Cancel culture tra follia e paradossi

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di Matteo Castagna

Cancel culture tra follia e paradossi . “Essere conservatori – scrisse Moeller van den Bruck – non significa dipendere dall’immediato passato, ma vivere dei valori eterni”.

La cultura e l’arte – insegna Adriano Romualdi – non possono pretendere di essere loro stesse il tempio, ma solo il vestibolo del tempio. La verità vivente è oltre. il fervente cattolico José Antonio Primo de Rivera raccomandava ai suoi falangisti “il sentimento ascetico e militare della vita”. La cultura, dunque, per essere veramente tale, deve saper esprimere una “visione del mondo”. Non per nulla, Julius Evola ha paragonato la tradizione ad una vena che ha bisogno di innumerevoli capillari per portare il sangue in tutto il corpo. Il filosofo Friedrich Nietzsche osservò acutamente: “una volta il pensiero era Dio, poi divenne l’uomo, ora si è fatto plebe. Ancora un secolo di lettori e lo spirito imputridirà, puzzerà”. Sembra proprio che avesse ragione, perché se ci guardiamo attorno, osserviamo una decadenza, causata principalmente dal materialismo ateo e dal liberalismo socio-politico che non ha eguali nella storia.

La scelta capitalista

Le sinistre hanno scelto il grande Capitale di matrice americanista, con la società tecnocratica e pornografica di massa. Il pregio della cultura, soprattutto nelle sue espressioni nella pittura e nella scultura è che, per forza di cose, assume caratteristiche antidemocratiche e antiegualitarie, perché espressione di intellettuali e/o artisti che vogliono lasciare un’impronta universale, frutto di un pensiero che si trasforma in letteratura, simboli, dipinti e statue destinati a restare, per sempre, davanti ad un pubblico serio, l’espressione della bellezza di ciò che è vero, reale, autentico.

La cultura contrasta, per essenza, con le mode fugaci, con le canzonette, con gli effimeri convegni e gli orrori dei decadenti progressisti, che arrivano all’esaltazione del brutto oggettivo. Noi che, come ha scritto Abel Bonnard, siamo uomini che rimaniamo “fedeli alle leggi della vita in una società che se ne allontana”, rigettiamo “esempi di ritualistica obliterazione – nei tempi di cancel culture e nel pieno degli scontri tra manifestanti e polizia seguiti all’omicidio di George floyd – in cui prima di scomparire il cancellato fa il botto” (Il Venerdì di Repubblica, 9/10/2020).

Cancel Culture

Nel testo “Iconoclastia” (Eclettica Edizioni, 2020) gli autori Emanuele Mastrangelo e Enrico Petrucci riassumono il concetto di cancel culture “come una forma di damnatio memoriae dei personaggi al centro degli attacchi della seconda ondata del movimento femminista MeToo. Nella sostanza, lo scopo è distruggere tutti coloro che si oppongono ai supposti valori morali delMeToo.

I mezzi utilizzati, soprattutto sui social-media mirano alla gogna pubblica, mentre “la cancel culture è l’esilio previo esproprio dei beni”. Il paradosso sta nel fatto che i propugnatori o sostenitori della cancel culture appartengano tutti alla galassia liberal, ovvero coloro che, a parole, sono i paladini del pluralismo e della democrazia. I radical chic ritengono di non essere loro a voler cancellare la cultura e la memoria storica che si oppone alle loro idee, ma è la cultura che merita di essere cancellata, perché impresentabile ai loro occhi perfetti, però, con l’ipocrisia che li contraddistingue sempre, non vogliono mettere la testa sul ceppo nominando spontaneamente ed esplicitamente i cosiddetti “colpevoli”.

La colpevolizzazione laica

D’altronde, come scrive Virgilio Ilari su “Limes”, l’obiettivo di questa rivolta non è ” correggere le discriminazioni, ma piuttosto di instaurare una sorta di colpevolizzazione laica succedanea di quelle confessionali”. Chi si desidera colpevolizzare per diffondere un’innaturale uguaglianza totalitaria? L’uomo bianco, religioso, identitario, patriota, con famiglia numerosa, legato al solo diritto naturale, conservatore, tradizionalista, né green, né ecologista, né animalista, onnivoro, libero e, primariamente, dotato di pensiero critico, non condizionabile dalle follie del deep State. Per i liberal il nemico del Terzo millennio, che merita la cancel culture, è l’uomo della Tradizione e con lui i simboli e la mentalità della società organica e della comunità di destino.

Nel deserto umano, in cui belano tante pecore, i leoni continueranno a ruggire davanti alla boria e all’ odio del globalista militante o inconsapevole.

di Matteo Castagna

Articolo completo: Cancel culture tra follia e paradossi – (2dipicche.news)

Dante di destra? È la pena del contrappasso

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di Marcello Veneziani

Ora che avete finito di sganasciarvi dalle risate di scherno e di superiorità per la boutade del ministro dei beni culturali, Gennaro Sangiuliano su Dante Alighieri fondatore del pensiero di destra, proviamo a dire qualcosa di serio.

Si può condividere in pieno, in parte o per niente la sua provocazione, come lui stesso l’ha definita, ma alla fine si è trattato di una ritorsione, ovvero Sangiuliano ha applicato in senso contrario una pratica assai diffusa, soprattutto a sinistra. Anzi, per usare una categoria dantesca, ha usato la pena del “contrappasso”.

Dunque, come si esprime il monopolio ideologico della sinistra sulla cultura quando affronta temi, opere e autori del passato? Lo schema prevalente è il riduzionismo, ovvero tutto viene riportato al presente. Parlano di Gesù Cristo come del primo rivoluzionario della storia, difensore degli ultimi. Parlano di Enea come del primo migrante e profugo di guerra, sbarcato clandestinamente. Parlano delle lotte tra patrizi e plebei come un esempio di lotta di classe. Parlano del tumulto dei ciompi come il debutto della Cgil nel medioevo… Parlano di san Francesco come un profeta dell’uguaglianza, un difensore dei poveri e un nemico delle gerarchie, e gli affiancano per rispettare le quote e la parità dei sessi, Santa Chiara, come se fosse una femminista ante litteram. Non c’è opera lirica o dramma teatrale che oggi non venga rappresentato con l’allusione all’oggi, travestito nel presente, su tematiche del politically correct di oggi: i migranti, i transgender, l’antifascismo. Ci sono nazisti pure nella tragedia greca. E nella lotta politica, nel 1948, i socialcomunisti trascinarono perfino Garibaldi come simbolo del Fronte popolare, loro che erano stalinisti e lui che difendeva al patria e la libertà.

Tutto viene ridotto al presente, o nei più colti diventa una metafora allusiva del presente. Dal ’68 in poi, a scuola e ovunque, per misurare il valore e la grandezza di un autore si pesa la sua attualità: ricordo menate indecorose proprio su Dante per tirarlo nell’attualità o per dannarlo col metro dell’inattualità. Dire che Dante sia il fondatore del pensiero di destra è l’applicazione coerente, e forse inconsapevole, di quello schema ideologico retroattivo.

Mi pare perfino ovvio obiettare che destra e sinistra sono categorie moderne, mentre Dante è in tutto medievale e i classici vanno preservati i dagli usi e gli abusi di chi li costringe nel letto di Procuste del presente. Ma se serve a denunciare l’immiserimento dei grandi nelle gabbiette del nostro tempo, allora il paragone è utile, anzi didattico. E poi, se è sbagliato abbassare il Sommo Poeta al nostro oggi, è invece lodevole tentare di innalzare la bassezza dell’oggi a una dignità superiore. Dopo tante ricerche affannose e ridicole dei pantheon d’autori, per rivendicare, dantescamente, “chi fuor li maggior tui” ovvero chi sono i padri nobiii a cui riferirsi, partire da Dante significa perlomeno guardare in alto. E liberare il pensiero di destra dal tentativo altrui di ricacciare le sue radici nel fascismo. Chi ama la tradizione viene da più lontano.

Mi sono occupato a lungo del pensiero di destra e a Dante ho dedicato vari scritti e un libro. Mai ho sostenuto che Dante fosse il padre della destra, l’ho definito “nostro padre” riferendomi a noi italiani. Per dirla in breve, in un suo intervento sul Corriere della sera, Sangiuliano citava dal mio libro questo passo: “La fonte principale, più alta e vera della nostra identità è Dante Alighieri. A lui dobbiamo la lingua, il racconto, la matrice, la visione. L’Italia intesa più che nazione, come civiltà”. La nostra identità, intendevo, di noi italiani.

Dante è trascinato nell’attualità da almeno due secoli. Anzi, la riscoperta di Dante la dobbiamo proprio all’uso di Dante nella vicenda risorgimentale. Dopo l’uso che ne fece il Risorgimento, Dante fu usato per dare un fondamento all’Italia unita, col pullulare di monumenti e toponimi danteschi e la nascita della società Dante Alighieri. Il fascismo fece largo uso della “vision de l’Alighieri”, come cantava Giovinezza nella versione fascista. Lo faceva avvalendosi di letture carducciane e dannunziane, dei saggi di Giovanni Gentile e di altri eminenti studiosi, che non trascinavano Dante nell’attualità ma elevavano il momento storico e l’idea fascista al rango dell’ispirazione dantesca. E Dante si prestava ai fascisti, ai carducciani, ai risorgimentali? Lui no, naturalmente, ma ciò che aveva detto e fatto poteva prestarsi a quella lettura, nel nome dell’amor patrio e della civiltà, della nostalgia del sacro romano impero, della passione per la romanità e per la fierezza, per l’avversione ai mercanti e all’usura, alla “gente nova e i subiti guadagni che orgoglio e dismisura han generato”. Per questo, citavo nel mio libro, Sanguineti lo reputò un reazionario e Umberto Eco lo definì “un intellettuale di destra”, sottolineando che predicava il ritorno all’Impero mentre fiorivano i liberi comuni. E Giorgio Almirante, appassionato di Dante, lo citava sempre in parlamento e nei comizi, a memoria, e a lui si richiamava più che a ogni altro autore o pensatore.

Dunque? Dante è universale e universale resta. Dante è eterno e non è di questo o di quel tempo. Dante è grandissimo poeta, ma anche pensatore e scrittore civile, e pur vivendo e scontando le sue passioni politiche, fino alla faziosità più sanguigna, non si può ridurre a questa o a quella fazione attuale. Però ora capite meglio che succede quando si piega la storia e la letteratura al nostro oggi. Perciò non atteggiatevi a superiori, voi danteggiatori di sinistra, perché ogni giorno tacete sulla forzata attualizzazione di storie e autori.

Quanto a Dante, non s’è crucciato, vede le cose da lontano e dall’alto per indignarsi. Ne ha passate troppe nei secoli per arrabbiarsi di un’innocua richiesta di affiliazione. I grandi autori sono come fontane aperte ai viandanti, notava Nietzsche ne la Gaia Scienza, ciascuno si abbevera come vuole, “i ragazzi la sporcano coi propri pastrocchi” e altri passanti la intorbidano, gettandovi la loro attualità; ma noi siamo profondi e “diventiamo di nuovo limpidi”.

La Verità – 18 gennaio 2023

Fonte: https://www.marcelloveneziani.com/articoli/dante-di-destra-e-la-pena-del-contrappasso/

Solo Pirandello ci può spiegare

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di Marcello Veneziani

Fonte: Marcello Veneziani

A nobilitare lo spettacolo della politica presente, a voler dare un riferimento alto, culturale, o addirittura un profilo letterario, diremo che siamo entrati nell’epoca pirandelliana della politica. A qualcuno scapperà subito da ridere per l’accostamento ardito tra cultura, letteratura, drammaturgia e la misera giostra politica del presente. Ma anche i periodi più bassi e confusi hanno una loro chiave di lettura, anche il caos e perfino la barbarie può avere letture colte. Il teatro di Pirandello è uscito dalle scene ed è entrato nella realtà politica corrente. A guardare la parabola di Di Maio e di Conte, le liste di Letta, col Pd oscillante fra Draghi, i grillini e Fratoianni, tra governi con la Lega e Berlusconi e poi crociate contro di loro; a vedere le prodigiose giravolte della Bonino e dei radicali, i miracolosi salti di Calenda, ora col suo odiato Renzi, la poligamia di Salvini, alleato coi grillini, coi dem, coi draghiani e con la Meloni, le giravolta delle madame berlusconiane Gelmini e Carfagna, l’ologramma di Berlusconi sulla scena tra maschera e cerone, il ballo delle candidature e le invettive degli esclusi, il ripescaggio grillino dei parenti degli esclusi, possiamo dire che siamo entrati nella fase pirandelliana della politica: il relativismo assoluto, la girandola delle identità, il gioco delle parti e delle combinazioni, la maschera e il volto intercambiabili (come la faccia e il deretano), il paradosso come criterio di scelta e di comprensione, il rovesciamento continuo dei ruoli e degli scopi. Tutti possono allearsi o guerreggiare con tutti e con nessuno, tutti recitano a soggetto, tutti mutano secondo convenienza e situazione, ciascuno a giorni alterni si accorda e si sottrae a ogni accordo, preferisce stare fuori, dentro, al lato, sopra o sotto le alleanze. Le variabili sono infinite e impazzite. E’ la babele allo stato puro, il caos prima della creazione.
Torna pure il detto di Longanesi, la democrazia si replica per assenza di dittatore… Perché il relativismo assoluto di solito evoca, e invoca, il suo contrario, un bel tiranno, o un dragone, che metta fine al chiacchiericcio e al caos, al ballo di san Vito delle alleanze, degli amici e dei nemici e ci riporti alla contabilità e ai suoi relativi incubi.
Solo Pirandello colse il prisma contemporaneo in tutte le sue sfaccettature, il gioco di luci e ombre, comparse e scomparse, recita e realtà, posizioni e fluttuazioni di quel grande palcoscenico che è la condizione umana moderna. Lui si rifugiò sotto le ali del fascismo, che non a caso il filosofo pirandelliano Adriano Tilgher, aveva definito l’assoluto relativismo trapiantato sul terreno della politica. Definizione gradita allo stesso Mussolini.
Ma da giorni il teatrino è esilarante, come il gas. E come il gas è letale. Saranno le esalazioni dall’immondizia e dello smog, sarà che non riusciamo a liberarci del negativo perché sono colme le discariche della politica, non c’è nessuna Malagrotta in cui scaricare i rifiuti accumulati. Ma c’è qualcosa di assurdo e malefico nell’aria che non riusciamo a decifrare. Solo Pirandello può spiegare.
A questo paesaggio pirandelliano corrisponde anche la veloce labilità dei consensi e dei dissensi, la giostra delle opinioni e delle intenzioni di voto. Cosa decide gli spostamenti d’opinione, i flussi e riflussi elettorali, i vasi e i travasi? Perché si passa da un momento all’altro da vincenti a perdenti, dal paradiso all’inferno e viceversa, senza una spiegazione ragionevole o una relazione di causa ed effetto? Pensate al trionfo di Renzi, oggi ridotto a un selfie permanente o l’apoteosi di Conte oggi considerato un penoso azzeccagarbugli. E la veloce parabola di tanti leader e leaderini. Non c’erano meriti speciali, legittimazioni conquistate sul campo, eccezionali curricula, risultati straordinari nelle tappe precedenti. C’era solo un friccichio, una Chiacchiera, un clima in tv che si fece passaparola. Consenso virale ma transitorio, senza un vero perché.
Poi, senza un vero perché comincia la caduta libera. Esagerato il successo, esagerata la caduta. Nessuno aveva meritato il ruolo di Miracolo Vivente; magari, nemmeno di diventare poi Vituperio della Genti. E’ solo questione di Fuffa, che Pirandello non contemplò nei destini dei suoi personaggi. Partiti e governi fondati da cabarettisti, carriere folgoranti fondate sull’abilità di giocolieri, maghi e maghette sulla scena che tirano conigli dal cilindro, numeri da circo. Classi dirigenti sorteggiate con criteri meno seri del gratta e vinci o dei pacchi; capriole acrobatiche, entrano escono, mutano…
Liderini che sono tra i massimi inesperti di ogni settore, e s’improvvisano statisti cambiandosi semplicemente d’abito… Chi affiderebbe al primo passante i suoi risparmi e la sua salute? Noi, popolo pirandelliano. Ha tanti proseliti il voto del “famolo strano”. Le trame, i personaggi e i testi di Pirandello sono una versione ancora prudente rispetto al pirandellismo autogestito dagli attori politici in corso. Un giorno bibitari, un altro statisti, un giorno rivoluzionari coi gilet gialli, un giorno euro-occidentali e draghiani, un giorno abolitori della povertà, un giorno democristiani, un altro pidini, grillini, destrorsi, sinistrorsi (Di Maio è un bozzetto di Pirandello che l’autore scartò perché troppo inversosimile).
L’Italia è mobile qual piuma al vento. E dire che da noi il voto era statico, c’era il voto ereditario e d’appartenenza; ora siamo al voto-farfalla. L’Italia cambia opinione ogni stagione. Vedremo come sarà la collezione autunno-inferno.

L’egemonia sub-culturale della sinistra

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di Marcello Veneziani

O noi o la Meloni, ripete Letta in versione tigrata. Un tempo la contrapposizione politica tra i due poli aveva una linea di confine: quelli di sinistra avevano un pensiero politico alle spalle, un’ideologia su cui fondavano l’egemonia culturale, nutrita da intellettuali; gli altri, invece, dai democristiani alle destre, dai berlusconiani ai leghisti, dai moderati ai conservatori, erano i pragmatici, che puntavano diritti sulla realtà, sui fatti, sulla pancia, sulle condizioni reali di vita. Il pensiero politico ha attecchito sempre poco alla politica di centro, di destra o di anti-sinistra. Il pregio e il limite della sinistra era l’approccio politico mediato dalla cultura, dagli intellettuali, dai temi ideologici.

Oggi, il retropensiero della sinistra non è un pensiero, non c’è una cultura politica alle spalle, gli intellettuali non contano nulla, spesso le menti migliori sono in dissenso sui temi cavalcati dai dem, dalle misure restrittive sulla pandemia all’interventismo militare filo-Nato, dall’insistenza ossessiva sui cavalli di battaglia del politically correct alla perdita di ogni visione sociale.

Spariti i grandi temi che facevano della sinistra la forza politica più vicina ai ceti proletari e operai, perdute le visioni politiche e sociali che caratterizzavano la lotta politica, cancellata ogni residua critica al sistema capitalistico e al modello occidentale, cosa è rimasto oggi nella sinistra, qual è la sua spina dorsale, il suo asse culturale, il perimetro dei suoi valori non negoziabili?

La difesa a oltranza dell’Unione Europea, il filo-atlantismo e la subalternità assoluta alla Nato e ai Dem americani, la difesa delle oligarchie e degli assetti di potere vigenti, la subalternità della politica alla tecnofinanza. Tutto questo ha un nome che è una password: la dragocrazia. Vista l’impossibilità di prevalere con una candidatura politica di sinistra, si rifugiano dietro il volto “neutrale” del Commissario straordinario, nel nome dell’Emergenza e del grido di guerra “Ce lo chiede l’Europa”. E’ quello che alcuni a sinistra denunciano come la riduzione del messaggio politico democratico e progressista al Verbo di Calenda e alle sue priorità draghiane.

Sul piano sociale e civile, la priorità effettiva della sinistra è il catechismo del politically correct, a partire dai temi legati ai sessi. Proprio ieri con grande, accorato dolore, la sinistra parlamentare con la sua stampa piangeva come se fosse una sciagura storica la mancata approvazione di una norma “inclusiva” sulla parità di genere, bocciata dal Senato grazie al prevalere del centro-destra. Era un provvedimento lanciato da una senatrice grillina e sostenuto da tutta la sinistra. La battaglia campale era, per spiegarci, su “il presidente” o “la presidente”, o sul “sindaco” e la “sindaca”. Che oltre ad essere una questione del tutto priva di sostanza e d’incidenza nella vita reale delle persone, ha solo una ricaduta ideologica e feticistica funzionale ai movimenti femministi e lgbtq+.

Infine, il terzo elemento ideologico su cui si fonda la sinistra odierna è la ripresa virulenta dell’antifascismo, ma di un antifascismo esagitato e puerile, di cui portavoce sono i quotidiani padronali de la Repubblica e del suo fratello minore torinese, e il loro vecchio cugino milanese, il Corriere. Con la benedizione di Mattarella. Ma a differenza del passato, quando c’era pur nella visione ideologica manichea e militante dell’antifascismo, uno sforzo di storicizzazione con argomentazioni derivate dalla ricerca storica, l’attuale antifascismo è solo viscerale, “di pancia”, allergico, basato sull’insulto, l’anatema e la demonizzazione. Il fascismo è ridotto a romanzo criminale e Mussolini a delinquente. Passi indietro non solo rispetto alla ricerca storica seria, quella alla De Felice per intenderci; ma anche rispetto alla storiografia antifascista più schierata, che almeno articolava un discorso storico e non ne faceva una questione di cronaca nera o di pura criminalità. E questa caricatura criminale del fascismo viene estesa senza una minima riflessione e mediazione culturale al centro-destra attuale, in totale continuità.

Dunque riduzione della politica a periferia delle oligarchie, draghizzazione della sinistra, riduzione del messaggio sociale alle idiozie del politicamente, sessualmente e lessicalmente corretto; più l’antifascismo al ketch-up, ignorante e sanguinolento. Qual è alla fine il risultato di questa nuova linea? L’avvento dell’egemonia deculturale della sinistra. Non più egemonia fondata sulla cultura organica e militante, però almeno erudita e pensante; ma egemonia fondata sulla deculturazione di massa, in cui la politica, la cultura, il dibattito delle idee, i percorsi di pensiero, vengono imbarbariti e ridotti a mere caricature. E’ nata l’egemonia sub-culturale della sinistra.

Negli anni scorsi la sinistra ha perso la sua anima popolare e proletaria, la sua critica al capitalismo, riducendosi a un radicalismo da ztl, snob e presuntuoso; ora si completa il processo e la sinistra diventa un centro di potere culturale privo di cultura, di pensiero politico, di elaborazione delle idee. Resta il potere sulla cultura al posto del potere della cultura. Gli ideologi sono gli influencer o i conduttori televisivi. Sparisce non solo Gramsci, ridotto a una caricatura liberale, una specie di personaggio da fumetto; ma perfino Eco viene sostituito da Veltroni, Asor Rosa e Cacciari da Fedez e Ferragni…

Insomma l’antico gap culturale tra destra e sinistra è stato finalmente abbattuto, ma la parificazione è avvenuta al ribasso: nel senso che anche la sinistra non ha più un orizzonte culturale, uno straccio di pensiero politico. Sicché alla destra resta una maggiore aderenza alla realtà, o almeno al gergo della realtà; alla sinistra manco quello. La sua egemonia mafiosa sulla cultura vige ancora ma sul piano dei contenuti è ridotta a un asterisco… Bella ciao.

 La Verità (29 luglio 2022)

Fonte: http://www.marcelloveneziani.com/articoli/legemonia-sub-culturale-della-sinistra/?fbclid=IwAR2KMjgNSgI1NwuFKasr4GWBsUi_EyDRT1WmW7bFPGEzTWEHSLA-yPHW_oU&fs=e&s=cl

Poche cose impressionano di più del nostro tempo del conformismo di artisti e intellettuali

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QUINTA COLONNA

di Andrea Zhok

Poche cose impressionano di più del nostro tempo del conformismo politicamente sdraiato di artisti e intellettuali.
Siamo passati da Jimi Hendrix che sulla chitarra elettrica trasformava l’inno americano in un bombardamento, ai Maneskin, che dopo aver eseguito tutte le gesticolazioni “trasgressive” d’ordinanza, ripetono la pappetta Nato.
Da Pasolini a Saviano: una parabola mesta e deprimente, che ogni volta che sembra aver toccato il fondo, ti stupisce, inabissandosi ancora.
Ora, il punto di fondo è semplice.
L’unica cosa che giustifica l’esistenza di gente che non si occupa né di vendere scarpe, né di produrre patate, né di riparare carburatori, né di educare i bambini (o affini) è la capacità di portare alla luce il nuovo, l’inaspettato o il rimosso, in generale l’inattuale.
Che questo inattuale sia tale perché capace di far balenare il futuro o perché capace di rivivificare il passato, che lo sia perché mostra il non detto dell’ufficialità, o perché produce un’alternativa alla corrente dominante, che lo sia per la produzione di critica o di ispirazione, comunque non può, non deve essere la ripetizione o il megafono di chi già guida la locomotiva.
Se lo fa, tradisce, fingendo di essere qualcosa che non è: finge di risvegliare le coscienze e invece le paralizza e addormenta.
Se lo fa, non serve a niente e a nessuno, ma, semplicemente, serve qualcuno.

Guareschi, lo scrittore che nacque (e non morì più)

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QUINTA COLONNA

di Giuliano Guzzo

Quasi nessuno lo ricorderà ma oggi, 114 anni fa, nella bassa parmense nasceva lo scrittore italiano più tradotto del mondo nonché uno dei più venduti di sempre: Giovannino Guareschi. Nacque infatti l’1 maggio 1908 e morì nel luglio 1968 ignorato e sbeffeggiato, con la sua morte che il tiggì liquidò in 135 secondi e L’Unità con un vergognoso epitaffio: «E’ morto uno scrittore mai nato». Invece, oltre che essere nato 113 anni fa, Guareschi vive ancora. Dove? In più ambiti.

Tanto per cominciare vive nel pubblico sempre appassionato dei film di don Camillo e Peppone, replicati all’infinito eppure mai ripetitivi, in bianco e nero eppure pieni di calore – e nell’altrettanto vasta platea dei suoi libri, scritti tutti con il genio della semplicità. Guareschi vive poi ancora nel Mondo piccolo, quella bassa padana e strapaesana che ha saputo presentarci esaltandone i tratti essenziali: l’umanità, l’ironia, la fede, il vino, i campi e, naturalmente, il grande fiume, spettatore primo e sintesi ultima di tante commoventi storie.

A ben vedere, egli vive pure nel populismo di oggi di cui, a sua insaputa, fu profeta ante litteram se pensiamo che – ben prima della Brexit, dell’elezione di Trump e della ribellione antiglobalista delle periferie – ebbe a sottolinearne l’essenza, quando affermava: «La provincia è la grande riserva intellettuale, artistica e spirituale del Paese» (Chi sogna nuovi gerani? Autobiografia, Rizzoli 1993, p.141). Ancora, il papà di don Camillo vive in quell’antitotalitarismo di cui fu testimone prezioso.

Infatti, mise in luce come nessun altro il bisogno d’essere sia antifascisti (nel 1942 durante una sbornia diffamò il duce e i gerarchi, finendo in galera) sia anticomunisti (suo lo slogan «Nel segreto della cabina elettorale Dio ti vede, Stalin no!»). Non solo: all’occorrenza, unico giornalista nella storia repubblicana, finì pure in galera in seguito ad uno scontro con De Gasperi, rifiutando di fare ricorso in appello.

Da questo punto di vista, Guareschi vive ancora nel coraggio di chi vuole restare libero, di chi non si piega, di chi segue la coscienza anche se essa lo conduce fin dentro una cella. Giornalista, caricaturista, umorista, perfino designer, è stato dunque un vero gigante. Tanto che, mentre qui alla sua morte lo si snobbava, la rivista americana Life che gli dedicò nove pagine e Time scrisse che per capire Italia e italiani bisogna leggere Machiavelli, Mussolini e Guareschi, lo scrittore che nacque e non morì più.

Fonte: https://giulianoguzzo.com/2021/05/01/guareschi-lo-scrittore-che-nacque-e-non-mori-piu/#more-19178

Russia vs. Anti-Russia: interessi e valori

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L’OPINIONE DELL’IDEOLOGO DI PUTIN

di Aleksandr Dugin

La scala globale del problema ucraino

Il destino dell’ordine mondiale si sta decidendo in Ucraina. Questo non è un conflitto locale tra due potenze che non hanno diviso qualcosa tra loro. È uno spartiacque fondamentale nella storia.

C’è la pratica comune di separare gli interessi e i valori. Gli interessi sono legati all’equilibrio politico e geopolitico del potere, i valori – agli ideali di civiltà. Non ci sono conflitti militari che non abbiano avuto entrambe le dimensioni: la questione del valore e gli obiettivi pragmatici. Nel caso dell’Ucraina, entrambi – interessi e valori – sono di natura globale e riguardano direttamente tutti sul globo. Questo non è un incidente locale.

L’Ucraina ha perso l’occasione di costruire uno Stato

Cosa rappresenta l’Ucraina? A prima vista è il suo Stato nazionale con i suoi interessi (presumibilmente) razionali, i suoi valori e ideali nazionali. L’Ucraina ha avuto la sua opportunità di diventare uno Stato relativamente di recente – come risultato del crollo dell’URSS. Non aveva una storia nazionale. Ecco perché la questione dell’identità era in primo piano. C’erano due popoli sul territorio dell’Ucraina – uno occidentale e uno orientale. Il primo si considerava un ethnos indipendente, mentre il secondo faceva parte del grande mondo russo, tagliato fuori da esso solo per caso. All’Ucraina fu data la possibilità di creare uno Stato, ma solo se teneva conto delle posizioni di entrambi i popoli, entrambi quasi alla pari.

Entrò poi in gioco un fattore esterno: la geopolitica, la Grande Guerra dei Continenti. L’Occidente, da parte sua, ha visto nell’Ucraina indipendente (quasi accidentalmente) un’opportunità per creare una testa di ponte antirussa su questo territorio, al fine di contenere il probabile rafforzamento della Russia dopo l’uscita dallo shock del crollo dell’URSS. Era inevitabile, e l’Occidente si stava preparando per questo.

Quindi, fu l’Occidente che puntò sugli abitanti delle regioni occidentali dell’Ucraina e sulla loro identità e cominciò a sostenere solo loro in ogni modo possibile a nome dell’altra metà, quella                          filorussa.

La genesi geopolitica del nazismo ucraino

Fu allora che si presentò il compito di stabilire un’identità ucraina occidentale come identità pan-ucraina. Per fare questo, era necessario compiere un genocidio culturale e, se necessario, diretto dei popoli dell’Ucraina orientale. Per accelerare la formazione della nazione ucraina, che non era mai esistita nella storia, l’Occidente accettò misure estreme, per creare artificialmente un simulacro di “Una Nazione” e sopprimere i sentimenti filorussi dell’Ucraina orientale, si ricorse all’ideologia nazista. Tuttavia, non è la prima volta – per combattere le influenze sovietiche nel mondo islamico durante la guerra fredda (e più tardi per contrastare la Russia) l’Occidente ha effettivamente creato, sostenuto e pompato armi e denaro nel fondamentalismo islamico (da al-Qaeda all’ISIS).

Il nazismo in Ucraina non è solo quello di singoli partiti e movimenti estremisti, è il principale vettore politico-tecnologico che, con il sostegno dell’Occidente, ha iniziato a prendere forma nei primi anni ’90. Mentre perseguivano il nazismo sul loro territorio, i liberali occidentali – e i più radicali (Soros, Bernard-Henri Levy, ecc.) – fraternizzavano apertamente con i nazisti ucraini. La nazificazione dell’Ucraina era l’unico modo per l’Occidente di creare rapidamente un Anti-Russia sul suo territorio. Altrimenti, se la democrazia, anche se relativa, fosse stata conservata, la voce dell’Est non avrebbe permesso di costruire l’Anti-Russia (almeno alla velocità desiderata).

Fasi del nazismo ucraino

La presa del potere da parte dei nazisti filoccidentali in Ucraina è avvenuta per tappe. Dall’inizio degli anni ’90, cominciarono a formarsi movimenti e partiti nazionalisti, e la propaganda influenzò i giovani, instillando atteggiamenti russofobi nelle loro menti. Allo stesso tempo, l’identità ucraina si trasformò in un Giano bifronte:

– un sorriso liberale all’Occidente

– una smorfia nazista (Bandera, Shukhevich) di odio verso la Russia.

Il nazionalismo ucraino si è dichiarato più distintamente durante la rivoluzione arancione del 2004-2005, quando gli occidentali si sono ribellati alla vittoria del candidato dell’est ucraino. Di conseguenza, l’occidentale Yushchenko è salito al potere, sostenuto da nazionalisti e liberali, ma il suo governo fu un completo fallimento, e fu sostituito da Yanukovich, presumibilmente filorientale.

Tuttavia, durante tutto il tempo il pompaggio del nazismo ucraino continuò. In tutte le fasi, l’Occidente ha continuato a costruire l’Anti-Ucraina.

Un’alleanza dei liberali con i nazisti

Al Maidan nel 2013-1014 c’è stata una svolta finale. Con il sostegno diretto e aperto dell’Occidente, un colpo di stato ha avuto luogo, e un’alleanza russofoba di nazisti e liberali ha preso il potere, fondendosi in qualcosa di indivisibile nel nuovo governo. Gli oligarchi liberali Poroshenko e Kolomoisky hanno contribuito a trasformare l’Ucraina in un perfetto stato nazista. L’Occidente ha chiesto l’antirusso, e Kiev ha seguito rigorosamente questo piano.

La reazione della Russia con la riunificazione con la Crimea, e la rivolta del Donbass filorusso seguirono. La Primavera russa doveva dividere l’Ucraina in Ucraina occidentale e Novorossia sulla linea dei due popoli, due identità, ma è stata scartata per una serie di motivi. Così Kiev ha avuto l’opportunità di iniziare la nazificazione dei territori orientali. Il genocidio dell’Est è iniziato con nuova forza e non solo contro il Donbass resistente, ma contro tutte le zone della Novorossia – sia le parti occupate delle regioni di Donetsk e Lugansk che tutte le altre.

L’Occidente non ha semplicemente chiuso un occhio su questo, ma lo ha promosso in ogni modo possibile. In questo caso possiamo dire che l’Occidente ha compromesso i suoi valori per il bene dei suoi interessi. La geopolitica (atlantismo) questa volta è stata più importante del liberalismo.

L’anti-Russia è stata in tal modo creata.

Allo stesso tempo, idee e norme occidentali come la politica di genere, LGBT+, la circolazione più o meno libera delle droghe, la cultura post-modernista (intesa dagli ucraini come nichilismo totale e cinismo), la cancellazione, il femminismo, il wokeismo e così via sono penetrati attivamente nella società ucraina. Come risultato, nel 2022 l’Ucraina era diventata un’anti-Russia a tutti gli effetti.

I suoi interessi nazionali a questo punto consistevano in:

– riconquistare il Donbass e la Crimea,

– l’adesione alla NATO,

– completare il ciclo completo del genocidio nell’Est,

– ottenere armi nucleari e biologiche da usare contro la Russia,

– inoltre, l’ideologia consisteva in russofobia e nazismo combinati con l’occidentalismo e il liberalismo.

Questo è ciò che Kiev difende oggi a livello di interessi e valori. L’Occidente sostiene pienamente Kiev in tutto tranne che nella sua disponibilità ad entrare in un confronto nucleare con la Russia. L’Occidente ha trasformato l’Ucraina nell’Anti-Russia, e ne ha bisogno solo in questa veste.

La russofobia come nuova ideologia globale

È indicativo che nella situazione critica dell’operazione militare speciale, l’Occidente si è trovato in una posizione difficile: ora deve non solo spiegare i suoi interessi, ma anche giustificare il nazismo ucraino, che non era più possibile nascondere. Prendete la recente fotografia a Odessa di Bernard-Henri Levy, l’ideologo iconico del liberalismo globale e ardente sostenitore del Grande Reset, con apertamente neonazista, ex capo del battaglione punitivo “Aidar” e capo dell’amministrazione militare di Odessa, Maxim Marchenko. Ecco come il liberal-nazismo come ideologia pragmatica dell’Ucraina è diventato per necessità accettato dall’Occidente stesso. Da qui la politica delle reti globali di sostegno al nazismo ucraino e la cancellazione di tutte le voci alternative – Youtube, facebook, twitter, Instagram, Google e così via – che sono state dichiarate recentemente “organizzazioni terroristiche” e vietate nella Federazione Russa. La russofobia è diventata il comune denominatore di questa empia alleanza tra nazisti e liberali globalisti.

L’Occidente ha trovato rapidamente una via d’uscita: equiparando la Russia stessa al “nazismo”, è stata dichiarata una crociata contro di essa, in cui il nazismo anti-russo è stato considerato un alleato completamente accettabile, cioè “non è affatto nazista” – nonostante i suoi simboli, le pratiche criminali, il genocidio dichiarato e attuato, la tortura, gli stupri, il traffico di bambini e di organi, la pulizia etnica, ecc.

Interessi e valori dell’Occidente globale: egemonia, totalitarismo liberale, russofobia

Così è stata costruita la configurazione del confronto tra due campi. Da un lato, abbiamo l’Occidente e i suoi interessi geopolitici – il desiderio

– espandere la NATO,

– preservare il modello unipolare,

– continuare la globalizzazione e il processo di trasformazione dell’umanità in un’unica massa sotto il controllo del governo mondiale (il progetto del Grande Reset),

– per salvare la fatiscente egemonia degli Stati Uniti.

Questo corrisponde ad una diffusione altrettanto totale dell’ideologia –

– liberalismo,

– globalismo,

– individualismo,

– la richiesta di cancellazione di tutti i dissensi,

– LGBT+, femminismo e transgenderismo,

– postmodernismo, distruzione deliberata e derisione dell’eredità culturale classica,

– wokeismo, la volontà di denunciare coloro che contestano il liberalismo (si qualificano come nemici della società aperta e quindi commettono crimini di pensiero),

– postumanesimo, migrazione forzata dell’umanità in una dimensione virtuale (progetto Meta, un’altra organizzazione terroristica vietata nella Federazione Russa),

– e a questo oggi si aggiunge il nazismo russofobico.

L’ideologia liberal-nazista dell’anti-russismo, creata artificialmente in Ucraina, sta penetrando nell’Occidente stesso, dove la russofobia sta diventando una norma obbligatoria, e la sua assenza o il suo disaccordo è oggetto di una persecuzione amministrativa o penale. Così la coda ucraina ha iniziato a scodinzolare il cane di Washington. Oggi, di fronte all’operazione militare speciale della Russia, il liberalismo si è finalmente e inseparabilmente fuso con il nazismo (nella sua versione russofoba).

Gli interessi della Russia: un mondo multipolare

Ora quali sono gli interessi e i valori della Russia in questo conflitto fondamentale?

In primo luogo, gli interessi geopolitici. La Russia rifiuta categoricamente il globalismo, un mondo unipolare e l’egemonia occidentale. In pratica, questo significa una dura resistenza all’espansione verso est della NATO e a tutte le altre forme di pressione occidentale sulla Russia. Mosca sta costruendo un mondo multipolare in cui sta reclamando il suo posto come polo indipendente e sovrano. È sostenuta in questo da Pechino e da un certo numero di paesi islamici e latino-americani. Anche l’India sta andando alla deriva verso un modello di ordine mondiale simile. In seguito, tutti gli altri – compresi i paesi dell’Europa e dell’America – si convinceranno dell’attrattiva, della validità e dell’inevitabilità di una tale costruzione.

Affinché gli interessi geopolitici russi si realizzino, l’anti-Russia non deve esistere sul territorio dell’Ucraina. E visto dal punto di vista dell’Occidente, è proprio il contrario, perché l’Occidente ha creato questo anti-Russia proprio per non farlo accadere. Quindi, abbiamo un conflitto di interessi fondamentale, che la Russia ha cercato di risolvere pacificamente, ma non ha funzionato. Da qui la nuova fase, più dura.

L’atlantismo contro l’eurasiatismo è la battaglia finale nel territorio dell’Ucraina. Questa è una posizione classica della teoria geopolitica da Mackinder a Putin. Come ha detto Brzezinski (piuttosto correttamente) negli anni ’90: “Senza l’Ucraina, la Russia non risorgerà mai più”, e con l’Ucraina lo farà, hanno deciso correttamente gli strateghi di Mosca.

I valori della Russia: Tradizione, Spirito, Uomo

Passiamo ai valori. Oggi, l’Occidente e Kiev stanno lottando per una sintesi patologica (dal punto di vista della teoria politica) di liberalismo e nazismo. Entrambi sono uniti dalla russofobia.

La russofobia dei globalisti liberali si spiega con il loro odio per una Russia sovrana che faccia cadere il mondo unipolare, distrugga i piani dei globalisti e l’egemonia dell’Occidente. La russofobia di Kiev si basa sul fatto che la Russia impedisce il genocidio della popolazione dell’est e la creazione della nazione ucraina. È così che il liberalismo e il nazismo si uniranno in un unico impulso. L’odio per i russi, gli appelli alla distruzione fisica dei russi a partire dal presidente Putin fino ai neonati, alle donne e ai vecchi si fondono con la propaganda LGBT+, la difesa dei matrimoni gay e la cultura postmodernista. Questi sono i valori di una civiltà che ha dichiarato guerra alla Russia.

La Russia difende altri valori. In primo luogo, i valori tradizionali – potere, sovranità, fede, una famiglia normale, umanità, patrimonio culturale. Secondo, la Russia insiste sulla legittima protezione dei russi – concretamente in Ucraina, minacciata dallo sterminio e vittima di genocidio. Terzo, i valori eurasiatici – la Russia stessa è aperta ai diversi popoli e culture e rifiuta categoricamente ogni forma di nazismo e razzismo. La Russia riconosce il diritto degli altri ad andare per la propria strada e a costruire il tipo di società che sarà scelto – ma non a spese della Russia stessa e dei popoli che cercano in Russia – come nell’Arca – la salvezza. Questi sono i fondamenti della moderna Idea Russa contrapposta al liberal-nazismo occidentale e ucraino.

Civiltà russa contro civiltà antirussa

Gli interessi e i valori di noi e loro sono opposti. Gli obiettivi e le conseguenze del conflitto sono globali, riguardano l’intero ordine mondiale, tutti i paesi e i popoli. La scala del conflitto è planetaria.

Due sistemi si scontrano – il campo liberale-nazista dell’Occidente e la Russia, difendendo non solo la loro Idea Russa, ma anche un ordine mondiale multipolare, in cui possono esistere altre idee – cinese, islamica, e la stessa occidentale, ma dove non c’è posto per il nazismo e il liberismo globalista obbligatorio.

Quindi lo scopo dell’operazione militare speciale è la denazificazione. Questo vale direttamente per l’Ucraina, ma indirettamente per tutti gli altri. La Russia non tollererà la russofobia in nessuna forma. Questa è già una questione di principio.

È uno scontro di civiltà: la civiltà russa contro quella antirussa.

Il destino della quinta colonna nella stessa Russia

Ora dovremmo prestare attenzione alla quinta colonna, che ha cercato di ribellarsi all’operazione militare speciale, ma è stata rapidamente fermata e fuggita all’estero nella prima fase, e soprattutto alla sesta colonna, che in precedenza ha imitato con successo per anni, esprimendo fedeltà formale a Putin.

La quinta colonna dei liberali è stata inequivocabilmente dalla parte degli antirussi fin dalla prima campagna cecena. I discorsi e le dichiarazioni della maggior parte degli esponenti liberali dell’opposizione russa sono pieni di odio per la Russia. Molti di loro erano fuggiti dalla Russia anche prima, stabilendosi negli Stati Uniti, in Europa, in Israele e a Kiev. Molti di loro hanno scelto Kiev consapevolmente, come roccaforte dell’Anti-Russia, cioè come loro feudo ideologico; e, naturalmente, non hanno notato il fiorire del nazismo ucraino lì – con esso condividono una russofobia comune per entrambi. Molti dei liberali della quinta colonna russa divennero anche loro nazisti, o almeno i loro apologeti.

Oggi, la quinta colonna in Russia è sotto una stretta interdizione e non rappresenta una grande minaccia. Ma nel complesso, i suoi interessi e valori coincidono con Washington, la CIA, il Pentagono, il blocco NATO e Kiev, che servono. Quindi è un nemico puro.  Non ho bisogno di ricordarvi ancora una volta cosa si fa con un nemico sotto legge marziale.

I liberali sistemici sono tra l’incudine e il martello

La situazione della sesta colonna è molto più complicata. Oggi è proprio questa colonna ad essere al centro dell’attenzione. È composta da quelli che sono stati chiamati “liberali di sistema” come oligarchi, politici, burocrati e figure culturali che condividono l’ideologia liberale (monetarismo, imperialismo del dollaro, currency board, cosmopolitismo, LGBT+, transgender, globalizzazione, digitalizzazione, ecc) ma non si oppongono apertamente a Putin.

Oggi, si trovano in una posizione difficile – tra l’incudine e il martello. È contro la sesta colonna che l’Occidente ha imposto gravi sanzioni economiche, ha portato via i loro yacht e palazzi, ha congelato i loro conti bancari e sequestrato i loro beni immobili. L’obiettivo era lo stesso: farli rovesciare Putin. Ma questo è impossibile e significa un suicidio.

Così la sesta colonna è ora confusa – l’Occidente ha preteso da lei qualcosa di impossibile.  Quindi o devono fuggire dalla Russia e combattere Putin dall’esterno (come hanno fatto Chubais e un certo numero di altre figure iconiche dell’oligarchia russa), o solidificarsi con un’operazione militare speciale, ma questo cancellerebbe la loro posizione in Occidente e li priverebbe del loro bottino ammassato lì. Ed ecco il punto principale: non possono più rimanere liberali – nemmeno sistemici, perché il liberalismo oggi si è fuso con la russofobia su scala globale, è diventato una versione del nazismo, e non si può essere un nazista e allo stesso tempo lottare contro il nazismo, paradosso irrisolvibile.

Si scopre che o la Russia o il liberalismo.

Se i liberali sistemici (la sesta colonna) vogliono rimanere sistemici, devono smettere di essere liberali. Il liberalismo oggi è uguale al nazismo, e la Russia ha lanciato un’operazione di denazificazione senza precedenti. Di conseguenza, i liberali sistemici devono denazificare (cioè de-liberalizzare) se stessi.

Conversione al patriottismo

Molti ex liberali degli anni ’90 avevano già preso la loro decisione nelle fasi precedenti, scegliendo tra la Russia con i suoi valori tradizionali e l’Occidente con i suoi valori liberal-nazisti. Questi hanno scelto la Russia e la tradizione. Ed è una grande e giusta decisione. Nessun problema con loro. Una persona può cambiare idea, può sbagliarsi, può perseguire obiettivi tattici, alla fine può peccare e pentirsi. Nessuno tirerà pietre agli ex-liberali che sono diventati patrioti. Ma un certo rituale di cambiamento dell’ideologia, una sorta di conversione al patriottismo, è comunque utile.

Sarebbe sbagliato convertire, come gli ebrei spagnoli al cattolicesimo, i liberali sistemici al patriottismo con la forza. È una questione di ideologia e di libertà di coscienza. E qui la violenza avrà solo l’effetto contrario. Ma l’élite dirigente della società in un momento così teso e decisivo dovrebbe essere composta da coloro che condividono pienamente gli interessi e i valori del paese che sta combattendo una guerra ontologica contro un avversario forte e potente – per gli interessi e i valori. E se l’élite non condivide i valori, e non capisce gli interessi, allora non ha senso essere un’élite – almeno quella al potere.

Oggi, la guerra tra la Russia e l’Anti-Russia globale è in pieno svolgimento. Sarebbe innaturale mantenere reti nemiche all’interno della Russia. Pertanto, se la sesta colonna sceglie la Russia, non può più essere chiamata “liberali di sistema”, suonando come contraddizione come essere “nazisti di sistema”. Lo stato attuale delle cose non lo permette.

La Russia deve diventare la Russia: la luce russa

La nostra vittoria non dipende solo dalle azioni eroiche del nostro esercito, dai successi della pianificazione militare e strategica, dal supporto materiale dell’operazione, dall’efficace gestione politica e amministrativa dei territori liberati, ecc. Dipende da quanto profondamente e completamente la Russia diventa Russia. Oggi l’appello all’Idea Russa non è un capriccio del potere. Anche i comunisti sovietici, per bocca di Stalin in una difficile situazione critica si appellavano al popolo russo, alla Chiesa ortodossa, alla Tradizione e alla nostra eroica storia. Oggi, nulla si oppone a questo. Tranne i pregiudizi dei liberali sistematici, che, spero, semplicemente non si sono ancora resi conto della gravità della loro situazione.

La gente sia in Russia che in Ucraina sta aspettando che Mosca dica parole vere. Un discorso vero. Un appello sincero al profondo dell’essere della gente. È ora di dire che questa operazione militare speciale appartiene alla categoria del sacro.

Oggi di nuovo un soldato russo e un cittadino russo nelle retrovie, un figlio russo e una madre russa, un prete russo e un poeta russo stanno decidendo il destino dell’umanità.

La Russia in lotta mortale con l’Anti-Russia si erge come una civiltà della Luce. Questo è il nostro interesse e i nostri valori. Portiamo ancora una volta la Luce al mondo, silenziosa, ma inestinguibile tranquilla Luce Russa.

Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini

26 marzo 2022

Fonte: https://www.ideeazione.com/russia-vs-anti-russia-interessi-e-valori/

Anche 1984 finisce nel mirino liberal: censurata l’opera di Orwell

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L’università di Northampton, nel Regno Unito, ha emesso un avviso sul libro di George Orwell, 1984: il classico contiene “materiale esplicito”. E a Dublino viene ribattezzata l’aula magna intitolata a Erwin Schrödinger

di Roberto Vivaldelli

La furia iconoclasta della censura liberal non risparmia più nessuno. Da Shakespeare a Geoffrey Chaucer passando per Mark Twain, la guerra culturale dei progressisti identitari che vuole cancellare la storia e i classici per imporre una visione del mondo basata sull’antirazzismo e sull’anticolonialismo, ora se la prende con scrittori e intellettuali del calibro di George Orwell, autore del celebre e citatissimo romanzo distopico 1984. Come riporta Il Foglio, il romanzo scritto nel 1949 sugli orrori della censura e della minaccia totalitaria, viene censurato dalle università inglesi. L’università di Northampton, infatti, ha emesso un avviso sul libro: il romanzo contiene “materiale esplicito” e gli studenti potrebbero trovare 1984 “offensivo e inquietante“. Cosa ci sarà mai di così offensivo nel classico di Orwell? Rimane un mistero. Paradossale e rappresentativo dell’epoca che stiamo vivendo che un classico contro la censura e il totalitarismo venga “segnalato”.

Orwell e 1984 nel tritacarne del politically correct

Come spiega il Daily Mail1984 è fra le numerose opere letterarie che sono state segnalate agli studenti di Northampton che stanno studiando un modulo chiamato “Identity Under Construction“. Vengono avvertiti del fatto che il romanzo “affronta questioni impegnative relative a violenza, genere, sessualità, classe, razza, abusi, abusi sessuali, idee politiche e linguaggio offensivo“. Oltre al libro di Orwell, gli accademici identificano diverse opere nel modulo che hanno il potenziale per essere “offensive e sconvolgenti“, tra cui l’opera teatrale di Samuel Beckett Endgame, la graphic novel V For Vendetta di Alan Moore e David Lloyd e Sexing The Cherry di Jeanette Winterson. Il deputato conservatore Andrew Bridgen ha dichiarato: “Piuttosto ironico che i nostri studenti vengano ‘avvertiti’ prima di leggere 1984. I nostri campus universitari stanno rapidamente diventando zone distopiche del Grande Fratello in cui si pratica la neolingua per ridurre la gamma del pensiero intellettuale e cancellare coloro che non si conformano ad esso“.

Il biografo di Orwell, David Taylor, ha commentato così la vicenda: “Penso che i tredicenni potrebbero trovare inquietanti alcuni passaggi del romanzo, ma non credo che nessuno in età universitaria rimanga più scioccato da un libro“. Peraltro il celebre romanzo di Orwell, come ricorda il Daily Mail, è stato regolarmente adattato per il teatro ed è diventato anche un – bellissimo film – con protagonista John Hurt. “Siamo consapevoli che alcuni testi potrebbero essere impegnativi per alcuni studenti e ne abbiamo tenuto conto durante lo sviluppo dei nostri corsi” ha spiegato un portavoce dell’università.

La cancel culture contro Erwin Schrödinger: “Era un pedofilo”

E non finisce qui. La cancel culture, ossia quel processo revisionista promosso dai fanatici della censura che intende applicare i criteri etici di oggi al passato cancellando la storia, decontestualizzandola completamente, ha messo nel mirino anche il Premio Nobel Erwin Schrödinger. Il fisico austro-irlandese, morto nel 1961, ricevette infatti il Premio Nobel per la fisica nel 1933 per il suo lavoro nel campo della meccanica quantistica e per aver stabilito l’equazione di Schrödinger, che determina l’evoluzione temporale dello stato di un sistema. Un genio a cui, ancora oggi, dobbiamo moltissimo per via dei suoi studi e delle sue scoperte scientifiche. La sua vita privata – a maggior ragione se pensiamo che era un uomo figlio del suo tempo – dovrebbe dunque passare in secondo piano, ma la cancel culture non ammette questa distinzione.

Come riportato dal The Times, infatti, il preside della scuola di fisica del Trinity College di Dublino ha raccomandato di ribattezzare l’aula magna dedicata a Schrödinger a causa dei presunti abusi su donne e bambini che il fisico austro-irlandese avrebbe commesso. Vero o falso che sia, c’è un “piccolo” dettaglio che i giustizialisti non considerano: Erwin Schrödinger è morto nel 1961 e non può difendersi. Tutto nasce da un articolo pubblicato a dicembre 2021 sulll’Irish Times, secondo il quale il fisico era un pedofilo. L’articolo cita la biogragia redatta dall’astrofisico britannico John Gribbin, Erwin Schrödinger and the Quantum Revolution, spiegando che, all’età di 39 anni, Schrödinger si era innamorato della quattordicenne Ithi, a cui insegnava matematica. Inoltre, secondo il biografo di Schrödinger, Walter Moore, il celebre fisico teneva un elenco nel suo diario delle donne e delle ragazze con cui aveva avuto una relazione. Fra queste c’era anche la dodicenne Barbara MacEntee. Ma quanti personaggi storici, intellettuali e artisti, dovremmo “riconsiderare” se tenessimo conto della loro vita privata? Da Pasolini a Moravia – che sposò una donna di quaranticinque anni più giovane – forse se ne salverebbero pochi.

Fonte: https://www.ilgiornale.it/news/mondo/e-ora-censurano-persino-orwell-e-i-premi-nobel-2005426.html

Chiudiamo le scuole!!!

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Scritto e segnalato da Pietro Ferrari

Giovanni Papini e quella sua meravigliosa provocazione di 108 anni fa a cui bisognerebbe ancora (saper) rispondere:
Giovanni Papini
nacque a Firenze il 9 gennaio 1881. Giovanissimo iniziò l’attività letteraria collaborando e dando vita a numerosi periodici che per circa quarant’anni caratterizzarono le tendenze culturali del Paese: il Regno
di Corradini, la Critica di Benedetto Croce e il Leonardo di Papini e Prezzolini il cui fine era combattere contro «l’abietto positivismo dei falsi scienziati» e restituire così «valore all’irrazionalità e alla fantasia». In quel periodo Papini scrisse:
Il Tragico quotidiano,
Il crepuscolo dei filosofi e
Il poeta cieco. Nel 1908, conclusa l’esperienza del Leonardo, Papini iniziò la collaborazione alla Voce.
L’anima si chiamerà la rivista che nel 1911 fonderà insieme a Giovanni Amendola. La sua produzione letteraria in questo periodo è ricchissima e comprende tra l’altro
Un uomo finito, Memorie di Dio,
L’altra metà, Buffonate, Cento pagine di poesia e Stroncature. Staccatosi da La Voce nel 1913 fondò con Ardengo Soffici Lacerba che divenne l’organo del futurismo italiano. Da queste pagine Papini saluta come una vittoria l’intervento dell’Italia in guerra dalla quale sperava scaturisse quel rinnovamento di vita da tempo inseguito.
Le cagionevoli condizioni di salute non gli permisero di andare al fronte e fu durante la guerra che si rivelò abile giornalista trasferendosi a Roma per entrare nella redazione del Tempo. La nostalgia di Firenze e della quiete della casa agreste di Bulciano lo spinsero ad abbandonare la carriera giornalistica. A Bulciano scrisse il libro che ebbe un clamoroso successo in tutto il mondo, la Storia di Cristo, che testimonia la sua conversione al cattolicesimo. Nel 1929, dopo il Concordato, Papini aderì al fascismo, in nome di quell’ideale di dignità nazionale che aveva sempre perseguito.
Le Lettere di Celestino VI, la Vita di Michelangelo nella vita del suo tempo e
Il Diavolo riportarono alla ribalta Papini che sembrava ormai tramontato ed escluso dalla vita letteraria a causa dei suoi trascorsi fascisti.
Nel 1956 scrisse La felicità dell’infelice. Ormai completamente paralizzato, cieco, sordo e muto, Papini mantenne fino all’ultimo «indenne l’intelligenza, intatta la memoria, viva la fantasia», forzando «la barriera dei sensi murati» per esprimere la sua invincibile resistenza spirituale di uomo, non intristito o spaventato dalla sua condizione, ma «felice nell’infelicità».
Morì a Firenze l’8 luglio 1956. Postumi vennero pubblicati Il giudizio universale,
La seconda nascita e Diario.
MILLELIRE
STAMPA ALTERNATIVA
Direzione editoriale ed esecutiva:
Marcello Baraghini
GIOVANNI PAPINI
CHIUDIAMO LE SCUOLE
tratto da
Giovanni Papini
“Chiudiamo le scuole”
Vallecchi
Editore, Firenze, 1919
grafica Capek
Finito di stampare il 10/5/1992 da Union Printing
Viterbo
Un Giovanni Papini del 1914, estremo,
particolarmente caustico e provocatore.
Un testo, più che mai attuale,
che esprime con decenni di anticipo
un malessere oggi dilagante.
Una soluzione estrema ad un problema
reso cronicamente insolubile.
Una proposta ra
dicale che tutt’oggi
potrebbe far discutere
se qualcuno avesse il coraggio
di esprimere un simile dissenso.
Diffidiamo de’ casamenti di grande superficie, dove molti uomini si rinchiudono o vengon rinchiusi. Prigioni, Chiese, Ospedali, Parlamenti, Caserm e, Manicomi, Scuole, Ministeri, Conventi. Codeste
pubbliche architetture son di malaugurio: segni irrecusabili di malattie generali. Difesa contro il delitto
contro la morte
contro lo straniero
contro il disordine
contro la solitudine
contro tutto ciò che
impaurisce l’uomo abbandonato a sé stesso: il vigliacco eterno che fabbrica leggi e società come bastioni e trincee alla sua tremebondaggine.
Vi sono sinistri magazzini di uomini cattivi
in città e in campagna e sulle rive del mare
davanti a’ quali non si passa senza terrore.
Lì son condannati al buio, alla fame, al suicidio, all’immobilità, all’abbrutimento, alla pazzia,
migliaia e milioni di uomini che tolsero un po’ di ricchezza a’ fratelli più ricchi o diminuirono
d’improvviso il numero di questa non rimpiangibile umanità. Non m’intenerisco sopra questi uomini
ma soffro se penso troppo alla loro vita
e alla qualità e al diritto de’ loro giudici e carcerieri. Ma per
costoro c’è almeno la ragione della difesa contro la possibilità di ritorn
i offensivi verso qualcun di
noialtri.
Ma cosa hanno mai fatto i ragazzi, gli adolescenti, i giovanetti e i giovanotti che dai sei fino ai dieci,
ai quindici, ai venti, ai ventiquattro anni chiudete tante ore del giorno nelle vostre bianche galere per far
patire il loro corpo e magagnare il loro cervello? Gli altri potrete chiamarli
con morali e codici in
mano
delinquenti ma quest’altri sono, anche per voi, puri e innocenti come usciron dall’utero delle
vostre spose e figliuole. Con quali traditori pret
esti vi permettete di scemare il loro piacere e la loro
libertà nell’età più bella della vita e di compromettere per sempre la freschezza e la sanità della loro
intelligenza?
Non venite fuori colla grossa artiglieria della retorica progressista: le ragion
i della civiltà, la
educazione dello spirito, l’avanzamento del sapere…
Noi sappiamo con assoluta certezza che la civiltà non è venuta fuor dalle scuole e che le scuole
intristiscono gli animi invece di sollevarli e che le scoperte decisive della scienza n
on son nate
dall’insegnamento pubblico ma dalla ricerca solitaria disinteressata e magari pazzesca di uomini che
spesso non erano stati a scuola o non v’insegnavano.
Sappiamo ugualmente e con la stessa certezza che la scuola, essendo per sua necessità form
ale e
tradizionalista, ha contribuito spessissimo a pietrificare il sapere e a ritardare con testardi ostruzionismi
le più urgenti rivoluzioni e riforme intellettuali.
Soltanto per caso e per semplice coincidenza
raccoglie tanta di quella gente!
la scuola può essere
il laboratorio di nuove verità.
Essa non è, per sua natura, una creazione, un’opera spirituale ma un semplice organismo e
strumento pratico. Non inventa le conoscenze ma si vanta di trasmetterle. E non adempie bene neppure
a quest’ultimo ufficio
perché le trasmette male o trasmettendole impedisce il più delle volte,
disseccando e storcendo i cervelli ricevitori, il formarsi di altre conoscenze nuove e migliori.
Le scuole, dunque, non son altro che reclusori per minorenni istituiti per soddisfare a bisogni pratici
e prettamente borghesi.
Quali?
Per i genitori, nei primi anni, sono il mezzo più decente per levarsi di casa i figliuoli che danno noia.
Più tardi entra in ballo il pensiero dominante della “posizione” e della “carriera”.
Per i maestri c’è soprattutto la ragione di guadagnarsi pane, carne e vestiti con una professione
ritenuta “nobile” e che offre, in più, tre mesi di vacanza l’anno e qualche piccola beneficiata di vanità.
Aggiungete a questo la sadica voluttà di potere annoiare, intimorire e tormentare impunemente, in capo
alla vita, qualche migliaio di bambini o di giovani.
Lo Stato mantiene le scuole perché i padri di famiglia le vogliono e perché lui stesso, avendo
bisogno tutti gli anni di qualche battaglione di impiegati, preferisce tirarseli su a modo suo e sceglierli
sulla fede di certificati da lui concessi senza noie supplementari di vagliature più faticose.
Aggiungete che sulle scuole ci mangiano ispettori, presidi, bidelli, preparatori, assistenti, editori,
librai, cartolai e avrete la trama completa degli interessi tessuti attorno alle comunali e regie e
pareggiate case di pena.
Nessuno
fuorché a discorsi
pensa al miglioramento della nazione, allo sviluppo del pensiero e
tanto meno a quello cui si dovrebbe pensar di più: al bene dei figliuoli.
Le scuole ci sono, fanno comodo, menano a qualche guadagno: ficchiamoci maschi e femmine e non
ci pensiamo più.
L’uomo, nelle tre mezze dozzine d’anni decisive nella sua vita (dai sei ai dodici, dai dodici ai
diciotto, dai diciotto ai ventiquattro), ha bisogno, per vivere, di libertà.
Libertà per rafforzare il suo corpo e conservarsi la salute, libertà all’aria aperta: nelle scuole si
rovina gli occhi, i polmoni, i nervi (quanti miopi, anemici e nevrastenici posson maledir
e giustamente le scuole e chi l’ha inventate!).
Libertà per svolgere la sua personalità nella vita aperta dalle diecimila possibilità, invece che in
quella artificiale e ristretta delle classi e dei collegi.
Libertà per imparare veramente qualcosa perché non s’impara nulla d’importante dalle lezioni ma
soltanto dai grandi libri e dal contatto personale colla realtà. Nella quale ognuno s’inserisce a modo suo
e sceglie quel che gli è più adatto invece di sottostare a quella manipolazione disseccatrice e uniforme
ch’è l’insegnamento.
Nelle scuole, invece, abbiamo la reclusione quotidiana in stanze polverose piene di fiati
l’immobilità fisica più antinaturale
l’immobilità dello spirito obbligato a ripetere invece che a cercare
lo sforzo disastroso per imparare con metodi imbecilli moltissime cose inutili
e l’annegamento
sistematico di ogni personalità, originalità e iniziativa nel mar nero degli uniformi programmi. Fino a
sei anni l’uomo è prigioniero di genitori, di bambinaie o d’istitutrici; dai sei ai
ventiquattro è sottoposto
a genitori e professori; dai ventiquattro è schiavo dell’ufficio, del caposezione, del pubblico e della
moglie; tra i quaranta e i cinquanta vien meccanizzato e ossificato dalle abitudini (terribili più d’ogni
padrone) e servo, schiavo, prigioniero, forzato e burattino rimane fino alla morte.
Lasciateci almeno la fanciullezza e la gioventù per godere un po’ d’igienica anarchia!
L’unica scusa (non mai bastante) di tale lunghissimo incarceramento scolastico sarebbe la sua
riconosciuta utilità per i futuri uomini. Ma su questo punto c’è abbastanza concordia fra gli spiriti più
illuminati. La scuola fa molto più male che bene ai cervelli in formazione.
Insegna moltissime cose inutili, che poi bisogna disimparare per impararne molte altre da sé.
Insegna moltissime cose false o discutibili e ci vuol poi una bella fatica a liberarsene
e non tutti ci arrivano.
Abitua gli uomini a ritenere che tutta la sapienza del mondo consista nei libri stampati.
Non insegna quasi mai ciò che un uomo do
vrà fare effettivamente nella vita, per la quale occorre poi
un faticoso e lungo noviziato autodidattico.
Insegna (pretende d’insegnare) quel che nessuno potrà mai insegnare: la pittura nelle accademie; il
gusto nelle scuole di lettere; il pensiero nelle facoltà di filosofia; la pedagogia nei corsi normali; la
musica nei conservatori.
Insegna male perché insegna a tutti le stesse cose nello stesso modo e nella stessa quantità non
tenendo conto delle infinite diversità d’ingegno, di razza, di provenienza sociale, di età, di bisogni ecc.
Non si può insegnare a più d’uno. Non s’impara qualcosa dagli altri che nelle conversazioni a due,
dove colui che insegna si adatta alla natura dell’altro, rispiega, esemplifica, domanda, discute e non
detta il suo verbo dall’ alto.
Quasi tutti gli uomini che hanno fatto qualcosa di nuovo nel mondo o non sono mai andati a scuola o
ne sono scappati presto o sono stati “cattivi” scolari.
(I mediocri che arrivano nella vita a fare onorata e regolare carriera e magari a raggiungere
una certa
fama sono stati spesso i “primi” della classe.)
La scuola non insegna precisamente quello di cui si ha più bisogno: appena passati gli esami e
ottenuti i diplomi bisogna rivomitare tutto quel che s’è ingozzato in quei forzati banchetti e
ricominciare da capo.
Vorrei che i nostri dottori della legge, per i quali la scuola è il tempio delle nuove generazioni e i
manuali approvati sono i sacri testamenti della religion pedantesca, leggessero almeno una volta il
saggio di Hazlitt sull’
Ignoranza delle persone istruite
, che comincia così: «La razza di gente che ha
meno idee è formata da quelli che non son altro che autori o lettori. È meglio non saper né leggere né
scrivere che saper leggere e scrivere, e non esser capaci d’altro». E più giù: «Chiunque è
passato per tutti i gradi regolari d’una educazione classica e non è diventato stupido, può vantarsi d’averla scappata
bella».
Credo che pochissimi potrebbero
se sapessero giudicarsi da sé
vantarsi di una tal resistenza. E
basta guardarsi un momento attorno e vedere quale sia la media intelligenza de’ nostri impiegati,
dirigenti, maestri, professionisti e governanti per convincersi che Hazlitt ha centomila ragioni. Se c’è
ancora un po’ d’intelligenza nel mondo bisogna cercarla fra gli autodidatti o fra
gli analfabeti.
La scuola è così essenzialmente antigeniale che non ristupidisce solamente gli scolari ma anche i
maestri. Ripeti e ripeti anni dopo anni le medesime cose, diventano assai più imbecilli e immalleabili di
quel che fossero al principio
e non è dir poco.
Poveri aguzzini acidi, annoiati, anchilosati, vuotati, seccati, angariati, scoraggiati che muovon le
loro membra ufficiali e governative soltanto quando si tratta di aver qualche lira di più tutti i mesi!
Si parla dell’
educazione morale delle scuole. Gli unici risultati della convivenza tra maestri e scolari
son questi: servilità apparente e ipocrisia dei secondi verso i primi e corruzione reciproca tra compagni
e compagni.
L’unico testo di sincerità nelle scuole è la pa
rete delle latrine.
Bisogna chiuder le scuole
tutte le scuole. Dalla prima all’ultima. Asili e giardini d’infanzia; collegi
e convitti; scuole primarie e secondarie; ginnasi e licei; scuole tecniche e istituti tecnici; università e
accademie; scuole di
commercio e scuole di guerra; istituti superiori e scuole d’applicazione;
politecnici e magisteri. Dappertutto dove un uomo pretende d’insegnare ad altri uomini bisogna chiuder
bottega. Non bisogna dar retta ai genitori in imbarazzo né ai professori disocc
upati né ai librai in
fallimento. Tutto s’accomoderà e si quieterà col tempo. Si troverà il modo di sapere (e di saper meglio
e in meno tempo) senza bisogno di sacrificare i più begli anni della vita sulle panche delle semiprigioni
governative.
Ci saranno
più uomini intelligenti e più uomini geniali; la vita e la scienza andranno innanzi anche
meglio; ognuno se la caverà da sé e la civiltà non rallenterà neppure un secondo. Ci sarà più libertà, più
salute e più gioia.
L’anima umana innanzi tutto. È la cosa
più preziosa che ognuno di noi possegga. La vogliamo
salvare almeno quando sta mettendo le ali. Daremo pensioni vitalizie a tutti i maestri, istitutori, prefetti,
presidi, professori, liberi docenti e bidelli purché lascino andare i giovani fuor dalle loro
fabbriche
privilegiate di cretini di stato. Ne abbiamo abbastanza dopo tanti secoli.
Chi è contro la libertà e la gioventù lavora per l’imbecillità e per la morte.
1 giugno 1914

L’UE STA CONDUCENDO UNA GUERRA CULTURALE CONTRO L’EUROPA

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Segnalazione di Federico Prati

In atto la “colonizzazione ideologica” dell’Europa

di Frank Furedi

Sta diventando sempre più chiaro che l’ Unione Europea sta lottando per imporre la sua ideologia di sveglia ai suoi stati membri.

Ad esempio, alla fine di ottobre, il Consiglio d’Europa ha lanciato una campagna per promuovere il rispetto per le donne musulmane che scelgono di indossare il velo. I poster mostravano una donna che indossava un velo accanto alla didascalia: “La bellezza è nella diversità come la libertà è nell’hijab”.

I politici francesi si sono affrettati a contestare, il che non è certo una sorpresa, dato che la Francia ha vietato l’uso del velo islamico integrale nei luoghi pubblici nel 2011. Una settimana dopo il lancio della campagna, il ministro della gioventù francese Sarah El Haïry si è lamentato del fatto che la pro- La campagna del velo era contraria ai valori laici della Francia. Molti commentatori conservatori hanno visto nel poster anche un tentativo di svalutare i valori tradizionali europei e cristiani.

Tale era la protesta che la campagna è stata rapidamente ritirata. Non che il Consiglio d’Europa pensasse che la campagna fosse sbagliata. Per come l’ha vista il consiglio, è stato un momento sbagliato. Ha promesso di “riflettere su una migliore presentazione di questo progetto”.

Ancora più sorprendente è stata la guida di 30 pagine della Commissione europea per il personale sulla “comunicazione inclusiva”, pubblicata all’incirca nello stesso periodo della campagna per l’hijab.

Questa guida ha effettivamente esortato il personale dell’UE a dissociare l’Europa dalla sua tradizione cristiana. ‘Non tutti celebrano le feste cristiane’, si legge, ‘e non tutti i cristiani le celebrano nelle stesse date’. Ha pertanto consigliato ai dipendenti dell’UE di sostituire i riferimenti a “periodo di Natale” con “periodo delle ferie” e di evitare la frase “nome cristiano” a favore di “nome” o “attribuzione”. C’erano molte altre raccomandazioni scristianizzanti da dove provenivano.

Natale e cristianesimo non sono stati gli unici bersagli di questo sfacciato tentativo di reinventare linguaggio e valori. Il personale dell’UE è stato inoltre esortato a evitare pronomi e parole di genere, nonché frasi come “presidente”, “signore e signore” o “creato dall’uomo”. La guida ha anche fatto di tutto per promuovere un’etichetta di genere sveglia, suggerendo ai funzionari di chiedere alle persone quali sono i loro pronomi e di fare attenzione a usare termini come “gay”, “lesbica” e “trans” come nomi.

Il tono arrogante e imperioso della guida alla comunicazione dell’Ue ha suscitato una reazione anche da parte di coloro che abitualmente acconsentono ai diktat di Bruxelles sulla diversità. Tra questi c’era Papa Francesco, che era così indignato da paragonare l’UE a una “dittatura” per il suo tentativo di vietare la parola “Natale” e ha avvertito Bruxelles di non seguire la strada della “colonizzazione ideologica”.

Questo ultimo tentativo di colonizzazione ideologica è stato eccessivo anche per alcuni dei sostenitori più entusiasti dell’UE. La scorsa settimana un funzionario dell’UE, che ha voluto rimanere anonimo, ha denunciato Helena Dalli , la commissaria per la parità responsabile delle linee guida. ‘La commissaria Dalli compensa la sua totale mancanza di peso nel Collegio [dei Commissari] tirando fuori dal cilindro “linee guida inclusive” che decostruiscono le regole più elementari’.

Proprio come il Consiglio d’Europa ha dovuto ritirare la sua campagna per il velo, la Commissione è stata costretta a fare marcia indietro. Definendo le linee guida un “lavoro in corso”, Dalli ha twittato la scorsa settimana che la Commissione, dopo aver ascoltato le preoccupazioni sollevate, stava ora lavorando a una “versione aggiornata delle linee guida”.

In entrambi i casi, tuttavia, l’UE e il Consiglio d’Europa non vedono alcun problema con il contenuto o il messaggio dei progetti in questione, sia che si tratti di incoraggiare l’uso di un linguaggio inclusivo o di sostenere l’uso del velo. Vedono solo un problema con la presentazione e la tempistica. In altre parole, sia le linee guida che la campagna a favore dell’hijab torneranno probabilmente, solo in forme diverse.

In effetti, la guida linguistica inclusiva dell’UE è parte integrante dei piani del presidente della Commissione Ursula von der Leyen di attuare un ‘”Unione dell’uguaglianza” . Questa unione è progettata per garantire che “ognuno sia apprezzato e riconosciuto in tutto il nostro materiale, indipendentemente dal genere, dalla razza o dall’origine etnica, dalla religione o dalle convinzioni personali, dalla disabilità, dall’età o dall’orientamento sessuale”.

No al Gender manifestazione

L’obiettivo della Commissione è istituzionalizzare la politica dell’identità in tutta l’Unione europea. Il primo passo di questo progetto è cambiare la lingua usata dalle persone. Il secondo passo è disaccoppiare la società dalla sua eredità culturale e storica. Ecco perché i funzionari sono incoraggiati a smettere di usare nomi “cristiani” e ad adottare l’uso di pronomi di genere neutro.

In effetti l’UE sta conducendo una guerra culturale contro i cittadini europei . In tal modo, sta copiando gli attivisti risvegliati negli Stati Uniti, che sono stati in grado di portare avanti i loro progetti di riprogettazione sociale all’interno e attraverso le istituzioni di istruzione superiore e cultura.

Per fortuna, le cose sono più complicate in Europa. Nonostante i migliori sforzi dell’UE, il continente è ancora un’Europa di nazioni. La maggior parte delle nazioni europee possiede ancora un forte senso delle proprie tradizioni nazionali e culturali. Detto questo, è improbabile che la tattica e la strategia che hanno funzionato all’interno delle istituzioni culturali anglo-americane abbiano successo.

Tuttavia, l’UE tornerà più e più volte con nuovi argomenti per cambiare lingua e comportamento. Si tratta, come afferma la Commissione, di un “work in progress”. Dobbiamo garantire che i tentativi dell’UE di colonizzazione ideologica siano più che accompagnati da una ferma opposizione contro coloro che vogliono decostruire l’eredità della civiltà europea.

Fonte: Spiked

Traduzione: Luciano Lago

https://www.controinformazione.info/lue-sta-conducendo-una-guerra-culturale-contro-leuropa/#comments 

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