La riforma fiscale

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Segnalazione Wall Street Italia

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Questa settimana parliamo di riforma fiscale, analizzando le principali misure contenute nella legge delega di Governo e fornendo una valutazione d’impatto su famiglie e imprese. Spazio anche alla riforma pensioni, ai trend della finanza, ai retroscena del crack SVB e alle novità UE destinate ad avere un effetto dirompente sull’Italia…

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Speriamo che ci leggerai presto!

Fisco, pronta la riforma: ecco tutte le novità

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di Giulia Schiro

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha sintetizzato la legge delega, strutturata in quattro parti, con 21 articoli in tutto, sulla riforma del fisco a cui sta lavorando il Governo, che rinnoverà gli scaglioni Irpef, le aliquote Ires e Iva e il sistema fiscale per gli enti locali. La proposta è pronta per essere portata in consiglio dei ministri, se non ci saranno intoppi, già la prossima settimana.

Con la delega, l’Esecutivo chiede al Parlamento 24 mesi di tempo per ripensare in modo complessivo le tasse italiane, dall’Irpef che si riduce a tre aliquote all’Ires che invece si sdoppia; rafforzare lo Statuto dei diritti del contribuente; semplificare i procedimenti dichiarativi, accertativi, di riscossione e del contenzioso; ristrutturare le sanzioni amministrative e penali e infine riordinare le norme in testi unici. Fra i principi cardine tornano dunque molti dei temi a cui ha lavorato il governo Draghi, tranne la riforma del catasto che ha fatto alzare al centrodestra le barricate.

Obiettivo flat tax per tutti i lavoratori

Sull’Irpef l’obiettivo è in due tempi. Il primo passo è quello della riduzione a tre scaglioni, con una riduzione delle aliquote da finanziare attraverso una revisione delle tax expenditure. Il contatore del Mef, a caccia di coperture per una riforma che non può andare in deficit proprio mentre i tassi salgono e le regole fiscali europee ritornano in campo, si è fermato a poco più di 600 voci che oggi costano 165 miliardi di euro ogni anno. Per ridurre questa spesa, si legge nei documenti preparati dal Mef, il Governo lavorerà a una “forfetizzazione” per scaglioni di reddito, che in pratica dovrebbe diminuire le detrazioni all’aumentare dell’imponibile: le ipotesi tecniche parlano per esempio di un tetto alla fruizione degli sconti che potrebbe essere fissato al 4% dell’imponibile per i redditi più bassi, per poi scendere a percentuali inferiori quando i guadagni dichiarati salgono. Dal vincolo sarebbero escluse le detrazioni più delicate come quelle sanitarie e per l’istruzione e le deduzioni sugli interessi passivi dei mutui prima casa e dei contributi ai collaboratori famigliari.

L’idea del Governo sarebbe quindi quella di accorpare la seconda e la terza aliquota dell’Irpef, fissate oggi al 25% e al 35%, in una fascia con una percentuale di prelievo pari al 27% o al 28%. Chi oggi guadagna tra i 15 mila e i 28 mila euro, quindi, andrebbe a pagare il 2% in più di tasse, percependo uno stipendio netto inferiore. Beneficeranno invece della misura quelli che hanno un reddito imponibile compreso tra i 28 mila e i 50 mila euro. Le tre aliquote, nelle intenzioni del governo, dovrebbero però appunto rappresentare solo il primo passo verso la flat tax, indicata dalla delega come punto di approdo a lungo termine.

Doppio livello per la tassa sulle imprese

Il progetto del Governo sdoppia l’Ires, l’imposta sui redditi delle società. Con una filosofia simile a quella che ha ispirato nell’ultima manovra la flat tax incrementale, la delega prospetta di affiancare all’aliquota ordinaria del 24% una tassazione agevolata per la quota di reddito che nei due anni successivi viene destinata alle assunzioni o agli investimenti in beni strumentali innovativi o qualificati. Anche in questo caso le distanze politiche fra destra e sinistra sembrano superate da un meccanismo che prova a introdurre nel sistema fiscale una versione strutturale del programma Industria 4.0. Nel capitolo sulle imprese troverà poi spazio una semplificazione della disciplina sulla deducibilità degli interessi passivi e il riordino del regime di compensazione delle perdite fiscali.

Iva e Irap

La delega mette poi nel carnet dei propri obiettivi la razionalizzazione delle aliquote Iva e delle operazioni esenti. Il riordino dei panieri punterà a garantire trattamenti fiscali omogenei per beni simili fra loro, e proverà anche a semplificare le regole sulle detrazioni e le complesse normative sul gruppo Iva (che attualmente ad esempio impongono aliquota massima a beni di prima necessità come l’acqua minerale). Il Codacons stima che un eventuale azzeramento dell’Iva su alimentari e beni di prima necessità produrrebbe risparmi diretti fino a 300 euro annui a famiglia, oltre a positivi effetti indiretti sul fronte delle tariffe al pubblico praticate da attività ed esercizi commerciali se i commercianti non faranno i furbi.

Il ridisegno del fisco guarderà poi ai meccanismi, oggi giudicati ancora troppo lenti e farraginosi, dei rimborsi per cittadini e imprese. Torna poi l’idea di mettere in archivio l’Irap, per trasformarla in una sovraimposta da applicare alla base imponibile dell’Ires. Anche in questo caso, si tratta della riedizione di un obiettivo già presente nella delega Draghi.

Redditi finanziari

Per quanto riguarda i redditi di natura finanziaria, si prevede, tra le altre cose, il raggruppamento dei redditi di capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria in un’unica categoria reddituale soggetta a tassazione in base al principio di cassa e di compensazione e un’imposta sostitutiva agevolata sui redditi di natura finanziaria conseguiti dalle casse di previdenza.

Addio mini-imposte, arriva il tributo unico

Addio infine all’imposta di bollo, a quelle ipotecaria e catastale, ai tributi speciali catastali e alle tasse ipotecarie: saranno sostituite da un tributo unico, “eventualmente in misura fissa”. Nell’ottica di una generale razionalizzazione, è prevista l’estensione dell’autoliquidazione anche per l’imposta di successione e per l’imposta di registro.

Inflazione, quanto costa all’anno agli italiani?

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di Alessandra Caparello

L’inflazione è alle stelle e solo nel mese di dicembre 2022, in Italia, i prezzi sono cresciuti dell’11,6% rispetto al dicembre dell’anno precedente, un valore a cui non si assisteva dalla prima metà degli anni Ottanta. La realtà, però, è che per molti risparmiatori l’inflazione è salita fino al 18,3% e i costi, in termini assoluti, fino a 363 euro in più al mese, 4 mila euro in più in un anno.

A fare i calcoli è Moneyfarm, società di gestione del risparmio con approccio digitale, che ha utilizzato l’indicatore di “inflazione effettiva” per affrontare la questione più urgente, oggi, per le finanze personali delle famiglie italiane.

I calcoli di Moneyfarm

Partendo dagli ultimi dati Istat sull’aumento dei prezzi nel 2022 e incrociandoli con la fotografia 2021 dei consumi di 52 diversi profili di famiglie e di consumatori, Moneyfarm ha stimato, con il supporto di Smileconomy, l’inflazione effettiva.

A dicembre 2022 l’inflazione misurata da Istat è stata in aumento dell’11,6% rispetto al dicembre 2021, ma per i 52 profili tracciati l’inflazione effettiva va dall’11,5% al 18,3%, poiché i consumi effettivi delle famiglie esaminate “battono” l’indice dei prezzi al consumo medio del paniere Istat. Ragionando in termini assoluti, dai calcoli di Moneyfarm emerge che l’inflazione costa alle famiglie da 188 a 363 euro in più al mese, che, su base annua, significa tra i 2 mila e i 4 mila euro in più.

Considerando questa cifra, per poter continuare a mantenere il proprio stile di vita e neutralizzare gli effetti di un aumento dei prezzi eccezionalmente alto, una famiglia italiana dovrebbe risparmiare tra il 10% e il 15% delle sue entrate (“tasso di risparmio antidoto”).

Pertanto le famiglie che, prima del 2022, risparmiavano meno hanno dovuto rinunciare ad alcuni consumi o attingere ai propri risparmi per mantenere inalterati i propri consumi. Attualmente, però, gli italiani risparmiano mediamente il 7% del loro reddito, quindi non sarebbero in grado di affrontare una nuova ondata di inflazione nel 2023. Andrea Rocchetti, head of investment advisory di Moneyfarm, ha commentato:

“Purtroppo ancora il 35% degli italiani fatica a comprendere gli effetti dell’inflazione, come emerge dall’ultimo rapporto Consob sulle scelte di investimento delle famiglie italiane. Considerando che a livelli di inflazione come quelli attuali non si assisteva dagli anni Ottanta e che le implicazioni sulla gestione delle finanze personali delle famiglie sono notevoli, è fondamentale che gli operatori del risparmio si impegnino sul fronte dell’educazione finanziaria. Le conoscenze degli italiani risultano carenti sia quando si tratta di concetti basilari – per esempio il concetto di ‘diversificazione’, compreso da appena un italiano su due – sia quando si vanno a indagare gli strumenti o i rischi finanziari. Questa situazione rende ancora più indispensabile rivolgersi a un consulente finanziario per ragionare su una gestione efficiente dei propri risparmi”.

L’inflazione del 2022 non è democratica: ecco chi perde di più

L’indagine di Moneyfarm inoltre rivela che tra le 52 tipologie di consumatori analizzate, sono i disoccupati ad avere l’inflazione effettiva più elevata, al 18,3%. Quando il capofamiglia è disoccupato l’inflazione agisce come una tassa occulta di 241 euro al mese su una spesa media mensile che alla fine del 2021 era di 1.319 euro al mese. Una tassa che, in assenza di aiuti e di bonus, significa probabilmente dover tagliare ulteriormente i consumi per la famiglia.

Quando il capofamiglia è un lavoratore dipendente, invece, l’inflazione effettiva è del 13,1% e la spesa mensile aggiuntiva ammonta a 308 euro.

Chi è disoccupato spende, in proporzione, molto di più in beni essenziali come energia e prodotti alimentari: le due voci con maggiore aumento dei prezzi. Chi invece può contare su entrate stabili come i lavoratori dipendenti, spende in modo più bilanciato, su più voci di consumo, e risulta quindi meno colpito dall’inflazione.

Se si guarda ai nuclei familiari, sono i single ad avere la peggio, con un’inflazione effettiva del 16,8% e una spesa aggiuntiva mensile di 208 euro, ma per gli anziani soli la situazione è purtroppo ancora peggiore: 17,6% l’inflazione effettiva e 188 euro la spesa aggiuntiva mensile. All’estremo opposto si collocano le coppie con due figli, con un’inflazione effettiva del 13%.

Oltre a categorie occupazionali e nuclei familiari, Moneyfarm ha preso in esame anche la dimensione territoriale in cui vivono le famiglie, da cui è emerso che l’inflazione effettiva è più alta nelle aree metropolitane, dove raggiunge il 16,2% e comporta una spesa aggiuntiva di 309 euro al mese. Mentre le famiglie che vivono in piccoli comuni (sotto i 50.000 abitanti), hanno un’inflazione effettiva al 13,9%. A livello regionale, la Liguria (13,9%) è in cima alla classifica delle regioni con inflazione effettiva più alta, con un incremento mensile di spesa di 277 euro. In fondo alla classifica troviamo invece la Provincia Autonoma di Trento, dove il dato è più basso di oltre due punti percentuali (11,5%).

Multe, cosa succede se non si pagano?

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Segnalazione Wall Street Italia

di Alessandra Caparello

Quante volte è capitato di vedersi recapitare multe stradali. La prima domanda che ci si pone è come evitare di pagarle. Cerchiamo di fare il punto.

Una volta ricevuta una multa, si può osservare se la sua notifica presenta dei vizi formali o sostanziali. In tal caso, si può contestare il provvedimento facendo ricorso dinanzi al giudice o al prefetto. In alcuni casi, infatti, possono essere commessi degli errori, e il soggetto ha il diritto di contestare la contravvenzione.

Come ed entro quando pagare una multa

In linea generale, si può pagare una multa entro 5 giorni da quando si è ricevuto il verbale, ottenendo così uno sconto del 30% sul minimo edittale (ossia sull’importo indicato in verbale).

Chi paga entro 60 giorni deve versare la sanzione in misura ridotta, pari cioè al minimo edittale (è l’importo indicato sul verbale), oltre i 60 giorni invece si paga la sanzione in misura piena, pari al quadruplo del minimo edittale.
Cosa succede se non si paga la multa stradale

Se l’ente titolare del credito (ad esempio il Comune) rileva il mancato pagamento della multa, procede alla cosiddetta iscrizione a ruolo dell’importo. In pratica, scatta la procedura di riscossione coattiva, che può prendere due strade:

  1. notifica al debitore di un’ingiunzione fiscale direttamente da parte del Comune;
  2. trasmissione del ruolo al cosiddetto Agente per la riscossione esattoriale.

Entro due anni da quando il ruolo è stato dichiarato esecutivo, parte la cartella esattoriale in cui vengono indicate le somme da versare comprensive degli interessi che nel frattempo sono maturati. In tal caso con la notifica della cartella esattoriale, all’automobilista che ha commesso l’infrazione sarà richiesto il pagamento della multa con aggiunte le sanzioni e i relativi interessi e le spese di notifica. Questi ultimi vengono calcolati del 10% per ogni sei mesi di ritardo nel pagamento della sanzione.

Fermo amministrativo dell’auto

In caso di mancato pagamento della cartella esattoriale nei termini di legge, il concessionario della riscossione può disporre il fermo dei veicoli intestati al debitore, tramite iscrizione del provvedimento di fermo amministrativo nel Pubblico Registro Automobilistico (PRA). Il fermo amministrativo è un atto con il quale le amministrazioni o gli enti competenti (Comuni, Inps, Regioni, Stato, ecc.), tramite i concessionari della riscossione, “bloccano” un bene mobile del debitore (o dei coobbligati) iscritto in pubblici registri (ad esempio autoveicoli) , al fine di riscuotere i crediti non pagati che possono riferirsi a tributi o tasse (può trattarsi di un credito di varia natura, ad esempio, un mancato pagamento Iva, Irpef, bollo auto, Ici, ecc.) oppure a multe relative ad infrazioni al Codice della Strada.

Dopo l’iscrizione del fermo la disponibilità del veicolo è limitata fino a quando il debitore non salderà il proprio debito e il concessionario della riscossione non provvederà, d’ufficio, alla cancellazione del fermo. Il veicolo, infatti:

  • non può circolare: se circola è prevista la sanzione;
  • non può essere radiato dal PRA: non può essere demolito od esportato;
  • anche se viene venduto, con atto di data certa successiva all’iscrizione del fermo, non può circolare e non può essere radiato dal PRA.

Inoltre, se il debitore non paga le somme contestate, il concessionario della riscossione potrà agire forzatamente per la vendita del veicolo.

Multe e rottamazione delle cartelle esattoriali

Da quest’anno è partita in via ufficiale la rottamazione delle cartelle esattoriali, introdotta dalla Legge di Bilancio 2023. La rottamazione prevede la possibilità di pagare in forma agevolata i debiti affidati in riscossione dal 1° gennaio 2000 al 30 giugno 2022, anche se ricompresi in precedenti “rottamazioni” che risultano decadute per mancati pagamenti. Chi aderisce alla definizione agevolata potrà versare solo l’importo dovuto a titolo di capitale e quello dovuto a titolo di rimborso spese per le eventuali procedure esecutive e per i diritti di notifica. Non saranno invece da corrispondere le somme dovute a titolo di sanzioni, interessi iscritti a ruolo, interessi di mora e aggio.

Per quanto riguarda i debiti relativi alle multe stradali o ad altre sanzioni amministrative (diverse da quelle irrogate per violazioni tributarie o per violazione degli obblighi contributivi), l’accesso alla misura agevolativa prevede invece che non siano da corrispondere le somme dovute a titolo di interessi (comunque denominati, comprese pertanto le c.d. “maggiorazioni”), nonché quelle dovute a titolo di aggio.

 

Embargo russo in arrivo. Quali conseguenze su benzina e diesel?

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Segnalazione Wall Street Italia

di Gianmarco Carriol

Mancano poco più di sette giorni al 5 febbraio 2023, giorno in cui scatterà l’embargo all’importazione di prodotti petroliferi lavorati da Mosca. Il prezzo del diesel è già schizzato sopra 1,9 euro al litro nelle stazioni di servizio italiane, arrivando a 2,5 euro in alcune località. L’Europa sospenderà l’importazione di prodotti raffinati per un totale di circa un milione di barili al giorno, metà dei quali diesel a basso zolfo.

L’Ue non è sorpresa da questo scenario, in quanto già a maggio il think tank norvegese Rystad Energy aveva lanciato l’allarme sulle carenze del mercato europeo dipendente dalla Russia. La domanda totale di diesel e gasolio europea si posiziona tra i 6 e i 7 milioni di barili al giorno, per cui in caso di bando l’impatto sulla domanda dovrebbe essere del 7-8%. L’Europa ha acquistato prodotti raffinati dall’India, dal Medio Oriente e dalla Cina a un costo maggiore.

L’Italia ha importato diesel dalla Russia solo per il 5% fino a giugno 2022, poi ha azzerato la quota. Il paese ha 13 impianti che lo rendono praticamente autonomo: a fronte di un consumo interno di prodotti raffinati pari a 55 milioni di tonnellate, ne raffina quasi 71, mentre la capacità produttiva teorica arriva a 88 milioni di tonnellate.

Inoltre, la dipendenza dal gasolio russo è stata interrotta con la risoluzione del caso Priolo. Il potenziale problema potrebbe arrivare dalle offerte di acquisto estere, come quelle della Germania che dipende al 30% dal gasolio russo e con capacità di raffinazione ridotta (83 milioni di tonnellate), potrebbe orientarsi sull’Italia per le sue offerte di acquisto, causando uno shock alla disponibilità sul mercato interno.

Il problema resta a livello europeo, dove diversi esperti hanno evidenziato l’assenza di una strategia sul petrolio e sul potenziamento della capacità di raffinazione. I consumatori di tutto il continente, che hanno già registrato un aumento dei prezzi dell’energia negli ultimi mesi, rischiano di dover pagare anche un nuovo aumento sul diesel, con tutte le conseguenze su trasporti e prezzi dei beni scambiati.

Il Metaverso non convince i risparmiatori

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di Giulia Schiro

Il Metaverso ha visto nel 2022 un vero e proprio boom, essendo considerato da molti il futuro, non solo di internet e delle imprese, ma anche della vita in generale. Le discussioni sul web 3.0 sembrano continuare anche quest’anno, ma l’entusiasmo verso il tema da parte dei risparmiatori sembra si stia raffreddando.

Dall’ultimo numero di The Cerulli Edge — European Monthly Product Trends, emerge come il Metaverso sia il tema in più rapida crescita in termini di numero di nuovi fondi di investimento europei lanciati, con diversi asset manager tra i più blasonati che stanno lanciando fondi sul tema. L’apripista è stata Quantology che, nel giugno 2021, aveva lanciato il primo fondo UCITS sul Metaverso in Europa.

A livello globale, a dicembre 2022 si contavano 59 fondi tematici esposti direttamente o indirettamente al Metaverso, inclusi 35 ETF. In Europa invece sono circa una dozzina i fondi aperti e gli ETF che puntano sul Metaverso lanciati dai principali fornitori, tra cui Fidelity, Franklin Templeton, iShares e Legal & General, con un patrimonio in gestione di 98 milioni di dollari a gennaio 2023. Nonostante la varietà di proposte, i flussi di investimento verso questi veicoli rimangono però modesti o bassi.

Perché i risparmiatori non puntano sul Metaverso

Secondo gli analisti di Cerulli Associates, le motivazioni della titubanza dei risparmiatori sono da ricercare nei timori per la complessa congiuntura di mercato, nel ritorno alla realtà non virtuale dopo la fine della pandemia e nella mancanza di conoscenza verso la nuova tecnologia e sulla sua integrazione con l’asset speculativo per eccellenza: le criptovalute.

“Alcuni gestori stanno adottando un approccio attendista in questo settore nel tentativo di identificare meglio le migliori nuove idee che potrebbero attirare l’interesse degli investitori ed evitare di correre il rischio di danni reputazionali, considerati i recenti problemi che hanno travolto lo spazio crittografico”, spiega Fabrizio Zumbo, direttore di Cerulli Associates, che aggiunge: “la leva ESG può dare una spinta agli investimenti nel settore”.

Cerulli ha identificato però anche elementi positivi. Ad esempio il fatto che Goldman Sachs abbia previsto che il mercato del Metaverso arriverà al suo apice a valere circa 12 trilioni di dollari a livello globale, mentre il gruppo di ricerca Gartner prevede che il 25% degli adulti trascorrerà almeno un’ora al giorno nel Metaverso entro il 2026.

Gli asset manager che sapranno sfruttare le opportunità offerte dalla realtà virtuale godranno di vantaggi competitivi per due motivi: le strategie tematiche tendono a giustificare i premi sui costi, mentre la mancanza di un perimetro definito consente alle strategie focalizzate sul Metaverso di differenziarsi più facilmente che in altri settori. Ma quali sono nel dettaglio i fondi con cui gli investitori europei possono investire nel Metaverso?

I fondi europei per investire nel Metaverso

Il più grande fondo tematico sul Metaverso è l’Axa WF Metaverse, che è stato lanciato nell’aprile 2022 e ha raccolto 37,4 milioni di euro fino alla fine di novembre 2022. Axa WF Metaverse è un fondo azionario multi-cap a gestione attiva che mira a investire in società che svolgono un ruolo nella convergenza del mondo digitale e fisico.

Segue il fondo Invesco Metaverse che, dal lancio nel giugno 2022, è arrivato a gestire 33 milioni di euro e che si concentra su sette diversi settori: i sistemi operativi e informatici di nuova generazione; l’hardware, cioè i dispositivi per accedere al metaverso; le reti e il loro potenziamento per un’iperconnettività in tempo reale; piattaforme immersive sviluppate con Intelligenza Artificiale, blockchain e realtà aumentata; gli strumenti di interscambio, di pagamento e i protocolli necessari per integrare i due mondi e infine i contenuti, i servizi e gli asset che consentiranno la digitalizzazione dell’economia reale, dal gaming allo shopping, dallo sport all’entertainment.

Al terzo posto troviamo l’ETC Group Global Metaverse Ucits ETF, con 5,9 milioni di euro di asset in gestione.

I benzinai confermano lo sciopero del 25-26 gennaio dopo le accuse di speculazione

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di Alessandra Caparello

Dopo un acceso confronto con il governo, i benzinai hanno confermato lo sciopero del 25 e 26 gennaio 2023. In una nota congiunta,  le organizzazioni degli esercenti, Fegica e Figisc/Anisa, al termine dell’incontro con il Governo al ministero delle Imprese, hanno confermato l’agitazione su tutto il territorio nazionale durante le intere giornate del 25 e del 26 gennaio 2023, precisando che:

“Serve un accordo sottoscritto in sede di presidenza del Consiglio, ad indicare la collegialità dell’intero Governo e sottrarre la vertenza in atto a qualsiasi speculazione all’interno della maggioranza. In attesa delle valutazioni del Governo lo sciopero previsto per i giorni 25 e 26 gennaio è confermato. Per fare emergere serietà e competenza richiesta c’è tempo fino al minuto prima della chiusura degli impianti”.

L’Autorità garante per gli scioperi guidata da Giuseppe Santoro-Passarelli, prende atto dello stop annunciato “dalle 19.00 del 24 gennaio 2023 alle 07.00 del 27 gennaio 2023” prossimi dei gestori della rete carburanti, ritenendo regolare la formale proclamazione. Si invitano al contempo le associazioni a valutare l’opportunità di ridurre la durata complessiva della chiusura degli impianti: “al fine di limitare i disagi a cui, inevitabilmente, andrebbero incontro i cittadini utenti, a fronte di una prolungata chiusura dei distributori di carburante sulla rete ordinaria e autostradale, questa Commissione invita le Associazioni in indirizzo a valutare l’opportunità di ridurre la durata complessiva della chiusura degli impianti”.

I motivi dietro allo sciopero dei benzinai

Le associazioni spiegano così i motivi che li hanno costretti a scioperare.

“Ancora oggi il Governo non ha saputo o voluto assumere la responsabilità di prendere impegni concreti sulle questioni che direttamente possono incidere anche sui prezzi dei carburanti. Immaginando evidentemente di poter continuare ad ingannare gli automobilisti gettando la croce addosso ai benzinai. Confermato il pessimo giudizio sul decreto, pasticciato e inefficace, a cui sarà necessario mettere mano pesantemente in sede di conversione. Abbiamo proposto con serietà al Governo di assumere alcune iniziative tutte ispirate al recupero della piena legalità nel settore ed al ripristino di un sistema regolatorio certo, con l’obiettivo di adeguare efficienza e gli standard di servizio offerti agli automobilisti italiani e ottenere la proposizione di prezzi dei carburanti equi e stabilmente contenuti. Nel medio periodo è necessario l’avvio di un confronto che metta immediatamente in cantiere la riforma del settore volta a chiudere 7.000 impianti, che secondo una stima prudente sono attualmente nelle mani della criminalità più o meno organizzata, recuperare al gettito erariale circa 13 miliardi di euro sottratti ogni anno alle casse dello Stato e quindi ripristinare condizioni di mercato e concorrenza non drogate.

Più nell’immediato, deve essere urgentemente varata la norma che preveda controlli e sanzioni – attualmente inesistenti – per i titolari degli impianti che non rispettano gli obblighi di legge imposti sui contratti di gestione e gli accordi collettivi, posto che almeno il 60% dei gestori è senza contratto o con contratti illegali e condizioni economiche minime. Inoltre, è necessario che il Mit apra immediatamente il confronto sul decreto ministeriale che regola le concessioni delle aree di servizio autostradali, perché finalmente alle società concessionarie venga sottratta la possibilità di sfruttare a proprio esclusivo beneficio economico un bene in concessione pubblica come le autostrade e possano essere adeguati sia la qualità dei servizi che i prezzi attualmente fuori controllo”.

Il tutto, precisa la nota, “deve trovare collocazione all’interno di un accordo sottoscritto in sede di Presidenza del Consiglio, ad indicare la collegialità dell’intero Governo e sottrarre la vertenza in atto a qualsiasi speculazione all’interno della maggioranza”.

Immediata la reazione delle associazioni dei consumatori come l’UNC (Unione Nazionale Consumatori), il cui presidente Massimiliano Dona ha affermato:

“Pessima notizia! Vorremmo capire quali sono le concessioni del Governo in materia di sanzioni, considerato che scendevano da 516 a 500 euro e che la sospensione dell’attività era solo fittizia e teorica, visto che poteva, e non doveva, scattare solo alla quarta violazione, ossia mai. Insomma, il presupposto minimo della trasparenza è che i benzinai comunichino almeno i loro prezzi e non lo facciano in modo farlocco, come invece abbiamo denunciato anche all’Antitrust dal marzo del 2022. Se 4000 benzinai non comunicano i prezzi vuol dire che le sanzioni vanno perlomeno decuplicate.

Il Governo sembra fare l’opposto di quello che dovrebbe fare, visto che invece non concede nulla ai distributori sull’esposizione del cartello del prezzo medio, che in effetti presenza profili di illegittimità in materia di concorrenza, dato che potrebbe diventare un punto di riferimento per accordi collusivi. Molto più utile un’app che appena aperta dia i 3 distributori con i prezzi più bassi  in un raggio di chilometri predefinito dal consumatore, cosa che abbiamo chiesto di fare da oltre 1 anno all’allora Mise”.

Sanatoria fiscale, quali tasse e multe si possono rottamare nel 2023?

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Segnalazione di Wall street Italia

di Pierpaolo Molinengo

Attraverso le sanatorie fiscali di multe e tasse, il Governo ha intenzione di alleggerire, almeno in parte, le tensioni che si sono create tra i cittadini e le varie entità fiscali. Le famiglie, a causa della pandemia e delle varie difficoltà finanziarie ed economiche, sono stati messe a dura prova nell’arco degli ultimi anni. Per questo le sanatorie fiscali si muovono principalmente su tre fronti:

  • ravvedimenti;
  • la risoluzione delle liti con l’Agenzia delle Entrate;
  • lo stralcio dei crediti, che sono ritenuti inesigibili.

Nell’ottica di allentare le possibili tensioni tra erario e contribuenti, l’esecutivo ha lavorato su criptovalute, multe e mini cartelle, in modo da permettere ai soggetti interessati di sanare eventuali posizioni ancora aperte.

Sanatoria fiscale, la rottamazione delle multe

Capitolo importante della sanatoria fiscale prevista dal Governo guidato da Giorgia Meloni, è la rottamazione delle pendenze fiscali. Le cartelle esattoriali, con importi inferiori a 1.000 euro gestite direttamente dall’ente di riscossione dal 2000 al 2015, possono essere rottamate. Previo accordo con gli enti locali. Attenzione, però, che le spese di riscossione devono essere rimborsate.

All’interno della rottamazione rientrano anche le multe. In questo caso le ammende devono essere pagate senza l’aggiunta delle sanzioni e degli eventuali interessi di mora. I diretti interessati hanno tempo a saldare le multe, comprensive delle eventuali spese sostenute per la riscossione, entro e non oltre il 31 luglio 2023. In alternativa è possibile scegliere il versamento in 18 rate, con un interesse pari al 2%.

Cosa succede alle controversie tributarie

Eventuali liti pendenti al 1° gennaio 2023 potranno beneficiare della sanatoria fiscale seguendo diverse procedure. Quelle che risultano essere ferme al primo grado, che corrisponde alle commissioni tributarie provinciali, possono essere definite saldando il 90% della somma richiesta dell’erario. Le pendenze giunte alle commissioni tributarie regionali possono essere chiuse versando il 40%, nel caso in cui la sentenza in primo grado abbia dato ragione al contribuente.

Nel caso in cui il contribuente abbia vinto anche in secondo grado, ha la possibilità di versare il 15%. La stessa percentuale vale anche nel caso in cui il ricorso sia arrivato in Cassazione e il contribuente abbia ottenuto ragione in entrambi i gradi di giudizio.

La rinuncia agevolata rientra nel concetto di pace fiscale. Questa è, in estrema sintesi, una sanatoria fiscale che permette al contribuente di rinunciare entro al 30 giugno 2023 alle liti fiscali, che sono arrivate direttamente in Cassazione e che abbiano come controparte l’Agenzia delle Entrate. Nel caso di rinuncia, è necessario pagare la cifra pretesa dall’erario con i relativi interessi: le sanzioni, però, sono ridotte.

Sanatorie in vista anche per gli avvisi bonari

Il legislatore ha previsto una sanatoria fiscale anche per quanti abbiano ricevuto un avviso bonario, in seguito a dei controlli automatizzati effettuati direttamente dal fisco. Quanto viene reclamato dall’Agenzia delle Entrate può essere definito in maniera agevolata, purché il termine di pagamento non sia già scaduto

Gli atti di accertamento formale possono sottostare ad un’agevolazione, nel caso in cui non siano stati impugnati dal contribuente. L’operazione deve avvenire all’interno dei termini fissati per il ricorso. In questo caso, per gli accertamenti di contestazione notificati fino al 31 marzo del 2023, le sanzioni sono ridotte da un terzo a un diciottesimo di quanto definito per legge.

Ultimo capitolo è quello riservato alle criptovalute: i guadagni ottenuti con questi investimenti non sono tassati fino a 2.000 euro. Per quanto riguarda i guadagni ottenuti fino al 31 dicembre 2021, il contribuente è tenuto a presentare una domanda di emersione e riconoscere un’imposta sostitutiva pari al 3,5%.

Dai carburanti al gas, tutti i rincari del 2023

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Segnalazione di Wall Street Italia

di Mariangela Tessa

Sempre a carico degli automobilisti, a partire da ieri, primo gennaio, c’è stato un aumento automatico dei carburanti, che da nove mesi a questa parte gode della riduzione delle accise decisa prima dal governo Draghi e poi confermata, in parte, anche dall’esecutivo Meloni. Il taglio è stato applicato per la prima volta a marzo di quest’anno con l’approvazione del decreto Ucraina bis. Sia per la benzina che per il diesel la riduzione è stata complessivamente di 30,5 centesimi, almeno fino a dicembre di quest’anno, quando con il dl Aiuti quater il taglio è stato prorogato fino al 31 del mese ma ridotto a 18,3 centesimi. Nel frattempo i prezzi sono scesi, riducendo anche l’extragettito che aveva consentito al governo di ridurre le accise (e di conseguenza l’Iva che si calcola in aggiunta). Lo sconto scadeva a fine 2022 e non è stato prorogato.

I rincari del gas, giù l’elettricità

Sul fronte delle bollette, in attesa della comunicazione dell’Arera a inizio gennaio, gli aggiornamenti potrebbero essere contrastanti. Per l’elettricità, l’Autorità per l’energia ha annunciato nel primo trimestre dell’anno un provvidenziale calo di oltre il 19%, ma per il gas l’andamento potrebbe essere opposto. Nomisma stima un aumento mensile del 20% dovuto all’andamento dei prezzi internazionali di inizio dicembre. Il calo degli ultimi giorni, seguito alla decisione sul tetto al prezzo adottata da Bruxelles, dovrebbe infatti essere recepito, stando all’analisi del centro studi, solo a partire da febbraio.

 

Pace fiscale, come funziona ed entro quando aderirvi

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di Pierpaolo Molinengo

Come funziona la pace fiscale? Ma soprattutto quali sono le caratteristiche che contraddistinguono la sanatoria delle liti pendenti? Il nuovo esecutivo ha intenzione di smaltire il lavoro delle autorità competenti, che sono alle prese con almeno decine di migliaia di impugnazioni. Attraverso la definizione agevolata, si vogliono portare nuove risorse economiche all’erario.

ricordiamo che nel concetto di pace fiscale rientra anche il capitolo connesso alla sanatoria delle liti tributarie. Lo scopo è quello di andare a ridurre le almeno 47mila impugnazioni, sulle quali la Corte di Cassazione è stata chiamata a statuire.

Pace fiscale, la rottamazione delle cartelle esattoriali

La pace fiscale è, a tutti gli effetti, una rottamazione delle cartelle esattoriali, alle quali i contribuenti, in questi anni, hanno provveduto a fare opposizione. Queste vere e proprie liti, possono essere chiuse pagando delle cifre che oscillano dal 5% al 20% del valore della lite.

La principale condizione che deve essere rispettata, per poter accedere a questa pace fiscale, è che il contribuente abbia ottenuto ragione presso la Commissione Tributaria Provinciale o presso la Commissione Tributaria Regionale.

Sostanzialmente il funzionamento della pace fiscale è strettamente legato al grado di giudizio, che ha dato torto all’Agenzia delle Entrate. A questo punto entrano in gioco due diversi meccanismi:

  • nel caso in cui l’Agenzia delle Entrate risulti sconfitta in uno solo dei due gradi di giudizio (presso la commissione provinciale o quella regionale), la lite può essere annullata per somme fino a 50.000 euro, pagando un importo pari al 20% di quello vantato dal fisco;
  • nel caso in cui l’Ade dovesse risultare sconfitta in entrambi i gradi di giudizio è possibile annullare le cartelle esattoriali fino ad un massimo di 100.000 euro, versando il 5% del valore della controversia.
Entro quando è possibile aderire

Attenzione, però, che i tempi per poter aderire alla pace fiscale sono particolarmente stretti. I diretti interessati hanno tempo per chiedere la sanatoria fino al 16 gennaio 2023. Sono, quindi, complessivamente 120 giorni a partire dal 16 settembre 2022, la data in cui è entrata in vigore la Legge n. 130/2022, con la quale venivano normate le nuove disposizioni in materia di processi tributari.

Per poter accedere alla pace fiscale è necessario presentare un’apposita domanda, così come è stato deliberato direttamente dall’Agenzia delle Entrate, attraverso il provvedimento 356446/2022. È necessario compilare l’apposito formulario ed inviarlo via Pec direttamente alla sede dell’Agenzia delle Entrate competente.

Nel momento in cui il contribuente deposita la domanda per la pace fiscale, deve provvedere a versare il 5% o il 20% del valore della lite. Da questo importo è necessario sottrarre quanto già versato in precedenza. Nel caso in cui siano già state versate delle somme superiori a quella dovuta, non sono previsti dei rimborsi.

È possibile presentare la domanda, per la definizione agevolata, per le liti che erano già pendenti presso la Corte di Cassazione fino alla data del 16 settembre 2022. Per essere considerate pendenti, il contribuente deve avere ricevuto notifica del ricorso alla medesima data.

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