
DI MATTEO ORLANDO
I diversi arresti in provincia di Verona per un’organizzazione locale di ‘Ndrangheta, con sequestri per oltre 15 milioni di euro e il coinvolgimento di dirigenti locali e indagini aperte che vedono coinvolti vari personaggi eccellenti della città scaligera, ci portano a riflettere, dopo l’analisi sociologico-filosofico-religiosa dello scorso editoriale (vedi qui: https://www.agerecontra.it/2020/06/la-sana-fede-cattolica-per-lottare-contro-le-mafie/), sulla realtà concreta della ‘Ndrangheta che si sta insediando massicciamente nel centro-nord Italia.
La ‘Ndrangheta è, attualmente, l’organizzazione criminale più ricca e potente al mondo, soprattutto grazie al traffico internazionale di droga.
Nata in Calabria, la Ndrangheta è riuscita a espandersi in quasi tutti i continenti, soprattutto grazie alla sua struttura, basata sul vincolo di sangue, come bene hanno spiegato in vari libri il magistrato Nicola Gratteri e lo studioso di mafie Antonio Nicaso, libri che costituiscono la base di queste riflessioni.
Quella della ‘Ndrangheta è una struttura di sangue che, da sempre, la rende forte e impenetrabile. Si tratta di un legame che imprigiona con i suoi obblighi e che protegge l’organizzazione da possibili tradimenti. Infatti, pentirsi e denunciare i crimini della ‘Ndrangheta alla giustizia è quasi impossibile: significherebbe tradire i propri familiari. La famiglia di ‘Ndrangheta è formata da figli, fratelli, cugini, cognati, ma anche compari, persone alle quali si è legati per mezzo di battesimi, cresime e matrimoni. Quindi per gli ‘Ndranghetisti la cosa più importante è il legame di sangue, che diventa un tutt’uno con la stessa organizzazione mafiosa. I vincoli di parentela sono il frutto di vere e proprie strategie matrimoniali, con cui si accresce il potere della famiglia.
La ‘Ndrangheta, che non riesce a vivere senza il rispetto della gente che la teme, è nata nella seconda metà dell’800. Allora era nota con il nome di “picciotteria” e si era sviluppata, soprattutto, per la pratica dell’abigeato, cioè il furto del bestiame. Ben presto la Ndrangheta raggiunse le città, dove si organizzò per sfruttare i piccoli vizi dei contadini: giochi d’azzardo, alcool ecc. In seguito questi delinquenti vennero utilizzati anche per minacciare avversari di questo o di quel partito politico.
Decine di anni dopo la Ndrangheta passò dai furti di bestiame ai sequestri di persona (uomini, donne e bambini, rapiti al Nord e custodi nei luoghi impervi della Calabria), pratica che portò nelle casse della ‘Ndrangheta circa 400 miliardi delle vecchie lire, pari a 200 milioni di euro di oggi.
Negli ultimi decenni questi soldi ottenuti con i sequestri di persona sono stati investiti nel commercio internazionale della droga, il nuovo business che ha portato la ‘Ndrangheta a stringere rapporti con varie criminalità organizzate, come per esempio quelle dei colombiani, dei turchi, dei messicani, degli afghani e dei libanesi.
La mafia calabrese è diventato così sempre più temuta nel centro-sud America, dove ha i suoi brokers che, nei paesi caldo-umidi, vanno alla ricerca della cocaina per poi invadere i mercati europei.
I brokers della ‘Ndrangheta fanno arrivare l’eroina in Europa dall’Afghanistan, dal Kazakistan e dall’Uzbekistan. Mentre portano la cocaina acquistata in centro-sud America (Venezuela, Colombia, Ecuador, Perù, Bolivia, Messico) verso l’Europa tramite basisti in Spagna, Ghana, Sierra Leone, Namibia, Liberia, Senegal, Guinea Bissau, Mauritania e, soprattutto, Nigeria.
Per comprendere quanti soldi guadagna la ‘Ndrangheta grazie al traffico internazionale della droga è necessario citare una frase riferita dal grande giudice Nicola Gratteri che ha rivelato una conversazione tra due trafficanti intercettati dalla Polizia. Nell’audio si sente che uno diceva all’altro: “avevamo sotterrato 250 miliardi di lire. Ne abbiamo dovuti buttare 7-8 miliardi perché erano ammuffiti per l’umidità”…
Ma non di sola droga si alimenta la criminalità organizzata calabrese. La ‘Ndrangheta si occupa anche di tantissimi altri crimini come la richiesta del pizzo, l’usura, la tratta dei nuovi schiavi e l’immigrazione clandestina, il contrabbando, i giochi d’azzardo, il traffico di armi ed esplosivi, il controllo dei mercati agroalimentari e dell’import-export, la creazione e/o il controllo delle catene di ristorazione e delle strutture alberghiere, l’infiltrazione negli appalti pubblici, i reati catalogati nella dicitura “ecomafia”.
Da una intercettazione si è scoperto quanto gli ‘Ndranghetisti siano menefreghisti delle necessità e della sicurezza altrui. A proposito dei rifiuti radioattivi, che provenivano da ospedali e industrie, che spesso ancora oggi sono caricati su barche e poi affondate lungo le coste italiane, uno dei due ‘ndranghetisti ebbe a dire all’altro: “basta essere furbi, aspettare delle giornate di mare giusto e chi vuoi che se ne accorga”. Al rilievo dell’altro (“E il mare? Che ne sarà del mare se lo ammorbiamo?”) il primo criminale rispose: “ma sai quanto ce ne fottiamo del mare. Pensa ai soldi, che con quelli il mare andiamo a trovarcelo da un’altra parte”.
Ecco, cos’è la ‘Ndrangheta, “una struttura sociale di peccato frutto del Maligno” che da decenni usa i soldi ottenuti illecitamente investendoli nelle città del centro-nord Italia, per costruire alberghi, acquisire ristorante, gestire commerci, creare società di import-export e centri commerciali, infiltrarsi nelle controllate comunali ecc. La Ndrangheta cerca in tutti i modi di aggiudicarsi appalti, licenze edilizie, aree edificabili, e non teme di mettere le mani sui sistemi agroalimentari, esercitando anche il controllo dei mercati ortofrutticoli. Inoltre, la Ndrangheta opera in borsa acquistando azioni di società importanti. Negli ultimi tempi la Ndrangheta è particolarmente attiva nel campo del riciclaggio del denaro sporco, aiutata da prestanome che non hanno mai avuto problemi con la giustizia.
Come la mafia siciliana (“Cosa Nostra”) e la Camorra campana, anche la ‘Ndrangheta calabrese cerca di occupare gli spazi che la società non presidia, che non difende a sufficienza. Così gli ‘ndranghetisti si infiltrano nelle amministrazioni comunali, provinciali e regionali, nel circuito degli appalti, dell’economia. Gestiscono il potere nelle aziende sanitarie locali, nelle imprese private, nelle banche. Fanno vincere i concorsi e raccomandano le persone di propria fiducia. Chi entra negli enti locali, in Parlamento, con i voti della ‘Ndrangheta deve poi garantire appalti, contatti, favori. Il tutto, naturalmente, con la massima prudenza. I mafiosi della ‘Ndrangheta non amano mostrare il loro potere, la loro ricchezza. I boss vivono in mezzo alla gente normalmente, senza caratteristiche esteriori particolari.
Per raggiungere i loro obiettivi (arricchimento, potere e impunità), gli ‘ndranghetisti necessitano di avere rapporti con esponenti del mondo politico, imprenditoriale, economico-finanziario, investigativo-giudiziario, ossia con tutti quei soggetti rientranti nella categoria della cosiddetta “borghesia mafiosa”, formata da soggetti insospettabili in grado di assicurare ai criminali specifici servizi e relazioni. Agli ‘ndranghetisti, infatti, interessa fare affari, riciclare capitali illeciti, esercitare il potere e arricchirsi, riducendo non solo i costi economici ma altresì quelli di carattere penale (carcere e confisca dei beni). Il massimo guadagno va ottenuto con il minor costo, compresa l’impunità. Agiscono secondo una logica utilitaristica: tutto quello che conviene all’organizzazione va fatto, tutto quello che nuoce o può nuocere alla stessa va evitato. Per questo, specialmente nel centro-nord Italia, utilizzano con molta attenzione la violenza. Quest’ultima, se usata in forme tali da creare un elevato allarme sociale, attira l’attenzione dei mass media, delle forze dell’ordine, della magistratura. In questo modo i rischi legati alla possibilità di essere arrestati e di vedersi confiscare le ricchezze accumulate aumentano sensibilmente. Gli ‘ndranghetisti, dunque, utilizzano le armi soltanto quando con altri strumenti (corruzione, intimidazione e minaccia) non riescono a raggiungere i fini prestabiliti. Quando le armi tacciono è segno che tra gli ‘ndranghetisti e le persone che con loro sono in qualche forma di rapporto si è trovato un punto di equilibrio che soddisfa tutte le parti in gioco e gli affari, illeciti e “leciti”, si possono svolgere senza ricorrere all’omicidio. È proprio quando non uccide che questa forma di mafia sta facendo grandi affari, magari in qualche salotto buono. Come è noto il potere della ‘Ndrangheta si fonda principalmente sulla segretezza, sull’omertà, sul silenzio ed un elemento da considerare è costituito anche dalla capacità di questa organizzazione criminale di coniugare la tradizione (così, per esempio, si entra in una ‘Ndrina, la famiglia mafiosa, sottoponendosi ad un rito di affiliazione, pronunciando un giuramento solenne nell’ambito di una cornice altamente simbolica e codificata, in cui si fa ricorso ad immagini e formule sacre) alla modernità (tanto che la ‘Ndrangheta si comporta come una vera e propria impresa, come una holding economico-finanziaria che agisce a livello nazionale e internazionale, unendo alle classiche attività illecite anche la capacità di inserirsi nel sistema economico e politico di un determinato territorio).
Ultimamente, a causa della crisi economica che sta colpendo il mondo intero a causa della pandemia da Coronavirus, la ‘Ndrangheta ha cominciato ad infiltrarsi in aziende e ditte che hanno un bisogno disperato di finanziamenti. La crisi post lockdown sta spalancando le porte delle aziende del centro-nord alla ‘Ndrangheta.
Purtroppo la maggior parte della gente che vive nelle regioni del centro-nord Italia crede ancora che la ‘Ndrangheta sia un problema che riguarda solo la Calabria. Invece questa forma di mafia sta mettendo le sue radici nelle maggiori città italiane dove reinveste, costruisce, presta denaro e accumula capitale rovinando l’economia onesta, di certo non competitiva di fronte a quella criminale. Con i soldi i criminali comprano i migliori cervelli su piazza per architettare strutture societarie occulte dietro imprese legali di copertura. In questo modo l’impresa criminale diventa impresa economica. È un giro vorticoso e reticolare che finisce per risucchiare l’economia sana, costretta a cedere sotto i colpi di un sistema con il quale non può competere. La ‘Ndrangheta parte con denaro a costo zero, senza chiedere nulla alle banche. Chi è pulito, va chiaramente fuori mercato.
Inutile sottolineare che nella lotta alla ‘Ndrangheta la società civile ha un ruolo enorme, anche se la questione morale sembra impallidita, se non eclissata, e così la ‘Ndrangheta si insinua sempre più nel centro-nord Italia e all’estero (Canada, Stati Uniti, Australia, Venezuela, Colombia, Africa, Spagna, Olanda, Belgio, Francia, Germania, Romania, Ungheria, Polonia ecc.).
Come abbiamo visto dall’ultima indagine venuta alla luce in terra veronese, sono presenti anche nel centro-nord Italia famiglie di ‘Ndrangheta, vere e proprie “ndrine” (cosche, famiglie) guidate, ognuna, da un “capobastone”. E quando in un comune ci sono più ‘ndrine si parla di “locale”, retto da tre persone, denominati la “copiata”: il “capobastone” (il quale ha potere di vita e di morte sui suoi uomini ed ha il diritto all’obbedienza assoluta), il “contabile” (addetto alle finanze), il “capo-crimine” (responsabile dell’organizzazione di tutte le azioni delittuose).
Bisogna svegliarsi. Gli amministratori locali e i responsabili dei settori economici pubblici e privati devono spalancare bene gli occhi. I politici e la società civile dovrebbero cominciare a fare le “sentinelle”, gli avamposti della legalità. Ma temiamo che prima che accada tutto ciò la maggior parte dell’economia del centro-nord sarà in mano alle mafie, in primis la ‘Ndrangheta.
MATTEO ORLANDO