LA SOVRANITA’ E’ LA SOLUZIONE, NON UNA PAROLACCIA

Condividi su:

di Matteo Castagna per www.2dipicche.news

Il Prof. Dieter Grimm è uno dei più autorevoli costituzionalisti europei. Docente emerito di Diritto pubblico della Humboldt-Universitat di Berlino, è stato giudice della Corte costituzionale della Repubblica federale tedesca. Ha insegnato a Yale, negli Stati Uniti, ed è stato visiting professor in molte università, in tutto il mondo. Ha pubblicato numerosi volumi di storia, teoria, diritto costituzionale ed europeo.

Leggere le sue pubblicazioni è estremamente utile, per comprendere in maniera esaustiva il concetto di “Sovranità”, che viene, spesso ed erroneamente, quanto maliziosamente, confuso con una forma di populismo, tanto che non c’è mai data una definizione unanime e chiara.

Da un lato fa comodo ai globalisti derubricare una dottrina politica a semplice e disprezzato sentimento popolare di protesta, dall’altro non vi è una approfondita preparazione culturale per fornire risposte concrete adeguate, che non siano uno spauracchio nel gioco delle parti, ma una precisa categoria ideale, sociale, monetaria,  economica, etica e religiosa.

Quello di “sovranità” è un concetto politico-giuridico che indica il potere di comando di una società, distinguendosi da altre associazioni umane ove tale potere non è presente. La sovranità vuole trasformare la forza di un potere legittimo, in un potere di diritto. L’idea di sovranità era già presente all’interno dell’Impero Romano nel Corpus iurisi civilis di Giustiniano con espressioni quali: maiestas, summa potestas, superiorem non recognoscens, rex est imperator in regno suo.

Il riferimento principale, cui rimanda spesso il Prof. Grimm, è al pensiero di Jean Bodin (1530-1596), che fu docente di diritto romano e poi avvocato al Parlamento di Parigi. “La politica è il nucleo essenziale della storia – scriveva Bodin – in quanto il più utile a conservare le società umane” e individua l’oggetto della civilis disciplina nell’imperium dello Stato, ovvero nella summa ratio del comandare e del proibire, che sola può armonizzare tutte le attività e le arti umane, indirizzandole alla pubblica utilità, ovvero al bene comune. In quest’ottica, Bodin definisce la sovranità come il potere assoluto e perpetuo che è proprio dello Stato. Lo Stato sovrano non riconosce dipendenza da altri, siano essi Stati, élite, unioni di potere e ben si adatterebbe ad un mondo multipolare.

La sovranità consiste nel poter dare, annullare, interpretare, abolire le leggi; dichiarare guerra e concludere la pace; imporre le tasse ed esentare dal farlo; istituire e destituire i magistrati; concedere grazie e dispense alla legge; battere moneta propria; adottare un fisco equo. La sovranità e l’autonomia, se vogliamo, si possono accompagnare, in nome del principio di sussidiarietà. Ed anche il premierato potrebbe sostituire quello che Bodin chiamava il principe. 

Per Bodin, la sovranità non può essere illimitata: tutti i governanti della terra devono essere soggetti alla Legge di Dio e della natura. La summa potestas trova il suo equilibrio entro i limiti divini, quali la trasmissione del potere sovrano, il diritto alla proprietà da parte delle famiglie, intese come cellule fondamentali e fondanti di ogni comunità. Lo Stato organico, organizzato in corporazioni garantiscono stabilità ed equità sociale. Lo stato giusto – spiega Bodin – è quello in cui chi comanda e giudica lo faccia in funzione primaria delle superiori leggi e comandamenti di Dio.

Lo Stato sovrano decide la sua forma di governo. Bodin preferiva la monarchia ereditaria, ma non escludeva né l’aristocrazia, né la democrazia.

In quest’ultimo caso, non si riconosce né relativismo né liberalismo, perché i delegati dal popolo a governare devono farlo, in prima istanza, come soggetti all’Ordine stabilito da Dio. Trono e altare devono andare in armonia per gestire al meglio, ciascuno nei propri ambiti, la giustizia e la carità, l’amor patrio e la tutela della Famiglia. Il controllo delle migrazioni è un dovere di sovranità. L’eventuale Costituzione dello Stato sovrano non può contrastare coi principi indissolubili ed assoluti del cattolicesimo romano.

Se proviamo ad applicare al presente quanto insegnava Jean Bodin e, oggi, quanto scrive il Prof. Grimm, l’Italia sovrana è un obiettivo che sembra difficile da raggiungere, nell’attuale contingenza internazionale, ma la totale autonomia dello Stato sovrano deve venire prima di ogni trattato europeo.

L’interesse della Nazione e dei lavoratori è il valore primario. Le alleanze sono consentite e, anzi, promosse in nome del bene comune, ma nessun trattato può violare la sovranità dello Stato e mettere in difficoltà cittadini, soggetti fragili e mondo economico.

Lo storico di sinistra Luciano Canfora ha ammesso, con onestà intellettuale, che “ad esempio, la difesa della sovranità nazionale di fronte al capitale finanziario non è sbagliata”.

Per realizzare quello che si era capito già più di 600 anni fa, sarebbe indispensabile, nel tempo, raddrizzare l’Unione Europea, cacciando i mercanti dal Tempio e rimettendo in ordine le cose nella Chiesa.

BERGOGLIO, ZANOTELLI E QUELLA STRANA PACE

Condividi su:

di Raffaele Amato, Coordinatore del Circolo Christus Rex-Traditio

per https://www.2dipicche.news/bergoglio-zanotelli-e-quella-strana-pace/

La visita di Bergoglio a Verona ha visto riunire circa 12 mila persone nell’Arena per l’incontro “Arena di pace. Giustizia e pace si baceranno”, che cita il salmo 85. Il tema affrontato, nel dramma dell’attualità, quindi, è stato quello della pace.

Sul palco, oltre a Bergoglio, il sempre più presente don Ciotti e Alex Zanotelli, comboniano e orgoglioso indossatore di foulards arcobaleno. Questa volta il missionario non si è limitato a sfoggiare quello che costantemente porta al collo ma ha voluto sventolare una bandiera di analoghi colori e la scritta “Pace” davanti al pontefice.

Sarebbe il caso di ricordare sempre che la bandiera della pace, quella vera, è un’altra, a maggior ragione per un cristiano. È la Croce.

Quella arcobaleno, che ormai si è diffusa anche in troppi ambienti cattolici, con l’acquiescenza delle gerarchie ecclesiastiche, ha ben altra origine e significato.

Helena Petrovna Blavatsky
Helena Petrovna Blavatsky

Fu ideata da Helena Petrovna Blavatsky – Dnipro 12 agosto 1831, Londra 8 maggio 1891- , occultista, nemica giurata del cristianesimo, fondatrice della Società Teosofica – basata su una dottrina sincretica costituita da elementi esoterici, neoclassici e provenienti da diverse religioni orientali – oltre che della rivista intitolata “Lucifer”.

Così come Lucifero rappresenta l’opposto di Dio e il capovolgimento di tutti i Suoi principi – non a caso uno dei simboli satanici è la Croce capovolta – la bandiera inventata da Madame Blavatsky contiene i colori dell’arcobaleno in ordine capovolto.

Nella Bibbia l’arcobaleno rappresenta la ritrovata pace tra Dio e gli uomini dopo il diluvio universale: “Avverrà che quando avrò raccolto delle nuvole al di sopra della terra, l’arco apparirà nelle nuvole, e io mi ricorderò del mio patto fra me e voi e ogni essere vivente di ogni carne, e le acque non diventeranno più un diluvio per distruggere ogni carne…” (Gen 9:12-17)

Proporre l’arcobaleno in modo capovolto, pertanto, vuol dire esattamente rinnegare questo patto e muovere guerra a Dio.

Questi erano gli intendimenti di Madame Balvatsky, che non a caso affermò:” “Il nostro obiettivo non è restaurare l’induismo, ma spazzare via il cristianesimo dalla faccia della terra”. Oggi l’arcobaleno capovolto si è purtroppo affermato pressoché universalmente, come simbolo di pace.

Sicuramento la grande maggioranza di coloro che lo ostentano ignora le sue origini e il suo significato autentico, ma è un simbolo falso.

Questa è la bandiera che Alex Zanotelli ha sventolato, questi sono i colori che porta costantemente addosso. Siamo sicuri che lui sia animato da buone intenzioni e che sia tra i tanti a cui sfugge il reale senso dell’arcobaleno rovesciato.

Ma, allora, don Alex, butti via quello straccio teosofico e, magari, indossi la talare.

“Salvi tutti”: la strana teologia di suor Faustina Kowalska

Condividi su:

di Don Curzio Nitoglia

 

Prologo

Monsignor Patrick Perez, il 16 settembre 2021, ha postato un interessante articolo in lingua inglese – sulla dottrina soggiacente alla devozione di Suor Faustina Kowalska alla “Divina Misericordia” – intitolato Church Reasons to Condemn the Divine Mercy Devotion (reperibile alla pagina web

 https://www.traditioninaction.org/HotTopics/f072_DivMercy.htm), che è stato tradotto, il 20 settembre, in italiano dal sito

www.centrosangiorgio.com.

Nel presente articolo mi baso sostanzialmente su questo studio di Monsignor Perez.

Come fonte di riferimento monsignor Perez ha usato principalmente un articolo scritto da don Peter Scott sulla rivista The Angelus (giugno 2010).

Monsignor Perez ha analizzato le preghiere della devozione alla “Divina Misericordia” (per esempio, la “Coroncina”) e afferma di non aver trovato nulla di contrario alla fede e alla morale in esse. Invece, ha scorto alcuni errori nella dottrina che soggiace a questa nuova devozione e nel contenuto delle rivelazioni che avrebbe ricevuto Suor Faustina.

Inoltre, per quanto riguarda i singoli fedeli, egli ritiene che ci possano essere delle persone le quali abbiano ricevuto alcune grazie praticando la devozione alla “Divina Misericordia”. Tuttavia, ciò non significa che la devozione in se stessa provenga necessariamente dal Cielo. Infatti, Dio risponde sempre alle nostre preghiere e noi riceveremo sempre qualche grazia, se preghiamo. Quindi, se qualcuno ha ricevuto una grazia praticando questa particolare devozione di Suor Faustina, di per sé non significa che questa devozione provenga dal Cielo. Certamente le grazie vengono sempre dal Cielo. Ma la devozione da noi praticata potrebbe non essere di origine celeste.

 

Le condanne di Pio XII e di Giovanni XXIII

Cosa c’è di dottrinalmente erroneo nella devozione alla “Divina Misericordia”? Innanzitutto, quando Pio XII studiò questa devozione non si preoccupò tanto delle preghiere legate a essa, quanto piuttosto di ciò che Nostro Signore avrebbe detto a questa religiosa e di ciò che le avrebbe detto di rendere pubblico; ossia del contenuto dottrinale delle apparizioni di Gesù a Suor Faustina.

In séguito Pio XII collocò questa devozione – comprese le apparizioni e gli scritti di Suor Faustina – all’Indice dei libri proibiti.

Successivamente seguirono altre due condanne sotto Giovanni XXIII (1881-1963). Per due volte, durante il suo pontificato, il Sant’Uffizio condannò gli scritti di Suor Faustina relativi alla Divina Misericordia.

La prima condanna avvenne nel corso di in un’assemblea plenaria il 19 novembre 1958. Nella dichiarazione del Sant’Uffizio emergono tre punti-chiave su questa devozione: 1°) Non ci sono prove dell’origine soprannaturale di queste rivelazioni. 2°) Non si deve istituire alcuna festa della Divina Misericordia perché essa si basa su apparizioni che non provengono chiaramente da Dio. 3°) È vietato diffondere scritti che promuovano questa devozione sotto la forma ricevuta da Suor Faustina, nonché l’immagine tipica della presunta apparizione (Acta Apostolicae Sedis, vol. 51, anno 1959, p. 271).

Si tenga a mente che Pio XII è morto il 9 ottobre 1958 e la prima condanna fu emessa il 19 novembre 1958, solo quaranta giorni dopo la sua morte e appena un mese dopo l’elezione di Giovanni XXIII (28 ottobre 1958), il che indica che essa fu preparata sotto il pontificato di papa Pacelli. Perciò solo la seconda (e terza) condanna può essere attribuita esclusivamente a Giovanni XXIII, essendo stata emessa nel 1959. In quelle tre condanne, dunque, furono coinvolti due Papi e non esclusivamente Giovanni XXIII, come alcuni vorrebbero sottintendere.

Il 6 marzo 1959, il Sant’Uffizio emanò un secondo decreto su ordine di Giovanni XXIII. In esso, si proibiva, ancora una volta, di diffondere le immagini della “Divina Misericordia” e gli scritti di Suor Faustina che propagavano questa devozione. Il Sant’Uffizio ha inoltre ordinato di rimuovere i quadri del Cristo della “Divina Misericordia”, ma che spettava ai Vescovi decidere come rimuovere le immagini che erano già state esposte per essere venerate pubblicamente.

 

La necessità delle buone opere

Le vere devozioni (conformi alla fede e alla morale cattolica) presuppongono sempre la nostra buona volontà, ossia la cooperazione alla grazia di Dio mediante il pentimento e la riparazione per i nostri peccati. Nonostante le promesse di Nostro Signore e il fatto che Egli ha pagato un prezzo infinito per la nostra Redenzione, dobbiamo riparare. Dobbiamo sempre fare penitenza per i nostri peccati e offrire vari tipi di riparazione.

 

Suor Faustina e il Panteismo di Giovanni Paolo II

Giovanni Paolo II, già nel 1978, primo anno del suo pontificato, avviò il processo di canonizzazione di Suor Faustina e l’istituzione della festa della Domenica della “Divina Misericordia”. Tuttavia, sia gli scritti di Suor Faustina che l’idea stessa di celebrare una festa della “Divina Misericordia” erano stati proibiti e condannati da due suoi predecessori, appena venti anni prima.

Ora, è chiaro e acclarato che Giovanni Paolo II afferma già nella sua prima Enciclica (del 1979) Redemptor hominis n. 9: «Dio in Lui [Cristo] si avvicina ad ogni uomo dandogli il tre volte Santo Spirito di Verità» ed ancora Redemptor hominis n. 11: «La dignità che ogni uomo ha raggiunto in Cristo: è questa la dignità dell’adozione divina». Sempre in Redemptor hominis n. 13: «non si tratta dell’uomo astratto, ma reale concreto storico, si tratta di ciascun uomo, perché […] con ognuno Cristo si è unito per sempre […]. l’uomo – senza eccezione alcuna – è stato redento da Cristo, perché, con l’uomo – ciascun uomo senza eccezione alcuna – Cristo è in qualche modo unito, anche quando l’uomo non è di ciò consapevole […] mistero [della Redenzione] del quale diventa partecipe ciascuno dei quattro miliardi di uomini viventi sul nostro pianetadal momento in cui viene concepito sotto il cuore della madre». Perciò è evidente che, secondo Giovanni Paolo II, la grazia di Dio opera tutto senza la nostra corrispondenza a essa: ogni uomo avrebbe la grazia santificante per il fatto stesso d’esistere, indipendentemente dalla fede e dalle buone opere. Purtroppo pure la devozione alla “Divina Misericordia” di Suor Faustina tende a diffondere il medesimo errore.

Nella sua terza Enciclica (del 1986) Giovanni Paolo II – Dominum et vivificantem n. 50 – scrive: «Et Verbum caro factum est. Il Verbo si è unito ad ogni carne [creatura], specialmente all’uomo, questa è la portata cosmica della Redenzione. Dio è immanente al mondo e lo vivifica dal di dentro. […] l’Incarnazione del Figlio di Dio significa l’assunzione all’unità con Dio, non solo della natura umana ma in essa, in un certo senso, di tutto ciò che è carne: di… tutto il mondo visibile e materiale […]. Il Generato prima di ogni creatura, incarnandosi… si unisce, in qualche modo con l’intera realtà dell’uomo […] ed in essa con ogni carne, con tutta la creazione». Questa è una vera e propria professione di panteismo e di salvezza universale, senza la necessità della cooperazione da parte dell’uomo alla grazia divina tramite le buone opere, influenzata dalla teologia ereticale di padre Teilhard de Chardin.

Insomma, la dottrina panteista di Karol Wojtyla e la teoria soggiacente alla devozione alla “Divina Misericordia” di Suor Faustina sono parallele. Si sa che Karol Wojtyla ha attinto molto dalla teoria di Suor Faustina e poi l’ha esplicitata ed elaborata non solo da sacerdote, ma persino da Pontefice in tre Encicliche (1979/1986), spingendo avanti il processo di riabilitazione degli scritti della Suora polacca.

Un padre carmelitano Theodore Roriz, di origine polacca, ci spiega in un interessante articolo

(https://www.traditioninaction.org/polemics/F_07_DM_06.htm 7), sul quale mi soffermerò verso la fine di questo mio scritto, che il Cardinale Alfredo Ottaviani, nel 1965, permise all’allora Arcivescovo monsignor Karol Wojtyla, alla fine del Concilio Vaticano II, di dirigere un’indagine su richiesta dello stesso Wojtyla. L’Arcivescovo Wojtyla, come molti polacchi, aveva

già sviluppato una profonda ammirazione per Suor Faustina e per la sua devozione ben prima delle condanne del 1958 e del 1959. Così, nel 1965, Wojtyla chiese ed ottenne il permesso di raccogliere testimonianze e aprire un altro processo informativo sulla vita della religiosa, appena 6/7 anni dopo le condanne.

In secondo luogo, con questo permesso, monsignor Wojtyla e i suoi assistenti si misero all’opera per tentare di giustificare la devozione e ottenere la revoca delle condanne. Per molti versi, la devozione della “Divina Misericordia” rifletteva una visione teologica che seguiva da vicino la linea delle teorie teilhardiane, riprese poi da quelle panteiste e quietiste dell’Arcivescovo di Cracovia. Fu quello stesso team che lavorava con monsignor Wojtyla a sollevare la questione delle traduzioni errate come causa della condanna da parte del Sant’Uffizio.

In terzo luogo, nonostante la relazione estremamente favorevole alla dottrina della “Divina Misericordia” presentata nel 1965 da monsignor Wojtyla, la condanna rimase in vigore per altri tredici anni, ossia dal 1965 fino all’aprile del 1978, qualche mese prima che morisse Paolo VI (6 agosto 1978) e che venisse eletto Papa proprio monsignor Wojtyla (16 ottobre 1978), il paladino di Suor Faustina.

Fu solo nell’aprile 1978 – negli ultimi mesi del pontificato di Paolo VI – che la Congregazione per la Dottrina della Fede dichiarò nulla la triplice censura del Sant’Uffizio, adducendo come ragione «l’opinione di molti Vescovi polacchi», nonché la vaga asserzione del «cambiamento delle circostanze» (il Concilio Vaticano II…).

Una volta divenuto Giovanni Paolo II (16 ottobre 1978), monsignor Wojtyla, stabilì la Domenica della “Divina Misericordia” come festa ufficiale nel calendario della liturgia riformata, beatificò Suor Faustina e, in seguito, la dichiarò santa.

Insomma questa diversità di pronunciamenti sulla devozione di Suor Faustina alla “Divina Misericordia” può essere spiegata solo dal cambiamento di dottrina apportato all’interno dell’ambiente ecclesiale dal Concilio Vaticano II. Infatti, c’è opposizione di contraddizione tra la dottrina della Chiesa prima di quelle condanne (1958/59) e quella dopo di esse. Sino al 1959 la dottrina cattolica era la stessa che la Chiesa aveva sempre professato. Poi, il Vaticano II cambiò le cose introducendo una dottrina completamente diversa. Fu proprio perché Paolo VI e Giovanni Paolo II hanno seguito la nuova dottrina conciliare che cambiarono posizione sulla devozione di Suor Faustina alla “Divina Misericordia” e l’approvarono.

 

Suor Faustina anticipa il Vaticano II

In breve, ciò che fece revocare a Paolo VI le precedenti condanne della devozione di Suor Faustina alla “Divina Misericordia” e indusse Giovanni Paolo II a promuoverla non fu un errore o un malinteso del Sant’Uffizio, che si sarebbe basato su traduzioni false del messaggio riportato nelle opere di Suor Kowalska, ma fu un cambiamento nell’orientamento della dottrina. Ciò che prima del 1962 era giusto, dopo il Concilio (1965) è divenuto sbagliato e viceversa. Pertanto, si può dire che gli scritti di Suor Faustina sono stati approvati da Giovanni Paolo II perché la devozione di Suor Faustina alla “Divina Misericordia” favorisce una spiritualità influenzata dalla teologia di padre Teilhard de Chardin, tendenzialmente panteista e quietista, che è stata fatta propria dal progressismo neo/modernista che ha impregnato i Decreti del Concilio Vaticano II.

 

Alcuni esempi degli errori di Suor Faustina

Monsignor Perez fa qualche esempio molto chiaro e significativo, prendendo alcune citazioni dagli scritti della Suora polacca. Per esempio, il 2 ottobre 1936, la Kowalska afferma che il «Signore Gesù» le apparve e le disse: «Ora so che non è per le grazie o i doni che mi ami, ma perché la mia Volontà ti è più cara della vita. Per questo mi unisco a te così intimamente come a nessun’altra creatura» (Cfr. Divine Mercy in My Soul, The Diary of Sr. Faustina, Marian Press, Stockbridge, 1987, pag. 288).

Monsignor Perez giustamente obietta: Come possiamo credere che Nostro Signore si sia unito più intimamente a Suor Faustina che alla Beata Vergine Maria, “Madre di Dio” e “Immacolata Concezione”?

Poi porge un altro esempio: Suor Faustina ha affermato che Nostro Signore le avrebbe detto che ella sarebbe stata esente dal giudizio, da qualsiasi giudizio, per cui si può anche intendere sia dal giudizio particolare (che avviene dopo la morte di ogni individuo) sia dal giudizio universale (che avverrà per tutti gli esseri umani alla fine del mondo). Già il 4 febbraio 1935 la religiosa affermò di aver sentito questa voce nella sua anima: «Da oggi in poi non temere il giudizio di Dio, perché non sarai giudicata» (Cfr. Divine Mercy in My Soul, The Diary of Sr. Faustina, Marian Press, Stockbridge, 1987, p. 400) Invece in San Paolo è rivelato che «è stabilito per gli uomini che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio» (Eb., IX, 27).

Inoltre la Chiesa ha definito la ineluttabilità del giudizio particolare al Concilio di Lione, nella “Professione di fede di Michele Paleologo”, nella Costituzione “Benedictus Deus”, al Concilio di Firenze.

Ora, nessuno uomo (tranne l’Immacolata Concezione), è stato esente dal giudizio particolare né lo sarà da quello universale.

Infine, mons. Perez aggiunge a questi esempi l’affermazione secondo cui l’Ostia consacrata sarebbe saltata fuori dal tabernacolo per tre volte posandosi sulle mani di Suor Faustina, cosicché lei avrebbe dovuto aprire il tabernacolo e rimettere la sacra Particola al suo posto: «E l’Ostia uscì dal tabernacolo e venne a posarsi nelle mie mani e io, con gioia, la riposi nel Tabernacolo. Questo fatto si è ripetuto una seconda volta, e io ho fatto la stessa cosa. Nonostante questo, è successo una terza volta» (Cfr. Divine Mercy in My Soul, The Diary of Sr. Faustina, Marian Press, Stockbridge, 1987, p. 168).

Molte volte la Chiesa ha dichiarato che solo le mani consacrate di un sacerdote possono toccare le Sacre Specie e che, dopo averle toccate, egli deve purificarle per non far cadere a terra i frammenti dell’Ostia consacrata che contengono realmente il Corpo di Gesù. Che tipo di lezione si darebbe al mondo con questo esempio di un’Ostia consacrata che salta in mano a una suora affinché la deponga nel Tabernacolo, senza purificarsi nemmeno le mani? Nostro Signore non contraddice la Sua Chiesa con parole o gesti assurdi, ma con quel gesto sarebbe Nostro Signore stesso a svilire la Presenza Reale e tutto ciò che essa rappresenta.

 

Un’aggiunta di padre Teodoro Roriz

Inoltre, un padre carmelitano, Theodore Roriz, ha scritto un articolo (che è stato tradotto anch’esso dall’originale inglese) in difesa di quello di monsignor Perez, in cui sostiene che, riguardo alla dottrina della devozione alla “Divina Misericordia”, occorre asserire chiaramente che questa devozione potrebbe indurre le persone a credere di non dover lottare contro le conseguenze del peccato originale, né contro le cattive influenze del mondo, né contro le tentazioni del diavolo, ma solo a confidare nella Divina Misericordia. Questa fiducia sarebbe sufficiente per sradicare ogni cattiva azione, tendenza o influenza, e condurre l’uomo alla salvezza eterna. (Cfr. Divine Mercy in My Soul, The Diary of Sr. Faustina, Marian Press, Stockbridge, 1987, p. 23).

Si tratta di una riedizione dell’eresia del Quietismo di Miguel de Molinos (1628-1696), che fu condannata con la Costituzione Coelestis Pastor da papa Innocenzo XI nel 1687 (DS, 2201-2269), secondo la quale l’uomo non avrebbe bisogno di fare nulla per essere salvato, ma dovrebbe semplicemente affidarsi interamente a Dio per lasciare che la grazia agisca in lui.

Molinos ha tratto questa sua erronea conclusione acetica dall’eresia luterana del “pecca fortiter sed fortius crede” e della “fede fiduciale” condannata da papa Leone X con la Bolla dogmatica Exurge Domine nel 1520 (DS, 1451-1492).

Padre Roriz afferma, pastoralmente, che, sebbene lo spirito soggiacente alle rivelazioni di Suor Faustina contenga un orientamento teologico sbagliato, si può, nonostante ciò, ammettere che molti individui i quali praticano in buona fede la devozione alla “Divina Misericordia” lo facciano mossi da un’intenzione onesta e possano, quindi, ricevere alcune grazie dalla loro preghiera, nonostante le ambiguità della dottrina soggiacente a queste rivelazioni private.

Padre Roriz, infine, risponde all’obiezione secondo cui il significato dei testi delle rivelazioni di Suor Faustina è stato male interpretato solo a causa di errori nella traduzione e non è erroneo in sé.

Egli scrive di avere sotto mano sia un elenco delle più importanti traduzioni errate del Diario originale di Suor Faustina, sia anche una copia del suo Diario che è stata tradotta correttamente; infine specifica che a) le citazioni fatte da lui degli errori contenuti negli scritti di Suor Faustina sono state riprese dalla versione aggiornata, correttamente tradotta e approvata dai moderni sostenitori della “Divina Misericordia” e che b) le condanne emesse dalla Santa Sede nel 1958/59 riportano errori contenuti realmente negli scritti della Kowalska e non attribuiti a lei falsamente tramite traduzioni erronee.

 

Conclusione

Riassumendo brevemente il contenuto dei lavori di Monsignor Perez e di padre Roriz si può dire che:

1°) Le preghiere della devozione alla “Divina Misericordia” non contengono nulla di contrario alla fede e alla morale; tuttavia, vi sono alcuni errori luterani e quietisti nella dottrina che soggiace a questa nuova devozione: a) la fede senza le opere; b) la speranza fiduciale di salvarsi senza merito; c) la totale passività nella vita spirituale senza la necessità di cooperare alla grazia divina.

2°) I singoli fedeli possono ricevere alcune grazie pregando e praticando in buona fede la devozione alla “Divina Misericordia”, senza però aderire alla dottrina che essa presuppone, la quale non è stata esplicitata in quelle preghiere, che non contengono errori.

3°) Le vere devozioni (conformi alla fede e alla morale cattolica) presuppongono sempre la cooperazione alla grazia di Dio mediante il pentimento e la riparazione per i nostri peccati; al contrario di quanto insegna il Luteranesimo e il Quietismo, dei quali è impregnata la dottrina di Suor Faustina.

4°) La dottrina di Suor Faustina è stata condannata (1958/59) dalla Chiesa prima della Rivoluzione conciliare ed è stata sdoganata solo nel 1978 specialmente da Giovanni Paolo II, che era impregnato degli errori contenuti nella dottrina professata da Suor Faustina e che ha diffuso nelle sue prime tre Encicliche (Redemptor hominis, 1979; Dives in Misericordia, 1980; Dominum et vivificantem, 1986).

5°) La dottrina panteista di Karol Wojtyla e la teoria soggiacente alla devozione alla “Divina Misericordia” di Suor Faustina sono oggettivamente parallele.

6°) La perniciosità di questa devozione di sapore luterano e quietista potrebbe indurre le persone a credere di non dover lottare contro le conseguenze del peccato originale, né contro le cattive influenze del mondo, né contro le tentazioni del diavolo, ma solo a confidare nella Divina Misericordia. Questa fiducia sarebbe sufficiente per sradicare ogni cattiva azione, tendenza o influenza, e condurre l’uomo alla salvezza eterna. Tuttavia questa è la “presunzione di salvarsi senza merito”, che è un “peccato contro lo Spirito Santo”, il quale ci porta all’impenitenza finale, ossia a non chiedere perdono dei nostri errori sino alla fine, e quindi alla perdizione eterna.

7°) Infine, il significato dei testi delle rivelazioni di Suor Faustina è stato condannato giustamente poiché è erroneo in sé e non solo a causa degli errori della loro traduzione.

A partire da quanto ci hanno spiegato monsignor Perez e padre Roriz è bene stare alla larga dalla dottrina di Suor Faustina e di Karol Wojtyla, praticando le devozioni tradizionali della Chiesa.

Curzio Nitoglia

Articolo completo: “Salvi tutti”: la strana teologia di suor Faustina Kowalska | don Curzio Nitoglia (wordpress.com)

Foibe: i titini hanno perso il pelo ma non il vizio

Condividi su:

Segnalazione del Centro Studi Federici

Foibe, l’odio rosso continua: minacciata troupe Rai in Slovenia
Grave atto intimidatorio nei confronti del giornalista Rai Andrea Romoli e della sua troupe, che si erano recati all’interno di una grotta per un servizio sulle foibe. “Il messaggio era chiaro: non vi vogliamo”
“In quella caverna abbiamo trovato resti umani e anche un rosario. Una cosa che ci ha commossi”. Andrea Romoli racconta con trasporto l’esperienza avuta durante la realizzazione di un servizio per il Tg2 sulle foibe terminato però con un’amara sorpresa. Nei pressi del villaggio di Podpec, a pochi chilometri dal confine italiano, l’inviato del notiziario Rai, si era calato all’interno della caverna dove nel 1945 le milizie comuniste di Tito hanno trucidato centinaia di persone. Poi riemerso in superficie assieme agli speleologi Franc Maleckar e Maurizio Tavagnutti, che lo avevano accompagnato, ecco l’inquietante dettaglio: le auto della troupe, parcheggiate a circa 150 metri di distanza, pesantemente danneggiate.
“Il messaggio era chiaro: levatevi al più presto, qua non vi vogliamo”, commenta Romoli a ilGiornale.it, aggiungendo dettagli su quell’intimidazione che affonda le proprie radici nei crimini della storia. Il parabrezza della vettura Rai di servizio – ha testimoniato il giornalista – era sfondato, la fiancata divelta. Gli specchietti delle auto dello stesso inviato Rai e degli speleologi erano altesì danneggiati. Diversamente, le macchine di targa slovena presenti sul posto non sono state sfiorate. Così, davanti agli occhi della troupe Rai, si sono palesati i segnali inequivocabili di un antico odio purtroppo mai sopito. Peraltro, Romoli ha raccontato anche un altro emblematico dettaglio emerso durante la sua spedizione nella grotta slovena.
“All’ingresso erano state poste due grandi croci di legno ma qualcuno le aveva sradicate e buttate giù: un atto pesante, che testimonia l’odio oltre la morte. Noi siamo riusciti a recuperarne una e l’abbiamo posizionata di nuovo”, ha ricostruito il cronista Rai. Quell’oltraggio – ha aggiunto – “mi ha colpito ancor di più delle auto danneggiate”. L’episodio intimidatorio è stato subito denunciato e stigmatizzato con forza da sindacato Unirai. “Dalle Foibe in Istria alle fosse comuni di Bucha è teso un unico filo rosso di sangue, che bisogna ricordare e denunciare perché quegli orrori non si ripetano. Farlo senza paure e reticenze è la maniera migliore per onorare lo straordinario lavoro di ricucitura delle ferite del passato realizzato dalle comunità italiana e slovena al di qua e al di là del confine, per costruire un comune futuro di pace e convivenza. Dalla storica stretta di mano tra il presidente Mattarella e il suo omologo sloveno Pahor davanti alla foiba di Basovizza non si torna indietro”, ha scritto il sindacato in una nota.
Quanto accaduto ha anche ottenuto una significativa riprovazione da parte di Livio Semolič, segretario regionale dell’Unione economico culturale slovena (Skgz). “Quello che è successo in Slovenia alla equipe dei giornalisti Rai è assolutamente vergognoso . È un atto di vandalismo inaccettabile da parte di estremisti, che a quanto pare sono ancora presenti ovunque. Allo stesso tempo rappresenta una palese dimostrazione di quanto sia necessario moltiplicare gli sforzi e lavorare per la convivenza e la collaborazione , al fine di superare tutte le nefaste conseguenze che le tragedie della prima metà del secolo scorso hanno lasciato soprattutto in questo territorio di confine e non solo”, ha espresso il rappresentante della comunità slovena, esprimendo solidarietà al giornalista e alla truope Rai. (…)

Mettere l’anno nuovo nelle mani di Maria Ausiliatrice

Condividi su:

Segnalazione del Centro Studi Federici

Seguendo l’esempio di san Giovanni Bosco, che metteva sempre le più importanti  intenzioni nelle mani di Maria Ausiliatrice, affidiamo alla Madonna l’anno nuovo per i bisogni nostri, per quelli della Chiesa e per quelli della società civile. Auxilium Christianorum, ora pro nobis.
 
160 anni fa don Bosco a Oropa
Don Bosco salì ad Oropa nel momento di una decisione importantissima e fu veramente colpito dalla bellezza del luogo e dalla devozione dei pellegrini e della gente del posto, come scriverà nella lettera inviata ai suoi ragazzi a Valdocco.
Il santuario di Oropa si trova tra le Alpi Biellesi a 1176 m ed è luogo di fortissima devozione alla Vergine, con testimonianze che risalirebbero addirittura a sant’Eusebio, primo vescovo di Vercelli (secolo iii). Mèta di continui pellegrinaggi, è uno dei più grandi Santuari mariani d’Italia. Don Bosco vi salì come devoto pellegrino nell’estate del 1863, per chiedere una grazia speciale a Maria.
Qualche mese prima aveva espresso ai suoi più diretti collaboratori il progetto di questo pellegrinaggio, dopo i suoi esercizi spirituali a Sant’Ignazio, sopra Lanzo Torinese: voleva “fare la scelta delle persone da mandarsi nel collegio di Mirabello” (Ms vol. VII, p. 482). L’apertura di questa nuova opera, la prima fuori Torino, era molto importante: si trattava veramente di capire come se la sarebbero cavata i suoi figli lontani da lui; ci voleva proprio una protezione speciale di Maria, allora don Bosco scelse il santuario di Oropa, molto vicino alla città di Biella, dove era vescovo monsignor Losana, suo carissimo sostenitore e amico. Vi si recò quindi ai primi di agosto e fu veramente colpito dalla bellezza del luogo e dalla devozione dei pellegrini e della gente del posto, come scriverà nella lettera inviata ai suoi ragazzi a Valdocco. Furono giornate di paradiso, così come descrivono i suoi cronisti e il suo biografo don Lemoyne: “Ivi, dinnanzi a quell’effigie taumaturga, celebrava la Santa Messa e pregava lungamente” (MB vol. VII p. 497). Poi il pensiero corse ai suoi ragazzi e ai giovanissimi primi salesiani di Valdocco: li avrebbe voluti tutti con sé per vivere le sue stesse emozioni e il suo amore alla Vergine. E scrisse una delle sue più belle lettere:
Se voi, o miei cari figliuoli, vi trovaste sopra questo monte ne sareste certamente commossi. Un grande edifizio, nel cui centro havvi una divota chiesa, forma quello che comunemente si appella Santuario d’Oropa. Qui havvi un continuo andirivieni di gente. Chi ringrazia la Santa Vergine per grazie da lei ottenute, chi dimanda di essere liberato da un male spirituale o temporale, chi prega la Santa Vergine che l’aiuti a perseverare nel bene, chi a fare una santa morte. Giovani e vecchi, ricchi e poveri, contadini e signori, cavalieri, conti, marchesi, artigiani, mercanti, uomini, donne, vaccari, studenti d’ogni condizione si vedono continuamente in gran numero accostarsi ai Santi Sacramenti della confessione e comunione e andare di poi ai pie’ d’una stupenda sta-tua di Maria SS. per implorare il celeste di lei aiuto. Ma in mezzo a tanta gente il mia cuore provava un vivo rincrescimento. Perché? Non vedeva i miei cari giovani studenti. Ah! Perché non posso avere i miei figli qui, condurli tutti ai pie’ di Maria, offerirli a Lei, metterli tutti sotto alla potente di Lei protezione, farli tutti come Savio Domenico o altrettanti San Luigi? Per trovare un conforto al mio cuore sono andato dinanzi al prodigioso altare di Lei e le ho promesso che, giunto a Torino, avrei fatto quanto avrei potuto per insinuare nei vostri cuori la divozione a Maria. E raccomandandomi a Lei ho dimandato queste grazie speciali per voi. ‘Maria, le dissi, benedite tutta la nostra casa, allontanate dal cuore dei nostri giovani fin l’ombra del peccato; siate la guida degli studenti, siate per loro la sede della vera Sapienza. Siano tutti vostri, sempre vostri, e abbiateli sempre per vostri figliuoli e conservateli sempre fra i vostri divoti’. Credo che la Santa Vergine mi aver esaudito e spero che voi mi darete mano, affinché possiamo corrispondere alla voce di Maria, alla grazia del Signore. La Santa Vergine Maria benedica me, benedica tutti i sacerdoti e chierici e tutti quelli che impiegano le loro fatiche per la nostra casa; benedica tutti voi, Ella dal cielo ci aiuti, e noi faremo ogni sforzo per meritarci la sua santa protezione in vita ed in morte. Così sia”.
Dal Santuario d’Oropa, 6 Agosto 1863 
La Madonna gli ispirò criteri e nomi per la scelta dei salesiani da mandare a Mirabello; a capo di questa missione, la prima in ordine assoluto per Salesiani, fu posto il giovanissimo direttore don Michele Rua. Non poteva fare scelta migliore. Trentacinque anni dopo, il 9 novembre del 1898, don Rua mandava a Biella il primo salesiano, don Luigi Billieni, per fondare l’oratorio di San Cassia-no nel popolare quartiere di Riva. Cento anni dopo il pellegrinaggio di don Bosco, ne11963 l’allora Rettor Maggiore, don Renato Ziggiotti, saliva anche lui come pellegrino al Santuario per ricordare don Bosco e la fondazione della prima opera fuori Torino. Questo evento è testimoniato dal bellissimo quadro del Crida che si trova nella chiesa di San Cassiano e che rappresenta don Bosco a Oropa (unico nel suo genere) con una giovane famiglia della parrocchia di quel 1963.

Calendario Sodalitium 2024: San Tommaso d’Aquino a 750 anni dalla sua morte

Condividi su:

Editoriale

di don Francesco Ricossa

Il 18 luglio 1323 il grande pontefice Giovanni XXII, con la Bolla Redemptionem misit, canonizzava Tommaso d’Aquino iscrivendolo nell’albo dei Santi. Ricorreva quindi nell’anno che sta per concludersi il settimo centenario dell’elevazione alla gloria degli altari del grande teologo domenicano. Durante l’anno 2024 festeggeremo invece il 750° anniversario della morte di san Tommaso, avvenuta nell’abbazia cistercense di Fossanova il 7 marzo 1274, mentre il Santo si recava al Concilio di Lione. Il prossimo anno ricorrerà infine l’ottavo centenario della sua nascita, avvenuta a Roccasecca, nella contea di Aquino, nel 1225 appunto. Il nostro Istituto Mater Boni Consilii e la nostra rivista Sodalitium non potevano certo non unirsi alla gioia di tutta la Chiesa nei festeggiamenti indetti per questo triplice anniversario, tanto più che la festività di san Tommaso d’Aquino era uno dei “giorni di preghiera speciali” del Sodalitium Pianum di Mons. Benigni (a proposito di anniversari: il 27 febbraio cade il 90° della morte del nostro prelato!) secondo la circolare del 12 marzo 1913 dello stesso Sodalizio. Né poteva essere altrimenti giacché la magna carta della lotta al modernismo, l’Enciclica Pascendi, denunciava nella lotta alla Scolastica l’arte insidiosa dei modernisti, e proponeva nella fedeltà a san Tommaso il rimedio a questa sintesi di tutte le eresie che ancor oggi combatte la Chiesa: “Deridono perciò continuamente e disprezzano la filosofia e la teologia scolastica (…) la smania di novità va sempre in essi congiunta con l’odio della Scolastica; né vi ha indizio più manifesto che taluno comincia a volgere al modernismo, che quando incominci ad aborrire la Scolastica. Ricordino i modernisti e quanti li favoriscono la condanna che Pio IX inflisse alla proposizione che diceva (Sillabo, proposizione 12): ‘Il metodo e i principi, con cui gli antichi dottori scolastici trattarono la teologia, più non si confanno ai bisogni dei nostri tempi ed ai progressi della scienza’”. San Pio X quindi proseguiva – al seguito del suo predecessore Leone XIII – imponendo qual primo rimedio al modernismo “che a fondamento degli studi sacri si ponga la filosofia scolastica”. “Ciò che conta anzi tutto è che la filosofia scolastica, che Noi ordiniamo di seguire, si debba precipuamente intendere quella di San Tommaso di Aquino. (…) Ammoniamo poi quelli che insegnano, di ben persuadersi che il discostarsi dall’Aquinate, specialmente in cose metafisiche, non avviene senza grave danno”. Non a caso il Santo Pontefice insiste sulla filosofia scolastica e la metafisica di san Tommaso, che dietro suo ordine la Sacra Congregazione degli Studi fissò, contro il Suarez, nelle famose XXIV Tesi, quasi avvertendo che i modernisti e dopo di loro il neo-modernismo della Nouvelle théologie avrebbero cercato di sostituire una filosofia all’altra pretendendo di non mutare il deposito della Fede, mentre invece il deviare dai retti principi della retta ragione naturale avrebbe immancabilmente condotto ad adulterare lo stesso concetto di Fede e le verità rivelate. Già nel passato, infatti, prima il volontarismo e poi il nominalismo, allontanandosi dai principi di san Tommaso, avevano guastato la filosofia scolastica aprendo la via agli errori ben più gravi, alle vere eresie, di Lutero e di Calvino.

La Chiesa invece, seguendo saldamente i lumi della Fede e della Ragione, ha sempre custodito fedelmente le verità rivelate grazie anche al pensiero di san Tommaso: così al Concilio di Firenze (1439), a quello di Trento (1545-1563) e a quello Vaticano (1870), specialmente nella costituzione Dei Filius. L’11 aprile 1567, con la Bolla Mirabilis Deus, san Pio V lo proclamò dottore della Chiesa, al pari dei quattro grandi dottori della Chiesa latina, Ambrogio, Agostino, Girolamo e Gregorio Magno, dichiarati tali da Bonifacio VIII. San Pio V – nella sua bolla – notava come già durante la sua vita il suo confratello domenicano aveva “illustrato la Chiesa apostolica infinitis confutatis hæresibus: avendo confutato un’infinità di eresie”. E così anche in seguito “con la forza e la verità della dottrina dell’angelico dottore” venivano confutate e convinte d’errore le nuove eresie ed il mondo intero liberato da questi pestiferi errori: non ci piacciono i tomisti a parole che di san Tommaso non hanno lo spirito di “pugil fidei” e nemico delle eresie.

San Tommaso è dottore comune della Chiesa, pertanto. E questo nella metafisica, come abbiamo visto, come nella teologia, la quale, essendo una scienza “una”, abbraccia la dogmatica quanto la morale, e nell’una e nell’altra branca della “sacra dottrina” san Tommaso è sempre dottore indiscusso.

Del grande dottore vogliamo ricordare in particolare la sua dottrina sulla dimostrabilità dell’esistenza di Dio, così necessaria ai nostri giorni, dottrina impugnata o abbandonata dalla moderna filosofia, dal Tradizionalismo ottocentesco e dal Modernismo; la sua difesa dei primi principi metafisici; la sua lotta al Naturalismo che ne ha fatto, con san Paolo e sant’Agostino, il dottore della Grazia. Nell’attuale, diabolico attacco al Santo Sacrificio della Messa, al Santissimo Sacramento e al Sacerdozio Cattolico, san Tommaso è guida sicura come esimio teologo, santo, mistico e poeta, cantore dell’Eucarestia e baluardo contro tutti gli errori nel definire il dogma della Transustanziazione. All’opposto dello spirito moderno, mise a principio e ultimo fine del suo pensiero Iddio Santissimo, Uno e Trino, e Gesù Cristo come Via, Verità e Vita, e non l’uomo, come si iniziò sventuratamente a fare fin dal XVI secolo.

Perciò ritengo che non a caso la Divina Provvidenza, in questa tempesta che sta attraversando la Chiesa scossa dai flutti dell’eresia modernista, abbia dato alla Chiesa un valido aiuto nel pensiero di un confratello e discepolo di san Tommaso, nella persona di Mons. Michel-Louis Guérard des Lauriers o.p.

Il presente calendario permetterà al lettore di seguire, lungo i mesi di quest’anno 2024, la vita di questo Santo a noi così caro, ma soprattutto caro al Signore: che sia un anno colmo di grazie divine, di meriti abbondanti, di amore di Dio e dei fratelli. San Tommaso, intercedi per noi!

FONTE: https://www.sodalitium.biz/calendario-sodalitium-2024-san-tommaso-daquino-a-750-anni-dalla-sua-morte/

Il 2024 porterà nuovi vescovi alla FSSPX: i “lefebvriani” perseverano nell’errore fallibilista

Condividi su:

EDITORIALE

di Matteo Castagna

Siamo stati cattolici fedeli alla Tradizione, seguendo l’apostolato dei sacerdoti della Fraternità san Pio X, dal 2003 al 2009 ed è giusto farne pubblica ammenda. I sacerdoti ci sembravano avere una formazione tradizionale, che lasciava o incoraggiava la militanza cattolica dei cattolici laici che volevano intraprenderla. Nel 2005 alcuni atteggiamenti cambiarono. Improvvisamente, il parroco conciliare di Spadarolo (Rimini) ove la FSSPX ha un priorato, ci lasciava l’ampio oratorio per nostre occasioni conviviali, le omelie tendevano a evitare di parlare degli atti modernisti del clero conciliare, così come le conferenze e le catechesi. ai convegni annuali del distretto Italiano non venivano più invitati come relatori gli esponenti più determinati e politicamente scorretti.

Anche nelle discussioni private si veniva gentilmente invitati a smetterla di attaccare in continuazione i vari esponenti della Curia romana. La militanza non veniva più incoraggiata, ma snobbata, scoraggiata o, addirittura, subdolamente, distrutta. Stava cambiando il clima, preludio a successivi cambiamenti. Nel 2006, oramai, il ralliement nei confronti dei conciliari era sempre più visibile e lo si leggeva nei bollettini dell’allora Superiore Generale Mons. Bernard Fellay.

Alcuni fedeli, accortisi di questa tendenza de facto si avvicinarono ad altri fedeli, storicamente sedevacantisti, ma tollerati, almeno a Messa, per approfondire la posizione. Dopo circa un anno di studio e di non facile accettazione, la convinzione venne espressa al sacerdote della Fraternità che era considerato il più vicino a tale posizione perché lasciava piena libertà di coscienza sull’argomento. Nel 2007 le trattative ufficiali tra i vertici della FSSPX e la Roma del Concilio portarono al Motu (im)Proprio “Summorum Pontificum”, con cui Ratzinger accoglieva la richiesta lefebvriana di lasciare liberi i sacerdoti di tutto il mondo di celebrare la Messa col Messale Romano promulgato da Roncalli nel 1962, prima della riforma liturgica, ma, allo stesso tempo subordinava la Messa more antiquo a quella Novus Ordo del 1969. La liturgia della Chiesa diventata, così, la forma extra-ordinaria dell’ “unico rito” romano, che era, evidentemente, la forma ordinaria promulgata da Montini con la consulenza di Mons. Annibale Bugnini, in forte odor di Massoneria e di 6 Pastori protestanti.

Non veniva più preso in considerazione che “lex orandi, lex credendi”, e quindi, non veniva risposto agli “anticristi” romani – come li definiva, negli anni ’80, Mons. Marcel Lefebvre – che le due Messe erano frutto di due fedi diverse, una cattolica e l’altra modernista. Alla Fraternità bastava avere la possibilità di celebrare la Messa, possibilmente in chiesa, senza che qualcuno gli rompesse più le scatole. Pazienza anche che a celebrarla fossero “sacerdoti” d’ordinazione invalida con rito riformato.

Non si imponevano già più le mani, sub condicione, al clero almeno di dubbia validità. Il sacerdote di cui sopra, durante un’omelia a Lanzago di Silea (TV) tuonò nei confronti di Ratzinger, del Motu (im)Proprio ma anche dei vertici della sua Fraternità che avevano accettato questo mostro teologico, senza batter ciglio. Tra il 2007 e il 2009 furono anni burrascosi e di grande fermento, in cui nacque il Circolo Christus Rex. Quando Ratzinger, a furia di trattative coi vertici fraternini, su richiesta espressa di Mons. Fellay, nel gennaio 2009, remise le scomuniche comminate ai 4 vescovi consacrati da Mons. Lefebvre nel 1988, il vaso traboccò. Perché tutta questa smania di voler esser riconosciuti veri cattolici dalla Chiesa modernista conciliare?? Mons. Lefebvre non si era forse appellato allo stato di necessità grave per il mantenimento della Fede Cattolica integra da errori già condannati, per consacrare 4 vescovi, contro la volontà di Wojtyla?

Un fatto, forse troppo ingenuo, ma privo di conseguenze giuridiche, contrariamente a Mons. Richard Williamson che ad una televisione svedese negò la Shoà, accorso a quel sacerdote, che era andato pubblicamente in linea con Mons.Williamson, aveva l’attenuante di sentirsi esasperato e tradito da quella che era la sua famiglia di confratelli, fu il pretesto per espellerlo dalla congregazione, con modalità che, ancora oggi, non sapremmo definire se più vigliacche, o più prive della minima carità cristiana.

C’era uno zoccolo duro di fedeli che non si spaventò, che non esitò a seguire colui che era stato cacciato, cambiandogli le chiavi della canonica mentre diceva Messa a Trieste, che lo ospitò, che lo aiutò affinché potesse celebrare la Santa Messa comunque, che gli trovò un posto ove andare a vivere, adeguato ad avere una cappella in taverna. Quella cinquantina di persone si diede da fare perché non gli mancasse nulla. Egli non era caduto nelle maglie dei conciliari e andava difeso e sostenuto. I laici furono la salvezza di quel sacerdote smarrito, angosciato e privato, perfino, temporaneamente, di ogni suo effetto personale.

Possiamo dire di conoscere piuttosto bene l’argomento poco edificante di cui parliamo, anche per una serie di numerose altre questioni, di cui non è questa la sede e il momenti di parlare.

Leggiamo su Facebook un articolo del sito www.unavox.it in cui si riporta uno stralcio del Bollettino del Priorato francese della Fraternità, in cui don Alain Delagneau dà l’annuncio di nuove ordinazioni episcopali da parte della sua confraternita. Scrive il priore: “Noi ci dobbiamo aspettare – da parte delle autorità – di essere trattati da scomunicati, da scismatici. Tutte cose dolorose e preoccupanti per un cattolico. I media sapranno amplificare queste condanne, come anche la Fraternità San Pietro e compagnia; per questi sarà una buona occasione per giustificare la loro scelta nella crisi della Chiesa.

Poi continua: “E’ chiaro che è il Papa ad avere la giurisdizione universale su tutti i cristiani, ed è dunque lui che affida una parte del gregge ad ogni vescovo, rimanendone responsabile davanti a Dio. E questo è di diritto divino […] E quindi rifiutare dei vescovi alla Tradizione attiene alla legge umana, mentre salvare le anime attiene alla legge divina. Ne consegue che nel caso di grave necessità per le anime del mondo intero, si può e perfino si deve andare contro una legge umana per salvaguardare la legge divina”.

Se ne desume che sia legittimo disobbedire a colui che si ritiene il legittimo Vicario di Cristo, che però, potrebbe scomunicare chi chiede vescovi per la Tradizione. pare un cortocircuito logico, prima che teologico e canonico. Come fa un legittimo Pontefice ad essere tale ed allo stesso tempo creare le situazioni di uno stato di necessità per la salvezza delle anime? San Pietro e tutti i Papi, fino a Pio XII, hanno sempre confermato i fratelli nella fede. Non l’hanno messa in discussione creando pericolo per la sua integrità.

Gesù Cristo ha istituito il magistero ecclesiastico, conferendo agli Apostoli lo speciale potere di “annunciare il lieto messaggio (Mt. 11,5), “per rendere testimonianza della verità” (Gv. 18,37). Gli apostoli e i loro successori devono “annunciare il Vangelo a tutte le creature” (Mc. 16,15). Questo è un magistero vivo, autoritativo, tradizionale. Il mezzo per cui la parola di Dio venisse tramandata come tale, non falsata né turbata dall’errore umano è il carisma dell’infallibilità, che Egli ha conferito alla Sua Chiesa.

Esso vale per l’assicurazione della verità della fede. Poiché la Chiesa deve soltanto custodire e annunziare il tesoro della rivelazione, l’infallibilità non costituisce per i suoi soggetti la comunicazione di nuove verità rivelate. Perciò il Magistero ordinario e straordinario dei veri Papi è infallibile. Non si può credere il contrario della Mortalium animos di Papa Pio XI, come ha stabilito la Nostra Aetate del Conciliabolo Vaticano II, così come non ci si può adeguare alla Traditionis Custodes di Bergoglio, che abolisce la Messa di sempre, senza averne il potere e l’autorità. Il problema è sempre quello del vicolo cieco del fallibilismo lefebvriano, che portò alle consacrazioni del 1988. senza prima aver dichiarato la Sede Vacante per eresia manifesta, come avrebbe voluto Mons. Antonio de Castro Mayer, Arcivescovo di Campos, in Brasile, comunque presente a quelle storiche consacrazioni.

La Fraternità vuole davvero fare marcia indietro e farsi scomunicare di nuovo pur di restare fedele alla Tradizione? Ammetterebbe implicitamente gli errori gravissimi degli ultimi decenni, ma le basi dottrinali appaiono sempre quelle. O è in arrivo per il 2024 un nuovo “scherzo da prete”, Bergoglio benedicente, a scapito della Tradizione cattolica e a favore della “coppia di fatto” con il modernismo conciliare?

Attendiamo gli eventi e preghiamo per il bene delle anime e la gloria di Dio, ma le “comunicatio in sacris” coi preti invalidi, le ambiguità dottrinali e le contraddizioni lefebvriane, in particolar modo sulla questione dell’Autorità nella Chiesa e del Magistero, ci fa essere scettici. Certamente non possiamo essere lefebvriani, come abbiamo capito, per grazia di dio, nel 2005. Non vorremmo trovarci a morire “una cum” more antiquo, ma “una cum Luca Casarini”, perché la Fraternità è molto “allegra” su argomenti importantissimi di teologia fondamentale. Il vostro parlare sia “sì sì, no no” perché il resto viene dal maligno che fa adagiare nella ricerca della posizione di comodo che non è mai quella vera.

 

Una monumentale vittoria per la libertà – Celebriamo l’assoluzione di Päivi Räsänen!

Condividi su:

Segnalazione di CitizenGo

Scrivo con immensa gioia e con il cuore pieno di gratitudine per condividere la meravigliosa notizia del trionfo di Päivi Räsänen presso la Corte d’Appello di Helsinki.Fortunatamente, Päivi Räsänen è stata dichiarata NON COLPEVOLE di “discorso d’odio” per il suo tweet sulla Bibbia e per aver espresso pubblicamente le sue convinzioni cristiane!

CitizenGO ha sostenuto Päivi fin dall’inizio di quello che è stato un lungo processo, ad ogni passo. Il nostro team era presente sul campo, a Helsinki, in ogni processo.

Abbiamo coinvolto volontari e raccolto donazioni per la sua difesa, lanciato campagne sui social media, condotto interviste, pubblicato annunci sui giornali e portato il suo caso nel cuore delle Nazioni Unite per denunciare l’ingiustizia e la censura.

Non avremmo potuto intraprendere nessuna delle azioni in difesa di Päivi che ho menzionato senza il vostro aiuto e sostegno… Pertanto, questa vittoria appartiene principalmente a voi.

Voi e migliaia di cittadini in tutto il mondo avete svolto un ruolo fondamentale nel sostenere Päivi. Le nostre petizioni hanno raccolto più di 550.000 firme, evidenziando l’interesse globale per la libertà religiosa e la libertà di parola. Il tuo sostegno ha aiutato a spostare le sorti a favore di Päivi, contribuendo in modo significativo a questo fantastico risultato.

Sapevamo esattamente qual era la posta in gioco: questo caso avrebbe creato un probabile precedente per il futuro della libertà di parola e dei diritti dei cristiani.

Mi sono sempre detto che in quel caso era Päivi, ma in futuro potrebbe essere uno di noi a essere processato per aver semplicemente espresso la propria fede.

Io stesso ho avuto il privilegio di assistere al suo ultimo processo presso la Corte d’Appello di Helsinki in agosto, stando accanto a una vera guerriera che difende la libertà di parola e di religione per tutti noi.

Martedì scorso, la Corte d’Appello di Helsinki ha respinto all’unanimità tutte le accuse contro Päivi Räsänen. Questa decisione storica rivendica Päivi per la seconda volta.

E rappresenta anche un faro di speranza per noi cristiani, che non vogliamo che la nostra voce venga messa a tacere per aver condiviso apertamente le nostre convinzioni.

La battaglia di Päivi è stata un percorso segnato dalla resilienza e da una fede incrollabile nel diritto fondamentale alla libertà di parola e alla libertà religiosa.

Il suo rifiuto di cedere di fronte alle avversità è un potente promemoria della forza che si trova nella fede cristiana.

Siamo lieti di condividere un video esclusivo e commovente di quando abbiamo incontrato Päivi a Helsinki. Questo filmato è un potente promemoria dello spirito che definisce la nostra causa e di ciò per cui ci battiamo:

Tuttavia, Päivi rimane salda nella sua fede, piena di coraggio, speranza e gioia, anche di fronte a questa continua persecuzione ideologica. La sua forza e la sua determinazione continuano a ispirare tutti noi.

Mentre celebriamo questa monumentale vittoria, portiamo avanti la fiaccola della speranza, della gioia e della volontà di combattere per la nostra fede in Cristo.

Il viaggio di Päivi ci ricorda che quando siamo uniti, possiamo superare anche le sfide più difficili.

Continuiamo a lavorare per un mondo in cui questi casi appartengano al passato e in cui la voce della verità e della libertà sia ascoltata forte e chiara.

Ti ringrazio per l’inflessibile sostegno che hai dato a Päivi e a noi di CitizenGO nel corso di questo duro e lungo processo.

Con speranza e determinazione,

Matúš Hagara e tutto il team di CitizenGO

 

 

Massimo Galli rinviato a giudizio

Condividi su:

di Franco Lodige

 

Rinvio a giudizio per l’infettivologo Massimo Galli, figura di primo piano durante la pandemia da Covid-19. Lo ha deciso il gup Livio Cristofan, come riferisce l’Ansa: Galli e per il suo ex collaboratore Agostino Riva andranno a processo con l’accusa di falso e “un’alternativa” tra turbativa d’asta e abuso d’ufficio, imputazione che poi verrà stabilità dai giudici in aula. Questi reati sarebbero stati commessi in relazione a presunti concorsi truccati indetti per l’assegnazione di posti da professore e ricercatore presso la Facoltà di medicina della Statale di Milano. Ad affiancare Galli e Riva, vi sono altri due imputati (Claudio Maria Mastroianni, professore alla Sapienza di Roma e Claudia Colomba, associato all’Università di Palermo) che hanno optato per il patteggiamento una pena pecuniaria di circa 8mila euro.

L’indagine su Galli

La decisione arriva a distanza di quasi un anno dalla richiesta di rinvio a giudizio da parte della Procura di Milano contro Galli  a due anni dalla notizia dell’indagine a suo carico, che risale ormai all’ottobre del 2021. Accusato di aver favorito Riva nel concorso per la posizione di professore associato presso l’Università Statale di Milano, il processo all’ex primario del Sacco avrà inizio il prossimo 13 dicembre di fronte alla sezione X del penale. I pubblici ministeri Bianca Maria Eugenia Baj Macario e Carlo Scalas hanno scandagliato i fatti riguardo un concorso per il ruolo di professore di seconda fascia in malattie cutanee, infettive e dell’apparato digerente che risale al 2020. Un anno in cui, ricordiamo, Galli occupava spesso le prime pagine dei giornali per le sue frequenti apparizioni televisive in relazione alla gestione della pandemia Covid. Riva, vincitore del concorso, compare anch’egli nel registro degli indagati, accusato di aver indicato le valutazioni da assegnare ai candidati. Secondo l’accusa, Galli sarebbe intervenuto come membro della commissione giudicatrice sul verbale di valutazione dei candidati e avrebbe così “turbato con promesse e collusioni” il concorso, creando di fatto una corsia preferenziale in favore di Riva e causando l’illegittima esclusione dell’altro candidato, Massimo Puoti. Nelle rendere dichiarazioni spontanee, fanno sapere i suoi legali, Galli “ha ribadito che il suo operato è stato corretto”.

 

Garantisi, sempre

Vero? Falso? Come avemmo modo di dire anche due anni fa, per noi Massimo Galli era e resta innocente. Almeno fino a prova contraria. Ovvero finché – celebrato il processo – un giudice non deciderà se effettivamente è colpevole dei reati per cui lo accusano. Il garantismo è sacro e vale anche quando a finire sotto le grinfie della magistratura è un televirologo con cui, inutile nasconderlo, non abbiamo mai avuto ottimi rapporti.

I commensali lo sanno: quando lo scorso luglio la Rai decise di non mandare in onda il programma di Roberto SavianoInsider, peraltro con alcune puntate già registrate (e presumibilmente pagate), su questo sito dicemmo “senza se e senza ma” che si trattava di un’autentica idiozia. Questione di approccio liberale: se eravamo contrari alla cacciata di Filippo Facci per quella sua frase infelice sulla giovane presunta stuprata, allo stesso modo ci saremmo opposti al “niet” a Saviano per questioni di codice etico.“La scelta è aziendale, non politica“, disse allora l’ad Roberto Sergio ma tutto ruotava attorno agli insulti che Saviano in passato ha rivolto sia a Meloni (“bastarda) che a Salvini (“ministro della Malavita”). Una decisione dettata da ragionamenti di “opportunità”, gli stessi che hanno spinto i vertici Rai ad opporre il veto pure per Fedez a Belve. Scelta discutibile. “Se i liberali non vogliono essere uguali a questa sinistra intellettualoide, devono mettere sullo stesso piano Facci e Saviano”, abbiamo più volte scritto. L’assenza in palinsesto, peraltro, assicurava a Saviano l’occasione per fare il martire sostenendo di essere stato fatto fuori perché “io attacco il potere” (ciao core). Insomma: come diceva Mario Giordano, sarebbe stato meglio dare tre ore di diretta ogni sera all’autore di Gomorra così si sarebbe azzoppato da solo.

Però, dicasi però, eravamo anche sicuri che il povero martire sarebbe caduto in piedi. Un po’ come successo a Fabio Fazio, Luciana Littizzetto, Massimo Gramellini e tutti gli altri che non hanno più trovato spazio nella “nuova Rai”. E infatti è notizia di oggi che l’autore sbarca su Nove come ospite più o meno fisso di Che tempo che fa, il programma di quello stesso Fazio che è riuscito a spacciare un trasloco per soldi in un editto bulgaro. Sul settimanale Tv sorrisi e canzoni, il conduttore ha spiegato che dal 15 ottobre Saviano (già di casa nella trasmissione quando era in Rai) “verrà a trovarci spesso” e sarà nello staff che occuperà la prima parte della trasmissione insieme a Michele Serra e Massimo Giannini, senza dimenticare ovviamente l’immancabile Roberto Burioni.

 

Articolo completo: Massimo Galli rinviato a giudizio (nicolaporro.it)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La battaglia di Vienna, che ci salvò dall’invasione islamica

Condividi su:

Historia magistra vitae. Purtroppo l’attuale Europa dimentica la propria identità. Noi intendiamo ricordarla, perché non si compiano gli errori del passato (n.d.r.)

di Matteo Castagna

UNA GUERRA SCONOSCIUTA AI PIÙ, PROBABILMENTE PERCHÉ POCO STUDIATA IN QUANTO POLITICAMENTE SCORRETTISSIMA

Una guerra sconosciuta ai più, probabilmente perché poco studiata in quanto politicamente scorrettissima, ha fatto la storia dell’Europa: la battaglia di Vienna del 12 Settembre 1683. Di questa straordinaria e fondamentale vittoria, paladini della cristianità del XVII secolo: il cappuccino Carlo Domenico Cristofori, chiamato Marco D’Aviano e il Papa Innocenzo XI. la crociata fu preparata da un’ intensa opera di apostolato e predicazione in tutta l’Europa, effettuata instancabilmente dal frate, ed accompagnata da una serie di miracoli che accrescevano la credibilità e l’autorevolezza del religioso, in tutto il continente.

Innocenzo XI si fidò unicamente della Provvidenza divina: “In sola spe gratiae coelestis”. Si è occupato della riforma dei costumi, soprattutto in riguardo allo stato spirituale degli ecclesiastici. In particolare, si scagliò contro il lusso che regnava tra i vescovi e cardinali dell’epoca. Nella sua camera e nel suo studio si vide solo la figura di Cristo risorto. “Era tale la compassione che Innocenzo XI provava per i poveri, che si tenne la stessa veste per tutta la durata del pontificato: mai la volle cambiare, nemmeno quando divenne logora e quasi inutilizzabile […]”. Lo storico Ludwig von Pastor, nella sua “Storia dei Papi”, descrive così Benedetto Odescalchi: “Il significato storico-universale del suo pontificato, di gran lunga il più importante e glorioso nella seconda metà del secolo XVII…consiste nella sua politica, mantenuta ferma sino all’ultimo respiro, di unire le potenze cristiane contro l’attacco violento dell’islam”. Naturalmente l’impegno più importante per cui sarà ricordato per sempre è la liberazione di Vienna dall’assedio degli Ottomani nel 1683. Contemporaneamente, Padre Marco d’Aviano trascorreva un’esistenza austera e isolata, dormiva solo tre per notte su un letto di foglie secche, per il resto pregava e leggeva. Mangiava pochissimo, mai carne, uova e formaggio, la sua dieta era poco latte e poi frutta e verdura. Cercò sempre di rispettare scrupolosamente le regole dell’Ordine francescano. Sostanzialmente condusse una “vita intensa e spirito di preghiera; devozione e contemplazione; pratica radicale dell’altissima povertà interiore es esteriore […] grande ardore nella predicazione e apostolato ricondotto alla semplicità e umiltà evangeliche; carità concreta e prontezza nel servire ogni fratello bisognoso; spirito ecclesiale nella sottomissione e totale docilità al Pontefice romano e alla Chiesa gerarchica: queste erano le linee fondamentali della spiritualità ‘cappuccina’ che adottò il frate di Aviano”.

Il Seicento fu, per l’Europa cristiana, intriso di paura di essere invasi e conquistati dai turchi. Di fronte a questo vero e proprio incubo, c’era la divisione politica dell’Europa. In particolare, la Francia di Luigi XIV era in continuo dissidio sia con l’imperatore Leopoldo I, che con la Chiesa di Roma. Capita che alcuni governanti diventano protestanti per accaparrarsi i beni della Chiesa. Il re di Francia osteggiò apertamente gli Asburgo nella lotta contro gli ottomani.“Per tutto il Seicento, la discordia fra i principi all’interno degli stati cristiani fu grande e capillarmente diffusa. Essi si combatterono e si indebolirono a vicenda per egoistiche ragioni di predominio”. Invece padre Marco e Innocenzo XI, lavoravano per la liberazione della cristianità dal flagello turco, pertanto appoggiarono l’impero. Addirittura, il Papa affermò: “[…] saria andato volentieri alla testa dell’esercito e salito sulle navi da guerra per combattere contro il comune esercito”. Il pensiero dominante del Pontefice era quello di organizzare una Lega difensiva contro il pericolo turco. Oltre ai due beati, altre grandi personalità li affiancarono o con essi si scontrarono in quel frangente per il futuro dell’intero continente europeo.

Solo qualche nome, segnalo oltre a Luigi IV e Leopoldo I d’Asburgo, imperatore del Sacro Romano Impero. Il compagno di viaggio di Marco D’Aviano, padre Cosma da Castelfranco. Giovanni III Sobieski re di Polonia e granduca di Lituania, grande ammiratore di padre Marco. Infine, Eugenio di Savoia-Garignano, comandante supremo dell’esercito imperiale. E poi Kara Mustafa Pasha di Merzifon, comandante in capo dell’armata turca.

Le truppe cristiane erano composte da settantamila uomini, un numero assai inferiore rispetto ai centocinquantamila dell’armata turca del gran visir Kara Mustafa Pasha che intendeva conquistare prima Vienna e successivamente Roma per fare di San Pietro la scuderia per i suoi cavalli. A questo proposito scrive lo storico Arrigo Petacco in “L’ultima crociata”: “con i se e con i ma la storia non si fa, va comunque sottolineato che se a Vienna, quel 12 settembre 1683, un qualsiasi accidente avesse fermato la carica degli ‘ussari alati’ che si scatenarono contro i turchi come arcangeli vendicatori, oggi probabilmente le nostre donne porterebbero il velo”.

Il 12 settembre prima della battaglia, sulle alture del Kahlemberg, padre Marco celebra la Messa, servita da due chierichetti d’eccezione: il re di Polonia e il Duca di Lorena, distribuisce la comunione ai comandanti, benedice l’esercito cristiano con la sua croce di legno. Attorno alle 12 ebbe inizio la battaglia. Lo scontro viene descritto da padre Cosma, testimone diretto dell’evento. La battaglia ben presto costringe miracolosamente i turchi alla resa. I trionfi dell’esercito cristiano – scrive il “cardinale” Schonborn – a Vienna, e poi a Buda, allontanarono il serio rischio di un’islamizzazione dell’Europa”. L’esultanza in tutta l’Europa fu immensa, l’unico a non esultare fu il re di Francia.

La preoccupazione dei due grandi della Civitas Christiana, Innocenzo XI e padre Marco, “fu la difesa della cristianità, e del cattolicesimo in modo particolare, e non la supremazia sull’islam. Si trattò, dunque, di un’azione di tutela e non di una crociata…”. Ne è convinto anche Petacco, le crociate, furono invece una legittima risposta al jihad. Tra l’altro padre Marco dopo queste liberazioni cercò di convincere i regnanti di completare l’opera di liberazione dei territori europei ancora in mano agli ottomani, la salvezza dell’Europa era sempre in cima ai suoi pensieri.

Il cattolico tiepido o chi si finge cattolico è restio a riconoscere la verità storica, determinata sia dall’eccezionale spiritualità dei due sopraccitati protagonisti, che dalle loro indiscutibili capacità politiche, nell’arte della mediazione, della diplomazia, dell’intuizione, della capacità oratoria, basate su quel connubio inscindibile tra Fede e Ragione così caro a San Tommaso d’Aquino. oggi, se si parla di loro, lo si attraverso un’oleografia molto parziale per non urtare la sensibilità degli islamici. Fortunatamente, il beato Innocenzo XI e padre Marco d’Aviano non furono buonisti, altrimenti da almeno 500 anni saremmo tutti in ginocchio verso la Mecca.

Fonte: https://www.informazionecattolica.it/2023/09/12/quella-battaglia-che-ci-salvo-dallinvasione-islamica/

1 2 3 4 22