Charles Coughlin profeta della destra sociale americana

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REX

Inizia oggi la collaborazione con il nostro Circolo Christus Rex il giovane dott. Fabio Fioresi, laureato in giurisprudenza. Gli articoli sono di www.agerecontra.it ma è possibile riprendere in tutto o in parte citando la fonte.

di Fabio Fioresi

Quando si parla di destra sociale si pensa subito all’Italia con il fascismo ma spesso ci si dimentica che anche negli States naque un movimento similare che univa un’impostazione  nazionalista-cristiana con una marcata vena sociale: questa è la storia in breve di padre Charles Coughlin.

Nato in Canada nel 1891 divenne prete negli anni 20 ed poi venne trasferito nell’arcidiocesi di Detroit allora centro industriale dell’automobile del Nord America.

Iniziarono subito contrasti con I gruppi di potere della città, tra I più famosi ci fu il ku klux klan che più volte tentò d’intimidire il sacerdote dalla sua lotta contro il razzismo imperante; creò la prima radio per I suoi sermoni domenicali ma ben presto passo ad analisi economiche ed politiche; benchè fosse un cattolico integrale filomonarchico (filodittatoriale) era molto vicino alle istanze dei lavoratori ed arrivo ad chiedere la nazionalizzazione delle banche e delle grandi industrie.

Inizialmente sostenitore del New Deal ne divenne presto un’acerrimo oppositore date le riforme troppo timide.

Negli anni 30 si alleò con Huey Long meglio noto come il Mussolini americano, storico governatore della Lousiana, noto per aver vinto contro I Rockfeller in tribunale.

Entrambi critici verso l’imperialismo americano ed il sistema finanziario capitalistico, furono una vera spina nel fianco di Roosvelt ed dei super capitalisti americani, fino alla morte di Long assassinato a Baton Rouge nel 1935; Coughlin cercò di far rimanere il partito attivo ma perse sempre più di significato fino alla sua morte negli anni ’70.

Quali erano le proposte di Long e Coughlin che spaventarono cosi tanto l’establishment americano:

1) Nazionalizzazione della Federal Riserve

2) Nazionalizzazione del Sistema sanitario.

3) Nazionalizzazione delle grandi riserve di capitale finanziario.

4) Se possibile abolire la democrazia ed instaurare una dittatura sul modello italiano (Papale secondo le idee di Couglin)

5) Combattere il giudaismo internazionale

6) Combattere il Ku Klux Klan, I comunisti ed I sostenitori di eugenetica ed liberati capitalisti

7) Se possibile mettere il cristianesimo cattolico come religione di Stato (da parte di Coughlin)

8) Desegregare le città

9) Piano quinquennale di industrializzazione, costruzione d’infrastrutture in tutto il paese.

10) Conversione delle aree desertiche degli States in zone fertili.

11) Amicizia con il Giappone imperiale ed isolazionismo negli affari internazionali.

12) Fiat money su base d’argento.

L’Ue se ne faccia una ragione: gli ungheresi vogliono Orban

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di Francesco Giubilei

Il premier magiaro eletto di nuovo con un’ampia maggioranza: “Vittoria che si vede da Bruxelles”

Viktor Orban riconfermato primo ministro dell’Ungheria con oltre il 50% dei voti. Nulla da fare per la grande coalizione contro il premier magiaro, il quale ieri ha parlato di una “vittoria così grande che si può vedere dalla Luna” e soprattutto da Bruxelles.

Ci sono alcune cose da notare sull’esito di questa tornata elettorale.

  1. Primo, l’opposizione già prima dell’apertura delle urne parlava di possibili brogli, denunce rilanciate anche dai media italiani. Il castello (di carta) viene giù però nel momento in cui la vittoria di Orban è così schiacciante che renderebbe addirittura superflui eventuali tentativi di truccare il voto.
  2. Secondo, ieri si sono svolte anche le elezioni in Serbia dove è uscito vincitore Vicic, un dettaglio che rinsalda il legame tra Budapest e Belgrado: un blocco geopolitico che potrebbe diventare alternativo all’interno dell’Unione Europea.
  3. Terzo, bisogna ammettere che la linea portata avanti da Orban è quella più vicina alle sensibilità e alle esigenze del popolo ungherese, anche se è diversa da quella che sognano gli intellettuali italiani.

In questo video vi racconto cosa è successo in Ungheria nel giorno della riconferma di Orban a primo ministro.

Francesco Giubilei, 4 aprile 2022

Robert Brasillach e Léon Degrelle: due vite, una storia

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PERIODICO “REX” DI AGERECONTRA.IT 

IL GHIBELLINO (Blog de Il Giornale online)

di Cristiano Puglisi

Nel 1936 Robert Brasillach, poeta e scrittore francese che morirà fucilato in seguito a una condanna di collaborazionismo con il nemico nel febbraio del 1945, aveva 27 anni. Léon Degrelle, energico fondatore del movimento rexista in Belgio, ne aveva invece solamente tre in più. L’incontro tra queste due personalità così giovani e dinamiche e accomunate da scelte oggi ritenute controverse, pur se differenti (Brasillach, divenuto appena 22enne responsabile delle pagine letterarie dell’Action Française, dopo essere stato definitivamente conquistato dai movimenti fascisti in seguito a un viaggio per l’Europa nel corso degli anni Trenta, svolgerà la sua battaglia essenzialmente in campo culturale, mentre il belga arriverà addirittura a indossare l’uniforme sul fronte dell’Est nel corso della Seconda guerra mondiale), ha prodotto un volume, “Léon Degrelle e l’avvenire di Rex”, che oggi, a distanza di un quarto di secolo, Cinabro Edizioni ripropone al pubblico in un’edizione con prefazione di Mario Michele Merlino.

Il piccolo saggio contiene le riflessioni di Brasillach su quella sfrontata e fiera esperienza politica, all’epoca ai suoi albori, ma anche sulla personalità e le idee di Degrelle: dall’infanzia trascorsa nel borgo di Bouillon, dove il padre esercitava il mestiere di birraio, all’avvicinamento al pensiero di Charles Maurras, proseguendo poi con gli anni trascorsi all’università di Lovanio e con le esperienze giornalistiche anche oltre Atlantico (in particolare a fianco dei cristeros messicani) e, infine, le avventure editoriali con Christus Rex e la fondazione del quasi omonimo partito politico. Di Degrelle emerge, in particolar modo, la forte tensione al sociale, dimenticato, secondo il fondatore del rexismo, dai partiti borghesi a vantaggio dei movimenti marxisti, realtà, nella sua visione, egualmente nociva rispetto a quella dei “marci”, i politici moderati collusi con le lobby economiche.

Brasillach e Degrelle, dunque. Due esistenze parallele, due figure tragiche, ciascuna a modo loro, che però terminarono l’esperienza terrena in maniere ben differenti: detto del primo, il secondo, paradossalmente, pur avendo avuto una vita ben più avventurosa, terminò serenamente la sua esistenza da esule in Spagna, a Malaga, all’età di 87 anni. Questo volume, come spiega la stessa casa editrice che lo ha riproposto, è la “narrazione evocativa dell’incontro di due strade, di due destini, di due giovani, attratti inesorabilmente da un unico comune sentire

https://blog.ilgiornale.it/puglisi/2022/03/23/robert-brasillach-e-leon-degrelle-due-vite-una storia/&ct=ga&cd=CAEYACoUMTMwNjI2MDY2OTg5NTAxMTQzODkyGTRlZWExZDZiM2YzNjJmNGE6aXQ6aXQ6SVQ&usg=AFQjCNE7YDl3TF1FsbD2QS9K1WRBP98wBQ

 

 

Zelensky salito al potere con un colpo di Stato, la guerra è tra Russia e Nato

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di Luciano Canfora

Fonte: Il Riformista

Una voce fuori dal coro. Per “vocazione”. Controcorrente, anche quando sa che le sue considerazioni si scontrano con una narrazione consolidata, mainstream. Luciano Canfora, filologo, storico, saggista, professore emerito dell’Università di Bari, membro del Consiglio scientifico dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana e direttore della rivista Quaderni di Storia (Dedalo Edizioni), è così. Sempre stimolante, comunque la si pensi. E le sue riflessioni sulla guerra d’Ucraina ne sono una conferma.

a cura di Umberto De Giovannangeli

Professor Canfora, in queste drammatiche settimane, in molti si sono cimentati nel definire ciò che sta avvenendo ad Est. Qual è la sua di definizione?
Punto uno, è un conflitto tra potenze. È inutile cercare di inchiodare sull’ideologia i buoni e i cattivi, le democrazie e i regimi autocratici… Ciò che sfugge è che il vero conflitto è tra la Russia e la Nato. Per interposta Ucraina. Che si è resa pedina di un gioco più grande. Un gioco che non è iniziato avanti ieri ma è cominciato almeno dal 2014, dopo il colpo di Stato a Kiev che cacciò Yanukovich. È una guerra tra potenze. Quando i vari giornaletti e giornalistucoli dicono ecco gli ex comunisti che si schierano…Una delle solite idiozie della nostra stampa. Io rivendico il diritto di dire che le potenze in lotta sono entrambe lontane dalla mia posizione e dalle mie scelte, perché le potenze in lotta fanno ciascuna il loro mestiere. E né gli uni né gli altri sono apprezzabili. Nascondere le responsabilità degli uni a favore degli altri è un gesto, per essere un po’ generosi, perlomeno anti-scientifico.

C’è chi sostiene che per Putin la vera minaccia non era tanto l’ingresso dell’Ucraina nella Nato o la sua adesione all’Ue, quanto il sistema democratico che in quel Paese ai confini con la Russia si stava sperimentando. Lei come la pensa?
Usiamo un verso del sommo Leopardi: “Non so se il riso o la pietà prevale” dinanzi a schemi di questo tipo…

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“Se Putin finisce all’angolo si rischia di allargare il conflitto”, parla Alessandro Minuto-Rizzo
Dalla poesia alla prosa…
Se dobbiamo ritenere che sia democratico chi arriva al potere dopo un colpo di Stato, perché quando in Ucraina fu cacciato il governo in carica quello era un golpe, come quello di al-Sisi in Egitto contro i Fratelli Musulmani. Ognuno è libero di dire le sciocchezze che vuole ma adoperare queste categorie per salvarsi la coscienza, è cosa poco seria. Il figlio di Biden è in affari con Zelensky. Zelensky è un signore che dice di voler combattere per degli ideali, ma questi ideali hanno anche dei risvolti meno idealistici…

Vale a dire?
Il Guardian, non la Pravda, nell’ottobre del 2021 fece un ritratto di Zelensky, dal punto di vista affaristico, molto pesante. Incitiamo i nostri simpatici gazzettieri ad andarsi a leggere il Guardian dell’anno passato per avere un ritratto realistico di Zelensky. Dopodiché non mi scandalizzo, perché quando si usano le parole libertà e democrazia c’è odore di propaganda lontano un miglio. O parliamo seriamente o facciamo propaganda. La propaganda peraltro è cosa molto seria, basta non crederci.

C’è chi accusa la Russia di disinformatia…
Beh, anche il nostro apparato informativo è spaventoso, da quel punto di vista lì. Non ho nessuna tenerezza per la disinformatia russa, però lo spettacolo della nostra stampa, cartacea e televisiva, è peggio del Minculpop. A confronto il Minculpop è un’Accademia dell’Arcadia. Una stampa con l’elmetto, in cui dalla mattina alla sera non si fa altro che blaterare, urlare, protestare, piangere, sentenziare, per creare una psicosi di massa. Devo confessarle che nonostante ne abbia viste tante in vita mia, sono rimasto piuttosto stupito di cotanta prontezza, che fa pensare ad a ordini precisi, con cui la stampa si sia messa l’elmetto. Una cosa francamente penosa. Anche nella psicologia diffusa. Le racconto questa: l’altro ieri ho incontrato un tizio per la strada che mi ferma e mi dice: “Professore, ma lei cosa pensa di quel pazzo di Putin?”. “Qualche responsabilità c’è anche dall’altra parte”, gli rispondo. “Ah”, dice, “ma allora lei la pensa come me”. Questo è un episodio emblematico. Siamo arrivati all’autocensura per timore di scoprirsi. Come durante il fascismo, quando si diceva ma allora anche Lei è contro… Siamo ridotti a questo. Lanciamo almeno un campanello d’allarme affinché la stampa ridivenga dignitosa. Se ce la fa.

I pacifisti che hanno manifestato sabato scorso a Roma, sono stati additati da più parti come dei “filo-Putin”…
È maccartismo puro. Non mi stupisce questo, una volta si diceva sono pagati per questo. È talmente in malafede dire una cosa del genere che non merita neanche un’argomentazione complessa. Perché rivela da sé la natura maccartistica, persecutoria, isterica, di falsa coscienza di una tale valutazione. È chiaro che tutti auspichiamo che si torni a una vera situazione pacifica. Ma ricordiamoci il passato, però…

Ricordiamolo, professore.
Gorbaciov auspicò la Casa comune europea. E fu respinto. Aggiungiamo anche che dopo la disintegrazione dell’Unione Sovietica, nacque la Comunità degli Stati Indipendenti, di cui facevano parte l’Ucraina, i Paesi baltici, l’Asia centrale russa, la Georgia. La Comunità degli Stati Indipendenti è un concetto. Comunità vuol dire qualche cosa. Se tu dopo un colpo di Stato, quello del 2014, cominci a chiedere di entrare nella Nato, stai disattendendo un impegno preso non molti anni prima. Ci vuole una Conferenza per la sicurezza europea. Una via di uscita. Se esistesse l’Unione Europea, che purtroppo non esiste, la soluzione sarebbe quella di prendere una iniziativa per una Conferenza per la sicurezza in Europa. Di cui gli Stati Uniti non fanno parte. Invece l’Europa è ingabbiata dentro la Nato il cui vertice politico e militare sta negli Stati Uniti. Il comandante generale della Nato per statuto deve essere un generale americano. Il segretario generale della Nato per entrare in carica, anche se si chiama Stoltenberg ed è norvegese, deve avere il placet del governo degli Stati Uniti. Imbavagliati così, balbetteremo sempre.

In queste settimane di guerra, ci si è molto esercitati nella decodificazione dei vari discorsi pronunciati da Putin, nei quali il presidente russo ha evocato la Grande Guerra Patriottica, la Madre Terra Russia, il panrussismo etc. Da storico: non c’è da temere quando un politico, soprattutto se questo politico ha in mano una potenza nucleare, sembra voler riscrivere la Storia?
Questo mi pare evidente. Solo che il paragone storico più calzante sarebbe un altro…

Quale?
Quello che un ottimo studioso italiano, Gian Enrico Rusconi, quando la Nato si affrettò a disintegrare la Jugoslavia, intitolò un suo libro, un bel libro, a riguardo Rischio 1914. Ci siamo dimenticati che dopo la disintegrazione dell’Unione Sovietica, la Nato ha voluto, pezzo a pezzo, mangiarsi lo spazio intermedio fino ai confini della Russia? E il primo ostacolo era la Jugoslavia. E quando ci fu la secessione della Croazia, analoga se vogliamo alla secessione del Donbass, il primo a riconoscere il governo croato fu il Papa e il secondo fu il governo federale tedesco. E tutti applaudivano. La secessione della Croazia era un gioiello, una bellezza. Adesso la secessione del Donbass è un crimine. Rischio 1914. Lo dico con allarme. Sul Corriere della Sera, una voce sensata, quella di Franco Venturini, dice: ma ci rendiamo conto che Zelensky sta continuando a chiedere l’intervento militare della Nato, cioè vuole la Terza guerra mondiale…Ce ne rendiamo conto o no?

Lei come giudica la decisione del governo italiano di inviare equipaggiamenti militari all’Ucraina?
L’Unione europea, che purtroppo non esiste, avrebbe dovuto avere una politica unica su questo come su altri terreni. È piuttosto sconcertante e politicamente sbagliato che ognuno vada per conto suo. Nel caso particolare l’Italia vuole fare la prima della classe. Spero che si mantenga entro limiti accettabili per la controparte, stante che noi abbiamo in casa le basi Nato. Se continuiamo a scherzare col fuoco, facciamo quello che Zelensky insistentemente chiede. A questo proposito mi permetto di raccontare una cosa che peraltro è verificabile. Giorni fa, sulla Rete Tre della televisione, in un talk show c’è in studio una studiosa ucraina, e viene mandato in onda un discorso di Zelensky che viene tradotto, in simultanea, in italiano. A un certo punto, la studiosa ucraina dice “attenzione, la traduzione è sbagliata”, perché lui sta dicendo altro. “E che sta dicendo, le chiede la conduttrice?”. “Sta dicendo che bisogna che la Nato intervenga militarmente”. La traduzione voleva occultare questo. Figuraccia della televisione italiana. Rischiamo di raccontarle queste cose, perché tra breve, non so, leggeremo il Vangelo secondo Riotta? Spero di no.

Se qualcuno alzasse l’indice accusatorio e dicesse: ecco, il professor Canfora ha svelato di essere un nostalgico del tempo che fu…Come risponderebbe?
Io non credo di aver manifestato nostalgie nel momento che mi sono più volte espresso intorno agli scenari conseguenti alla sconfitta dell’Unione Sovietica nella Guerra Fredda. Nessuno, però, può toglierci il diritto di dire quello che ha scritto, poco prima di morire, Demetrio Volcic. E cioè che la situazione di equilibrio esistente al tempo delle due super potenze, garantiva la pace nel mondo. Demetrio Volcic. Spero che sia considerato al di sopra di ogni sospetto.

RISCOPRIAMO JOSE’ ANTONIO PRIMO DE RIVERA: El Cid in camicia azzurra

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I caduti per la Tradizione e per la sua Rivoluzione sono molti, e non tutti sono conosciuti. Per questo meritano l’attenzione di noi vivi, per essere riscoperti e cercati affinché questo mondo non perda coraggio e il loro percorso terreno non sia visto come “casuale” per finire disperso, poi, come cenere nell’aria. C’è un disperato bisogno di eroi, è il cielo che con la sua pioggia incessante ce lo urla, è la vita quotidiana che con le continue restrizioni che subisce ce ne sta dando atto, sono le voci di tutti quei caduti, ribelli, rivoluzionari, camerati ed eroi d’altri tempi che ci chiamano silenziosamente ma con forza all’appello. Perché l’antica catena che ci lega ai nostri avi non si interrompa, e questo mondo non sprofondi definitivamente nel baratro dell’anti-tradizione, senza più radici e valori, ma solo con dati digitali e chiacchiere.

Per questo la figura limpida, solare, sconosciuta quanto stupefacente di Josè Antonio Primo de Rivera e del suo movimento – la Falange spagnola – sono per noi figure degne di ricordo e meritevoli di una riscoperta che, siamo certi, possono indicare ancora oggi una strada per una concreta rinascita, oltre la crisi a cui il sistema ci sta imponendo di soccombere.

È il 20 novembre 1936, la guerra civile che dilania le membra della millenaria Spagna e del suo popolo è iniziata solo da 4 mesi, ma i morti e la durezza della guerra sono all’ordine del giorno. Il giovane Josè Antonio Primo de Rivera è stato incarcerato dal governo comunista perché colpevole di essere il capo del movimento che dà più filo da torcere alla dittatura che vorrebbero instaurare in Spagna. La “Falange” infatti è un movimento giovanile e rivoluzionario che, basandosi sulla difesa dell’identità della Spagna Cristiana, raccoglie attorno a sé giovani, uomini e donne, lavoratori, soldati, intellettuali, unendo il popolo sotto i simboli e i valori della Tradizione e sbalordendo così chi vorrebbe fare della Spagna una terra atea e lontana dal suo antico retaggio di cultura e bellezza spirituale per abbracciare la retorica (malata) del comunismo e dell’anarchia. Il popolo è diviso in una guerra che vede contrapposti padri e figli, nonni e nipoti, fratelli e sorelle, fronteggiandosi a vicenda.

Primo de Rivera, consapevole delle sue radici, vuole pacificare il suo popolo e ridargli “Patria, pane e Giustizia” attraverso la lotta che la Falange svolge in tutta la nazione. Ha 33 anni ed è già un avvocato di successo; ma la lotta che ha deciso di intraprendere per la liberazione della Spagna vale più della sua stessa vita. È ispirato dagli eroi nazionali e dai Santi che lo hanno preceduto: è figlio di una visione del mondo solare, non vuole e sente di non poter vedere morire la sua terra, ammalatasi per mano dei pigri e degli indolenti, dei capitalisti e degli approfittatori, nonché di tutti quelli che vedono nel materialismo la sola ragione di vita, ergendo il comunismo a nuovo vangelo e la divisione ideologica come nuovo modo di costruire la società. Primo de Rivera era l’avvocato dei poveri: anche se di buona famiglia non era interessato ad altro che non fosse la crociata per riconnettere spiritualmente la Spagna e le sue popolazioni a quell’antica eredità e missione che l’ha fatta trionfare e splendere.

Con i suoi discorsi ha infuocato gli animi, con gli articoli ha illuminato le menti dei suoi connazionali. I falangisti, lottando nelle strade delle città e dei villaggi, riuscirono a dar vita al solo movimento anti-ideologico, nato per superare le categorie politiche e le loro divisioni, per ridare pace e forza alla terra di Spagna contro gli interessi dei politicanti che stavano giocando sulle vite e le speranze del popolo. Da questo si può capire perché questo giovane spagnolo fosse soprannominato “el Cid in camicia azzurra”: el Cid come il mitico cavaliere e condottiero medievale spagnolo, vissuto tra il 1040 e il 1099, pseudonimo di Rodrigo Díaz de Bivar, nobile castigliano, guerriero e figura leggendaria della Reconquista spagnola, signore di Valencia dal 1094 fino all’anno della sua morte. E “in camicia azzurra” perché quella fu la divisa scelta dai falangisti per identificarsi. Un nuovo eroe era nato e stava vivendo in Spagna. La sua vita era per la lotta e questa era dedicata alla nuova “Riconquista” religiosa ed eroica del paese.

Ma proprio il 20 Novembre del 1936, a soli 33 anni, il fondatore della Falange spagnola baciava col sangue il suolo della sua amata terra, seguendo lo stesso percorso degli eroi nazionali che nei secoli lo hanno preceduto, e che lo hanno ispirato all’azione durante la vita.

«Vogliamo meno chiacchierio liberale e più rispetto per le vere libertà dell’uomo. Perché si rispecchia la libertà dell’uomo solo quando lo si considera, come noi lo consideriamo, il portatore di valori eterni; quando lo si considera come l’involucro corporeo di un’anima che è capace di condannarsi o di salvarsi. Solo quando si considera così l’uomo, si può dire che si rispetta veramente la sua libertà e ancora di più se questa libertà si completa (come noi vogliamo) in un sistema di autorità, di gerarchia e di ordine».

Con queste parole, solo 3 anni prima della sua fucilazione, Primo de Rivera dava vita al movimento Falangista, e anche se la sua giovane vita venne spezzata dalla scarica dei fucili nemici, i suoi camerati non si fermarono.

 

 

Nei tre lunghi anni di guerra civile il vasto lavoro culturale e il martirio di José Antonio e di molti altri suoi legionari non fu vano, infondendo nei falangisti ardore e determinazione che, appunto, permetterà alla parte migliore del popolo spagnolo la tanto profetizzata “Reconquista” contro i barbari nemici al servizio dell’anti-tradizione.

Per questo è giusto ricordare un passo dell’inno della Falange che veniva cantato, liberando dal comunismo le città divenute trincee:

«Se ti dicono che sono caduto,

me ne sono andato al posto che c’è lì per me.»

Ad 85 anni dal sacrificio, la figura di José Antonio Primo de Rivera non può che brillare ed indicarci la strada da seguire, in un mondo così buio.

La vera natura di noi italiani

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di Matteo Brandi 

Fonte: Sfero

Ci fu un periodo storico in Italia, lungo almeno tre secoli, durante il quale vissero personaggi come Leonardo, Michelangelo, Borromini, Raffaello, Bernini, Donatello, Brunelleschi, Caravaggio…
Ora, non stiamo parlando di semplici “esperti di settore”, ma di geni assoluti. Uomini con capacità straordinarie, dal gusto estetico divino e dall’estro unico. Artisti in grado di coniugare lo studio dell’anatomia umana nella pittura a quello dell’armonia nell’architettura, con l’ambizione di lasciare un segno indelebile.
Sono personalmente fiero di essere stato tra i primi ad aver posto con forza l’accento sul problema dell’autorazzismo, ma ciò che a molti non è ancora chiaro è l’aspetto decisamente pratico della faccenda. I momenti in cui l’Italia ha brillato sono stati quelli in cui il genio italico è stato esaltato, non soffocato. L’ultimo di questi periodi lo abbiamo vissuto nel dopoguerra, con il fiorire dei grandi marchi italiani e del Made in Italy nel mondo.
Perché oggi il nostro paese sta vivendo nella decadenza? Perché gli italiani sono umiliati. Perché una vocina sempre accesa sussurra al loro orecchio le parole d’ordine dell’esterofilia e dell’autocommiserazione. Questo getta secchiate d’acqua su ogni fiammella di rinascita, ed è voluto.
Siamo un popolo che non conosce mezze misure: o si esalta o si deprime. Leggete i grandi commentatori e pensatori della nostra Storia, da Machiavelli ai giorni nostri, e troverete sempre la stessa analisi sugli italiani. Siamo la terra dell’io e non del noi. Ma questa caratteristica può essere un punto di forza, se ben indirizzata. Gli evergeti hanno reso immortali le nostre città al pari dei grandi imprenditori e dei sinceri uomini di Stato, coniugando la ricerca della gloria personale a quella della collettività.
Curiosamente, questo sistema fu collaudato anche dall’Antica Roma. Le varie gentes romane, come le famiglie rinascimentali dei secoli successivi, contribuirono al successo di Roma con la propria sete di immortalità. Gli Scipioni come i Colonna, i Fabi come gli Sforza, i Giulio-Claudi come i Medici. Battaglie vinte e palazzi costruiti, province conquistate ed opere compiute.
Ambizioni personali per la grandezza collettiva e nessun sentimento di inferiorità verso il resto del mondo. Questo, in Italia, funziona. E funziona talmente bene dal cambiare ogni volta la Storia del globo.
Forse, prima di chiederci cosa dovremmo fare per risorgere, noi italiani dovremmo iniziare a domandarci chi siamo e cosa, da sempre, ci contraddistingue davvero.

L’autorazzismo e lo scimmiottamento dello straniero sono erbacce che celano la nostra vera natura.

La storia di Mussolini diventa serie tv: la Boldrini abbatterà le antenne?

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di Chiara Soldani

Il romanzo su Mussolini diventerà una serie tv: con buona pace di Fiano, Boldrini e Saviano (la lista continua, ovviamente). La casa di produzione Wildside ha infatti acquisito i diritti di “M. Il figlio del secolo” di Antonio Scurati (edito Bompiani). Così, il libro che tratta dell’ossessivamente citato “fascismo”, troverà trasposizione televisiva: ma senza intaccarne la bontà letteraria. Pagine che testimoniano, con dovizia di particolari, fatti storici senza il fantasioso intervento dell’autore.

Scurati ha ricostruito fedelmente la storia d’Italia dal 1919 al 1925: dalla fondazione dei Fasci italiani di combattimento al delitto Matteotti. Documenti storici che supportano la narrazione: l’autore pone al centro del libro, un Mussolini impegnato nel dar forma al suo progetto rivoluzionario. Ne traccia, inoltre, un ben delineato profilo psicologico. Un’idea chiarissima di Italia e d’italianità, quella del Duce: “Nell’ordine l’Italia deve prima conquistare se stessa. Ecco il compito del fascismo. È necessaria la vittoria dello spirito se vogliamo rinnovare la nazione per lanciarla sulla via del suo più grande imperiale destino”.

Opera intrisa di realismo, con inserti documentali: articoli, comunicati ufficiali, corrispondenze epistolari. Grande, il lavoro di Scurati: nessuna invenzione ma fatti ricostruiti e restaurati, con la cura propria artigianale. Ad oggi, ancora nessuna indiscrezione circa  tempi di produzione, cast e data di uscita. In un periodo (che da troppo si protrae) di grandi censure e fantasiose ricostruzioni (riferimento a recenti fatti non puramente casuale), libro e serie tv su Mussolini sono una bella vittoria: nella partita contro il politicamente corretto. Avanti così.

Fonte: https://www.ilprimatonazionale.it/cultura/la-storia-di-mussolini-diventa-serie-tv-la-boldrini-abbattera-le-antenne-93755/ Continua a leggere

Putin: E’ mio dovere attaccare il “Nuovo Ordine Mondiale” per aver fatto degradare i “valori della famiglia”

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di  Alejandro Sanchez

Putin: E’ mio dovere attaccare il Nuovo Ordine Mondiale per aver fatto degradare i “valori della famiglia”.
La società sadica di de Sade e le basi del pensiero antinaturale-morale-etico-logico

Putin: Come capo di stato mio dovere mantenere i valori tradizionali e i valori della famiglia tradizionale.Questo perchè? Perchè i matrimoni dello stesso sesso non produrranno alcun bambino. Dio ha deciso e dobbiamo preoccuparci per il tasso di natalità nel nostro paese. Dobbiamo rafforzare le famiglie. Questo non significa che ci sia persecuzione contro alcuno”.

Putin ha dato un colpo fondamentale all’ideologia che sottintende al Nuovo ordine Mondiale rispetto ai valori familiari. Semplicemente questa non potrà essere migliore.
Questo vale tanto per Sigmund Freud, che per Wilhelm Reich, per Aleister Crowley, per Timothy Leary, per Betty Friedan, per Gloria Steinem, per Eve Ensler, per Rosa Luxemburg, per Andrea Bronfman e per altri teorici che vedevano i valori familiari come una minaccia per la civilizzazione. Da notare che la proposta di Putin si compone di due parti: 1) Nessuno ha diritto ad attaccare i valori della famiglia e 2) nessuno ha diritto a perseguitare le persone per causa del loro orientamento sessuale.

Questa in realtà è una concezione della vita ed è perfettamente congruente con la ragione pratica. Il fatto triste è che ci furono  una pletora di teorici agli albori del secolo XX che odiavano la ragione pratica. Non volevano subordinare il loro desiderio o appetito all’ordine morale, per cui si crearono  una serie di razionalizzazioni concrete per giustificare la loro condotta. Continua a leggere

La gente che piace non piace più. Il primo governo che attacca un potere vero.

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di Pietrangelo Buttafuoco

La gente che piace non piace più. Il primo governo che attacca un potere vero.

Fonte: Pietrangelo Buttafuoco

Il primo governo che attacca un potere vero. 
Dopo la tragedia di Genova l’Italia reale guarda da sotto i ponti, si accorge dei piloni marci e per la prima volta nella storia repubblicana l’esecutivo a palazzo Chigi parla agli italiani con la lingua del pane al pane.
Magari i ministri sbagliano nella grammatica delle procedure – le concessioni, i tempi della giustizia, vincoli Ue – ma nella percezione dell’opinione pubblica resta un messaggio, e cioè che l’opposizione sta con la società Autostrade mentre il governo è in lotta. 
Giornali, establishment e i pezzi da novanta del pensiero fanno tutti i distinguo a margine della tragedia in obbedienza al culto del libero mercato.
Non c’è cipiglio liberale che non indichi, dietro la lavagna, il posto per chiunque faccia un ragionamento di sana rabbia, tipo: avete le concessioni, manco mettete degli omini ai caselli – piuttosto le macchinette – appaltate in monopolio carburanti e panini Camogli, il servizio di sorveglianza ve lo fa la Polstrada, ci fate percorrere giunti appoggiati su pilastri di cemento vecchio e non possiamo neppure complimentarci con i ministri quando reclamano il primato della politica su voi e su tutti gli elitari quattrinari multiculturalisti? 
Una prima volta così necessita di consapevolezza. E di un ulteriore passo avanti.
Quell’United Colours, come totem, frana col pilone, arretra anche nel riflesso condizionato di chi piace alla gente che piace.
La gente che piace non piace più.
La diffidenza verso i poteri dilaga, ed è un bel problema, a buttarla in politica, per Silvio Berlusconi fresco di ritrovato benestare presso i salotti buoni.
Bravo come pochi nell’intercettare il sentimento della gente, il Cavaliere non potrà che tornare alla sua gente e smetterla con il Pd, con la tentazione del Patto del Nazareno insufflata dai Dudù della sua stretta cerchia e dire sì – giusto un esempio – a Marcello Foa, il presidente che i poteri forti non vogliono in viale Mazzini.
Proprio per poi sentire – giusto in Rai, dove prevale la narrazione imposta dai poteri – la lingua del pane. E dare così pane al pane.
Continua a leggere

Il fascismo “male assoluto” o le rivelazioni della Santissima Vergine (VII e ultima parte)

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(A lato la Beata Elena Aiello)

La Contro-Rivoluzione del ‘900: Benito Mussolini e Antonio Salazar

di Cristiano T. Gomes

Gianfranco Fini: “Il fascismo come male assoluto o parte del male assoluto” (novembre 2003).

Emanuele Fiano: “Fascismo male assoluto…” (24 gennaio 2013).

Laura Boldrini: “I palazzi di ispirazione fascista offendono i partigiani…Ci sono persone che si sentono a disagio quando passano sotto i monumenti fascisti” (“Il Giornale”, 11/07/2017). Dunque, abbatterli è la conseguenza logica.

Dei tre grandi fenomeni storici e politici del nostro tempo: Massoneria modernista, da cui derivano liberalismo e pseudo-democrazia oligarchica odierna, Comunismo, Fascismo, cosa pensa l’Autorità suprema? Su quali elementi sovrannaturali possiamo basarci per cercare di non cadere in errore?

La Madonna del Buon Successo il 2 febbraio 1594 apparve nella città di Quito a Madre Mariana de Jesus Torres,giovane badessa del Convento dell’Immacolata Concezione. La S. Vergine condannò la Massoneria e il Modernismo in tutte le sue forme, quale flagello dell’intera epoca contemporanea.

La Massoneria con la rivoluzione francese lanciò l’espansionismo anti-cristiano in Francia, poi in Europa e nel mondo; ordinò quindi l’esecuzione del Governante cristiano Garcìa Moreno, in Ecuador (1875), per aver consacrato il suo Paese al sacro Cuore di Gesù; ha sterminato milioni di cristiani in Messico; ha promosso, in combutta con il Comunismo, la lotta senza quartiere al cattolicesimo spagnolo (violenze ingiustificate a sacerdoti e suore, Chiese distrutte e vilipese); ordinò dunque (e partecipò attivamente) all’omicidio di Benito Mussolini e Clara Petacci (perché anche Lei?) per disgregare infine, mediante omicidio rituale, la ritrovata concordia tra Italia e Cristianesimo; ha infine scientificamente decristianizzato la vita sociale in tutto l’Occidente.

La Madonna di Fatima ha condannato il Comunismo in tutte le sue forme e manifestazioni.

Manuel Goncalves Cerejeira (1888-1977), Patriarca di Lisbona durante la reggenza estadista Salazariana, vide anzi nell’arrivo del fascismo portoghese al Governo, con il Salazar, il segno della benedizione celeste verso il Portogallo.

Le uniche rivelazioni private riconosciute in materia di fascismo italiano sono quelle della Beata Madre Elena Aiello (1895-1961), fondatrice della Congregazione delle Suore Minime della Passione che dai primi anni ’20 sino al giorno della morte ha rivissuto la Passione di Gesù Cristo ed ha ricevuto delle rivelazioni private, che chiariscono e integrano il segreto di Fatima. Mons. Francesco Spadafora fu suo direttore spirituale. Elena Aiello ricevette rivelazioni e precisazioni sul significato del fascismo nella storia italiana, ed in particolare sulla missione di Benito Mussolini. Tale rivelazioni, ricevute direttamente dal Redentore del genere umano, che toccano il periodo che precede immediatamente l’ingresso italiano nel conflitto bellico, hanno il fine di scongiurare, fallendo in tal senso lo scopo – pare, secondo la testimonianza di Edvige Mussolini, che fu impossibile alla Beata Elena vedere direttamente il Duce – proprio l’ingresso italiano. Queste risultano comunque, oggettivamente antitetiche alla versione del “male assoluto”.

“……All’Italia, perché Sede del mio Vicario, ho mandato Benito Mussolini per salvarla dall’abisso….”. (Cosenza, 23 aprile 1940).

L’americanismo contro il fascismo portoghese (1945-1974)

Non si sa sin dove possono ripercuotersi gli echi di una parola, anche quando si ha l’impressione di parlare nel deserto.

SALAZAR

Nel 1949 il Portogallo, nonostante le fortissime proteste e riserve dei capitalisti occidentali e dei comunisti sovietici, riesce ad entrare nella NATO grazie alla posizione geopolitica strategica. Il Portogallo entra nella NATO da Stato sovrano, non da stato semicoloniale. Per il Dottor Salazar si tratta di una vittoria a metà; i liberals americani impedirono infatti l’ingresso della Spagna franchista nella NATO, ingresso richiesto a gran voce dal Salazar.

Il leader lusitano pensava strategicamente: puntava alla costituzione di un blocco cattolico Contro-Rivoluzionario, il quale, con l’eventuale appoggio di Pio XII, potesse bilanciare il peso angloamericano e protestante interno alla NATO. Il reggente dell’Estado Novo, d’altra parte, non si faceva soverchie illusioni né sugli Inglesi, né sugli Americani, né sui tedeschi (per quanto con il cattolico Adenuaer pare vi fosse una reciproca stima); tra i paesi occidentali, coltivò una accentuata amicizia con il Brasile di Getulio Vargas (1950-1954), che sarà costretto al suicidio dalle oligarchie plutocratiche statunitensi a causa della sua politica nazionalista ed economicamente protezionista. Prescindendo dagli ambienti politico-militari di orientamento maccartista, ben capaci di scovare l’alto grado di infiltrazione del sovietico KGB all’interno delle strutture operative del Progetto Venona(http://www.johnearlhaynes.org/page62.html), al punto da denunciare una sorta di connubio tattico tra supercapitalismo e comunismo, l’oligarchia economica e politica americana era molto ostile verso il Salazarismo e verso il Falangismo cristiano spagnolo, sia per le connessioni con il fascismo, sia per il Cattolicesimo intransigente che contraddistingueva i due Regimi.

Ed infatti l’Americanismo, che non aveva alcun interesse immediato nell’attaccare direttamente Lisbona, peraltro strategicamente legata alla Santa Sede, sino a quando almeno vi fu il Pontificato pacelliano, finirà per accerchiarla lentamente e metodicamente dall’Oltremare, montando il ribellismo sovversivo. Ciò che irritava particolarmente le varie amministrazioni americane, ma evidentemente anche l’imperialismo sovietico, fu il fatto che il Salazar non si rivelò affatto quel docile burattino dell’americanismo, che ci si attendeva, a differenza dell’anglosassone Eden e dell’intera classe dirigente politica della Francia del dopoguerra, essendo ormai sia la Gran Bretagna sia la Francia quasi totalmente sottomesse alla politica strategica americanista (come si vide a Suez 1956).

Lisbona in pratica non cedette l’Impero, se non al prezzo del sacrificio di un’intera generazione di portoghesi. Lisbona non arretrò di un passo laddove anglosassoni,francesi ed anche israeliani arretrarono. A conti fatti, si potrebbe dire che questa fu una testardaggine del Salazar e di un’intera generazioni di soldati e contadini; ma in tal caso non possono che assisterci le eccelse parole della cosiddetta “Vergine guerriera”, S. Giovanna d’Arco:

Ogni uomo dà la sua vita per ciò in cui crede. Spesso le persone credono in poco o in niente e tuttavia danno la propria vita a quel poco o niente. Una vita è tutto ciò che abbiamo e noi viviamo come crediamo di viverla. E poi è finita. Ma sacrificare ciò che sei e vivere senza credere: ciò è più terribile della morte.

Per cui, osservando la realtà dai differenti lati, si potrebbe anzi dire che il Portogallo Salazariano seppe dare l’esempio storico di una pratica fondata sulla vittoria della vita cristiana contro l’illusione della morte. L’Euroamerica, immenso spazio dominato dal materialismo e dal supercapitalismo, si rattrappiva in spasmi agonici che indicavano una eclisse del Sacro. Il Portogallo custodiva invece la posizione catecontica dell’Occidente cristiano. Salazar, quale reggente dell’ autentico Spirito d’Occidente, orientava così il popolo verso i due ideali-forza contro-nichilisti: il Corporativismo e l’Impero cristiano. L’estadismo indicava la direttrice dell’Eurafrica, che è stata definita la dottrina di Monroe del fascismo(http://www.limesonline.com/cartaceo/eurafrica-dottrina-monroe-del-fascismo?prv=true), in opposizione all’euro-americanismo. Salazar parlava di una “stanchezza spirituale” dell’uomo europeo e voleva opporre al tramonto del Sacro e alla furia del dileguare di stampo massonico e nichilista una nuova aurora occidentale fondata sulla missione civilizzatrice di sostanza cristiana e cattolica. Il Portogallo fu del resto il primo Stato europeo a conquistarsi delle colonie transoceaniche, sarà l’ultimo a perderle. Laddove arrivava l’uomo portoghese, giungeva con lui anzitutto la Croce cristiana, non i dollari, né le sterline né lo yuan.

L’Oltremare non poteva così che divenire la bandiera simbolica, di civiltà, del fascismo portoghese dopo il ’45. Salazar notava come, mentre il Colonialismo storico classico cattolico lusitano, ma anche spagnolo, offriva sul piatto della bilancia dati empirici e culturali positivi rispetto ad altri (numericamente inferiori) negativi, il neo-imperialismo finanziario sovietico e americanistico si basava un metodo di rapina, di sequestro e di scientifica spoliazione della vita e dei beni primari dei popoli africani. Il Nostro prevedeva dai primi anni sessanta anche che la Cina marxista, con il suo materialismo ed il suo economicismo ossessivo, avrebbe gareggiato in futuro con l’imperialismo americano nello sfruttamento totale del continente africano. La costante espansione cinese in Africa, dei nostri giorni, si fonda infatti sull’eliminazione dell’elemento indigeno africano, che viene “deportato” così in Europa.

Le opere di Cleon Skousen (“The Naked Communist”, “The Naked Capitalist”) e quelle di Hoover (“Masters of Deceit”), mostravano tra l’altro nei lontani anni sessanta dello scorso secolo come non vi fosse nessuna “guerra ideologica” in corso tra capitalismo e comunismo; principale obiettivo della grande finanza statunitense era quello di abbattere il prestigio dell’Esercito americano, sino a delegittimarlo ed allo scopo le oligarchie del capitale operavano: per il trionfo maoista in Cina (1949), in quanto i maoisti risultavano alla lunga più manovrabili, addomesticabili dei nazionalisti cinesi di Chiang Kai-shek; per la sconfitta dei militari americani in Corea (1950-1953), come mostrò la famosa lettera dell’onesto Mc Arthur, vero e proprio atto d’accusa all’Amministrazione e alle oligarchie, ed in Vietnam (1955-1975). Già negli anni precedenti, esponenti di spicco dello Zarismo russo in esilio avevano accusato le potenze occidentali di aver “cospirato” per la vittoria del bolscevismo in Russia (Cfr. ad esempio, R. Lange, “La bianca Russia”, Bemporad 1935).

Ciò non voleva naturalmente dire, come con precisione minuziosa mostrava lo Skousen, che l’intero capitalismo americano operasse per il trionfo dei “rossi” nel mondo; no, di certo. Ma le elite finanziarie quasi al completo (Pugwash Conferences, Fondazione Rockfeller, Fondazioni Carnegie), sì. La Fondazione Ford, probabilmente unica, no.

In un contesto strategico in cui le elite plutocratiche statunitensi, ben lo mostra Skousen, riescono a far pervenire ai Viet Cong armi preziose e di ultima generazione per la loro resistenza, allo stesso tempo verranno forniti decisivi supporti e coadiuvati i ribelli africani anti-portoghesi.

E così vediamo l’attacco dell’americanismo al Portogallo del Dottor Salazar: nel 1958, tutta la sfera liberal e democratica degli Strati Uniti sostiene Humberto Delgado contro il regime, nella sua scalata politica; nel 1961 sostiene l’India socialista di Nehru (filosovietica) sulla questione di Goa, contro la volontà degli abitanti di Goa, che, da cristiani quali sono, considerano Goa la Roma dell’Estremo Oriente ed oppongono una fiera resistenza alle truppe indiane; il Professor Salazar accusa il blocco angloamericano di aver appoggiato l’aggressione indiana anti-lusitana ed afferma:

Il mondo attuale ha perduto l’attaccamento ai principi essenziali. Il mondo occidentale progredisce nel campo della tecnica e diminuisce in quello della coscienza. Nehru ha aggredito Goa poiché spinto e rassicurato da certe lobby statunitensi.

Dalla fine degli anni cinquanta, fazioni della CIA rispondenti direttamente ai suddetti ambienti dell’alta finanza mettono in piedi, armano, coordinano il primo movimento nazionalista angolano (UPA), scagliandolo contro il pacifico e laborioso popolo portoghese, accendendo una miccia che poi mai più si spegnerà. L’UPA dette così avvio ad un massacro ininterrotto di innocenti, coloni bianchi ma anche meticci, lavoratori neri e “neri assimilati”, ai quali si rimprovera solamente di esser favorevoli al Regime di Lisbona. Non a caso, nel corso degli anni sessanta, durante le manifestazioni nazionaliste filosalazariane, nelle città lusitane venivano sistematicamente incendiate le bandiere americane, come ben testimonia lo storico lusitano A. Cesar (“ANGOLA – Terra de coragem”, Livraria Cruz 1964) ed agli slogan dei soldati (“Para Angola e em forca!”, “Verso l’Angola e con forza!”) si univano i cori antiamericani della popolazione. I missili della contraerea che in Guinea-Bissau creano enormi problemi ai portoghesi sono di fabbricazione USA e sono stati, come è noto a Lisbona, forniti dalla CIA ai ribelli del PAIGC (Partito Africano per l’Indipendenza della Guinea e di Capo Verde). Nel 1961, le truppe portoghesi, aiutate dalle milizie coloniali e da un contingente estremamente numeroso e significativo di africani che militano nelle organizzazioni militari del Regime di Lisbona, realizzano una veloce riconquista dell’intero territorio controllato dall’UPA, portando la guerriglia nelle zone di frontiera con il Congo. Nel Congo, si consideri, anche gli agenti sovietici lì operativi supportano i nazionalisti angolani, che possono avvalersi dunque di specialisti statunitensi e sovietici. Il fatto importante è però che la gran parte della popolazione angolana è in realtà favorevole al Salazarismo. L’Angola negli anni sessanta cresce a un ritmo impressionante, si parla tuttora di “miracolo angolano” riferendosi a quel periodo. Il ritmo di crescita è probabilmente il più notevole mai sperimentato in Africa, così come cresce il Mozambico, anche se su scala  inferiore. Tra il 1963 ed il 1973, il tasso di crescita del PIL in Angola raggiunge valori medi dell’8% annuo e nel 1969 la percentuale della produzione industriale nel PIL raggiunge il valore record del 42,4%. Viene abolito lo Statuto dell’Indigenato (settembre 1961) e si ha la concomitante attribuzione della cittadinanza portoghese a tutti i nativi delle colonie. Vengono aboliti il lavoro obbligatorio e la coltivazione forzata di molteplici prodotti e la vita della maggioranza nera migliora in modo assai rilevante, con notevole superiorità rispetto alla media africana.

Del resto il nazionalismo salazariano non è razzismo; la propaganda celebra nella zona oltremarina la prassi dell’integrazione, ossia la realizzazione sempre più avanzata di un Impero cattolico multirazziale e multiconfessionale. Non è un caso che il calciatore mozambicano Eusebio è uno dei più noti protagonisti del Portogallo nazionalista, imperiale e multirazziale di Antonio Salazar.

Più volte premiato e ricevuto dal Dottor Salazar, l’atleta mozambicano ha sempre riservato parole di calda ammirazione al leader dell’Estado Novo. Salazar, come nota giustamente J.P. D’Assac (Ivi, pp. 316-317), è consapevole che è proprio l’americanismo il principale nemico autentico della Nazione portoghese integrata e multicontinentale. In questo contesto di Dottrina politica Salazariana, per americanismo si intende il sostanziale spirito caratterizzato dal fondamentalismo biblico vetero-testamentario e calvinista, che si da una forma politica e geopolitica mondialista wilsoniana, per de-cattolicizzare e, in definitiva, de-cristianizzare l’universo.

L’americanismo e due casi ignorati o volutamente trascurati: Ngò Dinh Diem e il Generale Pinochet

Di fronte al pericolo di uno Stato orientato verso principi cattolico-integrali o cristiani costantiniani,  l’americanismo ha sempre appoggiato o appoggerà, sicuramente, se vi è competizione strategica, anche il fondamentalismo islamico o il più radicale marxismo. Il mondo e la storiografia hanno dimenticato il caso, fondamentale e paradigmatico, dell’illuminato Presidente vietnamita (1955 1963) Ngò Dình Diem, fratello del caro e nobile Arcivescovo Thuc, ucciso in un colpo di stato di marca CIA in quanto governante cristiano, sebbene fosse l’unico baluardo realmente anticomunista del Paese.

Il Regime di Diem durò quasi dieci anni(1954-1963). Il Nostro venne chiamato dall’imperatore ammanita Bao Dai a formare il governo di Saigon (Sud Vietnam che si contrapponeva allora al Governo marxista di Hanoi), per mantenerlo libero dall’influenza e dalla tentata occupazione dell’invasione comunista avanzante. Diem salvò Saigon, che si trovava in una situazione disperata, rafforzando lo Stato ed il nazionalismo anti-comunista. Libero da una eccessiva tutela americana, fiero cultore delle tradizioni vietnamite, acquistò una grande popolarità tra il popolo ed i contadini. Inizialmente, gli avversari più radicali con cui Diem dovette confrontarsi furono l’esercito nazionale (manovrato dall’imperatore e ancora capo di stato, Bo Dai, che viveva nel comodo e dorato esilio di Cannes e premeva per l’accordo con i comunisti nord-vietnamiti), i francesi, ancora potenti nel Vietnam del Sud, favorevoli all’accordo strategico con i marxisti ed ostili ai cattolici vietnamiti, le sette feudali. Diem riuscì a vincere questi ostacoli grazie all’appoggio fortissimo della popolazione. Proprio grazie all’appoggio popolare, espresso mediante referendum, che confermò un consenso plebiscitario al Nostro, Diem dichiarò decaduto Bo Dai (26 ottobre 1955), istituì la repubblica, rispedì in patria il corpo di spedizione francese, regolò i conti con gli eserciti delle sette in varie battaglie campali. La dottrina diemista si fondava su un nazionalismo puntiglioso, che respingeva dogmaticamente ogni interferenza americana o occidentale, e sul principio del “personalismo spirituale comunitario”, Corporativista, anti-comunista ed anticapitalista, che si ispirava esplicitamente alle Encicliche sociali di Leone XIII, Pio XI, Pio XII (R. Scigliano, “South Vietnam, Nation under stress”, Houghton Mifflin Co., Boston 1964, pp. 75-76). La dottrina sociale diemista si definì “ideologia della dignità dell’uomo”, impostata come difesa nazionale culturale dal materialismo occidentale e sovietico, dall’aggressione comunista e dalla sottomissione al capitalismo.  Sul piano sociale queste furono le realizzazioni del diemismo: emancipazione della donna vietnamita, che viveva in stato di estrema soggezione; campagne ben riuscite contro l’oppio, il gioco d’azzardo, la prostituzione, la poligamia; impegno scolastico e lotta contro l’analfabetismo; formazione di maggior numero di ingegneri e ricercatori rispetto al Comunista Nord, dove l’industria era tradizionalmente ben più sviluppata, da decenni; campagne sanitarie anti-tracoma e antimalaria, grandioso incremento degli ospedali, dispensari, maternità, stazioni mediche in 3.300 villaggi contadini. In campo agricolo, il giudizio degli osservatori non fu concorde. Mentre nel Nord marxista la produzione decrebbe, al Sud, almeno sino al 1960, anno in cui scoppiò la guerriglia, la produzione aumentò in modo notevole, come notano gli specialisti Lacouture e Buttinger. Le critiche riguardarono però la riforma agraria attuata da Diem, in diverse tappe, a partire dal 1955. Il giudizio su questa riforma, la quale rimise nonostante tutto in coltura circa un milione di ettari e ne distribuì altri 540 mila a 200 mila famiglie di nullatenenti, varia da autore e autore. Premesso che a Diem mancò il tempo di portare a compimento la riforma, in quanto, come specificato, nel 1960 scoppiava la guerriglia, secondo Scigliano la riforma agraria fu uno dei più grandi successi del Regime diemista; secondo Buttinger, invece, la riforma era semplicemente strumentale alla strategia nazionalista e anticomunista del Nostro. Gli unici nemici interni del Regime diemista furono comunque le elites intellettuali borghesi cittadine, filo-occidentali; il popolo fu sempre al suo fianco, solo un golpe di palazzo manovrato da potenze esterne poteva farlo fuori.  I buddisti giocarono senza dubbio un ruolo molto oscuro nel golpe, anche se il bonzo buddista Tri Qang ci tenne a dichiarare pubblicamente che, per quanto avesse contrastato la strategia cattolica-integrale diemista, “Diem fu abbattuto da un colpo di stato dei militari sostenuti dagli americani, non dai buddisti” (P. Gheddo, “Cattolici e buddisti in Vietnam”, Vallecchi editore 1968, pag. 148). Il colpo di stato anti-vietnamita e oggettivamente filo marxista fu preparato nei minimi particolari dall’ambasciatore USA, massone e democratico, Cabot Lodge, che avrà poi un ruolo nella strategia della “distensione” e negli abbracci tattici tra Usa e URSS una volta divenuto ambasciatore in DDR. Come detto,  il buddismo ufficiale vietnamita prese apparentemente le distanze dallo sciagurato colpo di stato; ma il “Comitato inter-sette”, buddista, dopo la caduta del Regime nazionalista, invierà calorosi ringraziamenti a Paolo VI e a vari Gesuiti presenti in Indocina per il ruolo antidiemista svolto di concerto con americani e marxisti.

Abbattuto Diem, il Sud Vietnam non troverà più un capo e uno Statista all’altezza della situazione, capace di resistere a Francia ed USA  e di trattare alla pari con i marxisti del Nord. Il Gheddo parla di “errore americano” (Ivi, pp. 144-150). In realtà l’americanismo non tollerava questo leader popolare, Cattolico e Nazionalista. Dopo la morte del Nostro ad opera dell’imperialismo statunitense, migliaia di contadini sostennero ripetutamente che Diem non era morto, si era rifugiato con i più fedeli dei suoi fra le montagne e sarebbe tornato a salvare il Vietnam. Il suo  cattolicesimo integrale e corporativista non poteva essere tollerato dall’americanismo mondialista, che gli preferì il Comunismo di Ho Chi Min e Giap.

Abbattuto Diem, unica autentica barriera al Comunismo, l’americanismo supercapitalista e plutocratico mandò al massacro nella fornace vietnamita l’esercito USA, per concludere l’opera di delegittimazione dello stesso, iniziata in Corea (1950-1953).

Infine, una brevissima “panoramica” sulla relazione tra Stato e cattolicesimo. Diem si oppose con tutte le forze al disegno di una “clericalizzazione” del Regime, fronteggiando da autentico Patriota vietnamita il tentativo anti-storico di taluni membri del clero nel 1954 di clericalizzare il patriottismo vietnamita. Durante la rivolta buddista del 1963, la gerarchia ecclesiastica filo-montininiana, su posizioni progressiste, fece proprie le posizioni dell’arcivescovo Binh di Saigon, che segnarono una significativa presa di distanza dal Regime. Diem si dichiarò di continuo il Presidente di tutti i vietnamiti, non solo dei cattolici, che rimanevano comunque una minoranza all’interno del Paese.

Viceversa, tra i dieci arcivescovi vietnamiti del tempo, si caratterizzò in senso di totale sostegno al diemismo e al suo tentativo di “democrazia guidata” e corporativista quello di Mons. Ngo Dinh Thuc, arcivescovo di Huè, come detto fratello del Presidente Diem. Un sacerdote così descrisse Thuc:

Diem aveva un fratello prete e poi vescovo, di intelligenza superiore, che univa allo spirito mandarinale della sua famiglia lo spirito dei vescovi del Medioevo, battagliero, da Crociato Monsignor Thuc identificò spesso la Chiesa con il Regime del fratello ed in questo ebbe molti contrasti con gli altri vescovi vietnamiti che si rifiutarono di seguirlo su quella strada, sebbene egli fosse il più anziano e il più autorevole di tutti……Monsignor Thuc è stato …un ottimo Vescovo: sul piano della pratica religiosa personale, della pastorale, delle nuove iniziative, dell’organizzazione diocesana, è stato un ottime pastore (P. Gheddo, Ivi, pp. 156-157).

La grandezza storica e morale del Regime nazionalista emerse sulla vicenda delle conversioni.  I media americani denunciavano quotidianamente, in quegli anni, presunte conversioni forzate a danno di confuciani e buddisti, operate dal “Regime cattolico integrista” del Diem;  si pensi invece che nell’archidiocesi di Huè (l’unica effettivamente, come visto, cattolica integrale), si passò dai 78.417 cattolici del 1957 ai 100.225 del 1963: un aumento di soli 22 mila cattolici. La massa dei nuovi cristiani venuti alla Chiesa durante il Regime diemista ci giunse dunque, generalmente, per motivazioni fortemente spirituali e nobili. Non c’è traccia di conversioni violente o forzate. Durante la parentesi storica diemista, circa 700 mila profughi fuggì dalle persecuzioni, dal Nord Comunista  al Sud, negli anni 1954-1956, raddoppiando la consistenza numerica dei fedeli. Saigon divenne in quegli anni la diocesi con il maggior numero di fedeli praticanti: il 90% fra questi frequentava la Messa. Abbattuto Diem, ripresero, seppur a fasi alterne, le violenze e le persecuzioni anticristiane ad opera dei Comunisti e delle altre religioni.

Così come, riguardo il Cile di Pinochet, si ricorda in continuazione il ruolo della CIA nel golpe del settembre 1973. E si mente al riguardo, poiché non si precisa che la corrente conservatrice nixoniana, che dette il semaforo verde al golpe (settembre 1973), senza parteciparvi peraltro con i suoi elementi militari, dato che il referente americano era il movimento “Patria e Libertà” e non il Pinochet, verrà a breve sconfitta dall’Establishment USA (agosto 1974) e poiché si sorvola sul fatto che dalla fine del 1975 circa, quando la strategia politica cattolica anti-modernista (seppur moderata, non sul modello Salazariano o Mussoliniano) del Generale Pinochet divenne chiara, si concretizzò una campagna mondiale che, partita dagli Stati Uniti, portò al boicottaggio e al sabotaggio mondiale contro il Regime di salvezza nazionale. Un Regime protezionista, dato che l’industria strategica del rame fu sempre proprietà dello Stato, a differenza del regime Allende che era sul punto di cederla alle multinazionali, e nel quale il liberismo friedmaniano entrò solamente a livello propagandistico, ma non politico economico effettivo, come ben mostrano Drèze ed Amartya Sen nel saggio “Hunger and Public Action” (Clarendon Press 1991).

Un Regime cattolico, quello “pinochetista”, sostenuto peraltro da tutte le correnti “gremialiste” e corporativistiche-sociali terzaforziste  cilene(antiamericane ed antisovietiche), per questo più volte direttamente attaccato dalle correnti della sinistra liberal presenti nella CIA.  Non è questo il contesto per affrontare nel dettaglio Dottrina e vicende politiche del Regime di salvezza nazionale del Generale Augusto Pinochet, ma vanno in sintesi ribaditi tre punti: 1) La “democrazia protetta” (così viene definita nei manuali storici cileni odierni in uso nelle scuole) di Pinochet salvò il Paese dall’anarchia e dal semicolonialismo verso le multinazionali in cui lo aveva gettato il marxismo riformista di Allende, sostenuto dal potente Cardinale Silva Henriquez con l’avallo di Paolo VI, dall’URSS, da Fidel Castro, che riempì il Paese di agenti cubani, e dalla Trilaterale di Rockfeller, restituendo al Cile una sostanziale indipendenza economica e politica; 2) Il Governo di Salvezza nazionale, di fronte al sabotaggio mondiale, poté dal 1975 ai primi anni ’80, sopravvivere solo grazie al sostegno economico di Cina, Jugoslavia e Romania, Paesi come si vede estranei alla logica di Jalta, dell’Argentina neo-peronista (con la dittatura militare argentina – 1976-1983 – invece, i rapporti non saranno affatto buoni) e dell’Iran imperiale di Reza Pahlavi, al quale i medesimi ambienti della grande finanza (Trilaterale) daranno la spallata definitiva costringendo l’Imperatore all’esilio (16 gennaio 1979).

Non si tollerava, in quest’ultimo caso, che l’Iran imperiale, conquistando la supremazia militare e commerciale, stava rimettendo tutto in discussione nel Vicino Oriente, dando un ruolo centrale e prioritario ad un popolo, di origine indo-europea, come quello Persiano sugli israeliani e sui sauditi. La carta dell’integralismo islamico fu giocata in quel contesto sia dalla Trilaterale (Afghanistan), sia da Israele (sostegno all’Iran khomeinista durante la guerra Iran Iraq, poi ad Hamas ed Al Qaida). Quello anti-iraniano ed anti-monarchico fu probabilmente l’unico fronte in cui gli interessi strategici della Trilaterale coincisero con quelli israeliani poiché occorre notare che Israele in generale in tutte le sue varie frazioni, quella Begin in particolare, furono sempre avversari militanti della logica mondialista come declinata dalla Trilaterale. Ad esempio verso il Cile di Pinochet: mentre Begin non vedeva il Cile nazionale come il fumo negli occhi, anche per il fatto che il Governo Allende fu sempre legato strategicamente all’estremismo palestinese, per la Trilaterale l’esperimento nazionalista cileno del Generale Pinochet era  potenzialmente ben più pericoloso del castrismo cubano e del Comunismo internazionale.

Anche sul caso Reza Pahlavi la storiografia comune è macchiata da tesi fantasiose o faziose e, more solito, il Mossadeq, che fu sostenuto dal 1951 al 1953 dai soliti progressisti USA (ed anche dai progressisti cattolici antifascisti italiani: es. Mattei) in funzione antimonarchica sul piano interno ed anti-britannico su quello internazionale, ci viene comunemente rappresentato come un “nazionalista” anti-americano. E’ arrivato fortunatamente il buono studio di S. Beltrame, “Mossadeq. L’Iran, il petrolio, gli Stati Uniti e le radici della rivoluzione islamica” (Rubbettino 2009), a ridimensionare molte faziose inesattezze e a ben rilevare come l’elemento decisivo della sommossa anti-Mossadeq (agosto 1953) fu il clero sciita, allora filo-monarchico e filo-Pahlavi, non la CIA. Riguardo la figura dell’Imperatore persiano, il quale, tagliando con il vago kemalismo modernizzatore ed occidentalistico che aveva contraddistinto la reggenza del padre Reza Shah (1878-1944), sviluppò un piano di modernizzazione basato sulla Tradizione persiana, va ricordato che lanciando la “Rivoluzione Bianca” (1963) Egli intese ispirarsi esplicitamente al Regime fascista italiano, invitando a Tehran i corporativisti ancora viventi (Ugo Spirito, “La Rivoluzione dell’Iran”, Dino Editore 1992), e più volte avanzò l’invito ufficiale presso l’Iran imperiale di Donna Rachele, quale omaggio alla sua ammirazione verso il Duce d’Italia. Purtroppo la ormai anziana donna romagnola non poté mai contraccambiare la cortesia Reale.

Tornando al Cile Nazionale del Pinochet, in almeno tre casi, agenti CIA di stanza in Cile furono espulsi dal Paese o uccisi, ma questo non è mai stato detto per non contraddire il dogma mondiale catto-comunista di “Pinochet uomo degli USA”, che vale ormai come mantra per coloro che accettano i pregiudizi della cultura ufficiale; 3) Il Generale Pinochet fu un cattolico pre-conciliare, che non si volle adattare alle riforme neo-protestanti del Vaticano II. Frequentava ogni giorno la Santa Messa Tridentina. Per quanto si trovò ad operare in un paese cattolico, ma “demoralizzato” anche questo dalla “Rivoluzione nella Chiesa” del Vaticano II, appoggiò in ogni caso la tendenza cattolica-integrale. Hector Riesle, uomo di punta degli integrali cattolici cileni, partecipò attivamente alla stesura del “documento fondamentale” del Regime di salvezza nazionale. Divenne poi Ambasciatore del Regime Pinochet presso la S.Sede. Nei giorni della sollevazione popolare anticomunista del settembre ’73, poiché di questo si trattò, invocò in questi termini la Vergine: “Che la nostra Signora del Carmine, Regina e Patrona del Cile, Generalessa delle Forze Armate, impetri per le nostre nuove autorità del paese la fermezza e la decisione che queste gravi circostanze comportano” (“El Mercurio”, 19 settembre 1973). Il Generale Pinochet disincentivò le pratiche massoniche (le quali peraltro in Cile non hanno un significato ideologico anticristiano, ma sono semplici riunioni di conoscenza e pubbliche relazioni), dichiarò il liberalismo il più grande nemico dottrinario del Nazionalismo cileno ed il Comunismo il nemico immediato operativo, incentivò la corrente interna del cattolicesimo integrale che si riconosceva allora nella Dottrina e nell’Azione di Monsignor Lefebvre, che il Nostro invitò più volte in Cile e che peraltro fu suo confessore.

Il “pinochetismo”, sebbene il Generale avesse molta stima verso il Salazarismo, non fu un esperimento di fascismo in quanto fu essenzialmente un regime di Difesa nazionale dalla Sovversione senza altra dottrina che il culto del Dio cristiano e della Patria; fu quindi un regime molto simile al tardo franchismo, non puntando mai alla strategia della civiltà corporativista; nonostante ciò, pare oggi una “benedizione del Cielo” un simile regime rispetto ai Governi attuali, totalmente basati sui presupposti nichilisti e massonici del liberalismo (americanismo) o basati sull’ideologia capital-comunista (Cina), per i quali Governi, nessuno escluso, la Scienza e l’Evoluzione progressista scientifica-tecnica sono gli unici orizzonti  assolutisticamente concepiti.

In definitiva, se fu grazie all’amministrazione Nixon che il sollevamento dei militari cileni non venne osteggiato, va anche riconosciuto, allo stesso modo, che le amministrazioni più leali alla Trilaterale di Rockfeller (Johnson, Ford, Carter), furono assolutamente anti-cilene e tentarono con vari mezzi di far cadere Pinochet. Ciò portò all’oscuro gioco americano concernente la morte misteriosa di Orlando Letelier (1976), poi ad una sorta di guerra spionistica interna al Paese cileno tra militari della DINA e del CNI leali a Pinochet e “cittadini” statunitensi filocastristi leali all’ala progressista della CIA, che vennero trovati morti in Cile (Cfr., M. Spataro, “Pinochet. Le Scomode verità”, Edizioni Settimo Sigillo 2003, p. 223 nota 76).

Il consenso del popolo cileno verso il Governo Pinochet, che lo tirò fuori dal semicolonialismo e dal caòs, realizzando un “miracolo cileno” riconosciuto anche dalle voci ostili al Regime, era però molto alto e tuttora il ricordo della maggior parte dei cileni esprime gratitudine e riconoscenza al Generale per il suo sacrificio patriottico. Sacrificio patriottico che si concluderà non a caso, anni dopo,  con l’assurda  persecuzione giudiziaria da parte della sinistra mondialista post-marxista spagnola ed anglosassone (con l’avallo di Tony Blair).

L’africanismo cristiano di Salazar e della OAS, l’africanismo “arcobaleno” di Mandela e quello islamista

Per concretizzare il concetto metafisico di Occidente cristiano sull’americanismo nichilista e tecnocratico, il Dottor Salazar, così riservato, così solitario e malinconico, dai primi anni sessanta, con la sconfitta dell’OAS in terra d’Algeria, scende in campo con ripetuti appelli all’Occidente. L’Africa è l’ultima chance dell’Europa, dice il Professor Salazar; crisi europea ovvero crisi dello spirito; il Portogallo fornisce un esempio morale e politico, agendo per la Tradizione occidentale, contro il sovvertitore spirito del tempo. Già il 9 ottobre 1939, il leader del fascismo lusitano aveva detto riguardo la missione africana del popolo portoghese che, “il sangue dei soldati al tempo delle lotte per l’occupazione è come il sigillo materiale del possesso. Ma quel che noi abbiamo fatto è anche di più: la fusione della razza e della terra, l’allargamento sino ai confini della savana delle strette frontiere della penisola, la stessa patria ricreata laggiù in Africa, con la sua anima e il suo sangue, come la madre si riproduce nei suoi figli. Più che il ferro e la spada, l’aratro penetra il suolo: il sudore feconda la terra più che il sangue delle vene; lo spirito modella e trasforma gli uomini e la natura più profondamente di quel che possa la forza materiale dei dominatori. ….La nostra è l’opera di quelli che, portando nel cuore l’immagine della patria, hanno tenuto a imprimerla profondamente, con amore, là dove la vita li ha condotti, mentre il sentimento della loro missione civilizzatrice si apriva spontaneamente nella loro anima. Non è contrada da esplorare, è il Portogallo che rivive”.  Ora, negli anni ’60, torna a lanciare il concetto di “Colonialismo metafisico e cristiano”; la salvezza dell’Occidente cristiano è la salvezza dell’Africa nera. Questo l’asse storico e politico del pensiero Salazariano. Abbiamo sopra parlato del “miracolo angolano” attuato dal Regime di Lisbona e del sostanziale consenso delle popolazioni africane, gravitanti entro la sfera di competenza giuridica del Portogallo fascista-corporativo. Dal ’61 in avanti, USA e URSS voteranno allineati nel Consiglio di sicurezza dell’ONU tutte le mozioni di condanna del Portogallo.

A cosa ha condotto il trionfo dell’americanismo e delle multinazionali in Africa? La grande finanza fece conoscere, al di fuori delle proprie cerchie, i suoi piani specifici riguardo l’Africa con tre documenti: quello della Fondazione Rockfeller (1981); il rapporto di Chester Crocker (1979); la conferenza del Professor Samuel Huntingdom nel settembre 1981, svolta davanti a un gruppo di personalità assai influenti.

L’idea lanciata fu quella della “terzomondializzazione” dell’intero continente africano. Ciò significava emigrazione di massa dei tecnici e degli scienziati, fallimento provocato dalle banche di aziende indigene, desertificazione e promozione della politica di migrazione. Per arrivare a questo sarebbe stato necessario annientare e disgregare le tradizioni storiche africane, quelle tradizioni con cui si poteva eventualmente accogliere con equilibrio e parsimonia una modernizzazione occidentale, come la dirigenza estadista portoghese stava facendo.

Nelson Mandela, attivista marxista sudafricano, che rivendicò continuamente gravi azioni terroristiche nelle quali persero la vita anche bambini innocenti, tradì l’originario “nazionalismo cristiano” dell’African National Congress, impresso al movimento dallo storico leader Albert Luthuli. Dopo una lunga detenzione, una volta uscito dal carcere, Mandela diventò massone (

http://giacintobutindaro.org/2013/12/13/ufficiale-nelson-mandela-era-massone/). Oggi Mandela è  considerato il padre morale di questo nuovo africanismo. L’africanismo “arcobaleno”, il modello di Mandella, sta tentando di realizzare, giorno dopo giorno, la politica di annientamento delle tradizioni cristiane africane e dunque la strategia nichilista di Sovversione sociale (aborto, omosessualismo, gender), richiesta dalla Fondazione Rockfeller e dagli Oppenheimer, i veri padroni del Sudafrica.

In materia di gender e omosessualismo, la Costituzione arcobaleno del Sudafrica di Mandela è considerata la più “avanzata” e progressista del mondo. Se si considera che tale Costituzione è l’unica orientata in tal senso in tutto il continente africano, non può non risaltare il fatto che la nobilitazione post-mortem e la mitizzazione astratta e “ideologica” del Mandela pensiero siano state attivate da oligarchie massoniche con il suddetto fine sopra evidenziato: annientare le tradizioni cristiane africane.

Il Sudafrica è stato descritto sino a pochi anni fa come il paradiso degli omosessuali e la frontiera obbligatoria dei viaggi LGTB. Ma una volta giunti a Città del Capo o a Johannesburg, i paladini del dirittismo senza confini sono costretti a cambiare immediatamente idea: nel Sudafrica mandeliano di tollerante non c’è nulla: disuguaglianze sociali spaventose, povertà, guerre etniche tribali che divampano e, ultimo ma non ultimo, collera popolare “omofobica” (gli omosessuali non vengono accettati dalla morale tradizionale) sono all’ordine del giorno.

Dato che nella realtà abbiamo tre concrete ipotesi di africanismo: 1) l’africanismo cristiano Salazariano o della OAS; 2) l’africanismo “arcobaleno” del Mandela; 3) l’islamismo radicale africano delle varie frazioni tribali; giudichi il lettore quale sia o sia stato quello realmente antitetico al supercapitalismo mondialista sfruttatore dei popoli.

25 aprile 1974

Occorre infine interrogarsi sulle motivazioni della caduta del fascismo portoghese. In primo luogo, va considerato che, per difendere l’Oltremare e tenere testa al costo delle spedizioni militari che dagli anni sessanta in avanti l’Estado Novo dovette affrontare, il Portogallo declinò tatticamente dal protezionismo e dall’autarchia, aprendo al capitale internazionale. Gli investimenti stranieri entrarono anche nell’Oltremare. Sino al 1968, quando Salazar fu ancora alla guida dell’Estado Novo, le aziende strategiche, come ad esempio l’industria metallica Oliva o la società Ferrominas operante nel settore dello sfruttamento di miniere di ferro o come le società specializzate nella produzione di wolframio, oltre alle varie compagnie di diamanti, rimasero di totale proprietà portoghese (o con maggioranza giuridica lusitana); dopo il ’68, con Caetano al Governo, si puntò all’investimento straniero multinazionale nei settori strategici. Il calcolo politico della nuova dirigenza post-salazariana, che poi si rivelerà non solo sbagliata ma addirittura suicida, si basava sulla rappresentazione che i grossi interessi multinazionali mondiali, di fronte ad una apertura liberista e semi-liberale, avrebbero tollerato l’estadismo portoghese. In realtà, solo continuando sulla linea del Corporativismo e dell’integrazionismo strategico fondato sulla centralità dell’Esercito, il Portogallo avrebbe potuto resistere; l’ “aperturismo” del Caetano, confondendo e declassando politicamente poi la “casta” militare, si rivelò di contro quel suicidio annunciato che i poteri del mondo attendevano. Il più accreditato sostituito del Dottor Salazar doveva peraltro essere il Generale Kaùlza de Arriaga che avrebbe sicuramente continuato la Tradizione cattolico-integrale dello Stato Salazariano, senza cedere al liberalismo oligarchico ed capitalismo americano. Kaùlza de Arriaga vinse la guerra in Angola e Mozambico, avendo ragione dei ribelli sostenuti dai due imperialismi (USA e URSS).

La situazione generale portoghese nel 1973 non era, inoltre, affatto delle peggiori. Il sostegno popolare verso il Regime era solido ed elementi della Destra controrivoluzionaria, politica e militare, in particolare quelli della Marina, non avevano intenzione di cedere all’americanismo o ad una tra le varie fazioni liberali, massonico-europeiste.

Il Generale Kaùlza godeva peraltro del sostegno del Presidente della Repubblica, l’Ammiraglio Amèrico Thomaz, ma non tentò quel golpe anticaetanista ed anti-liberale che moltissimi patrioti in Portogallo e nell’Oltremare auspicavano.

Caetano fu anzi abile a inscenare uno pseudo-golpe, incriminando l’ala fascista controrivoluzionaria dell’Esercito e aprendo così scioccamente la strada al vero golpe, quello della sinistra del 25 aprile.

La penetrazione del capitale internazionale mostrò velocemente i caratteri dell’aggressione politica, di civiltà e la dirigenza post-salazariana non fu in grado di fronteggiarla.

I capitalisti internazionalisti puntarono direttamente alla spartizione del “bottino” africano. Per il Dottor Salazar l’Africa, come visto, era una idea da colonizzare e cristianizzare; per i capitalisti, di contro, è solo materia da rapinare e sfruttare. Il capitale mondialista fece così leva sul Caetano e su parte degli ufficiali del “Movimento Forze Armate” (MFA), per farla finita con l’Impero Portoghese. Il fronte militare si spaccò perché una parte significativa sostenne il generale Kaùlza (che sarà in stato di detenzione dal settembre 1974 sino al marzo 1976) e continuerà la guerra controrivoluzionaria nel Nord ed in altre zone del Portogallo sino al 1977, riportando un gran numero di morti e feriti (nel 1979 queste correnti anticomuniste, anticapitaliste ed antimassoniche si coalizzarono nel segno del “Movimento Indipendente para a Reconstrucao Nacional”); un’altra frazione, numericamente più cospicua in quanto delusa e sentitasi tradita dall’ “aperturismo” di Caetano, sostenne e militò nell’ELP (Exèrcito de Libertacao de Portugal), che comprendeva nazionalisti, cattolici di sinistra e maoisti filocinesi, ma sarà definitivamente sconfitta nel 1976 da Antonio Eanes.

Elemento fondamentale nella vittoria della cosiddetta rivoluzione, in realtà un golpe militare supportato da ambienti liberaldemocratici angloamericani, fu il ruolo della fregata “Almirante Gago Coutinho”, proprio il 25 aprile 74 impegnata in manovre NATO di sostegno al golpe.

Nel marzo ’74 agenti CIA furono d’altra parte  presenti in veste di osservatori cooperatori alla riunione preparatoria del golpe, in cui venne per la prima volta delineata la piattaforma politica del già citato MFA.

Un militante italiano, probabilmente distante dal Cattolicesimo integrale Salazariano, ma con vasta esperienza internazionale, che ebbe modo di conoscere direttamente i militari e i volontari lusitani che combatterono sino alla fine per l’estadismo, ha lasciato questa descrizione:

Quando incontrai i sopravvissuti che avevano superato l’accerchiamento che si era stretto attorno a loro, mi apparvero come personaggi di una tragedia apocalittica: ognuno di loro mostrava sul corpo le tracce del combattimento. Furono la testimonianza di un’Europa diversa, di un’Europa di volontari(S. Delle Chiaie, “L’aquila e il condor”, Sperling 2012, p. 175).

Un ruolo sovvertitore, come già detto, lo esercitò in particolare il clero di tendenza modernista, assolutamente ostile al regime, almeno da fine anni ’50. Per molti fedeli, la presenza al potere di Salazar era il segno più evidente, in continuità con il Messaggio di Fatima, della benedizione divina sul loro Paese. Il clero modernista sottilmente puntò ad oscurare e marginalizzare il significato sovrannaturale del Messaggio.

Il popolo fu, di contro, nella stragrande maggioranza dei casi con Salazar, sino a quando il Nostro poté esercitare la Reggenza cristiana (1968)

Dal 1948 al 1960 furono enormemente superiori i morti ammazzati in manifestazioni di piazza od in eventi politici nell’Italia della DC  che nel Portogallo fascista. Lo stesso si può dire della Francia gollista rispetto al Portogallo. Già questo dato, può rendere bene l’idea del quadro generale della situazione e del consenso di cui godeva il Governo Salazar.

Dal 4 febbraio ’61, data di inizio delle guerre coloniali, il Presidente Salazar scelse di continuare nella via del Corporativismo e del Colonialismo cattolico, anche se ciò significò avere contro tutto il mondo; ciò, a parte le rarissime eccezioni della OAS francese, della Spagna di Franco e dell’Indonesia del Presidente Sukarno, almeno sino a quando anche quest’ultimo non venne rovesciato dagli Stati Uniti (12 marzo 1967).

Salazar nel cuore del popolo portoghese

Tra l’autunno 2006 e la primavera 2007, è andato in onda un programma della televisione di Stato (RTP) dal titolo Os Grandes de Portugal. Il pubblico portoghese votò il più grande portoghese di tutti i tempi: Antonio Salazar fu consacrato tale dal suo popolo con il 43% delle preferenze staccando di gran lunga gli altri eletti dal voto popolare.

Lo Statista Salazar consacrò il culto di Nuno Alvares Pereira, autentica icona del Cattolicesimo contro-rivoluzionario, soldato del Trecento, eroe portoghese, beatificato nel 1918 e santificato da Ratzinger nel 2009, ma nel cuore del Portogallo la stella di Antonio Salazar brilla addirittura più luminosa di quella di Nuno Alvares Pereira.

Salazar muore il 27 luglio 1970. Passa gli ultimi due anni della vita, successivi alla malattia, a riposo, sempre attento alle vicende portoghesi. Charles d’Ydewalle lo ha definito “il Saggio più grande dell’epoca attuale” (1948); Pio XII ha considerato la sua opera “una alta restaurazione spirituale” (1952); Maurras diceva di provare tenerezza per l’opera titanica del piccolo ma eroico Portogallo (1952); il filosofo Thibon lascia invece questo ritratto del Professor Salazar, il contadino estadista di Vimieiro: “Il suo sguardo colpisce per la sua espressione di calma tristezza e fatica dominata…”.

Conclusione. La Contro-Rivoluzione oggi

In riferimento a Mons. Benigni, ed all’azione del Sodalitium Pianum, legittimata dal Santo e Beato Pontefice Pio X, si è dunque compreso che per quanto protestantesimo, calvinismo, giudaismo talmudico o post-biblico, abbiano strategicamente puntato al cuore del Cattolicesimo romano, l’elemento decisivo che ha determinato  la “Rivoluzione nella Chiesa” (1965-1966) è rappresentato dall’evento, propiziato dal modernismo e dal liberalismo, in base al quale i cristiani non hanno più vissuto da cristiani, sono stati scientificamente scristianizzati – dalla setta Neo-modernista e Neo-pagana.

Si è anche tentato di avanzare l’ipotesi che senza la dottrina dell’Enciclica “Pascendi Dominici Gregis” (8 settembre 1907), “Sugli errori dei modernisti”, non ci sarebbe stato quel particolare tipo di Regime fascista, come forte e determinata Contro-Rivoluzione corporativista rispetto a nichilismo, materialismo, modernismo ed evoluzionismo tecno scientifico. Abbiamo ricordato in proposito l’Enciclica di Papa Pacelli, “Summi Pontificatus” (20 ottobre 1939), con la sua nuova affermazione teologica del concetto di “Pace di Cristo restituita all’Italia”, riferentesi all’Italia di Mussolini.  Non vi sarebbe stato nemmeno fascismo portoghese, almeno in quella forma storica conosciuta e di conseguenza non avremmo avuto fenomeni assai simili ai due “fascismi storici novecenteschi”, ossia il Governo di Vichy prima, la OAS poi. Renzo De Felice, se da un lato ha compiuto una meritoria opera storica di sana ed oggettiva analisi, dall’altro ha confuso il quadro e condizionato dalla sua originaria formazione di storico del giacobinismo, ha astrattamente diviso il movimento dal Regime –  ma senza il Regime storico, il movimento sarebbe rimasto uno dei tantissimi movimenti nati e macinati dalla Storia – ed ha quindi assegnato una importanza non centrale al momento Contro-Rivoluzionario del fascismo, rimanendo il “movimento” il suo presupposto originario. A differenza del De Felice, storici come Sternhell e Delio Cantimori ed analisti come Fisichella hanno ben analizzato la formazione dottrinaria Contro-Rivoluzionaria del Mussolini (per l’influsso importante di Sorél e in parte minore di Maurras), anzitutto e soprattutto anti-borghese ed anti-giacobina, e non quindi rivoluzionaria borghese, come sostiene inopinatamente De Felice.

Tali Regimi o movimenti, anti-borghesi e Contro-Rivoluzionari, hanno perso indubbiamente la sfida storica, come il cattolicesimo integrale è stato schiacciato dal conciliarismo liberale e filocomunista. Oggi l’Occidente, chiaramente, non è più cristiano, se non come forma ad substantiam; l’orizzonte tecno-scientifico, elevato a unica dimensione del reale, promosso secolarmente dalle elaborazioni razionaliste e ateiste della massoneria, aggredisce ogni giorno di più le coscienze allato di una totalitaria meccanizzazione della vita e di un nichilismo abissale, la cui strategia è risucchiare verso il fondo ciò che partecipa e può partecipare della essenza (“quidditas”).

Ciò fu chiaramente previsto. Vi furono ripetuti avvertimenti celesti al riguardo. Per dare al lettore gli adeguati strumenti ermeneutici, non possiamo che rimandare a quattro preziosissimi volumi: A. Socci, “Non è Francesco”, Mondadori 2014 (volume nell’insieme prezioso e importante ma di cui non si può condividere l’eccessiva infatuazione verso il conciliarista liberale Ratzinger); Mons. Spadafora, “Fatima e la peste del socialismo”, Edizioni Volpe 1980; “Da Fatima a Garabandal”, pref. di Mons. Spadafora, Edizioni Volpe 1965, particolarmente rilevante poiché emerge il parallelismo tra le apparizioni di Garabandal e il Vaticano II; ed un quarto su cui ora ci soffermeremo brevemente. Il saggio in questione: S. Gaeta, “Il veggente. Il segreto delle Tre fontane”, Salani Editore 2016, riguarda la testimonianza di Bruno Cornacchiola, ex protestante e ex comunista, convertito in seguito all’apparizione della Vergine (12 aprile 1947) presso la località delle Tre fontane a Roma, laddove S. Paolo fu martire. Si tratta di rivelazioni private ma approvate da Pio XII. Papa Pacelli, nel 1956, consentì il culto pubblico, affidando ai francescani minori conventuali la custodia della grotta nelle Tre fontane e della cappella adiacente.  Dal contenuto dei Diari del Cornacchiola, frutto di apparizioni e ispirazioni, emerge il mortale smarrimento della Chiesa nel corso della “Rivoluzione” conciliarista e successivamente, al punto che il Gaeta si sente costretto a precisare che, dando voce ai Diari del Cornacchiola, le pagine del libro potrebbero portare ad accuse di “preconciliarismo”, ma, precisa  (Ivi, p. 229), “se le ispirazioni a Cornacchiola provenivano direttamente dal Cielo…è certamente opportuno che vengano rese note al grande pubblico…”.  I cristiani sono, dal 1966, completamente alla mercé del Nemico dell’Uomo: “hanno colpito il Pastore e il gregge si è disperso…”. Scrive il Cornacchiola (4 gennaio 1992):

Signore, tu mi hai fatto vedere una volta, ai primi tempi della grazia ricevuta, sacerdoti in fila che entravano nella Chiesa di San Marcellino in via Merulana e ne uscivano in borghese. Ora me li mostri in talare, ma sono gli uni contro gli altri. Cristiani che si combattono perché non hanno più un capo che li guidi (Ivi, pp. 218-219).

Ma nel 1958 la S. Vergine aveva detto: “Non spogliatevi dell’abito sacerdotale, ubbidite tutti: l’abito richiama, è un segno celeste” (Ivi, p. 172). E nel 1982 invita il Cornacchiola a dire ai sacerdoti neo-modernisti che “lo Spirito santo – che aiuta a spianare i monti e i colli, a raddrizzare i sentieri storti – lo hanno messo nelle soffitte delle loro stoltezze e nelle cantine della loro ignoranza! Ecco cosa significa che sono pieni di vino dolce: si sono ubriacati del mondo e del falso modernismo mondano dilagante nei loro spiriti deformati!” (Ivi, pp. 172).

Si ritorna così al capolavoro teologico e dottrinario dell’epoca contemporanea. Quello del Beato S. Pio X, “Sugli errori del Modernismo”. Quello stesso in cui con saggezza si ammonivano coloro che ritenevano possibile, senza cadere nel nichilismo e nell’agnosticismo, andare avanti nei postulati dell’immanentismo vitale panteistico del tutto slegato dall’ispirazione sovrannaturale e in quelli della “permanenza divina”. Per quanto sia auto-consolatorio leggere la storia del XX Secolo come una storia di assalti e “complotti” di frazioni avversarie giudaico-massoniche contro la Tradizione romana cattolica, il che è comunque parte decisiva del problema, è però ben più realistico leggerla tenendo anzitutto presente il ruolo rivoluzionario e sovversivo della corrente sotterranea interna, già ben denunciata in tutte le sue ramificazioni (dal Gesuitismo democristiano al modernismo)  da Mons. Benigni. Il Beato S. Pio X sottolineava non a caso che i fautori dell’errore e dell’Avversione non erano tanto da ricercarsi tra i nemici dichiarati, ma si celavano “nel seno stesso della Chiesa, tanto più perniciosi quanto meno sono in vista”: tutti penetrati delle velenose dottrine dei nemici della Chiesa, si davano di contro, senza ritegno di sorta, “per riformatori della Chiesa medesima”, non risparmiando la persona stessa del Redentore divino, che, con ardimento sacrilego, rimpiccioliscono sino alla condizione di puro e semplice uomo (Pio X, “Pascendi Dominici Gregis. Sugli errori del Modernismo”).

La guerra occulta contro il Cristianesimo vide dunque nella prima linea non tanto il Giudaismo-Massoneria o il Comunismo, ma la “setta modernista”, definita da Pio X (1 settembre 1910)  anche “setta segreta” o “foedus clandestinum”, compendio di tutte le eresie. Se modernisti o neo-modernisti non fossero stati contrastati con determinazione e fermezza, avrebbero annichilito la Tradizione cattolica, sostituendola materialmente con una pseudo-religione di altra sostanza che avrebbe disgregato e frammentato lo Spirito romano-italiano, Spirito universale equilibratore. Pio X, Santo e Beato, fu purtroppo anche buon profeta in patria.

Marcel Lefebvre riassume in perfetta sintesi di pensiero e immagine il processo ed il fine della tragedia conciliare: la de-tronizzazione del Cristo. E visto che in metafisica il vuoto non può esistere, se non c’è lo Spirito del Signore, sul Trono si insidia ben altro spirito! A questo ci ha portato il neo-modernismo e il democristianismo più o meno Gesuitico (Mons. Benigni docet!), per i quali i nemici strategici sono stati la Dottrina fascista di Mussolini e la Tradizione cattolica romana così ben incarnata dal Santo Pio X. Se Monsignor Lefebvre avesse seguito l’esempio di Mons. Thuc, concentrandosi più sulla Dottrina, meno sulla prammatica politica, oggi il Cattolicesimo integrale sarebbe stato ben più vivo e presente, con benefiche conseguenze per l’intera Comunità cattolica.

Vi sono comunque Stati, Nazioni, Popoli che rifiutano il dogma profano e eretico del nostro tempo, secondo cui la Scienza possa avere una vita indipendente dal soggetto che la concepisce e sia destinata perciò ad un dominio assoluto ed irreversibile. La Scienza è oggi una vera e propria Ideologia totalitaria, di certo la peggiore mai apparsa nella storia umana. Anche il dominio assolutista della Scienza lo dobbiamo al neo-modernismo pagano più o meno Gesuitico e al “democristianismo”, che infransero il nesso dottrinario  e sociale cristiano come nessuna altra forza è stato in grado di fare.

Secondo la via totalitaria-scientifica dei nostri tempi, ben legittimata dal neo-modernismo pagano, al posto del Cristo, al centro dell’organismo sociale, va messa l’onnipotenza della Scienza, ben rafforzata anche dal fondamentalismo vetero-testamentario e calvinista di derivazione americanistica, che è arrivato in soccorso da oltre-oceano.

Ottimismo ingiustificato e deleterio suscita ogni nuova “conquista” tecnologica. Ma non si tratta di altro, in fondo, che di continuità con il liberalismo “scientifico”. Il risultato effettivo di questo liberalismo “scientifico” sono stati i milioni di cristiani uccisi in Messico e una invasiva aggressione laicista  alla vita sociale cristiana consolidata da secoli di sane tradizioni e di conquiste morali. O con il comunismo “scientifico” teorizzato da Marx: milioni e milioni di martiri cristiani sparsi in ogni angolo del mondo.

Americanismo, Bergoglismo, “Europeismo”: catastrofismo

Bergoglismo ed “europeismo” sono attualmente il fronte avanzato della Sovversione. Sono ben più americanisti dell’originario americanismo, dove si stanno manifestando forti resistenze interne (per quanto confuse, manipolate e niente affatto risolutrici) alla strategia Oligarchica di mera distruzione nichilista. La nuova identità europea teorizza il gender, l’abortismo di massa, l’ecumenismo massonico,  la digitalizzazione ipercapitalista quale fine sociale, l’islamizzazione della cultura europea, la profanazione pubblica del SS.Crocifisso, la persecuzione di pagani, eretici, ebrei, protestanti, buddisti, curdi, comunisti, omosessuali e chiunque altro come dogma profano fondativo dell’ “europeismo tollerante e inclusivo”, ma impone il silenzio assoluto sul più grande sterminio del XX secolo (quello dei cristiani in Messico). La nuova identità europea, elaborata da una ideologia scientifica di taglio fanaticamente Neo-Modernista e Neo-Pagano, è intollerante solo verso la vera e originaria identità europea: quella Cattolica e Romana. Nei primissimi anni ’60 la S. Vergine rivelò alla Beata Elena Aiello che questa politica modernista era precisamente la Strategia di Satana.

Pochissimi Stati o movimenti si oppongono a tale deriva catastrofica. Segnaliamo i casi a noi più vicini e concludiamo.

POLONIA

La Polonia è oggi Cattolica e Nazionale, ma rimane una nazione spaccata.  Diritto e Giustizia (PIS) dei fratelli Kaczinski continua la linea nazionalista e tradizionalista del movimento Solidarnosc. Fu grazie a questa linea devota e patriottica che l’URSS fu messa seriamente in crisi. Gli europeisti ed i mondialisti (i “neo-modernisti”) sono invece rappresentati da Piattaforma Civica, il cui più noto esponente è il fanatico europeista Donald Tusk. Piattaforma Civica, come il mondialismo massonico europeistico, sembra non aver altro scopo che imporre al popolo polacco l’ideologia gender e l’islamizzazione. Chiunque si oppone a tale ipotesi di catastrofe sociale è un fascista o un neofalangista. Il falangismo cristiano è la forma fascista polacca degli anni Trenta. Piattaforma Civica e i mondialisti polacchi raccolgono nei vertici gli agenti KGB di ieri, che erano presenti strumentalmente in Solidarnosc per controllare e deviare l’ala nazionalista-cattolica; la famosa quinta colonna il cui esponente più noto è Walesa, europeista, antifascista e mondialista. Si distingue nel fronte mondialista anticattolico  Ryszard Petru. Proveniente da famiglia di collaboratori del KGB, è oggi l’uomo della massoneria mondialista, del FMI e della BCE incaricato di infiammare Varsavia con una rivoluzione colorata. Sino ad oggi, tutti i suoi tentativi sono falliti. Non ha il consenso del popolo, che preferisce il Patriottismo tradizionalista del Kaczinski.

L’odierna Polonia Cattolica e Nazionale di Jaroslav Kaczynski esercita una chiara e coraggiosa opposizione alla BCE e all’Unione Europa. Il Nostro ha più volte condannato la strategia monetarista, bancocratica e ultracapitalista del massone Mario Draghi. Ha inoltre condannato il neo-pangermanismo capitalista, secolarista, “neo-luterano” ed ateistico di Merkel. Non è questa l’Europa che vuole Diritto e Giustizia, al cui interno troviamo tesi sociali che rimandano al Corporativismo degli anni ’30 o alle Encicliche Sociali della Chiesa romana.

Kaczynski chiede oggi con coraggio e alto senso Patriottico le dovute riparazioni di guerra che l’imperialismo pangermanista dovrebbe alla Polonia; son stati rimborsati francesi, ebrei, in parte gli anglosassoni; perché i polacchi no? Forse perché son gli unici che vogliono rimanere integralmente cattolici? Dunque l’essenza dell’UE e dell’attuale imperialismo supercapitalistico di Berlino e Parigi, per il Nostro, altro non è  che identità anticattolica ed anticristiana. Anzi, più precisamente, odio anticristiano.

Nonostante l’attentato di Stato (10 aprile 2010, Smolensk Russia) che decapitò la classe dirigente nazionale cattolica (tra cui Lech Kaczinski), rimasta tuttora senza mandante (sebbene tra i nazionalisti circolino varie tesi interessanti, che non si possono qui discutere, ma che scagionano completamente, anche per un minimo di logica, la Russia di Putin), la Polonia non cede. Non ha ceduto né al luteranesimo ateistico tedesco, né al giudaismo americanistico, né al putinismo russo. Lo Stato polacco attuale, grazie al Kaczynski in larga parte ispirato ad una concezione Contro-Rivoluzionaria, dovrebbe oggi essere l’esempio morale e politico di ogni popolo cattolico. La Falange nazional-radicale odierna, che si ispira al movimento filofascista degli anni ’30, che si oppose sia allo stalinismo invasore, sial Terzo Reich, ha sempre propugnato la visione mitica e storica della Polonia come antemurale della cristianità. Occorre considerare che nella Polonia odierna, il modello falangista è considerato nella famiglia dei precursori storici e teorici della Polonia Nazionale di Visegrad, con la sua quintessenza solidarista e corporativista, anticapitalista e anticomunista.

La Falange è in grado di mobilitare decine e decine di migliaia di persone: non teppisti e delinquenti, come strombazza la propaganda nichilista della UE, ma in gran parte famiglie polacche con bambini al seguito e giovani che rifiutano la cultura della droga, la corruzione materialista dilagante e l’ateismo di massa. Durante l’ultima marcia dell’Indipendenza (11.11.2017), il Ministro degli Interni, M. Blaszczak, ha elogiato lo spirito di disciplina e ha definito il corteo di famiglie polacche con bimbi e adolescenti “una splendida cartolina” dell’attuale situazione polacca, rispetto alle marce omosessiste, di attacco al principio della Vita, che sarebbero la cartolina dell’ “Europa” di Bergoglio, Merkel, Draghi, Macron.

Diritto e Giustizia ha iniziato ad operare in un tessuto sociale e economico, sfasciato da decenni di Comunismo e dalle terapie ultraliberiste della “shock economy” di Balzerowicz, terapie partorite dall’economista Jeffrey Sachs, peraltro consigliere di Bergoglio. L’economia polacca, dopo la cura Solidarista di Diritto e Giustizia, è attualmente basata su un dirigismo temperato che ha affossato il precedente liberismo sfrenato, che condusse a disuguaglianze spaventose, ancora visibili, soprattutto a Varsavia. I dati attuali indicano bassissima disoccupazione e prodotto interno lordo in continua crescita. In antitesi alle differenti culture della morte anti-cattoliche, la Polonia, con altre nazioni orientate in tal senso, indica la vera dimensione Europea ed Europeista. Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, stanno rafforzando i principi nazionali autenticamente Europei del Gruppo di Visegrad. Economicamente propongono un modello di protezionismo moderato e di Solidarismo sociale non lontano dal Corporativismo classico degli anni ’30.

I fronti sono aperti, lo scontro è in corso e la frazione massonica filo-Ue è in Polonia comunque presente. Vogliamo però ricordare che la Chiesa polacca è radicalmente anti-bergoglista e annovera ai suoi margini notevoli e determinate componenti cattoliche-integrali. La strategia di de-cattolicizzazione promossa dai liberisti e mondialisti dagli anni ’90, per quanto tuttora ben agguerrita, non ha sfondato in Polonia come purtroppo è avvenuto in Italia. I mondialisti hanno i mezzi finanziari, giornali, propaganda. Il Paese rimane spaccato e diviso, ma la maggioranza del popolo polacco è con Gesù e Maria.

Al riguardo, significativo il silenzio del clan gesuitico di Bergoglio sulla iniziativa per l’Europa cristiana svoltasi in Polonia il giorno della festa della Madonna del Rosario e dell’anniversario della battaglia di Lepanto (7 ottobre 2017). Più di un milione di polacchi hanno formato una catena umana per la salvezza del mondo e del Cristianesimo.  La Polonia, nell’aprile 2017, come aveva peraltro già fatto l’Ungheria, si è definitivamente ritirata dal contingente europeo di difesa comune (Eurocorps) e ha aderito all’Alleanza Atlantica. La Polonia aderisce come membro dell’Europa di Visegrad, dunque come Stato indipendente e partner esterno, non come vassallo degli Stati Uniti. E’ una alleanza tattica militare, non politica.

Quasi tutti i patrioti polacchi, anche i più Contro-Rivoluzionari, considerano oggi Lech Kaczynski un martire “polacco e cristiano” alla testa delle loro fila; molti tra loro lo paragonano all’eroe Jerzy Volodyjowski (1620-1672).

La politica per la famiglia e per la natalità di Diritto e Giustizia pone la Polonia in netta contro-tendenza rispetto all’andazzo generale. Se i dati saranno confermati, il 2017 si chiuderà con circa 500 mila nascite, il numero più alto dal 2010. Questo grazie all’azione sociale del Governo patriottico, che scoraggia l’aborto ed incentiva socialmente la pratica natalista.

RUSSIA

Vladimir Putin, ottimo mediatore tra Esercito, Chiesa Ortodossa e Patriottismo popolare russo, ha però il grave limite politico e storico (su cui non si può sorvolare) di non aver aggredito il liberismo oligarchico capitalistico e l’americanismo culturale che sopravvivono in Russia dal bolscevismo e dall’era El’cin. Per quanto oltre i confini Putin sia descritto come il nuovo Zar, in realtà i gruppi cristiano-ortodossi neo-zaristi o tradizionalisti sono su posizioni di pura opposizione o collaborazione fortemente critica con il Cremlino. Putin non è dunque un contro-rivoluzionario russo, ma un mediatore che pone comunque al centro un nazionalismo russo di sostanza imperiale, euroasiatica. I suoi meriti di Statista non possono di certo essere cancellati, così come la sua riconoscenza verso il pensiero di Solzenicyn, da taluni considerato un maestro di Putin, e verso il fascista russo Ivan Il’yn (1883-1954); allo stesso modo, la sua teoria organica della relazione sinfonica tra Stato e Chiesa rispecchia la Dottrina sociale della “Chiesa Ortodossa Russa”. Se la Russia putinista non è dunque, in assoluto, un modello Contro-Rivoluzionario integrale, a causa dell’arrendevolezza verso il liberismo capitalismo oligarchico, è nel contesto attuale, un importante e positivo modello socio-politico. Unica speranza, è che con le prossime presidenziali (18 marzo 2018), la Russia possa giungere, con Putin o oltre Putin, ancora più a Destra di quanto già vi sia. Oltre ad aver rimesso in sesto la situazione, il più grande merito storico di Putin è aver proposto a livello universale l’ “ideologia” della Russia come Terzo Occidente. In base a questa visione, dopo il tramonto e la decadenza dei due Occidenti storici (dunque si danno ormai per caduti nella decadenza di civiltà anche gli USA), l’unico polo che incarnerebbe gli autentici valori cristiani, occidentali sarebbe “Mosca Terza Roma”.

Il putinismo ha continuato purtroppo con il solito atteggiamento tradizionale russo, sciovinista antipolacco, ma ha trovato una solida barriera, se non altro, nella parte di Polonia cattolica, tradizionale e dichiaratamente filofalangista.

FRANCIA

Come già affermato, la Francia, “la prediletta figlia”, è sempre, da qualche secolo a questa parte, la stella oscura della storia occidentale. Nessuno aveva particolare speranze verso il Front National di Mpl (Marine Le Pen) e del suo Rasputin gollista Philippot. Il punto fondamentale, da ben considerare, è però che la Francia che vuole morire “francese e cattolica” si riconosce ancora quasi totalmente nel FN. Tralasciando la campagna elettorale suicida condotta dal duo Marine-Philippot nel maggio 2017, va anche stigmatizzato il nuovo FN marinista: laicista, di sinistra, gollista. Una componente ben più di destra e probabilmente Contro-Rivoluzionaria è quella rappresentata – almeno sino a pochi mesi fa – da Marion Marechal Le Pen, eletta più giovane deputata all’Assemblèe Nationale nel 2012. Marion ha preso parte alle manifestazioni contro la legge Taubira, frequenta gli ambienti del Cattolicesimo tradizionale francese e conservava sino al maggio 2017 un ottimo rapporto con i “vecchi” quadri storici del FN e con l’entourage del nonno Jmlp, cacciato dal partito su ispirazione del gollista e gay dichiarato Philippot (“Les faux semblants du Front national” a cura di S. Crepon, P.F.N.S.P. 2015).

Dopo l’uscita unilaterale dal FN da parte di Marion, anche i suoi rapporti con il nonno paiono diventati burrascosi. La sua linea dottrinaria ricalcava comunque, abbastanza fedelmente, pur con dubbi aggiornamenti, quella tradizionalista ed antimodernista del FN del Presidente Jean Marie Le Pen. Particolarmente equivoci i continui riferimenti idealizzati alla figura del Napoleone Bonaparte, che Marion aveva ripreso dalla monografia sul Corso del teorico maurrasiano J. Bainville. Al tempo stesso, l’intenso omaggio alla Vandea Contro-Rivoluzionaria, concepita come perenne cuore di Francia, pare essere un cardine della visione del mondo di Marion. La Nostra ha più volte detto che il simbolo francese per eccellenza è il Sacro Cuore di Gesù vandeano.

Per quanto Jean Marie avesse compiuto, nel corso degli anni, necessarie svolte tattiche, talvolta anche ben ispirate, l’identità originaria del FN non era mai stata tradita né abbandonata. Essa rimandava chiaramente alla visione cattolica contro-Rivoluzionaria e continuava, pur in un contesto completamente differente, la tradizione nazionalista francese che, partendo dall’Action Francaise, comprendeva la parabola storica di Vichy e dell’Algèrie francaise. Il FN di Jmpl fu probabilmente l’unico movimento politico, ortodossamente e tatticamente, contro-rivoluzionario dell’Europa occidentale degli ultimi decenni. Suo dichiarato punto di riferimento, come ha sottolineato lo storico francese P. Milza, fu il Fascismo nella forma storica del Salazarismo portoghese, verso il quale si mostrava gratitudine anche per aver soccorso i reduci in esilio della OAS negli anni ‘60 e i “collabos” di Vichy negli anni precedenti.

Dal maggio 2017, con l’auto-esclusione di Marion dai vertici, la componente della Destra interna si trova nel FN senza un punto di riferimento forte.

Occorre sperare e pregare che la Francia, la Nazione dei martiri, la figlia primigenia e mai dimenticata, possa risorgere e essere consacrata al Cuore di Gesù.

ITALIA

Con la fine della Segreteria MSI Arturo Michelini (15 giugno 1969), non vi fu più probabilmente spazio nemmeno per l’ipotesi di formazione di un fronte Contro-Rivoluzionario in Italia. Il suo stesso successore si sbrigò a definirsi “ghibellino” in omaggio all’ala laicista e pagana del movimento, che lo aveva condotto alla Segreteria.

Lo spirito “infernale”, massonico, rivoluzionario si impossessò, dopo il Concilio Vaticano II (8 dicembre 1965), vorticosamente, di tutti gli animi ed i fronti, dall’estrema destra all’estrema sinistra, passando per il centro. L’Italia, cattolica e romana, per secoli e secoli il Centro culturale e spirituale del mondo, dopo l’assalto fatale del massonico e protestante “Risorgimento” prima, dell’americanismo e della “Resistenza” poi, non volle più essere romana e cattolica. Cedeva lo scettro catecontico. Non vi fu spazio, nel mondo sociale italiano, che per rovine, raggiri, responsabilità eluse.

Pio XII nel 1941 disse:

“O Roma cristiana, il Sangue di Cristo è la tua vita: per quel Sangue tu sei grande e illumini della tua grandezza anche i ruderi e le rovine della tua grandezza pagana, e purifichi e consacri i Codici della sapienza giuridica dei Pretori e dei Cesari. Tu sei la Madre di una Giustizia più alta. Tu sei faro di civiltà, e la civile Europa e il mondo ti devono quanto di più sacro e di più santo, quanto di più saggio e di più onesto esalta i popoli e fa bella la loro storia” (Pio XII, “Messaggio radiofonico al mondo. Natale 1941”).

Dagli anni ’60, invece, i ruderi e le rovine neo-pagane, grazie all’azione ormai vittoriosa della setta neo- modernista riunita in una filosofia sociale neogesuitica (estranea al puro spirito originario dell’Ordine) e politica “democristiana”, seppellirono la luce di Roma cristiana.

Attualmente, se è dunque impossibile parlare di una preferenza cattolica-controrivoluzionaria, in un Paese dove, per evidenti ragioni, la vendetta massonica e nichilista è stata la più poderosa e infida, va comunque segnalato che la preferenza cattolica-conservatrice sembra andare negli ultimi tempi verso il progetto Nazionale di Matteo Salvini. Quest’ultimo alterna posizioni politicamente ben declinate a cadute demagogiche, poco credibili e “populistiche”, che hanno chiaramente il fiato corto. Certamente, almeno sino ad oggi, Matteo Salvini non è, purtroppo, il Jean Marie Le Pen italiano. Non è però nemmeno il politico della massoneria europeista o mondialista; solo i deputati leghisti, in Italia, hanno difeso nel parlamento italiano ed europeo, ripetutamente e ostinatamente,  la pedagogia pubblica del SS. Crocifisso e del Presepe – in continuità con il concetto che fu della disciolta “Padania cristiana” (1998-2009) – e hanno bollato come niente altro che anticristiana la strategia complessiva e finale dell’Unione Europea, pur mantenendo nel contempo ottimi rapporti con i gruppi sionisti o filo-sionisti. Detto questo, ci sembra che al momento, sia necessario muoversi in maniera pragmatica e valutare a seconda delle situazioni, senza schierarci come organici ad alcun partito. Lasciando comunque ai nostri militanti e simpatizzanti la facoltà di militare ove vogliano, nell’area, qualora lo desiderino. Fatti salvi determinati principi che, ad oggi, sono ufficialmente e apertamente anticattolici solo da parte di Casa Pound.

Diceva il Cardinale Ottaviani: “Guai a confidare negli uomini!”. Quindi, non occorre mai perdere la bussola.

“E’ tutto un mondo, che occorre rifare dalle fondamenta, che bisogna trasformare da selvatico in umano, da umano in divino: vale a dire secondo il cuore di Dio” (Pio XII, Roma Domenica 10 febbraio 1952).

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