Ecologismo all’Amatriciana

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di Michele Rallo

Ci risiamo: l’ultimo disastro ambientale in ordine di tempo – quello delle Marche – é l’occasione per l’ennesima passerella di una classe politica che non riesce ad andare oltre i ritornelli di un gretinismo di maniera; strumento provvidenziale – questo – per veicolare gli interessi politici (e vorrei sperare che non ve ne fossero di altro tipo) che sono a monte delle bislacche alzate di scudi similecologiste dell’Unione Europea.

Sullo sfondo, tutto l’armamentario della narrazione pseudoambientalista di questi ultimi anni: dalla taumaturgica ascesa di una bimba svedese trasportata miracolosamente dal cortile di scuola fino all’assemblea generale dell’ONU, al proliferare di partiti e movimenti cosiddetti “verdi” che si incaricano di indirizzare la protesta dei giovani piú creduloni verso obiettivi politicamente corretti, fino allo spirito di un PNRR che vuole imporre precise e circostanziate ricette di “transizione ecologica”; ricette che non si possono modificare nemmeno in una virgola – spiegano dai partiti piú sensibili ai “valori dell’Europa” – perché altrimenti si correrebbe il rischio di perdere i soldi (nostri) che l’UE fa finta di regalarci.

Purtroppo, peró, sembra che le cose siano un po’ piú complicate di quanto non traspaia da certo pseudoecologismo da marciapiede. Secondo gli scienziati, infatti, l’uomo puó influire sui cambiamenti climatici solo per un 5%: percentuale corrispondente a quello che é l’inquinamento spicciolo (attivitá estrattive, scarichi, plastiche, eccetera). E – inciso nell’inciso – solo il 10% di quel 5% (quindi lo 0,5% del totale) é prodotto dagli europei. Il 99,5% dei mutamenti climatici non dipende da noi e, conseguentemente, tutte le nostre transizioni del piffero sono assolutamente ininfluenti. In ogni caso, il 95% del “peso” complessivo dei mutamenti climatici dipende dal Sole, dalla sua fotosfera, dalle sue attivitá, dalle sue fasi, dalle sue eruzioni. E il Sole, notamente, é poco incline a modificare i suoi cicli in base al numero di sacchetti di plastica immessi nell’ambiente terrestre.

Lo spiegava, non piú tardi di qualche mese fa, l’illustre scienziato e accademico Antonino Zichichi, direttore del Centro Europeo per la Ricerca Nucleare, noto per una non comune capacitá di produrre spiegazioni di assoluto rigore scientifico con un linguaggio semplice e accessibile a tutti.

È bene precisare – scandiva il fisico trapanese – che cambiamento climatico e inquinamento sono due cose completamente diverse. Legarli vuol dire rimandare la soluzione. E infatti l’inquinamento si può combattere subito senza problemi, proibendo di immettere veleni nell’aria. Il riscaldamento globale è tutt’altra cosa, in quanto dipende dal motore meteorologico dominato dalla potenza del Sole. Le attività umane incidono al livello del 5%; il 95% dipende da fenomeni naturali legati al Sole.

E cosí proseguiva:

L’obiettivo è dare ai governi le informazioni rigorosamente scientifiche sulle emergenze planetarie, affinché si proceda ad affrontarle, evitando che centinaia di miliardi di dollari vengano bruciati nell’illusione di risolvere problemi creandone altri ancora più gravi. Infatti si parla spesso di “misure preventive” da prendere subito. Misure per le quali sono necessari miliardi di dollari, con il rischio di ritrovarci dopo in condizioni peggiori.

Considerazioni che, un paio di mesi piú tardi, erano ribadite da un altro scienziato, forse meno noto di Zichichi ma il cui nome é certamente di grande impatto mediatico. Si trattava del professor Franco Prodi, direttore dell’Istituto per le Scienze del Clima nonché fratello dell’ex premier Romano.

Prodi si é messo alla testa di un gruppo di scienziati e di accademici di chiara fama, con competenze specialistiche indiscutibili, che si richiamano ad un documento del 2019 denominato “Petizione Italiana sul Clima”; documento che affronta con assoluto rigore scientifico le problematiche dei cambiamenti climatici e dei disastri atmosferici che ne sono conseguenza. E non solo, ma il gruppo della Petizione ha ufficialmente sfidato ad un confronto scientifico in sede accademica i sostenitori delle teorie che attribuiscono all’Uomo (e non al Sole) le responsabilitá del cambiamento climatico in atto e delle sue terribili conseguenze. Fino ad oggi – e sono passati ormai un paio di mesi – non risulta che dalla sponda “politicamente corretta” qualcuno si sia sognato di accettare la sfida.

La tesi di fondo della Petizione controbatte frontalmente l’idea-base della “transizione ecologica” cara a Bruxelles e alle lobby della sinistra americana, affermando che

è dannoso, intraprendere, con l’illusoria pretesa di governare il clima, azioni di messa al bando dei combustibili fossili, che forniscono le risorse per l’85% del fabbisogno energetico dell’umanità». E continuando: «É stato grazie alla disponibilità di energia abbondante e a buon mercato che l’umanità gode del benessere materiale oggi raggiunto, e minore disponibilità d’energia significa, di fatto, ridurre quel benessere, cioè impoverirsi.

Secondo Prodi e gli altri scienziati, occorre piuttosto combattere gli effetti del cambiamento climatico con azioni concrete, intervenendo sul territorio e non inseguendo le fole di ideologie ecologiste di dubbia sostanza. Come? Nel modo piú semplice e, tutto sommato, piú economico:

con la cura e la pianificazione del territorio e col governo delle acque

Capito? non servono le costosissime riforme propedeutiche alla transizione ecologica, non serve la messa al bando dei combustibili fossili, non serve condannare all’estinzione interi comparti economici. Serve piuttosto la cura del territorio, nella sua accezione piú vasta, ivi compresa la prevenzione degli incendi estivi. E serve il governo delle acque. Anche qui, in modo ampio e cercando di correggere a monte le cause degli squilibri.

Quindi, combattendo la siccitá con l’ingegneria idraulica, settore in cui siamo i maestri fin dai tempi degli antichi romani. Ci vuol poco, relativamente poco a dissalare ingenti quantitativi di acqua (e anche nella produzione dei dissalatori siamo i primi al mondo) e ad incanalarli verso l’interno; cosí anche salvando – sia detto per inciso – la nostra agricoltura e la nostra zootecnía. Ci vuole poco, relativamente poco a dragare il letto dei fiumi. Ci vuole poco, relativamente poco a mettere in sicurezza gli argini. Cosí come ci vuole poco, relativamente poco, ad acquistare una decina di nuovi Canadair che vadano a rafforzare la nostra esigua flotta aerea antincendio.

Ne discende – scusate la ovvietá – che il malizioso PNRR che ci é stato “concesso”, debba essere rivisto totalmente e radicalmente: via le riforme succhiasoldi, via le invenzioni megagalattiche per cambiare di 180 gradi il nostro approccio alle fonti energetiche, e spendiamo invece quei soldi (che peraltro sono in parte nostri e in parte da restituire) per comprare dissalatori e Canadair, per dragare il letto dei fiumi, per rinforzare i fianchi delle montagne.

Diversamente, finiremo per fare ció che paventava il professor Zichichi: spendere centinaia di miliardi per non fare nulla, o – non vorrei crederlo – soltanto per propiziare gli “affari” di certe lobby. Sulla nostra pelle, naturalmente.

Di Michele Rallo

23.09.2022

Interventi trainanti: per i bonus risponde l’Agenzia delle Entrate

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L’Agenzia ha sempre un’ultima parola per noi, professionisti e non, che cerchiamo incessantemente di restare a galla nel grande mare dei bonus edilizi.

Un’interessante risposta ci arriva in merito all’accesso ai bonus in mancanza degli interventi trainanti.

Vediamo nel dettaglio cosa è accaduto.

CONDOMINIO TUTELATO

L’interpello di riferimento quest’oggi è il numero 462/2022 che ha ad oggetto un condominio particolare.

Abbiamo cioè a che fare con un fabbricato rientrante nella fattispecie coperta dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. n. 42 del 22 gennaio 2004).

In realtà ne abbiamo già parlato altre volte, ma l’interpello ci dà l’ispirazione per riparlarne nuovamente.

Per il fatto di rientrare in questa categoria,

non può effettuare interventi trainanti.

Tuttavia, vorrebbe ottenere la detrazione del superbonus avviando dei lavori trainati per compiere il salto di due classi energetiche: la sostituzione degli infissi, la sostituzione dell’impianto di riscaldamento con una pompa di calore e via dicendo.

Date le circostanze, l’istante fa appello all’Agenzia per chiedere se è comunque possibile fruire del superbonus al 110% per le spese sostenute entro il 31 dicembre 2023.

Vediamo se questa volta ci sono delle parole buone per l’istante.

CHE NE È DEL 110%?

Leggendo le prime righe sembrava quasi non possibile per il condominio tutelato rientrare nell’agevolazione:

il Superbonus spetta a fronte del sostenimento delle spese relative a taluni specifici interventi finalizzati alla riqualificazione energetica e all’adozione di misure antisismiche degli edifici (interventi “trainanti”) nonché ad ulteriori interventi, realizzati congiuntamente ai primi (interventi “trainati”)”.

Ma ecco che segue la nota positiva che permette una felice conclusione.

Si chiarisce infatti che vi sono dei casi eccezionali in cui tale obbligo non sussiste: il vincolo del Codice dei beni culturali oppure in presenza di regolamenti edilizi, urbanistici e ambientali particolari.

Dunque il condominio istante può ritenersi sollevato poiché ha diritto ad accedere alla detrazione fiscale del superbonus

“a condizione che tali interventi assicurino il miglioramento di almeno due classi energetiche dell’edificio o delle unità immobiliari oggetto di intervento oppure, ove non possibile, il conseguimento della classe energetica più alta”.

L’Agenzia ha anche qualcosa da dire riguardo i termini di scadenza dei lavori, indicando l’introduzione di una serie di proroghe, con diverse scadenze a seconda della tipologia del beneficiario.

Nel caso in questione la detrazione è pari al 110% per le spese sostenute entro il 31 dicembre 2023, scendendo poi al 70% per le spese sostenute nel 2024, percentuale che si riduce ulteriormente al 65% per le spese fino al 31 dicembre 2025.

Fabiola Pietrella, 28 settembre 2022

Fonte: https://www.nicolaporro.it/economia-finanza/economia/accesso-ai-bonus-in-mancanza-degli-interventi-trainanti-la-risposta-dellagenzia-delle-entrate/?utm_source=nicolaporro.it&utm_medium=link&utm_campaign=economiafinanza

Price cap, detto fatto: la Russia non ci venderà più nulla

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Il vertice del G7, che si terrà venerdì, discuterà la fissazione del price cap al greggio russo. Ma Mosca ci avvisa

 

Prosegue il dibattito, del tutto atlantico, sulla fissazione di un tetto massimo al prezzo delle esportazioni di petrolio russo. Le ultime dichiarazioni, favorevoli al price cap, sono state quelle della segretaria del Tesoro Usa, Janet Yellen, seguita dal cancelliere dello Scacchiere britannico, Nadhim Zahawi, definendosi “ottimista” per il raggiungimento di un accordo con i partner dell’alleanza occidentale.

Ormai dall’inizio di queste estate, l’istituzione di un limite di prezzo, contro Mosca, è al centro del tavolo americano ed europeo, di cui il governo Draghi ne risulta essere tra i principali portatori, tant’è che l’Italia riuscì a far entrare la proposta all’interno del vertice G7, svoltosi lo scorso giugno.

La risposta di Mosca al price cap

Immediata la risposta del Cremlino: la Russia sospenderà le forniture di petrolio a tutti i Paesi che attueranno la misura in questione. La dichiarazione viene direttamente dal vice premier russo, Alexander Novak, il quale pare non essere spaventato dalle sanzioni europee, visto il grande aumento delle esportazioni russe nell’enorme mercato interno cinese.

Un avvertimento che rischia di gelare le stanze dei bottoni a Bruxelles. La stessa Italia pare trovarsi in condizioni ben più critiche, rispetto a molti altri Stati membri. Solo il mese scorso, infatti, Roma ha aumentato del 400 per cento gli acquisti di greggio da Mosca, soprattutto per via della raffineria russa in provincia di Siracusa. Insomma, anche in tema di esportazione, vige un doppiopesismo inspiegabile: il gas può essere sanzionato, mentre il petrolio rimane un infinito tabù.

Ma non finisce qui. Germania e Francia hanno già azzerato la propria dipendenza da alcuni mesi; la Polonia l’ha ridotta del 72 per cento, contro il 45 dei Paesi Bassi. Il governo Draghi, al contrario, non sembra ancora porsi la questione. Anzi, presenta, in sedi internazionali, proposte autolesioniste, capaci di danneggiare radicalmente il nostro tessuto economico.

Il cortocircuito europeo

Paradossalmente, il nostro Paese è tra i primi ad aiutare e sostenere la Russia di Putin, con una beffa ulteriore: il rischio, serio e concreto, di rimanere a secco anche sul lato di greggio. Al di fuori delle oggettive difficoltà che l’Ue sta trovando per porre riparo alla dipendenza dal gas russo, ecco che il mondo petrolifero pare essere il secondo ostacolo da affrontare, causa le sanzioni applicate a partire dallo scoppio del conflitto in Ucraina.

Il cortocircuito per eccellenza, però, riguarda il “caso indiano”. Nuova Delhi è, infatti, uno dei Paesi a cui Mosca ha applicato sconti in tema di acquisto di petrolio russo. Ed ecco che gli Stati membri dell’Ue sono tra i principali acquirenti indiani. Ciò vuol dire che Putin vende il proprio greggio all’India, la quale poi lo rivende all’Occidente, ottenendo così guadagni sui margini di raffinazione.

Insomma, è la solita tragicommedia bruxelliana. Da una parte, dichiara di combattere al fianco di Kiev; dall’altra, alimenta, in modo paradossale, il mercato russo e quello dei suoi partner più stretti. Questo venerdì, il G7 discuterà definitivamente la possibilità di introdurre un tetto al prezzo del petrolio russo. Ma pare che, in questa partita, l’Occidente si sia già scottato da tempo.

Matteo Milanesi, 2 settembre 2022

https://www.nicolaporro.it/price-cap-detto-fatto-la-russia-non-ci-vendera-piu-nulla/

“Rischiamo il lockdown energetico. Le bollette sono quintuplicate”

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Granelli (Confartigianato): “Senza aiuti tante aziende chiuderanno”

I prezzi del gas alle stelle rischiano di far fallire migliaia di imprese anche nell’artigianato: quale è la situazione? “Siamo molto preoccupati– spiega Marco Granelli, presidente di Confartigianato–. Le nostre aziende, negli ultimi dodici mesi, hanno subito rincari che sfiorano il 500%. Per fare un esempio, una nostra azienda del settore alimentare con venti addetti, lo scorso anno pagava per l’energia elettrica circa 2.900 euro. Oggi, a parità di consumi, paga 13.800 euro. Finora gli imprenditori hanno resistito. Ma, se la corsa del prezzo del gas non si fermerà, le bollette in autunno saranno insostenibili. Molti imprenditori hanno già dichiarato l’intenzione di interrompere o ridurre la produzione, piuttosto che lavorare in perdita. Nei prossimi mesi rischiamo l’escalation dei casi di lockdown energetico da parte degli artigiani e delle piccole imprese italiane”.

Rincari bollette luce e gas: il fallimento degli aiuti. Bonus e rate non bastano

Come fronteggiare questa nuova emergenza nell’immediato?

“Il caro energia è la priorità da affrontare subito e deve rimanere in testa all’agenda di impegni del prossimo governo. Immediatamente devono essere confermate e potenziate le misure già attuate da questo esecutivo. Quindi azzeramento degli oneri generali di sistema per luce e gas, proroga del credito d’imposta sui costi di elettricità e gas per le imprese non energivore e non gasivore. E va fissato un tetto europeo al prezzo del gas”.

Quali misure strutturali dovrà avviare il nuovo governo?

“Le cause dei rincari vanno affrontate rapidamente. Devono essere sostenuti gli investimenti in energie rinnovabili e nella diversificazione delle fonti di approvvigionamento, in particolare per creare comunità energetiche e per incrementare l’autoproduzione.È anche fondamentale intervenire sulla composizione tariffaria con una misura strutturale di riduzione degli oneri generali in bolletta e il loro finanziamento mediante altre forme di gettito. Questo per dire che dobbiamo finalmente sciogliere, con interventi riformatori, i vecchi, storici nodi irrisolti della politica energetica”.

Bisogna agire subito?

“Sì, non c’ è tempo da perdere. Non possiamo affrontare l’autunno e l’inverno con il rischio che il caro bolletta ci porti verso una nuova recessione, dopo le fatiche che il sistema produttivo ha fatto e sta ancora facendo per cercare di rimanere aperto”.

Abbassare il costo di energia e bollette si può, ma i politici non lo fanno

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Abbassare il costo di energia e bollette si può, ma i politici non lo fanno
La ricetta per vincere la crisi energetica. Cosa dovrebbe fare il governo che verrà eletto, visto che quello che c’è è inerte. La trasparenza sui prezzi d’acquisto e come uscire dal fittizio mercato di Amsterdam

C’è un’alternativa a questo disastro annunciato sull’energia. Ne abbiamo parlato con l’esperto Salvatore Carollo, autore del saggio “C’era una volta il prezzo del petrolio” (Scheiwiller, 2008) e di “Understanding Oil Prices: A Guide to What Drives the Price of Oil in Today’s Markets” (Wiley 2012). Carollo ha sviluppato la sua carriera in Eni nel settore del trading di Oil & Gas ed è stato lecturer in Eni Corporate University. Scrive correntemente in riviste specializzate in materia energetica e tiene conferenze internazionali sul tema. A fine 2015 è rientrato da Londra, dove ha passato gran parte della sua carriera. 

“Sì. Le vie alternative però vanno costruite. Quello che noi paghiamo è la mancanza di una strategia energetica nazionale”

Sì…

“Abbiamo contato sul fatto che la buona sorte continuasse a funzionare. All’inizio degli anni 2000 avevamo quasi 21 miliardi di metri cubi di produzione all’anno di gas nazionale. Ma questa cosa l’abbiamo fermata e abbiamo fatto in modo che i cosiddetti ambientalisti avessero il sopravvento. In realtà si sono incrociati ideologie con interessi specifici e molto concreti”

A quanto siamo scesi?

“A circa 3,5 miliardi ed è un fatto grave”

Alcuni dicono che bisognerebbe tentare di uscire dalla Borsa di Amsterdam. Il prezzo del gas negli Stati Uniti o in Giappone o nei Paesi extra Ue è triplicato, da noi è invece 11 volte di quanto era nel 2020…

“Qui c’è un equivoco di fondo. Chiamiamo Borsa di Amsterdam qualcosa che è poco più di una fiera paesana. Mi spiego. Il Brent, il prezzo del petrolio Brent si genera in Borsa, alla borsa di Londra. Per dare un’idea bisogna ricordare che lì vengono scambiati al giorno tra i 2000 e i 3000 miliardi di dollari di contratti petroliferi, cioè più del Pil italiano. Un mercato di queste dimensioni dà la garanzia di un indicatore degli equilibri di mercato. Quando invece andiamo ad Amsterdam… veda se riesce ad avere una dimensione dei volumi scambiati nel TTF (Title Transfer Facility, mercato di riferimento olandese per lo scambio del gas naturale e che determina i prezzi attuali). Ci sono tutti i grafici che ci dicono come va il prezzo ma non sulla quantità di volumi scambiati, cioè su quale scambio di volume è basato questo prezzo. Da quello che ho potuto esaminare si tratta di scambi insignificanti, tra un gruppetto di traider ,che generano questi numeri. E accade che in una Borsa piccolissima, dove si scambiano pochi volumi, basti un nulla per generare aumenti del 100% o del 200%”

Ipotizziamo che Carollo diventi presidente del Consiglio, che fa per salvare gli italiani dalla speculazione energetica?

“Bisognerebbe che l’Italia dicesse subito: il prezzo del gas non lo basiamo sul TTF olandese. Poi una seconda cosa”.

Quale?

“Abbiamo i due più grandi importatori di gas che sono società quotate in Borsa ma di proprietà del ministero del Tesoro. L’azionista di maggioranza, il ministero, ha il diritto di sapere qual è il prezzo a cui il gas viene importato. Questa informazione il ministro del Tesoro e dell’Economia deve fornirla al presidente del Consiglio che a sua volta può informare il ministero della Transizione Energetica, cioè in questo momento Cingolani. Cingolani ha provato a sapere il prezzo a cui viene importato il gas in Italia ma non gli è stato riferito dalle società pubbliche perché sostengono che essendo quotate in Borsa non possono dirlo. Ma non è reale tutto questo. Le società devono comunicarlo. Negli Stati Uniti, che è la patria del libero mercato, le società petrolifere, siccome operano su concessione dello Stato, come in Italia, sono obbligate ad essere trasparenti con lo Stato e quindi a comunicare il prezzo d’acquisto, che infatti è noto. Quindi il mercato americano funziona in modo corretto. Noi dovremmo disporre di questa informazione trasparente da parte dei grandi importatori di gas e questa cosa non c’è. Alla fine ci attacchiamo a questa finzione del TTF per coprire il fatto che non abbiamo un mercato trasparente in Italia. Però il monopolio e questa segretezza si traducono in un danno per i consumatori. Facendo queste due semplici operazioni il costo del gas si allinea agli effettivi costi d’importazione che sono 10-20 volte più bassi del TTF”

Come si generano i famosi extra profitti?

“Si generano nella differenza tra costo d’importazione e il TTF”

Chiunque vinca le elezioni, i trend dicono che sarà il centro destra, dovrebbe intanto fare questi interventi urgenti e poi un piano…

“Sì, dovrebbe farlo subito. Lo dico da tecnico. Lasciamo Amsterdam. Vogliamo prendere come riferimento il mercato più caro di tutti? Il gas liquido americano? Bene, quel mercato che si chiama Henry Hub è molto grande ma è trasparente, il prezzo è pubblicato ora per ora. Se uso anche quel mercato come riferimento intanto mi accorgo che dà un valore dieci volte minore del TTF, molto più basso e non subisce queste speculazioni di quattro amici perché è un mercato globale”

Intanto che il governo attua un nuovo piano energetico…

“Per quanto riguarda il piano grazie dei veti degli ecologisti e anche di una parte del Pd ogni tentativo è andato in fumo, e non è stata ripresa la produzione in Adriatico”

Chiaro. Dalla sua analisi emergono però due problemi: da un lato manca una politica che sia tale, dall’altro delle authority che facciano rispettare questi processi di trasparenza…

“Esattamente. Se anche prendessimo quel mercato come riferimento ci garantiremmo due cose: primo, un prezzo sufficientemente alto da consentire le importazioni di qualunque tipo di gas in Italia; secondo, dimezziamo il prezzo al consumo perché non mi riferisco più all’ Hub di Amsterdam. Questa cosa si può fare domani mattina”

Quindi?

“Riprendiamo la produzione nazionale, ma intanto cambiamo questi riferimenti di prezzo. Basta che intervenga Arera perché queste cose non sono strategie o cose complesse… Ricordate quando Draghi disse al Consiglio d’Europa che la Borsa di Amsterdam era al centro di grandi speculazioni? E il primo Ministro olandese si risentì? Stanno facendo la stessa speculazione che avvenne con la…”

la Bolla dei tulipani…

“Sì, con il bulbi dei tulipani nel 1600… Draghi ha detto una cosa vera solo che avendo individuato il problema non ne ha tratto le conseguenze facendo qualcosa”

E perché non si interviene anche subito? Manca la competenza sulla materia?

“L’ho scoperto dalla reazione ad alcuni mie articoli. Le faccio un esempio: è come se dovessi girare un film sul ‘700. Il film è pieno di dame, siamo in una corte, abbiamo bisogno di acconciature, abbiamo necessità di parrucchieri bravi. Immagini se il regista invece di assumere dei parrucchieri esperti di acconciature vada a prendere studiosi di tricologia che sanno tutto sul capello ma nulla sull’acconciatura! Chiaro!? Questa è la situazione in cui siamo, in cui ci troviamo nei ministeri e nelle authority per l’energia. Abbiamo lì dentro personaggi di altissimo livello ma sono come dei ‘tricologi’ che non sanno nulla o quasi nulla del mercato quando si trovano a trattare sul campo internazionale”

Ma perché non si sono fatti interventi di estrazione del gas che potessero convivere con l’ecologia?

“La produzione di gas nel mare dell’Adriatico e in Sicilia, dove ci sono giacimenti importantissimi come al sud di Gela, sono stati fermati per dare spazio all’ideologia. Pensate che gli impianti in Adriatico sono tra i più rispettosi dell’ambiente che ci sono al mondo. Molte delle piattaforme sono diventate praticamente parchi marini, quindi sotto si è ricreata una fauna e una flora marina che è strepitosa”

Quindi ci sono strade per evitare un inverno disastroso?

“Sì ma quando in primavera è scattato l’allarme non si è lavorato pancia a terra, si è chiaccherato. Se guarda i dibattiti televisivi questo è un argomento che non viene citato”

Sì, ho notato, anche durante le elezioni si glissa sul cosa fare e la gente paga

“…quando è un fattore prioritario”

Ma la Commissione Europea non può fare un intervento diverso, adottando strategie differenti rispetto a quelle in atto finora che mi sembrano abbastanza fragili?

“Si è molto discusso, si è inserita l’energia nucleare tra i fattori non inquinanti ma c’è anche la delibera del parlamento europeo che dice che dal 2035 non dobbiamo più avere auto a combustibili fossili. Una pura follia. Uno perché non è realizzabile, secondo perché l’Europa è all’avanguardia nel campo delle tecnologie automobilistiche e noi dovremmo abbandonare questa supremazia mondiale per attaccarci ad una tecnologia che è importata ed è cinese!?”

Sta già accadendo anche in Emilia Romagna, nella terra dei motori. Sarebbe devastante continuare su questa strada…

“Si parla di guerre a livello globale e noi diventiamo dipendenti dalle tecnologie cinesi? Ma dove è la ratio? Poi c’è un altro errore gravissimo”

Quale?

“Stiamo pensando che nella cosiddetta transizione ecologica noi arriveremo alla fine del processo con tutta la catena di approvvigionamento di cui disponiamo oggi, cioè che continueremo ad avere benzina, gasolio, il jet fuel per gli aerei. Non è scritto da nessuna parte che accada perché noi abbiamo un sistema di raffinazione vecchissimo. La nostra industria di raffinazione è vecchissima, la più giovane che abbiamo costruito è del 1976, la Isab di Siracusa che è della Lucoil che vuole anche metterla in vendita. Senza un sistema di raffinazione adeguato chi è che ci darà la benzina pulita, il jet fuel, il gasolio?”

Quindi ci vuole un piano energetico nazionale che non faccia perno su ideologie ma che si basi sui numeri e sulle necessità…

“Sì e anche su valutazioni realistiche che si dovranno fare perché questa benedetta transizione non è dietro l’angolo”

Fonte: https://www.affaritaliani.it/politica/abbassare-il-costo-di-energia-bollette-si-puo-perche-i-politici-non-lo-fanno-812294.html

Estate calda: dai timori per l’inflazione a quelli per la crescita

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Segnalazione Wall Street Italia

di Nadège Dufossé (Candriam)

L’aumento dei prezzi continua a sorprendere al rialzo, ma la dinamica è cambiata e dovrebbe rallentare nei prossimi mesi. L’inflazione fuori controllo sembra ormai un fattore secondario per i mercati, come dimostra il livello dell’IPC di giugno attestatosi al 9,1% negli Stati Uniti. La credibilità delle banche centrali nella lotta all’inflazione e le preoccupazioni per la crescita aumentano la pressione al ribasso sui rendimenti obbligazionari.

Inoltre, i dati macroeconomici statunitensi hanno sorpreso negativamente, un fattore in genere associato a un calo dei rendimenti obbligazionari Usa.

Manteniamo un approccio globale ampiamente bilanciato prima di posizionarci per la prossima fase del ciclo, a prescindere da che si tratti di un soft o hard landing. Manteniamo una posizione neutrale sull’azionario e da questa primavera, abbiamo gradualmente aumentato la duration dell’esposizione obbligazionaria. Inoltre, prevediamo che, in un contesto di volatilità, gli investimenti alternativi continueranno a sovraperformare gli asset tradizionali.

Secondo le previsioni, i prezzi del gas in Europa dovrebbero restare più alti ancora a lungo, poiché i mercati prevedono ora una crisi più prolungata rispetto a quella verificatasi subito dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Dato lo sfavorevole rapporto rischio/rendimento, abbiamo leggermente ridotto l’esposizione alle azioni dell’Eurozona. Le prospettive per l’azionario continuano a deteriorarsi, poiché i ricavi, i margini e, in definitiva, gli utili potrebbero essere rivisti al ribasso a causa dell’inflazione elevata e del rallentamento economico.

In quali settori investire in tempi di inflazione?

Il settore sanitario dovrebbe garantire una certa stabilità nell’attuale scenario volatile perché non ha subito alcun impatto negativo a causa della guerra, ha un carattere difensivo, dipende in misura limitata dal contesto economico, ed è caratterizzato da innovazione e valutazioni interessanti. Il contesto attuale favorisce le società con potere di determinazione dei prezzi nel settore dei beni di prima necessità.

All’interno dell’universo tecnologico, i segmenti di software e servizi presentano un rischio sugli utili inferiore, ma dipendono maggiormente dall’evoluzione dei tassi di interesse a lungo termine. Riteniamo che l’aumento dei rendimenti (reali) stia rallentando, dopo il forte impatto esercitato sulle valutazioni dei titoli Tech durante il primo semestre. Inoltre, non c’è una ragione particolare per cui il comparto hardware dovrebbe performare peggio del comparto dei semiconduttori o dei software. La tendenza dovrebbe essere favorevole a tutti i settori.

Attualmente abbiamo una leggera preferenza per i segmenti meno ciclici e meno dipendenti dalla fiducia dei consumatori. I semiconduttori rivelano un rischio sugli utili più elevato, ma data la significativa correzione subita dall’inizio dell’anno, unita alle reazioni positive agli annunci sugli utili di Samsung e Micron, riteniamo che molte notizie negative siano già state scontate.

Come investire nell’obbligazionario

Poiché prevediamo un rallentamento della crescita, aspettative di inflazione ai massimi e banche centrali pronte alla stretta, continuiamo a pensare che una duration più lunga nell’obbligazionario sembri sempre più interessante.

Abbiamo incrementato la duration tramite le obbligazioni sovrane Usa, per avere così una duration complessiva neutrale, poiché la stretta monetaria della Fed è ora ampiamente scontata nella parte breve della curva dei rendimenti. Preferiamo il credito investment grade europeo rispetto a quello statunitense.

Sul fonte monetario, negli ultimi mesi, il dollaro Usa si è progressivamente rafforzato, una tendenza principalmente ascrivibile ai movimenti di risk-off, alla guerra russo-ucraina e ai lockdown in Cina. Tuttavia, Osservando i precedenti storici, più saremo vicini a una recessione, più il dollaro Usa potrebbe indebolirsi rispetto allo yen, all’euro e al franco svizzero.

Inflazione italiana al 7,9%. Ma il carrello della spesa vola al +9,1%

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Segnalazione di Wall Street italia

di Mariangela Tessa

Il rallentamento dei prezzi dei beni energetici non sortisce quasi nessun effetto sullinflazione di luglio. Secondo le stime preliminari dell‘Istat, questo mese l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, registra un aumento dello 0,4% su base mensile e del 7,9% su base annua (da +8% del mese precedente). L’inflazione acquisita per il 2022 è pari a +6,7% per l’indice generale e a +3,3% per la componente di fondo.

Più caldi i prezzi nella zona euro, dove inflazione annua schizza all’8,9% a luglio, in aumento rispetto all’8,6% di giugno. E’ quanto emerge dalla stima flash dell’Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione europea. Si tratta del nuovo livello record. Il consensus indicava un’accelerazione meno marcata all’8,7%. Dopo il rallentamento di giugno, anche l’inflazione di fondo, che esclude energia e cibo, ha raggiunto un record del 4%.

Le determinanti dell’inflazione

Ma torniamo all’Italia. L’inflazione su base tendenziale rimane elevata pur riducendosi di un decimo di punto percentuale. Ciò si deve ad andamenti contrastanti. Da una parte, infatti, rallentano i prezzi dei beni energetici (la cui crescita passa da +48,7% di giugno a +42,9%) a causa, in particolare, degli energetici regolamentati (da +64,3% a +47,8%) e solo in misura minore degli energetici non regolamentati (da +39,9% a +39,8%) e decelerano i prezzi dei servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (da +5,0% a +4,6%); dall’altra parte, accelerano i prezzi dei beni alimentari lavorati (da +8,1% a +9,6%), dei servizi relativi ai trasporti (da +7,2% a +8,9%), dei beni non durevoli (da +2,9% a +3,6%), dei beni durevoli (da +2,8% a +3,3%) e dei servizi vari (da +1,1% a +1,6%).

L’“inflazione di fondo”, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, accelera da +3,8% a +4,1% e quella al netto dei soli beni energetici da +4,2% a +4,7%.

L’Istat fa sapere che su base annua rallentano i prezzi dei beni (da +11,3% a +11,1%) mentre accelerano quelli dei servizi (da +3,4% a +3,6%); si riduce, quindi, il differenziale inflazionistico negativo tra questi ultimi e i prezzi dei beni (da -7,9 di giugno a -7,5 punti percentuali). Accelerano sia i prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona (da +8,2% a +9,1%) sia quelli dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto (da +8,4% a +8,7%). L’aumento congiunturale dell’indice generale è dovuto prevalentemente ai prezzi dei servizi relativi ai trasporti (+2,7%), degli alimentari lavorati (+1,5%), dei beni non durevoli (+0,6%) ed è frenato solamente dalla diminuzione dei prezzi alimentari non lavorati (-1,7%). Secondo l’Istat:

“Il rallentamento dei prezzi dei beni energetici che si registra a luglio non frena l’onda lunga delle tensioni inflazionistiche che si stanno diffondendo agli altri comparti merceologici. Infatti, la crescita dei prezzi degli alimentari lavorati, dei beni durevoli e non, dei servizi relativi ai trasporti e dei servizi vari accelera, spingendo l’inflazione al netto degli energetici e degli alimentari freschi (componente di fondo; +4,1%) e quella al netto dei soli beni energetici (+4,7%) a livelli che non si vedevano, rispettivamente, da giugno e maggio 1996.  In questo quadro accelera anche la crescita dei prezzi del cosiddetto “carrello della spesa”, che si porta a +9,1%, registrando un aumento che non si osservava da settembre 1984

Tutti i danni di Draghi negli ultimi 20 anni

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di Paolo Becchi e Giovanni Zibordi

Nell’articolo precedente sul tema abbiamo spiegato che Draghi voleva mollare per evitare di essere al governo quando arriva il crash finanziario, la crisi energetica, la recessione e un’altra crisi della vaccinazione tutte assieme.

Sembra che abbiamo avuto ragione perché Draghi si è presentato in Parlamento ignorando qualunque richiesta e osservazione dei partiti di centro destra e del M5S rendendo inevitabile che poi non lo votassero. Se si ascolta il suo discorso, aggressivo e insultante in molti punti è evidente che ha cercato questo risultato, che voleva sfuggire a Mattarella e alle pressioni estere per non ritrovarsi a gestire il disastro in arrivo a cui ha egli stesso ha contribuito. C’è alla fine riuscito, ma Matterella prima di acconsentire alla sua richiesta gli ha fatto fare una figuraccia che passerà alla storia della cronaca. Ma facciamo un bilancio.

Ci sono almeno dieci cose per le quali Draghi è stato un disastro, da quando era direttore del Tesoro, poi governatore Bankitalia, poi alla Bce e ora al governo

1) Superbonus110: Draghi ha fatto del sarcasmo su chi l’aveva promosso. Ma il Superbonus110 ha creato circa 40 miliardi di Pil tramite il boom edilizio che ha indotto, dopo dieci anni in cui le costruzioni in Italia erano depresse e parliamo di un -50%. Il meccanismo del Superbonus era intelligente, perché erano crediti fiscali che non sono debito pubblico perché lo Stato negli anni successivi sconta le tasse solo se c’è un ricavo, non è obbligato a ripagare in ogni caso come con un Btp. Emettere Btp è emettere debito, emettere crediti fiscali no, perché se non c’è un ricavo l’anno successivo di qualcuno che debba pagare tasse, il credito è inutilizzabile e lo Stato non paga e non sconta niente, tanto è vero che Eurostat non lo considera debito pubblico. Draghi fa finta di non sapere queste e non ha mai riconosciuto l’aumento di occupazione, di lavoro e di Pil creato dal Superbonus110 che è stato l’unico stimolo economico degli ultimi due anni. Cosa ha fatto Draghi? Ha bloccato di colpo il Superbonus mettendo in crisi tante aziende.

2) Draghi ha speso invece una cifra complessiva intorno a 30 miliardi per centinaia di milioni di tamponi a 50 euro l’uno di costo totale, vaccini e vaccinazione e per le degenze Covid a peso d’oro (fino a 9mila euro al giorno). In più ha imposto un altro lockdown e lasciato a casa dal lavoro qualche centinaio di migliaia di persone perché non vaccinate e con tampone positivo (anche se senza nessun sintomo). Il costo enorme di queste due politiche ha costretto lo Stato a fare deficit intorno al 9% del Pil l’anno scorso e al 6% quest’anno e il debito pubblico è schizzato a 2,760 miliardi. Per Draghi il Superbonus che creava lavoro era da eliminare e i lockdown e green pass che affondava l’economia erano buoni.

3) I Btp da quando Draghi governa sono scesi da 150 a 125. Il motivo principale è che, oltre alla crescita del debito pubblico, Draghi come governatore della Bce aveva fatto stampare 4mila miliardi per comprare titoli di stato e spingere il rendimento sotto-zero o zero. Alla Bce Draghi ha fatto bella figura solo perché stampava moneta. Questo però ha creato inflazione e di conseguenza i bond ora stanno franando. Se si parla di spread e costo degli interessi sui Btp e di quotazioni dei Btp, bisogna ricordare che da quando Draghi è al governo i Btp sono collassati da 150 a 125 (usando come riferimento il future del decennale) e quindi dire che senza Draghi ecc.…. è semplicemente assurdo. Draghi ha condotto una politica di stampa di euro per sostenere i deficit dei governi e i risultati sono inflazione e crollo del mercato dei titoli di stato in corso.

4) Quando Draghi era governatore di Bankitalia è stato responsabile della crisi di MontePaschi, che ha speso 9 miliardi per Antonveneta e fu il governatore di Bankitalia ad avallare questa operazione di natura politica (Pd a Siena). La banca di Siena dal 2008 sprofonda nelle perdite, ma la sua crisi risale al tempo in cui Draghi vigilava sul sistema creditizio italiano.

5) Draghi come governatore della Bce nell’estate del 2011 era anche stato la causa della crisi dello spread perché ha scritto con J-C. Trichet una lettera all’allora governo Berlusconi minacciandolo di crisi se non avesse fatto un austerità pesante e simultaneamente ha sospeso gli acquisti di Btp. Salvo poi addirittura lanciare un mega programma di acquisti senza limiti di 4mila miliardi di Btp e altri titoli di stato europei quando il governo Monti, sotto il peso dell’austerità imposta dalla Bce, stava facendo collassare l’economia italiana e l’euro. Per far saltare Berlusconi, Draghi lo ha ricattato per iscritto chiedendo austerità e fermando gli acquisti di Btp. Poi, una volta che al governo è stato il Pd ha stampato 4mila mld di cui 700 miliardi sono andati ai Btp.

6) Prima ancora, come direttore del Tesoro fino al 2004, è stato responsabile dei 40 miliardi di perdite dovute ai contratti derivati sui Btp sottoscritti dal Tesoro. Nessuno altro paese Ue ha perso miliardi così per questi derivati. Solo l’Italia. E Draghi era il direttore del Tesoro che li ha proposti e gestiti.

7) Come abbiamo già mostrato, con Draghi al governo e le sue politiche di vaccinazione forzata e lockdown la mortalità in Italia è aumentata nel 2021.

Si può discutere delle cause esatte, ma era Draghi al governo e il risultato è l’opposto di quello che aveva promesso con i lockdown e vaccinazioni, imposte in modo più restrittivo che in altri paesi.

8) La crisi energetica in corso è dovuta innanzitutto alle politiche di boicottaggio dei combustibili fossili in atto da più di dieci anni, perché il rialzo è iniziato l’estate scorsa e la guerra in Ucraina è arrivata a febbraio 2022. Poi ovviamente le sanzioni alla Russia. E infine, dato che in realtà il prezzo del gas russo di Gazprom che Eni come intermediario compra è invariato rispetto ad un anno fa, la speculazione. Sì, perché se il prezzo dell’80% o 90% del gas che viene da Algeria, Qatar e Russia per gasdotto non è variato e quello all’’ingrosso è aumentato di 15 o 20 volte, c’è evidentemente anche speculazione.


Draghi però è stato un grande fautore delle politiche per il climate change e delle sanzioni alla Russia. E sulla speculazione non ha detto mezza parola. Difficile sostenere quindi che Draghi fosse la soluzione per un disastro che ha contribuito più di altri (vedi l’insistenza per le sanzioni) a creare. Per quanto riguarda la speculazione, in Spagna e Francia, ad esempio, si sono prese misure di calmiere e si nazionalizza Edf che è loro Eni. In Italia niente.

9) Infine, per le sanzioni alla Russia e gli armamenti all’Ucraina, Draghi ha soffiato sul fuoco più di altri e senza un motivo logico perché l’Ucraina è dieci volte più armata dell’Italia, ad esempio hanno 2mila pezzi di artiglieri pesante contro circa 150 dell’Italia. Come si è visto, la guerra moderna è tutta basata sull’artiglieria, non la fanteria o i carri armati (in cui comunque l’Ucraina ne aveva 2,500 contro 200 dell’Italia).

L’Ucraina era in realtà, se si guardano i dati e non si ascoltano le chiacchiere, un paese armato fino ai denti dagli Usa.

Questi sono nove fatti, dalla crisi dello spread e il ricatto a Berlusconi, alle perdite sui derivati, al crac di MontePaschi, alla stampa di moneta alla Bce che ha creato inflazione, ai lockdown e vaccinazione forzata ecc. con cui Draghi ha contribuito più di altri a rovinare l’Italia. Lascia un paese in rovina e sarà un problema per qualsiasi nuovo governo tentare di riprendersi.

Fonte: https://www.nicolaporro.it/tutti-i-danni-di-draghi-negli-ultimi-20-anni/

Russia, Orban sferza l’Ue: “Con le sanzioni si è sparata nei polmoni”

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Chi paga le sanzioni?

 

“Le sanzioni non aiutano l’Ucraina né contribuiscono ad avvicinarsi alla fine della guerra, semmai la prolungano”. Così afferma Orban, premier ungherese, che è sempre stato critico sulle misure restrittive che l’Unione europea ha inflitto al Cremlino dopo l’invasione in Ucraina. 
“Inizialmente pensavo che ci fossimo solo sparati a un piede – afferma il primo ministro all’emittente Kossut Radio – ma ora è chiaro che l’economia europea si è sparata nei polmoni e ora fatica a respirare”. Parole dure quelle di Orban che vanno a inserirsi in un clima di emergenza economica che riguarda, ormai, tutto l’Occidente: “Le sanzioni sono dannose per l’economia europea e se continuano così, la uccideranno – insiste – Il momento della verità deve arrivare a Bruxelles, quando i leader ammetteranno di aver fatto un errore di calcolo, che la politica delle sanzioni era basata su presupposti sbagliati e non ha soddisfatto le aspettative riposte in essa”.

Non è l’unico a paventare questa ipotesi, già Biden nei giorni scorsi aveva affermato, in modo meno brutale e diretto, che probabilmente le aspettative riposte sull’Ucraina erano state troppo alte e che la continuazione della guerra era la prova che l’Occidente aveva sottovalutato la situazione.

Gli unici a tenere la barra dritta e a non indietreggiare di un millimetro sono proprio i rappresentati della Commissione Europea, che fanno sapere oggi di un nuovo pacchetto di sanzioni destinate alla Russia: “Il pacchetto ribadisce la determinazione della Commissione a proteggere la sicurezza alimentare in tutto il mondo”, si legge in una nota dell’Esecutivo Ue.
 Al contrario di quanto pensa Orban, la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen afferma: “La brutale guerra della Russia contro l’Ucraina continua senza sosta. Pertanto, proponiamo oggi di rafforzare le nostre pesanti sanzioni dell’Ue contro il Cremlino, applicarle in modo più efficace ed estenderle fino a gennaio 2023. Mosca deve continuare a pagare un prezzo alto per la sua aggressione”.

Stando ai fatti, la domanda è questa: è davvero Mosca a pagare un caro prezzo o sono le economie europee a combattere una crisi economica senza precedenti? 
A rimarcare la decisione di sanzioni più dure nei confronti del Cremlino anche Joseph Borrel, Alto Rappresentante per gli affari esteri e la Politica di sicurezza dell’Ue, che dichiara: “Le sanzioni dell’Ue sono due e pesanti e continuiamo a prendere di ira le persone che sono vicine a Putin e al Cremlino. Il pacchetto di oggi riflette il nostro approccio coordinato con i partner internazionali, in particolare il G7. Oltre a queste misure – fa sapere Borrell – presenterò altre proposte al Consiglio Ue, per inserire nuovi nomi nella lista delle persone ed entità a cui verranno congelati i beni e ridotta la possibilità di viaggiare”.

Bianca Leonardi, 15 luglio 2022

Caro bollette, il Governo proroga le misure per contenere prezzi di luce e gas

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di Mariangela Tessa

Disco verde dal Consiglio dei ministri al decreto contro il caro bollette. Il provvedimento proroga al terzo trimestre (quindi fino a settembre) le misure per contenere i prezzi delle bollette di luce e gas e via libera anche alla misura per garantire liquidità alle imprese che effettuano stoccaggio di gas naturale. Nel dettaglio, il provvedimento prevede per:

  • Bollette elettriche: lo stanziamento di oltre 2 miliardi per azzerare gli oneri di sistema;
  • Bollette del gas: 481 milioni per tagliare l’Iva, 470 per azzerare gli oneri di sistema e 240 per gli scaglioni fino a 5.000 metri cubi all’anno.

È stata inoltre prorogata al 31 marzo 2023 la tassazione sugli extraprofitti delle società energetiche che importano gas. E’ stata estesa alle imprese dello stoccaggio fino al 31 dicembre la garanzia finanziaria della Sace (la società pubblica per l’assicurazione del credito). Una misura già prevista dal decreto Aiuti per le aziende danneggiate dalla guerra in Ucraina e dalle sanzioni contro la Russia, che prende le mosse dalla necessità di fornire un sostegno ai 18 importatori italiani di gas, che faticano ad accumulare stoccaggi alla luce dei prezzi di mercato. Di qui l’intervento della Sace a garanzia dei crediti.

Per Snam la situazione è sotto controllo

Al momento però la situazione appare sotto controllo. Secondo Snam, ogni giorno si stoccano sui 28 milioni di metri cubi di gas, e l’offerta di gas rimane superiore di 20 milioni di metri cubi alla domanda.

Restano tuttavia forti incognite per i prossimi mesi. Mentre l’Italia ha deciso di non alzare il livello di alert sulla crisi del gas, ieri il numero uno dell’Aie (l’Agenzia internazionale dell’energia Fatih Birol, in un’intervista al Financial Times, ha detto che l’Europa deve essere pronta ad una completa interruzione di forniture da parte della Russia, durante l’inverno.

“Oggi abbiamo prorogato per il prossimo trimestre le misure a sostegno di imprese e famiglie contro il caro bollette, un ulteriore conferma dell’impegno del governo. A breve ci sarà un altro provvedimento per il contenimento dei prezzi dei carburanti, per contenere i prezzi”, ha detto il ministro della Famiglia Elena Bonetti lasciando palazzo Chigi.

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