Così la sinistra ha ucciso la scuola. Libro di Ricolfi e Mastrocola svela 60 anni di follie progressiste
«La verità – sosteneva Antonio Gramsci – è sempre rivoluzionaria». Per questo non saremmo mai troppo grati a Paola Mastrocola e a Luca Ricolfi per averla gridata in un libro scritto a quattro mani(“Il danno scolastico“ – ed. La nave di Teseo pp.270 € 18), dedicato allo sfascio della scuola italiana. La “rivoluzione” sta soprattutto nel sotto titolo: “La scuola progressista come macchina della disuguaglianza“. Da non credere. La coppia (moglie e marito nella vita) ricorda da vicino il bambino della fiaba di Andersen che grida “il re è nudo” mentre intorno a lui i sudditi fanno a gara a decantare il pregio delle stoffe dell’inesistente vestito del sovrano. Per la Mastrocola, docente di analisi dei dati, non è una novità. Già nel 2017, in un precedente lavoro editoriale, aveva puntato l’indice contro «un’istruzione, abbassata e facilitata oltre ogni dire, che ha messo in difficoltà il 70-80 per cento degli studenti». Era il suo verdetto di condanna della scuola progressista, bollata come «per nulla democratica e classista».
Ricolfi e l’abbaglio di don Milani
Parole e tesi che l’autrice non solo conferma, ma che ora arricchisce di cifre, statistiche e riscontri. La prova, insomma. E qui entra in campo il marito sociologo attraverso una documentata e incontestabile comparazione tra la scuola di ieri, la stessa che il troppo celebrato don Milani nella sua Lettera a una professoressa del 1967 denunciava come «troppo selettiva», e quella di oggi. Classista la prima perché troppo condizionata dal ceto sociale degli studenti? Una fregnaccia che Ricolfi rende evidente in maniera molto più elegante ancorché incontrovertibile: «Su 100 nati nel 1956 la licenza media è stata ottenuta dal 96 per cento dei giovani dei ceti alti e dal 90 per cento dei ceti bassi (…)». Una statistica che rade al suolo la più coriacea panzana del progressismo nostrano, tanto che fa presa ancora oggi.
«L’esecutore materiale è stato il ministro Berlinguer»
È questa – secondo gli autori – l’origine del disastro che in tre mosse ha mandato ko la scuola italiana. Si comincia con l’abolizione del latino nella scuola media, si prosegue con la liberalizzazione dell’accesso alle facoltà universitarie per culminare nella laurea 3+2, voluta nel 1999 dal ministro Luigi Berlinguer, sulla cui opera il giudizio di Mastrocola e Ricolfi è più tagliente di una lama affilatissima. È stato, scrivono, «l’esecutore decisivo della distruzione dell’università». Ma il j’accuse di Ricolfi è rivolto a tutti gli ideologi progressisti. «Ricevere un’ottima istruzione era l’unica carta in mano ai figli dei ceti bassi per competere con quelli dei ceti alti… Gliela avete tolta e avete avuto il becco di farlo a nome loro». Ce n’è anche per la destra, che non ha mai saputo marcare una netta discontinuità con tale impostazione.
Penalizzati i ceti bassi
Morale: la scuola è in ginocchio perché prima i docenti «esigevano» lo studio dagli studenti. Quelli di oggi, invece, non selezionano, limitandosi solo a spostare il problema in avanti. Per spiegarlo, la Mastrocola ricorre alla metafora del gattino cui hanno cucito una palpebra nelle prime tre settimane di vita. Quando gliela scuciranno sarà troppo tardi perché nel frattempo avrà perso per sempre l’uso dell’organo. È quel che accade oggi agli studenti che progrediscono senza merito fino a diventare avvocati che non sanno parlare o insegnanti che non sanno scrivere. È l’amaro esito cui conduce la scuola apparecchiata per i ceti bassi dalla sedicente “parte migliore del Paese“. La peggiore, in realtà. Ma lasciamo stare. E chiediamoci piuttosto se mai assisteremo alla presenza in un talk-show del libro di Mastrocola e Ricolfi. Pensiamo di no, e accettiamo scommesse.
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