Parla il perito del tribunale nella Strage di Bologna Danilo Coppe: la verità deve ancora uscire

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di Umberto Baccolo

Fonte: Spraynews

Danilo Coppe, professore all’Università di Bologna, è il più importante esplosivista italiano, nel suo curriculum la demolizione del Ponte Morandi come tantissime perizie per i tribunali sui crimini legati agli esplosivi. In particolare, è stato chiamato dalla Corte di Assise di Bologna al processo di primo grado contro Gilberto Cavallini per complicità nella strage del 1980, finito con una condanna ed ora in fase di appello.

Le perizie di Coppe su Bologna sono state rivoluzionarie, cambiando completamente le carte in tavola e facendo scoprire pure che nella tomba di Maria Fresu c’erano i resti di una sconosciuta.

Coppe ha appena raccontato questa storia, e tante altre, nel suo libro Crimini esplosivi, edito da Mursia. Io, che da anni studio la strage di Bologna, lo ho intervistato per SprayNews sul tema in modo approfondito, a seguito di una presentazione del libro trasmessa su Radio Radicale.

Lei ha appena pubblicato il libro “Crimini Esplosivi”, nel quale raccontando della sua carriera di consulente delle procure per i processi che coinvolgevano materiali esplosivi, dedica molto spazio alla sua perizia sulla strage di Bologna. Cosa ci può raccontare in materia?

Io faccio l’esplosivista da una vita, ho iniziato nel 1983 già da diplomato mentre studiavo avevo già iniziato a lavorare, quindi diciamo che è un pezzo che sono dietro e faccio esplosivistica a 360 gradi nel senso che mi divido in tre: oggi un terzo di me usa gli esplosivi come ho fatto con il Ponte Morandi di Genova di cui ho gestito la demolizione, un terzo di me insegna e un terzo di me indaga, perché a metà degli anni ’90 mi è stato cominciato a chiedere da varie procure una collaborazione nell’indagare su episodi sia accidentali che criminali, cosa alla quale mi sono appassionato molto. Oggi appunto un terzo della mia attività è legata alle analisi forensi. Da quando ho iniziato credo di essere stato incaricato dai tribunali di più di 100 “perizie”. Una di queste, nel 2018, mi è stata commissionata dalla Corte d’Assise di Bologna che processava Gilberto Cavallini come possibile “complice” nell’esecuzione della famosa strage del 1980.

Nei processi dei decenni precedenti, i processi che avevano portato alle condanne di Mambro Fioravanti e Ciavardini, le perizie esplosivistiche erano state vaghe, e per certi versi anche contraddittorie, e il presidente della Corte d’Assise, con una scelta coraggiosa, decise di ripartire da zero, ed ha affidato a me e ad un bravo ufficiale del Ris dei Carabinieri, Adolfo Gregori, l’incarico di chiarire gli aspetti tecnici dell’esplosione, anche alla luce dei progressi che ha fatto la scienza negli ultimi 40 anni. Continua a leggere

Bologna, strage senza verita’. La cerchera’ il Parlamento

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Fra un anno ne saranno trascorsi 40 dalla strage alla stazione di Bologna. L’emozione prese alla gola, con un dolore immenso, tutta Italia. Eppure, venne data in pasto alla pubblica opinione la “pista nera”. Fu un periodo terribile per chi militava a destra. L’indice contro una comunità. I “colpevoli”. Il “processo”. Le “sentenze”. Si scatenò la caccia all’uomo. 40 anni dopo conosceremo la verità?

Tutto quello che è accaduto ufficialmente sembra messo coraggiosamente in discussione dalla gran parte delle forze politiche del Parlamento. Lega e Cinquestelle, Forza Italia e Fratelli d’Italia: ci sono le firme di loro rappresentanti per una commissione d’inchiesta vera. Con poteri reali. Vengono i brividi alla schiena alla lettura di quel che si racconta e che troppo presto è stato cestinato dalla magistratura: tutto deve avere risposta. Certezza e diritto. Non vendetta e propaganda politica.

La verità va ancora cercata

Sapere che cosa è successo in quella “interminabile notte di depistaggio e segreti di Stato”, per dirla con il deputato di Fdi Federico Mollicone. Lui e Paola Frassinetti hanno messo attorno a un tavolo tutti quelli che hanno qualcosa da dire sulla strage e sul non detto delle inchieste. Ed è impressionante la mole di dubbi che si accavallano.

Onore alla vittime anche oggi, trentanove anni dopo quell’eccidio, ma la verità va ancora cercata. E senza strumentalizzazioni di parte.

Dice Gasparri che esistono documenti – che lui e Carlo Giovanardi hanno visionato – “connessi alla storia delle Br e dei rapporti che ebbero con le realtà mediorientali”. Troppi presidenti del Consiglio hanno opposto, ancorché sollecitati, il segreto di Stato. Lo farà anche Conte? Il premier di un governo che si intesta il cambiamento dovrebbe avvertire il dovere morale della conoscenza reale di quella tragedia e delle responsabilità esistenti. Lo faccia.

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Ancora persecuzioni: l’Isis uccide una bimba cristiana bruciandola viva

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La piccola aveva appena dodici anni.

Mentre il mondo occidentale si interroga sull’accoglienza, continuano le persecuzioni dei cristiani sparsi per il mondo. Questa volta la vicenda riguarda l’Iraq, dove i terroristi affiliati all’Isis hanno ucciso una bambina, bruciandola vita. La notizia è stata data dal quotidiano britannico “The Telegraph” e a raccontarla in Italia è stato “Il Giornale”. La piccola aveva 12 anni.

Secondo le ricostruzioni, dietro l’atroce gesto ci sarebbe una “mancanza” della madre nei confronti dello stato islamico. A Mosul, infatti, i musulmani hanno imposto una tassa di protezione alle altre religioni: si chiama jizya e consiste nel pagamento della protezioni, da parte della polizia segreta del Califfato.

La donna si sarebbe attardata nel pagamento, ritardando di pochi minuti alle richieste degli emissari dell’Isis. Ma il suo temporeggiamento ha scatenato le ire dei tagliagole. “Mentre la trasportavano in ospedale, ormai in fin di vita – ha raccontato l’attivista per i diritti umani Jacqueline Isaac -, la piccola ha pregato la madre di perdonare i propri aguzzini”.

fonte – https://vocecontrocorrente.it/ancora-persecuzioni-lisis-uccide-una-bimba-cristiana-bruciandola-viva/

Persecuzione cristiana in Cina: ora anche le telecamere nei luoghi di culto

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La Cina sta facendo delle manovre di vera persecuzione cristiana: ora arrivano anche le telecamere nei luoghi di culto.

Non sono poche le mosse fatte dalla Cina per ostacolare i cristiani: diverse azioni, da qualche anno a questa parte, hanno fatto pensare a una vera e propria persecuzione cristiana.

Divieti di riunire le assemblee, limiti di numeri, limiti di orari: tutto sembra finalizzato a reprimere la fede. E adesso, a condire il tutto, arrivano anche le telecamere di sorveglianze nei luoghi di culto prettamente cristiani.

Tutte le telecamere sono collegate all’ufficio del governo, che può così controllare tutte le mosse che si svolgono all’intero: sono obbligatorie quelle sopra al podio e quelle all’ingresso.

“Ogni volta che l’assemblea si riunisce – dice un pastore anonimo a The Atlantic – le telecamere seguono ogni nostro movimento. Se le oscuriamo, irrompono e chiudono la chiesa, mettendo sigilli e impedendoci le attività”.

Ma non è tutto qui: “Ai culti il Dipartimento del Fronte Unito locale, l’Ufficio di pubblica sicurezza e il governo comunale inviano personale appositamente assegnato per venire a supervisionarci. Stanno seduti o al computer e osservano tutti“.

fonte – https://vocecontrocorrente.it/persecuzione-cristiana-in-cina-ora-anche-le-telecamere-nei-luoghi-di-culto/

Piazza Tienanmen, dopo trent’anni è ancora tabù il massacro del governo cinese

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Il 4 giugno prossimo, saranno trenta gli anni dal massacro ordinato dal governo cinese di Li Peng, primo ministro di allora, appoggiato da Deng Xiao Ping, il presidente della Commissione militare centrale, e dal il presidente Yang Shangkun. In mezzo il segretario del Partito comunista cinese, Zhao Ziyang, favorevole ad una mediazione tra esecutivo e studenti in rivolta in piazza Tienanmen, il teatro degli scontri tra l’esercito di Pechino e gli studenti in rivolta nella notte tra il 3 e il 4 giugno 1989. Un’autentica strage, di cui per decenni si parlò di «centinaia» di morti. Ma fino al 2017, quando un cablogramma inglese, citato in un articolo dell’Indipendent, parlò addirittura di 10 mila morti. Furono un mese e mezzo di eventi che si susseguirono, a partire dal 15 aprile del 1989, quando morì l’ex segretario generale del Partito comunista cinese, Hu Yaobang. Nell’occasione, gli studenti dell’università di Pechino affissero dei dazeabo, con cui elogiavano il leader politico riformista, criticando, indirettamente, quei dirigenti che, nel 1987, lo avevano costretto alle dimissioni.

Anche Gorbaciov, l’allora presidente dell’Urss, fautore della glasnost (trasparenza) nel proprio paese – il quale nella metà di maggio del 1989, partecipò ad un vertice cino-sovietico – si schierò per una mediazione, quando, incalzato dai giornalisti, affermò che se una protesta di quel tipo fosse stata a Mosca, egli avrebbe dato il via ad un dialogo. Parole cadute nel vuoto, perché vinse la repressione, in quella Cina in cui il governo chiamò, per soffocare poi nel sangue la rivolta studentesca, militari delle zone più remote dello Stato, parlanti dei dialetti ai più sconosciuti, proprio per evitare qualsiasi scambio o intesa tra le divise e i manifestanti. Insomma, il governo cinese decise per il taglio di ogni sorta di “pidgin”, di un codice comune di comunicazione, direbbero i linguisti, per giungere ad un accordo. L’unico mezzo di confronto, furono i carrarmati, che schiacciarono coloro che ad essi si frapposero. Fatti che, a distanza di trent’anni, sono ancora oggi tabù in Cina. Se ne sta parlando a Taipei, la capitale della provincia ribelle di Taiwan, dove è cominciata, in questi giorni, una serie di eventi celebrativi. Conferenze accademiche, una mostra fotografica, una veglia al lume di candela, concerti. Taiwan è libera e democratica e può ricordare liberalmente. Lo può fare (chissà ancora per quanto).

Tuttavia la strategia di Pechino è stata quella di rimuovere l’incidente dalla memoria della popolazione, più interessata ai progressi dell’economia, che al dibattito politico. A Taipei andranno anche esponenti della diaspora seguita alla repressione di Tienanmen, e rappresentanti del movimento democratico di Hong Kong (dove è stato appena riaperto un museo su quei giorni del 1989, unico in tutto il territorio cinese). Sul futuro della libertà di Taipei, però, c’è chi mette in guardia da facili ottimismi. Al Taipei Times, infatti, il professore Chen Li-fu, vicepresidente dei docenti universitari dell’isola, ha dichiarato che, «per anni abbiamo commemorato il massacro per difendere i diritti umani in Cina, ma oggi lo facciamo anche per proteggere la nostra sovranità: abbiamo paura per la nostra democrazia». Il governo italiano, che nelle scorse settimane ha steso i tappeti rossi a Roma per il presidente Xi Jinping, siglando una serie di intese economico-commerciali con la Cina per la cosiddetta nuova Via della Seta, in occasione della tragica ricorrenza, avrà qualcosa da dire?

fonte – https://www.loccidentale.it/articoli/147023/piazza-tienanmen-dopo-trentanni-e-ancora-tabu-il-massacro-del-governo-cinese

Busta con un proiettile per Salvini, lui risponde: ‘Non mi fanno paura’

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Salvini fa davvero paura ai soloni del politicamente corretto. Ora, però, si stanno superando i limiti e si riscontra un clima troppo pesante a pochi giorni dal voto.

Le minacce al vice premier

E’ un proiettile calibro nove quello indirizzato al vice premier Matteo Salvini, spedito all’interno di una busta. La missiva è stata inviata al leader della Lega senza annullo postale, né indicazione del mittente. Dettagli questi che hanno insospettito i dipendenti del centro di smistamento postale romano, che l’hanno sequestrata.

La busta è stata sottoposta ad attenta analisi da parte degli artificieri della polizia. La notizia della minaccia spedita e mai recapitata è stata data nel pomeriggio dagli stessi organi di stampa del Viminale.

Non si è fatta arrendere la replica di Salvini: “Non mi fanno paura e non mi fermo. Più che da una politica spesso ipocrita, confido nella solidarietà di milioni di italiani perbene che si esprimeranno con il voto di domenica”.

fonte – https://vocecontrocorrente.it/busta-con-un-proiettile-per-salvini-lui-risponde-non-mi-fanno-paura/

Cristiani massacrati, dov’è l’indignazione dell’Occidente?

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Gli estremisti islamici hanno visto che l’Occidente non si è mobilitato per impedire loro di reprimere i cristiani, come se inconsciamente ci fosse una strana convergenza tra il nostro silenzio e il progetto di pulizia etnica dello Stato islamico, volto a cancellare i cristiani.“La libertà religiosa, il valore centrale della civiltà occidentale, viene distrutta in gran parte del mondo. Ma l’Occidente, negando miopicamente questa guerra religiosa, distoglie lo sguardo…”. – Melanie Phillips, giornalista britannica, The Times, 17 novembre 2014.

Il duca di Cambridge, il principe William, ha appena visitato i sopravvissuti musulmani dell’attacco alle moschee di Christchurch, in Nuova Zelanda. Perché la stessa compassione non ha spinto la famiglia reale inglese a fermarsi nello Sri Lanka, la loro ex colonia, per incontrare i sopravvissuti cristiani, prima di tornare in Gran Bretagna?

L’appello lanciato dalle figlie di Asia Bibi per aiutare sua madre ha trovato un Occidente sordo. Il Regno Unito si è rifiutato di offrire asilo a questa famiglia cristiana pakistana perseguitata.

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fonte – https://www.imolaoggi.it/2019/05/13/cristiani-massacrati-dove-lindignazione-delloccidente/

La tratta delle schiave

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Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza

Comunicato n. 39/19 del 17 maggio 2019, San Pasquale
 
La tratta delle schiave
 
Phnom Penh, liberate madri surrogate. Ad una condizione: crescere i figli
La polizia aveva arrestato il gruppo dopo l’irruzione in un appartamento della capitale. I capi d’accusa erano “tratta di persone e intermediazione per la maternità surrogata”. Alcune delle donne hanno partorito dietro le sbarre. Se tentassero di vendere i piccoli, per loro un processo e almeno 15 anni di prigione.
Phnom Penh (AsiaNews/Agenzie) – Le autorità cambogiane hanno rilasciato su cauzione 11 madri surrogate, dopo che le donne hanno accettato di crescere i bambini partoriti. Lo ha annunciato ieri il Comitato nazionale contro la tratta di esseri umani. Lo scorso novembre, la polizia aveva arrestato il gruppo dopo l’irruzione in un appartamento di Phnom Penh: le accuse erano “tratta di persone e intermediazione per la maternità surrogata”. In carcere dal momento del fermo, alcune delle donne hanno partorito dietro le sbarre.
Chou Bun Eng, vicepresidente del Comitato anti tratta, ha dichiarato ieri che le mamme si sono rifiutate di confessare alle autorità per conto di chi hanno portato in grembo i bambini. “Sono state rilasciate su cauzione il mese scorso, dopo aver promesso di non abbandonare i piccoli”, ha affermato la funzionaria. Le donne rischiano di andare a processo “in qualsiasi momento, qualora  provassero a venderli”. Gruppi di attivisti criticano le autorità per aver costretto le donne a crescere bambini con cui non hanno legami biologici, pur di evitare il carcere. Chou Bun Eng ha risposto che, secondo la legge cambogiana, esse sono tenute a prendersene cura. “Sono le loro mamme”, ha sottolineato.
Nel dicembre 2018, le autorità avevano scarcerato altre 32 donne. Anche nel loro caso, le condizioni per il rilascio imponevano il rispetto dei doveri di madre. Se gli accordi non saranno onorati, la condanna prevista è di almeno 15 anni di carcere. In Cambogia, la maternità surrogata per fini commerciali è illegale dal 2016. Tuttavia, il Paese resta una destinazione popolare per le coppie sterili che cercano di avere figli. Per lo più provenienti dalla Cina, esse sono disposte a pagare tra 40mila ed i 100mila dollari Usa ad agenzie e mediatori, per trovare una donna cambogiana che possa affrontare la gravidanza per loro. Le madri surrogate provengono in genere da comunità povere e ricevono solo una piccola parte della somma pagata agli intermediari, di solito compresa tra i 10 ed i 15mila dollari.
fonte – http://www.centrostudifederici.org/la-tratta-delle-schiave/

 

Un rapper nero incita ad uccidere i bianchi…ma guai a condannarlo

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Segnalazione di Redazione BastaBugie

La sua ”canzone” dice: ”entrate negli asili nido, uccidete i bebè bianchi e poi impiccate i loro genitori” (per questo è stato condannato, ma la pena è stata sospesa!)

di Mauro Faverzani

Si fa alla svelta a gridare al razzismo: ma quando, ad esserne vittima, è un uomo bianco improvvisamente l’attenzione mediatica scema ed anche la giustizia diventa inspiegabilmente mansueta.
È il caso, ad esempio, del rapper nero Nick Conrad, di 35 anni, recentemente condannato, benché abbia continuato a proclamare la propria innocenza ed a negare d’essere razzista. Però il testo del suo brano, intitolato non a caso Plb-Pendez les blancs («Impiccate i bianchi»), non lascia adito a dubbi: «Entrate negli asili nido e uccidete i bebè bianchi – dice – Acchiappateli e poi impiccate i loro genitori».
Per questo, a fine marzo, è giunta la sentenza di condanna della Corte penale nei suoi confronti, una condanna incredibilmente clemente: 5 mila euro di sanzione, oltre tutto pena sospesa, per istigazione a delinquere.
La sua clip vomita violenza al punto da aver scatenato accese polemiche già dallo scorso settembre: nel video si vedeva un uomo bianco con un revolver infilato in bocca o con la testa schiacciata contro il marciapiede.
Eppure il rapper si è detto «deluso» dalla sentenza ed ha preannunciato di voler ricorrere addirittura in appello: «La lotta continuerà», ha dichiarato, benché, alla fine, egli si sia ritrovato finora a dover sborsare solo mille euro per danni a due associazioni costituitesi parti civili, la Licra-Lega internazionale contro il razzismo e l’antisemitismo e l’Agrif-Alleanza generale contro il razzismo e per il rispetto dell’identità francese e cristiana.

UN’AGGRESSIONE OMOFOBA E RAZZISTA? IN REALTÀ ERA TUTTO FALSO
Chissà perché, però, quando il politicamente corretto si rivela scorretto, all’epidermica ed immediata levata di scudi iniziale si sostituisce un imbarazzato silenzio. Capita non solo quando la vittima del razzismo sia bianca, ma anche quando la violenza omofobica si riveli, in realtà, solo ed unicamente una gigantesca farsa o, peggio, un pretesto.
Qualcuno avrà forse saputo, ad esempio, dell’arresto dell’attore omosessuale afro-americano Jussie Smollett, accusato lo scorso febbraio di essersi letteralmente inventato un’aggressione «omofoba» e «razzista», raccogliendo, sulla parola, la solidarietà di molte star ed una copertura mediatica internazionale.
Pochi i riflettori rimasti accesi, però, per spiegare che, in realtà, quella di Smollett è stata soltanto un’enorme montatura, per procurarsi una facile pubblicità gratuita. Dopo il suo rilascio su cauzione, è stato licenziato dalla serie tv in cui recitava ed ora rischia fino a tre anni di carcere. Ma di lui nessuno parla più. E figuracce come questa sono purtroppo più frequenti di quanto si creda.
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Uccisi mentre facevano catechismo

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Centro studi Giuseppe Federici – Per una nuova insorgenza

In due recenti comunicati abbiamo parlato dei villaggi cristiani di Al Skeilbiyyeh e di Mhardeh, nel nord della Siria, da 7 anni sotto il tiro dei terroristi sostenuti dai nemici del governo siriano:
Siria: testimoni non imbavagliati
http://www.centrostudifederici.org/siria-testimoni-non-imbavagliati/
Siria: i cristiani in trincea contro i terroristi
http://www.centrostudifederici.org/siria-cristiani-trincea-terroristi/

Pochi giorni fa l’ennesimo missile lanciato dai jihadisti di Al Nusra (filiale di Al Qaeda, sempre ben riforniti di armi), ha provocato la morte di quattro bambini e dell’insegnante, mentre facevano il catechismo nei locali della chiesa dei greci scismatici di Al Skeilbiyyeh.
Evidentemente la morte di 4 bambini vittime del terrorismo non interessa ai media italiani: forse perché erano battezzati e non circoncisi?

fonte – http://www.centrostudifederici.org/uccisi-facevano-catechismo/

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