?

«Neppure la democrazia cristiana più cattocomunista dei Dossetti ha mai avuto un atteggiamento di tale sudditanza. Forse anche perché il pontificato dell’Italia di allora aveva un peso che l’attuale non ha. Oggi agli Stati Uniti non importa nulla del Vaticano, sono indifferenti e quasi sprezzanti. Non considerano questo Papa un interlocutore. Purtroppo siamo sempre costretti a ragionare in un ambito angusto: quando alziamo lo sguardo sulla scena internazionale non ci rendiamo conto di come all’estero considerino le vicende italiane».

Parlava della mancanza di dibattito. Intende dire che dinanzi alla linea bellicista dell’appoggio armato agli Ucraini, non è ammesso dissenso?

«Una volta c’era un minimo di confronto. Ma oggi siamo nell’epoca del conformismo compiuto, non ti puoi consentire più margini di discussione eterodossa. Tutto si è trasformato in un immenso bar sport. Hanno passato intere stagioni a inseguire il populismo, quando invece il populismo se lo sono fabbricato nelle cattedrali della rispettabilità istituzionale dell’informazione e della cultura».

La sorprende questo centrosinistra ultra-atlantista?

«Non mi stupisce perché conosco la loro ideologia: quella di avere sempre uno Stato guida cui fare riferimento. È l’ortodossia togliattiana».

E oggi lo Stato guida è l’America di Biden?

«No, è direttamente il «deep state» americano. D’altro canto, in una situazione come questa non possiamo pensare che sia Biden l’eminenza grigia, il cervello fondante. Semmai è la Cia e quelle strutture di sistema che costituiscono l’apparato di potere dell’Occidente».

Il Pd terminale della Cia?

«Intendo dire che, in questa particolare fase della storia, il Pd è il partito unico a tutti gli effetti. Teniamo conto che gli italiani non sono mai stati fascisti, democristiani o comunisti: sono sempre stati italiani. E gli italiani applaudono il re come il presidente della repubblica, erano tutti iscritti al Pnf e poi tranquillamente alla Dc e al Pci. Tutto risponde a un istinto comune, quello del guelfismo nazionale che si identifica con il partito unico delle carriere. In un Paese di uomini o caporali, alla fine i caporali sono sempre loro».

E il Pd dunque rappresenta questo guelfismo?

«Il Pd l’ha perfezionato: oggi è il primo partito di governo, il primo editore, il primo educatore, domina anche mentalmente, è il punto di riferimento dell’alta burocrazia, è il veicolo di carriera dei giovani arrembanti, basta vedere le facce di chi lavora a Palazzo Chigi. Pensa invece al destino da fessacchiotti in cui si ritrovano a vivere quelli di centrodestra nell’attuale maggioranza, dove sui temi fondamentali non vincono mai».

Fino a ieri i punti di riferimento a sinistra erano Angela Merkel e il ticket Joe Biden-Kamala Harris. Oggi il pantheon sembra spopolarsi.

«Vuoi che si spaventino per questo? Questi si sono fatti la villa con i rubli e oggi sono i portabandiera della Nato. Avranno sempre e comunque ragione, essendo loro i padroni della parola e della vetrina. Solo per fare un esempio: è stato il governo Letta quello che ha costruito i rapporti più forti con la Federazione Russa. Ma tutto è dimenticato, perché nel cancellare le tracce sono i più bravi di tutti».

Che succederà se Putin uscirà vincitore in Ucraina, o comunque non sconfitto?

«Già mi vedo le prime pagine dei giornali: cercheranno di convincerci che non possiamo fare a meno dello Zar Putin. E già pregusto il Caffè di Gramellini corretto alla vodka».

Trova analogie tra la gestione della pandemia e la gestione della crisi ucraina, con l’aut aut tra pace e aria condizionata?

«Questo governo ha ereditato dal precedente la logica del Cts e dell’escatologia sanificatrice. Passeremo in un niente dalla mascherina obbligatoria al ventaglio obbligatorio. Con lo stesso giudizio morale, e la stessa ansia di scovare il nemico interno. Sono formidabili nel neutralizzare il dissenso: o ti ridicolizzano, o ti criminalizzano. E alla fine sfoceremo nel solito provincialismo: levata la mascherina, sventoliamo la bandierina (ucraina). Insomma, stanno approfittando di una catastrofe mondiale per regolamentare i conti nel proprio cortile. E sa qual è la cosa davvero
straordinaria?».

Quale?

«Che gli artisti, di solito detentori della sovversione, oggi sono i primi guardiani della fureria: passano le giornate a scrivere tweet con il ditino alzato».

Un’eredità del cortigianesimo?

«Peggio. Il cortigiano si riservava uno spiraglio di crudele ironia. Invece gli intellettuali di regime, i comici di regime, i drammaturghi di regime, non sono genuini creatori di rivoluzione, come poteva essere un Majakovskij. No, questi credono davvero a ciò che dicono».

Ha scritto che gli Stati Uniti vogliono trasformare la Russia nell’Unione Europea. Ce la spiega?

«Per l’Occidente la Russia è un nemico più ostile persino dell’Unione Sovietica, perché decenni di materialismo scientifico non sono riusciti a scalfirne l’identità e lo spirito. La Russia è la prima potenza cristiana sul continente europeo, ha solide tradizioni, a Dio i russi ci credono davvero. Tutto ciò appare preoccupante e odioso per chi guarda il mondo con gli occhi del laicismo e dello scientismo occidentale».

Insomma, dietro il conflitto armato si cela uno scontro di civiltà?

«Da un lato c’è «l’imperium», le potenze imperiali, Stati Uniti compresi: come dice Dario Fabbri, sono i popoli che non prendono l’aperitivo, che hanno spirito combattivo e identità plurali. Dall’altro c’è il «dominium» di noi europei, il tentativo di riunire il mondo ad unica identità, ad un unico progetto. Anziché perdere tempo con la propaganda, dovremmo riflettere su una guerra che mette in discussione la globalizzazione. Noi occidentali siamo convinti di avere la parola definitiva sugli eventi della storia, ma esiste un disegno globale dove potenze spiritualmente fortissime si sono incontrate: Cina, Russia, India, Pakistan».

Che effetto le fa vedere l’Europa in ordine sparso, dal Baltico alla Germania al Mediterraneo, senza una guida?

«Come abbiamo detto all’inizio, torniamo ai fondamentali. Chi sono i due soggetti attualmente egemoni nel mediterraneo, con un ruolo attivo? Quando mi affaccio dalla spiaggia iblea, in Sicilia, vedo passare incrociatori battenti bandiera russa e turca. Noi italiani, invece, possiamo fare tutto: tranne quello che non ci consentono di fare».

a cura di Federico Novella

Perchè l’occidente odia la Russia e Putin

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di Fabrizio Marchi

Fonte: Fabrizio Marchi

Anche se può sembrare fantapolitico, specie per chi non si occupa di politica internazionale, è importante sottolineare che l’obiettivo strategico dell’offensiva globale americana (leggi, fra le altre cose, l’espansione della NATO ad est), è la Cina, non la Russia.
L’indebolimento o addirittura la destabilizzazione della Russia sul medio-lungo periodo è “solo” (con molte virgolette…) un passaggio intermedio, anche se di enorme importanza, al fine di isolare la Cina, il vero e più importante competitor degli americani. Che ciò sia possibile è tutto da verificare, naturalmente, ma a mio parere questa è l’intenzione.
Gli Stati Uniti puntano a prolungare quanto più possibile il conflitto in Ucraina se non a renderlo permanente. In questo modo sperano di dissanguare la Russia sia dal punto di vista militare che soprattutto economico, e di logorarla con il tempo anche sul piano psicologico, minando la coesione interna. Sul medio periodo la guerra potrebbe rafforzare e sta già rafforzando molto la leadership di Putin ma sul lungo potrebbe, forse, indebolirla. Del resto, restare impantanati in una guerra di lungo periodo può essere ed è stato destabilizzante per tutti. Pensiamo al Vietnam per gli USA e all’Afghanistan sia per l’America che per l’Unione Sovietica, solo per portare alcuni esempi noti. E per quanto la leadership di Putin sia molto solida, non possiamo escludere a priori nel tempo un suo indebolimento interno. Quanto e se ciò sia possibile, come dicevo, è altro discorso ma io credo che la strategia del Pentagono sia questa.

Subito dopo il crollo dell’URSS (ma il disfacimento era iniziato già da tempo) la Russia era ridotta ad una colonia, un paese con un enorme serbatoio di materie prime da saccheggiare e una grande massa di manodopera a bassissimo costo a disposizione per le multinazionali e le aziende occidentali, più un governo di affaristi senza scrupoli in combutta con la mafia e guidato da un fantoccio ubriacone al servizio degli USA. I quali erano ormai convinti di avere il mondo in pugno. E questo è stato il loro più grave errore. Un errore che per la verità hanno commesso spesso negli ultimi trent’anni. Sono rimasti letteralmente spiazzati dalla crescita economica impetuosa, se non portentosa, della Cina e non pensavano che la Russia potesse risollevarsi e ritrovare la sua forza, il suo baricentro, la sua identità, che è quella di un grande paese, con una grande storia, una grande cultura e un grande popolo che non può accettare di essere ridotto ad una colonia dell’Occidente.
Che ci piaccia o no (questo è del tutto indifferente al fine della comprensione delle cose) Putin è stato l’uomo che ha incarnato questa rinascita. Ed è proprio questo che l’Occidente non gli perdona. Perché gli ha tolto quel grande giocattolo che pensavano di avere ormai tra le mani e così facendo gli ha tolto il sogno – che sembrava ormai raggiunto – di poter dominare sull’intero pianeta.

Che poi la crociata antirussa sia all’insegna della difesa dei valori occidentali, della libertà, dei diritti civili e della democrazia, è ovviamente scontato, ma sono chiacchiere, propaganda delle più scontate, minestrine per ingenui (non voglio infierire…). L’Occidente fa e ha fatto affari, appoggiato, finanziato, armato e spesso creato di sana pianta le più feroci dittature in tutto il mondo (così come non esita oggi a nobilitare la peggiore feccia nazifascista mai vista in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale in poi), figuriamoci se il problema possono essere i diritti e la democrazia. Se Putin fosse al suo servizio potrebbe pure mangiarsi letteralmente i bambini a colazione che non gliene importerebbe assolutamente nulla e troverebbero anche il modo di occultarlo.
Indebolire, ridimensionare drasticamente o addirittura destabilizzare la Russia e insediare un governo compiacente, significherebbe, come dicevo, isolare la Cina. Pensiamo oggi all’India, un paese formalmente collocato nella sfera di influenza occidentale ma di fatto non ad esso omogeneo, per ovvie ragioni geografiche e quindi economiche e commerciali. Venendo meno la Russia, cioè l’altro principale bastione, oltre alla Cina, del blocco (euro)asiatico, l’India verrebbe inevitabilmente risucchiata nella sfera occidentale e forse anche il Pakistan, alleato fino a poco più di un anno o due anni fa degli Stati Uniti.

Si tratta ovviamente di una strategia e di un progetto ambiziosissimi che gli americani potrebbero giocarsi sul medio e lungo periodo. Del resto, se non riescono a spezzare in qualche modo il legame fra Russia e Cina, cioè l’asse centrale del (possibile ma non ancora del tutto omogeneo) blocco asiatico, per gli Stati Uniti e per il blocco occidentale le cose si potrebbero mettere molto male.
E’ per questo che la crisi in corso è sicuramente la più grave e inquietante dal termine della seconda guerra mondiale ad oggi. Una crisi di cui obiettivamente non siamo in grado di prevedere gli sviluppi e soprattutto gli esiti, potenzialmente drammatici.

Come si svolgerà la Fase 3 della guerra in Ucraina?

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di Roberto Buffagni

Boris Johnson al “Financial Times”: “La Russia può vincere, mandiamo tank in Polonia”.

In vista del probabile successo della prossima offensiva russa e della conseguente neutralizzazione delle FFAA ucraine, i britannici, che hanno un ruolo di primissimo piano nella gestione delle ostilità, preparano la fase tre della guerra: finiti gli ucraini, facciamo entrare in campo i polacchi e i baltici.

La fase tre della guerra in Ucraina tra Russia, USA e NATO, si svolgerebbe così.

1. La prossima offensiva, in cui la Russia impiega la sua superiore potenza di fuoco, neutralizza il grosso delle FFAA ucraine oggi fortificate nel Donbass. L’Ucraina non è più in grado di resistere efficacemente. Termina la fase due delle ostilità.

2. Inizio della fase tre. Su richiesta di aiuto militare del governo ucraino (eventualmente rifugiato in esilio) al governo polacco e ai governi baltici, entrano in Ucraina truppe regolari polacche e baltiche, e un contingente di mercenari finti e veri. I mercenari veri sono forniti dalle aziende che forniscono contractors. I mercenari finti sono militari di paesi NATO che si dimettono dalle loro FFAA per non coinvolgere giuridicamente come belligeranti i propri paesi, e vanno a combattere senza mostrine. In Polonia si sta già raccogliendo un contingente che da quanto mi risulta conta già circa 120.000 uomini. Ingenti aiuti finanziari e materiali stanno affluendo in Polonia da USA e NATO.

3. Il contingente polacco-baltico combatte i russi in Ucraina. I russi possono rispondere sul territorio ucraino, ma non possono colpire i centri di comando e logistici del contingente, situati in Polonia e nei paesi baltici, per non entrare in un conflitto diretto con la NATO.

4. Le ostilità in Ucraina tra USA, NATO e Russia, combattute tra FFAA polacche e baltiche e FFAA russe, diverrebbero così interminabili, perché l’afflusso di truppe in Ucraina potrebbe continuare per anni, e la Russia non potrebbe colpirne la sorgente senza entrare in conflitto diretto con l’intera NATO.

5. Lo scopo della fase tre delle ostilità sarebbe: aprire una ferita immedicabile nel fianco della Russia + isolarla politicamente + sfinirla economicamente con il costo delle ostilità che si aggiunge alle sanzioni. In sintesi: dissanguamento della Russia in vista della sua disgregazione politica.

La strategia occidentale sarebbe dunque provocare in Russia:

a) Sfiducia della popolazione nei suoi governanti per l’alto costo umano e materiale della guerra, e l’assenza di una prospettiva credibile di sua conclusione favorevole.

b) Crescenti dissensi all’interno del ceto dirigente russo, cristallizzarsi di una fazione capace di rovesciare l’attuale governo

c) Risveglio e attivazione di forze centrifughe nelle repubbliche che costituiscono lo Stato federale russo, forze sempre latenti in una compagine multietnica, multireligiosa, multiculturale come la Federazione russa.

d) “Regime change”. Rovesciamento del governo attuale, sostituito da un governo debole, incapace di opporsi con fermezza al processo di caotica disgregazione politica della Federazione russa, arrestandolo (v. punti precedenti).

e) Disgregazione politica della Russia, che cessa di essere una grande potenza e viene così neutralizzata come nemico dell’Occidente.

Mi limito a sottolineare i più evidenti rischi di un eventuale SUCCESSO di questa strategia di frammentazione politica della Russia: chi si impadronirebbe dell’arsenale nucleare strategico russo? Quali paesi entrerebbero a occupare l’enorme vuoto geopolitico che si creerebbe? La Cina, per esempio, avrebbe l’assoluta necessità di garantire la sicurezza dei 4.500 km di frontiera con la Russia, e l’evidente interesse di appropriarsi delle ricchezze siberiane.

Ovviamente, l’attuazione di questa strategia, coronata o meno da successo, implicherebbe la riduzione dell’Ucraina a campo di battaglia permanente, con l’annichilimento della sua economia, il dilagare dell’anarchia e della criminalità, e un deflusso imponente di milioni di profughi. L’Ucraina diverrebbe una espressione geografica abitata dal caos.

Da quel che sono riuscito a capire dalle varie fonti primarie e secondarie consultate, il governo russo è persuaso che la strategia politico-militare occidentale sia questa che ho appena delineato: in sostanza, la replica ai danni della Russia del processo che condusse alla disgregazione politica della Jugoslavia. Penso che anche la popolazione russa se ne stia persuadendo, sia per l’effetto della propaganda governativa russa, sia, soprattutto, per la sconsiderata demonizzazione del popolo e dell’intera cultura russa messa in atto dai paesi occidentali, il cui evidente sottotesto è “voi russi siete disumani e meritate solo di essere distrutti e rieducati”.

Se questo è vero come credo, per la Russia la posta in gioco è letteralmente la sopravvivenza. Sopravvivenza dell’integrità politica e territoriale della Federazione russa, sopravvivenza della continuità storica e culturale della Russia, e, per finire, sopravvivenza personale dei componenti l’attuale governo e dei suoi sostenitori che non lo tradiscano. Ne consegue che la Russia si difenderà impiegando tutte le sue risorse materiali e morali: dichiarazione formale di guerra all’Ucraina, legge marziale, mobilitazione dei riservisti e coscrizione di massa, economia di guerra, se necessario impiego dell’arsenale atomico tattico e strategico; disponibilità a rispondere a un allargamento del conflitto alla NATO e agli Stati Uniti, eventualmente a provocarlo se costrettivi dalle necessità militari.

La prospettiva che ho delineato non è una certezza: è una possibilità, ma una possibilità nient’affatto improbabile coeteris paribus, ossia se non intervengono fattori di mutamento significativi nella situazione politico-militare: ad esempio, un fallimento dell’offensiva russa così completo da indurre il governo russo a cessare le ostilità, o una rottura del fonte politico occidentale.

Ritengo estremamente improbabile che la Russia incontri un fallimento militare così catastrofico da indurla a cessare le ostilità: sia per le risorse di cui dispone, sia per l’entità della posta politica in gioco: la cessazione delle ostilità in seguito a sconfitta sul campo destabilizzerebbe il governo russo, probabilmente provocandone la sostituzione con un governo revanscista.

Il fronte politico occidentale può essere rotto solo da un paese europeo importante, come Francia, Germania o Italia. Se uno di questi paesi adottasse, nel proprio interesse nazionale e nell’interesse dell’Europa tutta, la linea scelta dall’Ungheria di Orbàn, sarebbe estremamente difficile, per non dire impossibile, attuare la strategia di destabilizzazione e disgregazione politica della Russia.

Avverrà?

Le probabilità sono scarse, ma la possibilità c’è. Già ora Francia e Germania cominciano ad accorgersi del danno devastante che subirebbero applicando alla lettera le sanzioni che hanno pur votato. La Germania si rifiuta di inviare “armi offensive” all’Ucraina, per evitare la classificazione di “cobelligerante” (il diritto internazionale permette di inviare “armi difensive” senza divenire cobelligeranti del paese destinatario). Nelle Cancellerie europee, insomma, qualcuno comincia a riflettere sulle decisioni sconsideratamente prese nell’immediato, senza valutarne le gravi e anche gravissime conseguenze, sotto la pressione americana e per un riflesso condizionato del moralismo ideologico ufficiale condiviso dalle classi dirigenti UE.

Speriamo.

https://t.me/intelslava/26477

 

Le parole di Scholz cambiano tutto

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di Vincenzo Costa

Su un crinale pericoloso. I rischi maturano di giorno in giorno, alcuni svaniscono, poi riappaiono.

E di nuovo c’è il rischio di un’estensione della guerra, sia territorialmente sia dal punto di vista delle armi usate. A dirlo chiaro è stato Scholz:

“Sto facendo tutto il possibile per evitare un’escalation che porterebbe dritto alla terza guerra mondiale. E’ possibile una guerra atomica” 
(Ich tue alles, um eine Eskalation zu verhindern, die zu einem dritten Weltkrieg führt. Es darf keinen Atomkrieg geben)

Chi conosce un poco Scholz e la politica tedesca capisce bene. Non sono come i nostri Draghi e Di Maio. E’ gente misurata che usa le parole dopo averle pesate. E Scholz sta dicendo che l’Occidente sta esasperando le cose per arrivare a un guerra atomica, non totale ma regionale.

Di fatto in Germania vi è un tentativo di regime change. Merz, capo della CDU e notoriamente uomo proveniente dalle banche, sta spingendo in questa direzione, puntando sul filoatlantismo dei verdi. Scholz e la SPD stanno resistendo ma l’attacco è frontale. Difficile dire come si svilupperà.

Poiché uno degli argomenti centrali è che la Germania è isolata, molto dipende da come si risolveranno le elezioni francesi e dalla posizione che prenderà il prossimo presidente francese, una volta che non ha più la pressione elettorale.

Tutta una serie di altri segnali vanno in direzione di una aggravamento e di un’estensione del conflitto.

L’ambasciatore in Canada ma anche altre fonti, compresi i cinesi, hanno avvisato circa la possibilità di “false flag”, cioè di eventi crea dai servizi inglesi e americani per addossarli ai russi: uso di nucleare tattico o di armi chimiche. Poi fra 20 anni si saprà che erano false flag, ma intanto la Lucia Annunziata e company martellerà e convincerà che dobbiamettere l’elmetto.

Il rischio è un coinvolgimento della NATO, cosa che è controversa anche dentro l’amministrazione americana, per cui è un’opzione: dipende da chi ha la meglio nell’amministrazione.

Molto dipende dal fatto che il regime change in Germania riesca o che Scholz si pieghi del tutto, dal fatto che il nuovo presidente francese riapra la questione facendo sponda con la Germania.

L’Italia non conta niente perché Draghi sta lì per ubbidire e quindi non è da qui che può partire un’iniziativa.

Il nostro paese non esiste da nessun punto di vista. E’ l’unico paese al mondo che antepone gli interessi degli Stati Uniti ai propri. 

Speriamo che l’Europa centrale sappia reagire. Ho dubbi. Se non lo farà andiamo verso un futuro orribile.

L’autunno potrebbe essere freddo a causa della mancanza di gas, ma anche caldissimo.

Fonte: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-vincenzo_costa__le_parole_di_scholz_cambiano_tutto/39602_46056/

Marx è andato a vivere a New York

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di Marcello Veneziani

La Verità ha riproposto uno stralcio dal libro-antologia di Karl Marx Contro la Russia, che le edizioni de Il Borghese pubblicarono per primi negli anni settanta. Ma c’è un’integrazione essenziale, e attualissima, da fare: in queste pagine emerge il Marx filo-americano, persuaso che il suo pensiero radicale potesse meglio attecchire in una società nuova, moderna, priva di storia, radici e tradizione come gli Stati Uniti. Non a caso questi scritti furono pubblicati tra il 1858 e il 1861, sul New York Tribune, poi raccolti dalla figlia Eleanor con il titolo The eastern question; articoli antirussi, filoamericani, occidentalisti, che auspicavano l’avvento del mercato libero globale e del pensiero radicale. Per la rivoluzione comunista Marx non pensava alla Russia zarista ma all’America descritta da Tocqueville, che era poi l’espansione “giovanile“ dell’Inghilterra, da Marx non a caso eletta a sua residenza, rispetto alla natia Treviri, in Germania.

Marx è il filosofo che più ha inciso nella storia del ‘900 attraverso la tragedia mondiale del Comunismo. Poi tramontò nel fallimento del comunismo, precipitò con l’impero sovietico, sopravvisse ibrido nella Cina mao-capitalista. Ma fu davvero archiviato? Da anni sostengo la tesi opposta che esposi in Imperdonabili.

Il marxismo separato dal comunismo è lo spirito dominante dell’Occidente. Scrive Marx nel Manifesto: “Si dissolvono tutti i rapporti stabili e irrigiditi, con il loro seguito di idee e di concetti antichi e venerandi, e tutte le idee e i concetti nuovi invecchiano prima di potersi fissare. Si volatilizza tutto ciò che vi era di corporativo e di stabile, è profanata ogni cosa sacra e gli uomini sono finalmente costretti a osservare con occhio disincantato la propria posizione e i reciproci rapporti”. E’ la prefigurazione della nostra epoca volatile e mondialista. Il marxismo fu il più potente anatema scagliato contro Dio e il sacro, la patria e il radicamento, la famiglia e i legami con la tradizione, la natura e i suoi limiti. Fu una deviazione la sua realizzazione in paesi premoderni come la Russia e la Cina, la Cambogia o Cuba. Il marxismo non si è realizzato nei paesi che hanno subito il comunismo, dove invece ha fallito e ha resistito attraverso l’imposizione poliziesca e totalitaria; si è invece realizzato nel suo spirito laddove nacque e a cui si rivolse, nell’Occidente del capitalismo avanzato. Non scardinò il sistema capitalistico ma fu l’assistente sociale e culturale nel passaggio dalla vecchia società cristiano-borghese al neocapitalismo nichilista e globale, dal vecchio liberalismo al nuovo spirito radical. Marx definisce il comunismo: “è il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente”. E’ lo spirito radical del nostro tempo, cancel e correct.

Nell’Ideologia tedesca, Marx dichiara che il fine supremo del comunismo “è la liberazione di ogni singolo individuo” dai limiti e dai legami locali e nazionali, famigliari, religiosi, economici. Non le comunità ma gli individui. Il giovane Marx onora un solo santo e martire nel suo calendario: Prometeo, liberatore dell’umanità. Padre dell’Occidente faustiano e irreligioso, proteso verso la volontà di potenza.

Il giovane Marx auspica nei Manoscritti economico-filosofici l’avvento dell’ateismo pratico. E nella Critica della filosofia del diritto di Hegel scrive: “La religione è il sospiro della creatura oppressa…essa è l’oppio del popolo. Eliminare la religione in quanto illusoria felicità del popolo vuol dire poterne esigere la felicità reale”. Liberandoci da Dio e dalla religione per Marx ci liberemo dall’alienazione e conquisteremo la felicità terrena. La società di oggi, atea ma depressa, irreligiosa ma alienata, smentisce la promessa marxiana di liberazione. L’utopia di una società “libertina”, dove ciascuno svolge la sua attività quando “ne ha voglia”, che abolisce ogni fedeltà e introduce “una comunanza delle donne ufficiale e franca”, fa di Marx un precursore della società permissiva. Il principio ugualitario perde la sua carica profetica e si realizza in negativo come uniformità e negazione dei meriti, delle capacità e delle differenze.

La società capitalistica globale ha realizzato le principali promesse del marxismo, seppur distorcendole: nella globalizzazione ha realizzato l’internazionalismo contro le patrie; nell’uniformità e nell’omologazione standard genera uguaglianza e livellamento universale; nel dominio globale del mercato ha riconosciuto il primato mondiale dell’economia sostenuto da Marx; nell’ateismo pratico e nell’irreligione ha realizzato l’ateismo pratico marxiano e la sua critica alla religione; nel primato dei rapporti materiali, pratici e utilitaristici rispetto ai valori spirituali, morali e tradizionali ha inverato il materialismo marxiano; nella liberazione da ogni legame naturale e da ogni ordine tradizionale ha realizzato l’individualismo libertino di Marx, liberato dai vincoli famigliari e nuziali. E come Marx voleva, ha realizzato il primato dell’azione sul pensiero. Lo spirito del marxismo si realizza in Occidente, facendosi ideologicamente radical, economicamente liberal, geneticamente modificabile.

L’ultima frontiera del marxismo si ritrova nelle porte aperte agli immigrati, dove un nuovo proletariato, sradicato dai paesi d’origine, sostituisce le popolazioni d’occidente, a sua volta sradicate. La lotta di classe cede alla lotta antisessista, antinazionalista e antirazzista. La difesa egualitaria dei proletari cede alla tutela prioritaria delle minoranze dei “diversi”.

Il marxismo vive sotto falso nome ma si muove a suo agio nella società global made in Usa; un marxismo al ketch-up, transgenico. Marx con passaporto americano sembra strizzare l’occhio ai dem di Biden. Noi ci attardiamo da anni a celebrare il suo funerale; ma è un caso di morte apparente.

La Verità (21 aprile 2022)

Fonte: http://www.marcelloveneziani.com/articoli/marx-e-andato-a-vivere-a-new-york/

La politica marcia compatta sotto il comando Nato

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di Marcello Veneziani

Fonte: Marcello Veneziani

Il regime dell’informazione ha adottato il parental control per filtrare e bloccare l’accesso dei cittadini all’altra faccia e all’altra versione, della guerra in Ucraina, come è già stato con la pandemia e con altre vicende, come il voto in Francia. Siamo trattati da minorenni costretti a sciropparsi, senza soluzione di continuità, il Racconto Illustrato di Stato, con le sue figure, le sue voci in campo e fuori campo. E un reticolo di censure, deplorazioni, silenzi impedisce di sfiorare la zona proibita del dissenso.

Un tempo, il teatro dei dissensi e delle divergenze, il luogo in cui si esprimevano e si incanalavano le opposte opinioni, evitando che diventassero conflitti aspri o di sangue, era la politica. Lo chiamavamo pluralismo, democrazia, bipolarismo, dialettica tra i partiti antagonisti. Oggi provate a trovare un solo partito su territorio nazionale che esprima compiutamente l’altra posizione sugli eventi in corso, e riconduca a ragione e ragionamento le posizioni più estreme, infantili e radicali. C’è da qualche parte un soggetto politico in grado di dare un’altra lettura dello scenario internazionale, c’è un partito o movimento che affronti la questione senza elmetto, senza appartenenza fideistica alla Nato e al bellicismo dem, e senza parental control per i cittadini? C’è un partito o un movimento che ribadisca anche in questo frangente che sono preminenti gli interessi nazionali, la nostra sovranità; e gli interessi, i valori, della sovranità europea non coincidono con la supremazia americana e con la sua pretesa di governare le sorti del mondo, subordinando gli interessi altrui ai propri? C’è qualcuno che dica, di fronte all’escalation e alla degenerazione del conflitto bellico che oltre il velo e la cataratta ucraina è tra Russia e Stati Uniti, che proprio questo è il momento di cercare una soluzione negoziale? C’è qualcuno che esprima in sede politica la preoccupazione che dietro i nobili principi umanitari ci siano interessi, più o meno loschi, di natura economica, commerciale, energetica, oltre che geopolitici? No, non c’è. Dai falchi del Pd e del draghismo ai falchetti d’Italia della destra, fino agli alleati tutti del governo tecno-sanitario-militare in carica, non c’è una sola voce che dissenta e prospetti una diversa lettura dei fatti, degli equilibri e delle situazioni. Peraltro, una parte cospicua dell’opinione pubblica italiana ed europea la pensa in questo modo differente; non dirò maggioritaria perché non ci sono effettivi riscontri per affermarlo o per confutarlo. E in mancanza di sbocchi e di riferimenti reali, il dissenso viene in qualche modo stemperato, represso o deviato. Ma è comunque una parte consistente dell’opinione pubblica che condivide una cosa: non è questa la via per cercare la pace, non è questo il modo per tutelare i nostri interessi e valori nazionali ed europei, non è la Nato la nostra Cattedrale e non è l’Amministrazione Biden la nostra Mecca.

Nulla da dire a chi non condivide questa linea di dissenso ma deve riconoscere una cosa, anzi due: quella che abbiamo espresso è un’opinione diffusa ma non è rappresentata per nulla nel pur variegato mondo della politica italiana. Capisco tutte le ragioni, le convenienze, gli opportunismi perfino, di chi non se la sente di divergere dal governo che sostiene, dall’ombrello atlantico che ci avvolge, dal regime monocorde dell’informazione e dai poteri internazionali che ci sovrastano. Lo capisco, è umano, chi vuol fare politica mira pure a governare, ad avere potere o quantomeno una fetta; non testimonianza ideale ma conquista di una posizione di potere. Ha tutta la nostra umana comprensione, anche perché si sa bene che una posizione come quella delineata prima, che potremmo definire neo-gollista – ma nel senso del Generale De Gaulle e non degli ultimi residuati gollisti allineati e spazzati via alle ultime elezioni – ti preclude molti accessi. Pensate che qualcuno possa entrare nella stanza dei bottoni non dichiarandosi atlantista, tifoso della Nato e dipendente dal quadro internazionale imposto dai poteri vigenti?
Però poi non lamentatevi se la politica non piace alla gente, se nel voto cresce l’astensionismo e la protesta, se nessuno ripone fiducia nei leader e nei partiti, se la politica conta poco meno di niente nelle decisioni e nelle strategie. Se sono tutti irregimentati sotto la guida di Capitan Draghi che a sua volta esegue le direttive del Comando generale, poi non cercate spiegazioni complesse per giustificare la disaffezione, la diffidenza, il disprezzo del popolo per la politica monocorde. Se la sopravvivenza dei partiti prevale sulla ragione sociale per cui sono nati e si fronteggiano, allora buonanotte alla politica e benvenuti nell’era dei service e del catering politico.

Sarebbe ad esempio naturale aspettarsi che se i Dem sono diventati il Partito della guerra, della Nato, di Draghi e di Biden, chi è dal versante opposto rappresenti la linea contrapposta. Ciò non accade, anzi si sottolinea come un fatto positivo la convergenza con i Dem; lo noto senza polemica contro qualcuno, anzi riconoscendo – come dicevo poco fa – che le scelte politiche sono dettate dalla necessità di non tagliarsi fuori dall’establishment. Sono scelte dettate dall’utilità. Perché ormai non c’è più spazio, non c’è Papa, non c’è Anpi, non c’è pacifista che possa divergere dal piano prestabilito, senza venire silenziato, criticato e accantonato. Il parental control vale anche per loro.

Sulla seconda fase delle ostilità in Ucraina

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di Roberto Buffagni

Fonte: Italia e il mondo

Nel video linkato in calce[1], il giornalista e documentarista italiano Giorgio Bianchi, che dal 2014 segue il conflitto in Ucraina, riporta quanto gli ha detto nel Donbass una fonte di alto livello e degna di fede del campo russo.

E’ notevole che il contenuto riportato da Bianchi coincida con quanto scritto da Gilbert Doctorow il 14 aprile[2] nel suo articolo The Russian Way of War – Part Two. Doctorow è uno storico americano, collaboratore dell’American Committee for U.S.-Russia Accord (ACURA)[3] del quale fu cofondatore il professor Stephen Cohen[4] (Princeton University), uno dei maggiori studiosi della Russia sovietica e post-sovietica.  Oggi Doctorow è residente a Bruxelles. Per decenni ha studiato la Russia e lavorato colà per imprese occidentali, come consulente. Ha dunque una vasta rete di relazioni in Russia.

I punti essenziali riportati da Bianchi sono:

  1. La Russia non prende in considerazione la possibilità di perdere questa guerra.
  2. Il campo occidentale ha chiarito che non intende trattare, ma anzi prolungare il più possibile la guerra per indebolire la Russia.
  3. Le sanzioni hanno già quasi raggiunto il massimo possibile.
  4. La demonizzazione della Russia da parte del campo occidentale è totale.
  5. Le FFAA russe hanno subito serie perdite.
  6. Dunque, non è più interesse russo continuare a condurre una guerra limitata, con mezzi limitati, per obiettivi limitati raggiungibili mediante trattativa diplomatica parallela alle operazioni militari.
  7. La Russia quindi ha deciso di impiegare tutti i mezzi a sua disposizione per raggiungere la vittoria sul campo, forse previa dichiarazione formale di guerra all’Ucraina.

Chiarisco il punto 1. Per la Russia, “perdere questa guerra” significa “interrompere le ostilità senza essersi assicurati gli obiettivi minimi dichiarati”, ossia a) Donbass indipendente b) neutralizzazione militare Ucraina c) neutralizzazione milizie armate nazionaliste radicali. I rapporti di forza oggettivi tra Ucraina e Russia fanno sì che la Russia possa “perdere questa guerra” solo se interrompe le ostilità con una decisione politica. Coeteris paribus, ossia se la NATO non interviene direttamente nel conflitto, è impossibile che la Russia subisca una sconfitta militare, se prosegue le ostilità. È incerto soltanto comequando e a quale costo la Russia vincerà militarmente.

Chiarisco il punto 2. Che il campo occidentale non intenda favorire una trattativa tra Ucraina e Russia è chiarissimo, e non abbisogna di spiegazioni. Aggiungo una mia congettura. Secondo me la dirigenza russa ha concluso che gli Stati Uniti intendono prolungare il più possibile la guerra in Ucraina, per indebolire la Russia in vista di un obiettivo strategico: frammentazione della Russia sul modello jugoslavo. Ritengo che dal punto di vista russo, la strategia complessiva americana è quella di attaccare contemporaneamente i suoi maggiori avversari, Russia e Cina, al fine di riconfermare la propria egemonia mondiale. La Russia è il primo obiettivo perché è la più debole. Probabilmente gli Stati Uniti pensano anche che in caso di frammentazione della Russia, la Cina potrebbe essere associata agli Stati Uniti nella spartizione del bottino, e ricondotta a una (provvisoria) partnership con gli Stati Uniti.

Un indizio a suffragio di questa congettura sono gli articoli che linko in calce. Il primo è di Ray McGovern, ex analista CIA a capo per la sezione Unione Sovietica. Tema: rapporto Cina-Russia. È solido? I russi hanno informato i cinesi dell’invasione? Hanno ottenuto il loro consenso?[5] McGovern argomenta che sì, il rapporto Russia – Cina è più che solido, e che i cinesi erano al corrente dell’invasione.

Il secondo, su “Foreign Policy” è di Matthew Kroenig, vicedirettore dell’Atlantic Council’s Scowcroft Center for Strategy and Security, uno dei più importanti think tank USA. Il titolo parla da sé: Washington Must Prepare for War With Both Russia and China/ Pivoting to Asia and forgetting about Europe isn’t an option[6]. L’accesso all’articolo è pagamento. Ma il terzo articolo che linko, di Deborah Veneziale, The U.S. is preparing war with China and Russia at the same time[7] analizza l’articolo di Kroenig e ne cita ampi stralci. Cosa assai interessante, è stato scritto per un pubblico cinese e pubblicato su “Guancha”[8].

Se la mia congettura è corretta, la Russia ritiene che in questo conflitto sia a rischio la propria sopravvivenza, e dunque è disposta a battersi fino alle estreme conseguenze, compreso uno scontro diretto con la NATO e l’impiego delle armi nucleari. Faccio notare che anche qualora il campo occidentale non intendesse perseguire questi scopi strategici, e la Russia avesse equivocato le intenzioni americane, per prevedere che cosa farà la Russia contano soltanto le percezioni russe.

Per concludere. Sinora, la Russia ha condotto una guerra limitata, con mezzi limitati, per raggiungere obiettivi limitati con una trattativa diplomatica parallela alle ostilità. Il quadro giuridico in cui si svolgono le ostilità è quello dell’aiuto militare alle Repubbliche di Donetsk e Lugansk, la cui indipendenza è stata riconosciuta dalla Duma russa prima dell’inizio dell’invasione: è per questo che i russi chiamano le ostilità “operazione militare speciale” e non “guerra”.

È probabile che prima di passare alla seconda fase delle ostilità, la Russia dichiari formalmente guerra all’Ucraina, per cambiare il quadro giuridico del conflitto, sia all’interno, sia all’esterno del paese. Non conosco la legislazione russa e dunque non sono in grado di valutare l’importanza del cambiamento del quadro giuridico tra “operazione militare speciale” e “guerra” formalmente dichiarata. In Italia, la differenza sarebbe decisiva.

In ogni caso, è probabile che nel prossimo futuro assisteremo a una forte, progressiva escalation del conflitto in Ucraina.

Come profetizzato dal professor John Mearsheimer sin dal 2015[9], l’Ucraina subirà immani distruzioni e gravi perdite civili. Per sventare questa tragedia, questa “inutile strage”, basterebbe che un paese europeo importante rompesse il fronte occidentale e promuovesse un ridisegno del sistema di sicurezza europeo che tenga conto delle esigenze russe. Temo che non accadrà.

[1] https://youtu.be/0Wtxd7Ay8Cs

[2] https://gilbertdoctorow.com/2022/04/14/the-russian-way-of-war-part-two/?fbclid=IwAR0qsuDV38Tzaxk2rv4mGqh_n_sIc4nX836D5qg7xkNMcfVPI3EXJsyw2dc

[3] https://usrussiaaccord.org/

[4] https://it.wikipedia.org/wiki/Stephen_F._Cohen

[5] https://original.antiwar.com/mcgovern/2022/04/03/the-late-deceased-paradigm-on-russia-china/

[6] https://foreignpolicy.com/2022/02/18/us-russia-china-war-nato-quadrilateral-security-dialogue/

[7] https://mronline.org/2022/02/27/the-u-s-is-preparing-war-with-china-and-russia-at-the-same-time/

[8] https://www.guancha.cn/DeborahVeneziale/2022_02_26_627801.shtml

[9] https://youtu.be/JrMiSQAGOS4

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