I vescovi venezuelani chiedono ai giornalisti di non smettere di denunciare le ingiustizie praticate dai comunisti al potere

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In occasione della Giornata dei giornalisti in Venezuela, che è stata celebrata sabato 27 giugno, la Commissione episcopale per la comunicazione della Conferenza episcopale venezuelana si è congratulata con coloro che esercitano questa professione e li ha classificati come “profeti di oggi”.

I vescovi hanno salutato con gioia la missione che i giornalisti “svolgono con dedizione, impegno e passione”, soprattutto nel bel mezzo della situazione attuale nel paese. “Più che una celebrazione è un omaggio a coloro che, con duro lavoro e dedizione, svolgono ciò che questa lodevole professione cerca in mezzo a così tante difficoltà: diffondere la verità”, hanno detto i vescovi.

Il Cev ha sottolineato che “la libertà di informazione è la risposta al desiderio e al diritto di essere informati” e che per questa ragione “il giornalista venezuelano è una persona coraggiosa che, guidata da quel desiderio, e guidato dallo Spirito Santo che lo incoraggia, va avanti nella ricerca della verità, diventando un profeta di oggi”.

I vescovi hanno riconosciuto che i giornalisti venezuelani, “come i primi cristiani perseguitati per aver annunciato Gesù risorto” sono oggi “perseguitati, censurati, limitati”. “Ogni giorno affrontano difficoltà di ogni tipo, che vanno da chiusure indiscriminate dei media, a censura e licenziamenti ingiustificati, molestie, furti, distruzione di attrezzature, arresti arbitrari e attacchi fisici e verbali”.

Ma i vescovi non demordono. “Gesù ha detto: ‘Beati coloro che sono perseguitati a causa della giustizia, perché loro è il Regno dei Cieli”. 

Per i vescovi, ogni atto contrario alla libertà di espressione non fa altro che incoraggiare uno spirito che brucia per la giustizia, la solidarietà, la verità e la pace. “Con le loro voci, ogni giornalista venezuelano incoraggia la costruzione di una società più fraterna e umana, in cui prevalgono i valori che ci rendono più fratelli, seguendo l’esempio delle prime comunità cristiane”.

I vescovi credono anche che i giornalisti venezuelani si sforzano di “portare in ogni storia, la bilancia della giustizia, il testimone della morale” e che “sono mossi dall’amore per il prossimo, per la società, per coloro che soffrono e per quelli di cui son violati i diritti” dalle autorità comuniste del paese.

Questo era il mio ultimo articolo per AgereContra. Ringrazio la redazione per l’ospitalità di quest’ultimo anno e la stima dimostratami. 

 

Matteo Orlando

Spagna: totalitarismo antinazionale

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di Matteo Orlando per AGERECONTRA.IT

 

In Spagna totalitarismo in azione da parte del governo social-comunista.
La delegazione del governo a Madrid ha proibito al CTC (Carlist Traditionalist Communion, cioè la Comunione tradizionalista carlista) di manifestare per l’Ispanità cattolica.
L’obiettivo di questa concentrazione era di mettere in guardia la popolazione dall’ingiusta persecuzione subita, sia negli Stati Uniti che in Spagna, da tutto ciò che rappresenta il glorioso passato cattolico e ispanico, contro il Nuovo Ordine Mondiale e non per il “Black Lives Matter”, per ricordare la presenza ispanica che ha liberato milioni di indiani nordamericani da vizi come i sacrifici umani, cannibalismo, schiavitù e servitù.
La stessa delegazione del governo che ha consentito manifestazioni il 7 giugno, in pieno allarme, quando quasi 3.000 persone si sono radunate davanti all’ambasciata degli Stati Uniti, presumibilmente per esprimere il loro rifiuto del razzismo, adesso ha proibito la manifestazione tradizionale che vuole rivendicare l’ispanità cattolica, attaccata negli Stati Uniti e nella stessa Spagna.
Secondo la delegazione del governo di Madrid, l’iniziativa del CTC contro il vandalismo che si sta abbattendo sulle statue dei grandi personaggi della storia spagnola (come come Junípero Serra e Miguel de Cervantes, ma anche l’italiano Cristofori Colombo), non si basa “su una causa straordinaria e grave che giustifica la convocazione”.
Inutile ricordare che la stessa delegazione del governo ha permesso le concentrazioni femministe dell’8 marzo, che ha avuto conseguenze gravi per il contagio da COVID-19 e, come detto, le concentrazioni dei gruppi dell’estrema sinistra davanti l’ambasciata degli Stati Uniti.
“Il popolo spagnolo non può rimanere in silenzio di fronte a queste manifestazioni totalitarie chiare dal governo attuale”, hanno denunciato dalla Comunione tradizionalista carlista, che intende fare ricorso dinanzi alla Corte Superiore di giustizia di Madrid.

MATTEO ORLANDO

 

 

Limitazioni delle libertà ai tradizionalisti spagnoli

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L’EDITORIALE DEL VENERDÌ
di Matteo Orlando

 

In Spagna totalitarismo in azione da parte del governo social-comunista.
La delegazione del governo a Madrid ha proibito al CTC (Carlist Traditionalist Communion, cioè la Comunione tradizionalista carlista) di manifestare per l’Ispanità cattolica.
L’obiettivo di questa concentrazione era di mettere in guardia la popolazione dall’ingiusta persecuzione subita, sia negli Stati Uniti che in Spagna, da tutto ciò che rappresenta il glorioso passato cattolico e ispanico, contro il Nuovo Ordine Mondiale e non per il “Black Lives Matter”, per ricordare la presenza ispanica che ha liberato milioni di indiani nordamericani da vizi come i sacrifici umani, cannibalismo, schiavitù e servitù.
La stessa delegazione del governo che ha consentito manifestazioni il 7 giugno, in pieno allarme, quando quasi 3.000 persone si sono radunate davanti all’ambasciata degli Stati Uniti, presumibilmente per esprimere il loro rifiuto del razzismo, adesso ha proibito la manifestazione tradizionale che vuole rivendicare l’ispanità cattolica, attaccata negli Stati Uniti e nella stessa Spagna.
Secondo la delegazione del governo di Madrid, l’iniziativa del CTC contro il vandalismo che si sta abbattendo sulle statue dei grandi personaggi della storia spagnola (come come Junípero Serra e Miguel de Cervantes, ma anche l’italiano Cristofori Colombo), non si basa “su una causa straordinaria e grave che giustifica la convocazione”.
Inutile ricordare che la stessa delegazione del governo ha permesso le concentrazioni femministe dell’8 marzo, che ha avuto conseguenze gravi per il contagio da COVID-19 e, come detto, le concentrazioni dei gruppi dell’estrema sinistra davanti l’ambasciata degli Stati Uniti.
“Il popolo spagnolo non può rimanere in silenzio di fronte a queste manifestazioni totalitarie chiare dal governo attuale”, hanno denunciato dalla Comunione tradizionalista carlista, che intende fare ricorso dinanzi alla Corte Superiore di giustizia di Madrid.

MATTEO ORLANDO

La denuncia di Vox: come in un sistema totalitario vogliono estendere l’ideologia omosessualista

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L’EDITORIALE DEL VENERDI

di Matteo Orlando

“Vogliono imporre ai nostri figli un’educazione sessuale ideologica e settaria”. È questo l’allarme lanciato dalla deputata di VOX, il partito di destra spagnolo, Georgina Trías.

La Trías ha spiegato attraverso un appassionato discorso tenuto davanti al Congresso, i motivi per i quali il suo gruppo parlamentare ha presentato un emendamento all’intera legge Celaá, quelle norme sull’educazione, volute dal governo social-comunista spagnolo, per estendere quanto più possibile l’ideologia gender nella società, peraltro già sconquassata, spagnola.

La Trías ha avvertito che il progetto del governo delle sinistre mette in pericolo l’educazione dei bambini spagnoli. “La comunità educativa teme che oltre 8 milioni e mezzo di bambini e ragazzi spagnoli non frequentino la loro scuola da tre mesi e che, nel mezzo dell’estate, siano trascorsi sei mesi senza entrare nei centri. E voi vi preoccupate più di imporre il vostro programma ideologico che di risolvere i problemi reali della comunità educativa. In diverse città spagnole ci sono concentrazioni di cittadini per protestare contro l’elaborazione di questa legge”.

La portavoce di VOX ha affermato che nello Stato spagnolo prevalgono la neutralità e il principio del secolarismo positivo, e non la secolarizzazione promossa dal governo. “Vogliono imporre ai nostri figli, sin da piccoli, una presunta educazione sessuale, che invece è ideologica e settaria. E vogliono farlo in modo organizzato e curriculare, come si addice ad un buon sistema totalitario, con guide oscene che sono già state implementate in numerose comunità autonome”.

Nel suo intervento, di una dozzina di minuti, Georgina Trías ha spiegato i dieci motivi per cui Vox dice di no alla legge omosessualista Celaá. Continua a leggere

Il presidente Duda vuole una Polonia contro le ideologie che danneggiano la famiglia

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DI MATTEO ORLANDO

Durante una visita nella città di Wieluń, il presidente polacco Andrzej Duda ha dichiarato di volere “lo stato polacco a sostegno e protezione della famiglia”. Il capo di stato della Polonia vuole che le famiglie siano meglio protette “contro le ideologie” che le danneggiano.

Durante un incontro con i cittadini in Legion Square, Andrzej Duda si è riferito anche al defunto Lech Kaczyński, il presidente polacco morto nel disastro aereo di Smolensk nel 2010.

“Cinque anni fa ho iniziato ad attuare il piano del presidente Lech Kaczyński, che non è stato in grado di portarlo a termine perché è morto al servizio della Repubblica di Polonia. Ho abbassato l’età pensionabile, abbiamo lanciato programmi sociali e per gli anziani”.

Andrzej Duda ha sottolineato che la sua battaglia politica più importante è quella per la famiglia: “È un dovere costituzionale, che si sta finalmente adempiendo. Questo è il motivo per cui desidero la rielezione, in modo che le famiglie polacche possano essere meglio protette, anche contro le ideologie che le danneggiano. Sappiamo che la nostra tradizione è la nostra forza, quella che ci ha permesso di sopravvivere ai più grandi test, di ricostruire questa città con fede”.

Spiegando il motivo della sua visita a Vielun Duda ha detto: “Ci sono due città in Polonia che sono simboli dello scoppio della seconda guerra mondiale. Uno di questi è Wieluń. L’ho capito chiaramente quando sono venuto qui per la prima volta nel 2017. È stata un’esperienza molto bella per me. Non avevo mai visto nulla di simile, che l’intera città si radunasse alle quattro del mattino e commemorasse gli eventi avvenuti 78 anni prima. Ho visto che la storia vive qui”.

Sempre il presidente Andrzej Duda ha promesso di vietare l’insegnamento delle tematiche Lgbt nelle scuole polacche. Attraverso un apparente richiamo alla sua base, durante questa campagna elettorale che terminerà con le elezioni presidenziali del 28 giugno, Duda ha detto che “i genitori sono responsabili dell’educazione sessuale dei loro figli. Non è possibile per nessuna istituzione interferire nel modo in cui i genitori crescono i loro figli”.

Duda, che è un alleato del partito di destra Law and Justice Party (PiS), che considera l’ideologia lesbica, gay, bisessuale e transgender come un’influenza straniera invasiva che indebolisce i valori tradizionali della fedele nazione cattolica, è avversato nella riconferma presidenziale dal sindaco liberale di Varsavia, Rafal Trzaskowski, appartenente al maggiore partito di opposizione (Piattaforma civica). Trzaskowski è lo stesso che ha introdotto l’educazione sulle questioni Lgbt nelle scuole di Varsavia.

Firmando una “Family Card” di proposte che includono impegni per preservare regimi di benefici speciali per famiglie e pensionati, Duda ha anche affermato che non permetterebbe alle coppie gay di sposarsi o adottare figli. “È un’ideologia straniera. Non vi è alcun motivo perché questo fenomeno si verifichi nel nostro paese in alcun modo”. Trzaskowski, invece, ha affermato di essere a favore dei diritti civili per gay, ma non approverebbe le adozioni.

“Questa Family Card è un documento radicale che divide la società polacca, introducendo standard che ricordano i tempi più brutali della storia polacca ed europea”, ha sostenuto da parte sua il dichiaratamente gay Robert Biedron, candidato presidenziale per un partito della sinistra polacca.

 

MATTEO ORLANDO

L’economia del Centro-Nord sarà presto in mano alle mafie

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DI MATTEO ORLANDO

I diversi arresti in provincia di Verona per un’organizzazione locale di ‘Ndrangheta, con sequestri per oltre 15 milioni di euro e il coinvolgimento di dirigenti locali e indagini aperte che vedono coinvolti vari personaggi eccellenti della città scaligera, ci portano a riflettere, dopo l’analisi sociologico-filosofico-religiosa dello scorso editoriale (vedi qui: https://www.agerecontra.it/2020/06/la-sana-fede-cattolica-per-lottare-contro-le-mafie/), sulla realtà concreta della ‘Ndrangheta che si sta insediando massicciamente nel centro-nord Italia.

La ‘Ndrangheta è, attualmente, l’organizzazione criminale più ricca e potente al mondo, soprattutto grazie al traffico internazionale di droga.

Nata in Calabria, la Ndrangheta è riuscita a espandersi in quasi tutti i continenti, soprattutto grazie alla sua struttura, basata sul vincolo di sangue, come bene hanno spiegato in vari libri il magistrato Nicola Gratteri e lo studioso di mafie Antonio Nicaso, libri che costituiscono la base di queste riflessioni.

Quella della ‘Ndrangheta è una struttura di sangue che, da sempre, la rende forte e impenetrabile. Si tratta di un legame che imprigiona con i suoi obblighi e che protegge l’organizzazione da possibili tradimenti. Infatti, pentirsi e denunciare i crimini della ‘Ndrangheta alla giustizia è quasi impossibile: significherebbe tradire i propri familiari. La famiglia di ‘Ndrangheta è formata da figli, fratelli, cugini, cognati, ma anche compari, persone alle quali si è legati per mezzo di battesimi, cresime e matrimoni. Quindi per gli ‘Ndranghetisti la cosa più importante è il legame di sangue, che diventa un tutt’uno con la stessa organizzazione mafiosa. I vincoli di parentela sono il frutto di vere e proprie strategie matrimoniali, con cui si accresce il potere della famiglia.

La ‘Ndrangheta, che non riesce a vivere senza il rispetto della gente che la teme, è nata nella seconda metà dell’800. Allora era nota con il nome di “picciotteria” e si era sviluppata, soprattutto, per la pratica dell’abigeato, cioè il furto del bestiame. Ben presto la Ndrangheta raggiunse le città, dove si organizzò per sfruttare i piccoli vizi dei contadini: giochi d’azzardo, alcool ecc. In seguito questi delinquenti vennero utilizzati anche per minacciare avversari di questo o di quel partito politico.

Decine di anni dopo la Ndrangheta passò dai furti di bestiame ai sequestri di persona (uomini, donne e bambini, rapiti al Nord e custodi nei luoghi impervi della Calabria), pratica che portò nelle casse della ‘Ndrangheta circa 400 miliardi delle vecchie lire, pari a 200 milioni di euro di oggi.

Negli ultimi decenni questi soldi ottenuti con i sequestri di persona sono stati investiti nel commercio internazionale della droga, il nuovo business che ha portato la ‘Ndrangheta a stringere rapporti con varie criminalità organizzate, come per esempio quelle dei colombiani, dei turchi, dei messicani, degli afghani e dei libanesi.

La mafia calabrese è diventato così sempre più temuta nel centro-sud America, dove ha i suoi brokers che, nei paesi caldo-umidi, vanno alla ricerca della cocaina per poi invadere i mercati europei.

I brokers della ‘Ndrangheta fanno arrivare l’eroina in Europa dall’Afghanistan, dal Kazakistan e dall’Uzbekistan. Mentre portano la cocaina acquistata in centro-sud America (Venezuela, Colombia, Ecuador, Perù, Bolivia, Messico) verso l’Europa tramite basisti in Spagna, Ghana, Sierra Leone, Namibia, Liberia, Senegal, Guinea Bissau, Mauritania e, soprattutto, Nigeria.

Per comprendere quanti soldi guadagna la ‘Ndrangheta grazie al traffico internazionale della droga è necessario citare una frase riferita dal grande giudice Nicola Gratteri che ha rivelato una conversazione tra due trafficanti intercettati dalla Polizia. Nell’audio si sente che uno diceva all’altro: “avevamo sotterrato 250 miliardi di lire. Ne abbiamo dovuti buttare 7-8 miliardi perché erano ammuffiti per l’umidità”…

Ma non di sola droga si alimenta la criminalità organizzata calabrese. La ‘Ndrangheta si occupa anche di tantissimi altri crimini come la richiesta del pizzo, l’usura, la tratta dei nuovi schiavi e l’immigrazione clandestina, il contrabbando, i giochi d’azzardo, il traffico di armi ed esplosivi, il controllo dei mercati agroalimentari e dell’import-export, la creazione e/o il controllo delle catene di ristorazione e delle strutture alberghiere, l’infiltrazione negli appalti pubblici, i reati catalogati nella dicitura “ecomafia”.

Da una intercettazione si è scoperto quanto gli ‘Ndranghetisti siano menefreghisti delle necessità e della sicurezza altrui. A proposito dei rifiuti radioattivi, che provenivano da ospedali e industrie, che spesso ancora oggi sono caricati su barche e poi affondate lungo le coste italiane, uno dei due ‘ndranghetisti ebbe a dire all’altro: “basta essere furbi, aspettare delle giornate di mare giusto e chi vuoi che se ne accorga”. Al rilievo dell’altro (“E il mare? Che ne sarà del mare se lo ammorbiamo?”) il primo criminale rispose: “ma sai quanto ce ne fottiamo del mare. Pensa ai soldi, che con quelli il mare andiamo a trovarcelo da un’altra parte”.

Ecco, cos’è la ‘Ndrangheta, “una struttura sociale di peccato frutto del Maligno” che da decenni usa i soldi ottenuti illecitamente investendoli nelle città del centro-nord Italia, per costruire alberghi, acquisire ristorante, gestire commerci, creare società di import-export e centri commerciali, infiltrarsi nelle controllate comunali ecc. La Ndrangheta cerca in tutti i modi di aggiudicarsi appalti, licenze edilizie, aree edificabili, e non teme di mettere le mani sui sistemi agroalimentari, esercitando anche il controllo dei mercati ortofrutticoli. Inoltre, la Ndrangheta opera in borsa acquistando azioni di società importanti. Negli ultimi tempi la Ndrangheta è particolarmente attiva nel campo del riciclaggio del denaro sporco, aiutata da prestanome che non hanno mai avuto problemi con la giustizia.

Come la mafia siciliana (“Cosa Nostra”) e la Camorra campana, anche la ‘Ndrangheta calabrese cerca di occupare gli spazi che la società non presidia, che non difende a sufficienza. Così gli ‘ndranghetisti si infiltrano nelle amministrazioni comunali, provinciali e regionali, nel circuito degli appalti, dell’economia. Gestiscono il potere nelle aziende sanitarie locali, nelle imprese private, nelle banche. Fanno vincere i concorsi e raccomandano le persone di propria fiducia. Chi entra negli enti locali, in Parlamento, con i voti della ‘Ndrangheta deve poi garantire appalti, contatti, favori. Il tutto, naturalmente, con la massima prudenza. I mafiosi della ‘Ndrangheta non amano mostrare il loro potere, la loro ricchezza. I boss vivono in mezzo alla gente normalmente, senza caratteristiche esteriori particolari.

Per raggiungere i loro obiettivi (arricchimento, potere e impunità), gli ‘ndranghetisti necessitano di avere rapporti con esponenti del mondo politico, imprenditoriale, economico-finanziario, investigativo-giudiziario, ossia con tutti quei soggetti rientranti nella categoria della cosiddetta “borghesia mafiosa”, formata da soggetti insospettabili in grado di assicurare ai criminali specifici servizi e relazioni. Agli ‘ndranghetisti, infatti, interessa fare affari, riciclare capitali illeciti, esercitare il potere e arricchirsi, riducendo non solo i costi economici ma altresì quelli di carattere penale (carcere e confisca dei beni). Il massimo guadagno va ottenuto con il minor costo, compresa l’impunità. Agiscono secondo una logica utilitaristica: tutto quello che conviene all’organizzazione va fatto, tutto quello che nuoce o può nuocere alla stessa va evitato. Per questo, specialmente nel centro-nord Italia, utilizzano con molta attenzione la violenza. Quest’ultima, se usata in forme tali da creare un elevato allarme sociale, attira l’attenzione dei mass media, delle forze dell’ordine, della magistratura. In questo modo i rischi legati alla possibilità di essere arrestati e di vedersi confiscare le ricchezze accumulate aumentano sensibilmente. Gli ‘ndranghetisti, dunque, utilizzano le armi soltanto quando con altri strumenti (corruzione, intimidazione e minaccia) non riescono a raggiungere i fini prestabiliti. Quando le armi tacciono è segno che tra gli ‘ndranghetisti e le persone che con loro sono in qualche forma di rapporto si è trovato un punto di equilibrio che soddisfa tutte le parti in gioco e gli affari, illeciti e “leciti”, si possono svolgere senza ricorrere all’omicidio. È proprio quando non uccide che questa forma di mafia sta facendo grandi affari, magari in qualche salotto buono. Come è noto il potere della ‘Ndrangheta si fonda principalmente sulla segretezza, sull’omertà, sul silenzio ed un elemento da considerare è costituito anche dalla capacità di questa organizzazione criminale di coniugare la tradizione (così, per esempio, si entra in una ‘Ndrina, la famiglia mafiosa, sottoponendosi ad un rito di affiliazione, pronunciando un giuramento solenne nell’ambito di una cornice altamente simbolica e codificata, in cui si fa ricorso ad immagini e formule sacre) alla modernità (tanto che la ‘Ndrangheta si comporta come una vera e propria impresa, come una holding economico-finanziaria che agisce a livello nazionale e internazionale, unendo alle classiche attività illecite anche la capacità di inserirsi nel sistema economico e politico di un determinato territorio).

Ultimamente, a causa della crisi economica che sta colpendo il mondo intero a causa della pandemia da Coronavirus, la ‘Ndrangheta ha cominciato ad infiltrarsi in aziende e ditte che hanno un bisogno disperato di finanziamenti. La crisi post lockdown sta spalancando le porte delle aziende del centro-nord alla ‘Ndrangheta.

Purtroppo la maggior parte della gente che vive nelle regioni del centro-nord Italia crede ancora che la ‘Ndrangheta sia un problema che riguarda solo la Calabria. Invece questa forma di mafia sta mettendo le sue radici nelle maggiori città italiane dove reinveste, costruisce, presta denaro e accumula capitale rovinando l’economia onesta, di certo non competitiva di fronte a quella criminale. Con i soldi i criminali comprano i migliori cervelli su piazza per architettare strutture societarie occulte dietro imprese legali di copertura. In questo modo l’impresa criminale diventa impresa economica. È un giro vorticoso e reticolare che finisce per risucchiare l’economia sana, costretta a cedere sotto i colpi di un sistema con il quale non può competere. La ‘Ndrangheta parte con denaro a costo zero, senza chiedere nulla alle banche. Chi è pulito, va chiaramente fuori mercato.

Inutile sottolineare che nella lotta alla ‘Ndrangheta la società civile ha un ruolo enorme, anche se la questione morale sembra impallidita, se non eclissata, e così la ‘Ndrangheta si insinua sempre più nel centro-nord Italia e all’estero (Canada, Stati Uniti, Australia, Venezuela, Colombia, Africa, Spagna, Olanda, Belgio, Francia, Germania, Romania, Ungheria, Polonia ecc.).

Come abbiamo visto dall’ultima indagine venuta alla luce in terra veronese, sono presenti anche nel centro-nord Italia famiglie di ‘Ndrangheta, vere e proprie “ndrine” (cosche, famiglie) guidate, ognuna, da un “capobastone”. E quando in un comune ci sono più ‘ndrine si parla di “locale”, retto da tre persone, denominati la “copiata”: il “capobastone” (il quale ha potere di vita e di morte sui suoi uomini ed ha il diritto all’obbedienza assoluta), il “contabile” (addetto alle finanze), il “capo-crimine” (responsabile dell’organizzazione di tutte le azioni delittuose).

Bisogna svegliarsi. Gli amministratori locali e i responsabili dei settori economici pubblici e privati devono spalancare bene gli occhi. I politici e la società civile dovrebbero cominciare a fare le “sentinelle”, gli avamposti della legalità. Ma temiamo che prima che accada tutto ciò la maggior parte dell’economia del centro-nord sarà in mano alle mafie, in primis la ‘Ndrangheta.

MATTEO ORLANDO

La sana fede cattolica per lottare contro le Mafie

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DI MATTEO ORLANDO

I diversi arresti in provincia di Verona per un’organizzazione locale di ‘Ndrangheta, riconducibile alla potente cosca degli “Arena-Nicoscia” di Isola Capo Rizzuto (Crotone), con sequestri per oltre 15 milioni di euro e il coinvolgimento di dirigenti locali e indagini aperte che vedono coinvolti vari personaggi eccellenti della città scaligera, ci porta a riflettere sulla realtà della mafia.

L’inchiesta, corroborata dal contributo di alcuni collaboratori di giustizia, ha fatto emergere gravi indizi di condotte criminali tipiche delle propaggini extra-regionali della ‘ndrangheta, ispirate alla commistione di metodologie corruttive-collusive ed estorsive, ed ha consentito di registrare anche indebiti rapporti tra alcuni appartenenti al sodalizio mafioso in questione ed i dirigenti di una società operante nel settore della raccolta dei rifiuti urbani. Analoghe strutture ‘ndranghetiste sono state scoperte negli anni in Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria.

“A Verona stiamo lavorando per erigere muri invalicabili alle infiltrazioni, proprio pochi giorni fa con il prefetto abbiamo lanciato l’allarme perché l’attuale crisi economica può essere terreno fertile. Dobbiamo fare di tutto per evitare nuove infiltrazioni, ma devono essere estirpate anche quelle vecchie», ha dichiarato il sindaco della città Federico Sboarina”.

Ecco, una prima modalità di difesa dalle mafie è proprio la loro conoscenza. Quando si parla di mafie non ci si riferisce a un semplice problema di ordine pubblico e di sicurezza sociale (sia pure da gestirsi a livello nazionale o internazionale) ma a una realtà che può mettere in pericolo la sopravvivenza delle democrazie, delle istituzioni e delle strutture della società civile di tutti i paesi del mondo. Se il primo approccio con la realtà delle varie criminalità organizzate è senz’altro quello dell’azione di contrasto, del controllo repressivo (di polizia), tuttavia questo non basta, anche a causa della diversa efficienza delle forze di polizia nell’ambito dei singole città, della pluralità e conseguente frammentazione operativa degli organismi competenti, della inadeguatezza e della preparazione non sempre eccellente di una parte del personale, dell’insufficienza degli stanziamenti di bilancio, dei sistemi di valori e delle sensibilità relative alla coscienza di ciò che è male e bene (a livello legale oltre che etico), che divergono notevolmente da città a città, da persona a persona.

Affinché le leggi siano giuste, perché giudici e poliziotti possano adempiere al loro dovere, occorrono condizioni culturali e politiche ottimali. Queste si possono conseguire soltanto laddove le istituzioni siano caratterizzate da un grado soddisfacente di democrazia. Purtroppo questa situazione non si riscontra in Italia. Se la nostra Costituzione, almeno sulla carta, garantisce l’esercizio dei diritti civili e politici fondamentali, le mafie riescono spesso a instaurare un notevole condizionamento delle politiche, governative e amministrative, oltre che a corrompere poliziotti, giudici, funzionari della pubblica amministrazione, banchieri, imprenditori. Purtroppo finché ci saranno instabilità politica, disordine legislativo, scarsi mezzi per la Polizia, sacche di povertà, incultura o vero e proprio sottosviluppo, per i gruppi criminali ci saranno zone d’ombra nelle quali poter prosperare indisturbati, anche nell’insospettabile Verona. Parafrasando Giovanni Falcone, che nel suo libro “Cose di Cosa Nostra”, scritto insieme alla giornalista francese Michelle Padovani (ed. Fabbri Editori, 1994) parlava di Sicilia, si potrebbe anche dire che il Veneto stia diventando sempre più “una terra dove, purtroppo, la struttura statale è deficitaria. La mafia ha saputo riempire il vuoto a suo modo e a suo vantaggio, ma tutto sommato ha contribuito a evitare per lungo tempo che la società … sprofondasse nel caos totale in cambio dei servizi offerti (nel proprio interesse, non c’è dubbio) ha aumentato sempre più il proprio potere. È una realtà che non si può negare. Il concetto di parassitismo va quindi rivisto, insieme con la inevitabile dicotomia tra vecchia buona mafia e presunta nuova mafia. Negli ultimi vent’anni i mafiosi, dotati di intelligenza vivace, di grande capacità lavorativa e di una notevole abilità organizzativa, dopo avere notevolmente accresciuto le loro possibilità di investimenti, sono potuti entrare direttamente nel mondo economico legale impiegandovi risorse illegali e perpetuando se stessi. E di qui la continuità dei comportamenti mafiosi e l’abitudine, … di appropriarsi del bene pubblico”. Così a pagina 133 del libro scriveva della Sicilia Giovanni Falcone, ma sembrano parole adeguate anche alla realtà odierna veneta e veronese.

Se è vero, come disse lo stesso Falcone, che la mafia “è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine” è anche vero che la “professionalità nella lotta alla mafia significa anche avere la consapevolezza che le indagini non possono essere monopolio di un’unica persona, ma frutto di un lavoro di gruppo. L’eccesso di personalizzazione è il pericolo maggiore delle forze antimafia, dopo la sottovalutazione dei rischi”, come anche “perseguire qualcuno per un delitto senza disporre di elementi irrefutabili a sostegno della sua colpevolezza significa fare un pessimo servizio. Il mafioso verrà rimesso in libertà, la credibilità del magistrato ne uscirà compromessa e quella dello Stato peggio ancora”.

Sempre Falcone scriveva: “uno dei miei colleghi romani, nel 1980, va a trovare Frank Coppola, appena arrestato, e lo provoca: ‘Signor Coppola, che cosa è la mafia?’. Il vecchio, che non è nato ieri, ci pensa su e poi ribatte: ‘Signor giudice, tre magistrati vorrebbero oggi diventare procuratore della Repubblica. Uno è intelligentissimo, il secondo gode dell’appoggio dei partiti di governo, il terzo è un cretino, ma proprio lui otterrà il posto. Questa è la mafia…’”. Lo stesso può dirsi per altri incarichi pubblici, come la vicenda di Verona ha dimostrato e continuerà a dimostrare se l’inchiesta continuerà…

L’azione di contrasto alla criminalità mafiosa sta attraversando un periodo di transizione i cui sviluppi, ora difficilmente prevedibili, dipenderanno dalla capacita e dalla volontà di non disperdere, come purtroppo è avvenuto più di una volta nel corso dei decenni repubblicani, il patrimonio di strumenti legislativi e di professionalità degli apparati giudiziari e di polizia accumulato nei periodi “alti” della reazione istituzionale e politica ai poteri mafiosi. Se il complesso bagaglio legislativo, penitenziario, giudiziario, finanziario, amministrativo ecc., è da migliorare sicuramente, ancor di più siamo tutti chiamati a prendere coscienza che il problema si gioca sul piano educativo, della comunicazione, dell’informazione. 

Solo se si ha della mafia un’idea adeguata la si potrà affrontare efficacemente. Occorre avere una conoscenza adeguata dei fenomeni criminali e della realtà in cui essi si sono formati. Poi occorrerà operare sul piano economico, boicottando le attività illegali e contribuendo alla crescita dell’economia legale, sapendo che il mercato non è un toccasana e che occorre porre l’accento sulla socialità dell’economia o, come insegna la Chiesa Cattolica, “sull’economia sociale di mercato”. 

Sul piano politico, poi, occorrerebbe sviluppare le forme di partecipazione e di controllo da parte del popolo, praticando realmente il pluralismo dei poteri (lo “Stato diffuso”). 

Sul piano sociale, invece, bisognerebbe creare e rafforzare il tessuto della società civile, partecipando il controllo del territorio alle forme di vigilanza dal basso. 

Infine, sul piano culturale, educativo ed etico, occorre praticare un’etica comune, il diritto naturale, fondato sul rispetto delle vita dal concepimento alla morte naturale (anche il praticare l’aborto è una forma di mafiosità, in quanto si tratta della volontà di far prevalere il diritto del più forte, la mamma, sul diritto del soggetto più debole, il nascituro), sui valori irrinunciabili della libertà e della legalità, sul contrasto alla “società mafiogena” attraverso la trasparenza degli stili, delle scelte e delle iniziative quotidiane, sia interne alla persona sia esterne, sul rispetto del prossimo applicando la regola aurea del “non fare agli altri quello che non vorremmo fosse fatto a noi”.

La mafia si pone, rispetto al tessuto sociale del Paese, come una comunità che, al suo interno, ha sostituito alle regole del diritto quelle della sopraffazione e della violenza e che tali regole intende proiettare al di fuori di se stessa. Di fronte ad una situazione del genere, occorre promuovere prima una riflessione e poi, soprattutto, un’azione organica e continuativa contro le mafie, ma un’azione che non può fermarsi a qualche “predica” sulla legalità e nemmeno alle animazioni, alle sdrammatizzazioni o agli spazi scolastici dedicati alla creatività “antimafia” degli alunni, come non possono bastare gli articoli di giornale e i libri per lottare contro le Mafie. Valori come quello della legalità non si trasmettono con la sola buona volontà. Purtroppo cadendo il senso della moralità e della legalità nelle coscienze e nei comportamenti di molti italiani, si è arrivati, progressivamente, ad una vera e propria eclissi del rispetto delle regole sociali. E questo si è ulteriormente aggravato con l’impressionante crisi della fede cattolica. Dimenticando che ogni autorità viene da Dio (e che deve essere rispettata), contrastando l’evidenza del fatto che ogni legge dovrebbe corrispondere all’ordine morale naturale, non si può legittimare l’autorità dello stato ed estendere la legalità, semmai si aumentano i frutti amari della mancanza di fede, che sono sotto gli occhi di tutti e sono veri e propri disastri: guerre, rivoluzioni, omicidi, suicidi, aborti, famiglie distrutte, governi impotenti di fronte a tanti gravi problemi, gioventù ribelle e delusa. E non da ultimo, appunto, l’aumento del potere mafioso. Gran parte degli italiani, tanto per rimanere a casa nostra, non frequenta più la Chiesa, i sacramenti, non santifica la festa. Ma questo seppellire i valori cristiani, ci rende tutti responsabili dell’abbruttimento e dell’imbarbarimento del vivere quotidiano. Bisognerebbe gridare a tutti, in primis agli atei, che è impossibile vivere senza Dio, senza osservare i comandamenti di Dio e i continui richiami della Chiesa, senza preghiera e senza credere nell’aldilà. È questo vale anche per una sana antimafia e per le politiche anti-corruzione. Un mondo miscredente non può contrastare efficacemente le mafie e la corruzione. Se non c’è un traguardo eterno della vita terrena ognuno è legittimato a vivere, a “sfruttare” al massimo la sua vita terrena (considerandosi solo un corpo che, prima o poi, diventerà “cibo per i vermi”), magari calpestando gli interessi altrui pur di far emergere e soddisfare i propri. Ciascuno faccia un serio esame di coscienza e prenda convinte e fattive decisioni per crescere nella fede e, conseguentemente, nella vita sociale e civile. Dare la colpa agli altri delle cose che non fanno, compresa “la cultura” dell’illegalità, è un segno di vigliaccheria e poca responsabilità individuale. Se ciascuno di noi diventerà più credente, automaticamente diventerà più onesto e tutto il mondo sarà migliore. Bisogna, infatti, superare la cultura individualistica e libertaria di molti mafiosi, la loro “visione etica, sociale e solidaristica” tutta particolare e “relativistica”, per prendere coscienza che anche le mafie sono “strutture sociali di peccato, frutto del Maligno”. Come tali coinvolgono non solo comportamenti devianti di singoli individui, ma regole e metodi che hanno guadagnato un carattere collettivo ed anche istituzionale. I più fondamentali rapporti umani e civili sono come stravolti dall’ingiustizia e dalla prevaricazione mafiose. I diritti elementari o sono negati o sono concessi a titolo di favore. Per scardinare questo sistema di potere, dannoso culturalmente, socialmente e politicamente, basato sulla violenza fisica ma pure su un intreccio di alleanze e collusioni con pezzi delle istituzioni e della società civile, è necessaria una denunzia del fenomeno mafioso, non solo sul piano verbale ma, ancor più, sul piano della trasparenza degli stili, delle scelte e delle iniziative quotidiane, sia interne alla persona sia esterne. Occorre imparare ad assumere nei confronti delle mafie, dei suoi capi, dei suoi complici e dei suoi fiancheggiatori, atteggiamenti degni della santa radicalità di Nostro Signore Gesù Cristo: amore per la vita, rispetto del prossimo, fraternità che deriva dall’unico Padre che è nei Cieli, rispetto reciproco che deriva dalla regola d’oro del fare agli altri ciò che vorremmo gli altri facessero a noi (o, detta diversamente, del non fare agli altri quello che non vorremmo fosse fatto a noi), essere segno di contraddizione, rottura e denuncia nei confronti del male, con quello spirito profetico della “sentinella”, tante volte messo chiaramente in evidenza dalle Sacre Scritture. Le organizzazioni mafiose non temono soltanto l’operato delle forze dell’ordine e della magistratura ma anche quello delle scuole, delle associazioni di volontariato, delle parrocchie, dei servizi sociali che si propongono di offrire ai ragazzi che possono essere reclutati dai mafiosi o che lo sono già stati, non solo delle opportunità di vita e di lavoro alternative a quelle criminali, ma soprattutto propongono una cultura della legalità e della solidarietà radicalmente alternativa a quella mafiosa. 

Solo così si può superare e archiviare quella forma di terrorismo (e non soltanto una mentalità distorta e un comportamento deviante) che incute paura, impone le sue leggi e tenta di diventare componente endemica nella società che risponde al nome di MAFIA.

 

MATTEO ORLANDO

Fernandez vuole legalizzare l’aborto ma gli argentini non vogliono

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di Matteo Orlando
Nonostante la marcia virtuale per la vita in Argentina, il presidente di Más Vida, Raúl Magnasco, ha sottolineato che il paese sta affrontando ancora una volta la sfida della difesa delle madri incinte e dei non nati contro il tentativo del presidente Alberto Fernández per legalizzare l’aborto.
Fernández, che durante la campagna elettorale ha dichiarato che il suo governo avrebbe promosso la legalizzazione dell’aborto, ha annunciato che “ci sono una serie di leggi” pronte per entrare in discussione al Congresso, tra cui la “legalizzazione dell’interruzione volontaria della gravidanza volontaria”.
“Le leggi sono pronte dal 1° marzo. L’aborto è una di quelle leggi. Non l’abbiamo inviata perché siamo in altre emergenze “, ha detto il presidente, riferendosi alla pandemia di coronavirus.
La presidenza di Fernández è iniziata dopo il suo giuramento il 10 dicembre 2019. I suoi rapporti si sono rilevati subito tesi con il presidente brasiliano Jair Bolsonaro, che si è rifiutato di andare al suo insediamento, accusandolo di voler creare una “grande patria bolivariana” e minacciandoli di prepararsi ad una fuga di capitali e aziende brasiliane.
Anche gli Stati Uniti hanno avvertito il governo argentino: “vogliamo sapere se Alberto Fernández sarà un sostenitore della democrazia o un apologeta delle dittature e dei caudillos della regione, che si tratti di Maduro, Correa o Morales”.
Assumendo le sue funzioni nel contesto di una forte crisi economica Alberto Fernández ha annunciato aumenti delle imposte per i più ricchi e la classe media, agevolazioni fiscali per i più poveri, introduzione di una tassa del 30% sull’acquisto di valuta estera.
Ma adesso è passato all’aborto come “priorità” per gli argentini.
Di fronte a questi tentativi del presidente argentino, il presidente di Más Vida, Raúl Magnasco ha dichiarato a EWTN News che in Argentina sono “di nuovo di fronte alla sfida di difendere la vita poiché il nostro presidente ha espresso la sua intenzione di promuovere ancora una volta l’aborto nel nostro paese”.
Questo, ha ricordato, “pur sapendo che la maggioranza del popolo argentino rifiuta l’aborto e lo ha fatto in modo abbastanza chiaro e deciso nel 2018”. Nell’agosto dello stesso anno, peraltro, in un voto storico, il Senato respinse il progetto di depenalizzazione dell’aborto.
Con la marcia virtuale per la vita che ha avuto luogo sabato 30 maggio, l’Argentina si è unita ai paesi che hanno organizzato marce digitali come la Colombia, il Messico e il Guatemala.
Il presidente di Más Vida ha affermato che anche con la quarantena non hanno smesso di aiutare le madri e di sensibilizzare alla vita, motivo per cui anche la Marcia per la Vita non avrebbe dovuto saltare, seppur virtualmente.

MATTEO ORLANDO

Germania, Chiesa progressista=meno fedeli

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L’EDITORIALE DEL VENERDÌ
di Matteo Orlando
Secondo l’ufficio statistico della diocesi di Monaco e Frisinga, di cui il cardinale Reinhard Marx è arcivescovo, un numero record di persone ha lasciato la Chiesa.
Sono stati ben 10 mila 744 i cattolici che si sono formalmente allontanati nel 2019 nella diocesi di Monaco e Freising, un quinto in più rispetto al 2018 (8.995).
Secondo l’ufficio statistico in questione, è la prima volta che le perdite annuali di fedeli  superano il limite di diecimila persone da quando gli abbandoni ufficiali hanno iniziato ad essere registrati. Il record precedente era del 1992, quando ci furono 9 mila e 10 persone a lasciare ufficialmente la fede.
Attualmente la secolare diocesi tedesca è finita nelle mani del cardinale Reinhard Marx, iniziatore della cosiddetta “via sinodale” intrapresa dalla Conferenza episcopale tedesca di cui è stato presidente fino a pochi mesi fa. Marx è anche membro del consiglio esclusivo dei cardinali che consiglia Francesco ed è responsabile dell’area economica vaticana.
È vero che i nuovi “apostati” forniscono una serie di ragioni per la loro decisione, ragioni che almeno direttamente non sembrano avere molto a che fare con le “prestazioni” del loro vescovo.
Infatti molti lasciano per il desiderio di smettere di pagare l’oneroso Kirchensteuer (l’imposta religiosa che ha fatto diventare ricchissima la Chiesa tedesca), per il quale è obbligatorio dimettersi, almeno a parole, dalla fede cattolica. Altri lo hanno fatto per protestare contro la diocesi a causa degli scandali legati agli abusi sessuale compiuto da chierici nella gran parte dei casi su bambini e adolescenti dello stesso del chierico, quindi attraverso atti pedofili omosessuali. Una parte degli abbandoni è giustificata anche dal progressismo (o modernismo che dir si voglia) imperante nelle diocesi tedesche che ha portato in molti a concentrare le loro attenzioni al mondo della tradizione.
Una considerazione è sicuramente da fare. In tutte le aree della vita umana, ecclesiale o secolare, quando un “dipartimento” offre “risultati” particolarmente deprimenti – e non si può pensare a cose più deprimenti di un diluvio di persone che ufficialmente lasciano la fede – il responsabile di solito è chi quel dipartimento lo dirige.
A maggior ragione quando si tratta di fede, ambito nel quale il mantenimento, o meglio l’aumento, dei fedeli dovrebbe essere il criterio tangenziale di ogni buon vescovo.
Inutile dire che non c’è stata alcuna presa di responsabilità del cardinale Reinhard Marx. Anzi, dalla diocesi parlano di “rinascita” che, oltre ad essere una falsa testimonianza che viola l’ottavo Comandamento divino, visti i numeri suona francamente come sarcasmo macabro e irresponsabile.

Matteo Orlando

I tradizionalisti costringono il laicista Macron a far ripartire il culto pubblico

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DI MATTEO ORLANDO

Avrà tempo fino al 26 maggio il Presidente francese Macron per tornare a consentire il culto religioso con i fedeli in terra di Francia. A sorpresa, anche un organo laicista come il Consiglio di Stato ha ordinato al governo francese di “revocare il divieto generale e assoluto di riunioni” nei luoghi di culto.

La notizia è stata accolta  con entusiasmo dai cattolici sui social media in un paese, la Francia, che di cattolico ha ben poco, oramai, ma che vede la rifioritura di numerosi gruppi cattolici ancorati alla tradizione bimillenaria della Chiesa e alla Santa Messa in latino.

Con una decisione inaspettata, il Consiglio di Stato, che è stato interrogato dal presidente del Partito Democratico Cristiano, Jean-Frédéric Poisson, e da altre associazioni cattoliche tradizionaliste, ha chiesto che il decreto dell’11 maggio venga modificato entro otto giorni dalla decisione del Consiglio (che è arrivata lo scorso 18 maggio).

Quindi per i fedeli cattolici questa decisione significa che le Sante Messe con il popolo potranno riprendere prima della domenica di Pentecoste, che quest’anno cade il 31 maggio. Resta da vedere, tuttavia, a quali condizioni riprenderà il culto cattolico e se, anche in Francia, si applicheranno quelle norme fantasmagoriche per consentire la libertà di culto e garantire la protezione della salute dei fedeli che sono state stabilite per l’Italia.

Il 24 aprile scorso la Conferenza episcopale francese aveva inviato un “piano di non confinamento” alle autorità pubbliche. Tuttavia, questo testo era stato ignorato dal governo, che il 28 aprile ha chiesto alle comunità religiose di attendere fino al 2 giugno per ricominciare il culto pubblico.

Mentre la Conferenza episcopale francese aveva scelto “la via amichevole anziché il contenzioso”, come ha pavidamente affermato Vincent Neymon, il suo vice portavoce al quotidiano Le Figaro (un blando tentativo era stato fatto il 15 maggio anche da Monsignor Éric de Moulins-Beaufort, presidente della Conferenza episcopale francese, che aveva inviato al governo una lettera relativa al decreto dell’11 maggio che aveva “la stessa conclusione ora adottata dal Consiglio di Stato”), il Partito Democratico Cristiano e diverse associazioni cattoliche tradizionaliste hanno scelto la via legale. 

L’insorgenza delle organizzazioni tradizionaliste ha ottenuto i suoi risultati e i cattolici francesi sono riusciti ad ottenere una sentenza favorevole del Consiglio di Stato.

Nei giorni scorsi varie critiche ai governi locali sono state sollevate per le sospensioni delle Sante Messe con i fedeli che continuano a prorogarsi in alcuni stati come la Gran Bretagna, i paesi Scandinavi e anche il minuscolo Lussemburgo dove è intervenuto il locale Arcivescovo, e Cardinale, Jean-Claude Hollerich.

E in Italia? La ripresa del culto pubblico con assurde pretese comportamentali spacciate per scientificamente valide ha sollevato, al momento, solo la reazione pubblica di qualche sacerdote e di due comitati. Il comitato EUCHARISTIAM GENIBUS “OMNE GENU FLECTATUR” ha scritto che “nessuno può negare a un fedele la Santa Comunione in bocca. La pratica della Chiesa in tempi di epidemia ben più gravi di quello attuale non lascia nessun dubbio ragionevole su questo punto. In più, se la cosa fosse davvero a rischio di contagio si dovrebbe vietare il bacio tra congiunti o familiari. Questo non l’abbiamo mai sentito né dallo stato né da uomini di Chiesa. Per queste ragioni, una tale disposizione manca di buon senso nonché di fondatezza scientifica. Siccome ragione e fede guidano la vita cattolica, ogni fedele è quindi fondato a fare rispettare questo diritto suo con ogni mezzo lecito”.

Più battagliero si è dimostrato il Comitato spontaneo di laici cattolici “beato Francesco BONIFACIO” per la difesa della SS. Eucarestia che ha annunciato, per il 23 maggio a Trieste, in Piazza Sant’Antonio Nuovo, alle ore 17.00, la recitato di un Santo Rosario in riparazione del Protocollo sacrilego sottoscritto dalla CEI in data 7 maggio 2020. Si tratta della prima manifestazione, in Italia, con la quale i fedeli fanno sentire la propria voce per riparare l’oltraggioso Protocollo avente ad oggetto la celebrazione della Messa in virtù del quale Nostro Signore Gesù Cristo non è più ricevuto come l’Ostia Santa Immacolata Incorrotto ed Incorruttibile ma quale possibile strumento di infezione! 

“Noi diciamo NO”, hanno scritto dal Comitato. “Ragione e fede concorrono nel dichiarare inaccettabili le disposizioni disciplinari imposte dal Governo circa la Messa cattolica e accettate dalla CEI. In particolare esse sono censurabili laddove viene reso obbligatorio un guanto per la distribuzione della Santissima Eucarestia e ove si impone ai fedeli la Comunione sulla mano così violando la legge universale della Chiesa che prevede la Comunione sulla lingua”.

 

Matteo Orlando

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