Soros lascia l’Europa. Ma non è necessariamente un buon segnale…

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Segnalazione Corrispondenza Romana

di Mauro Faverzani

L’OSF-Open Society Foundations, fondata, voluta e guidata dal miliardario George Soros, saluta l’Europa. La sua ritirata dal Vecchio Continente è pressoché totale. Una vittoria, come molti hanno ritenuto forse un po’ troppo frettolosamente? Tutt’altro, in realtà rappresenta un’autentica sconfitta. Poiché la decisione sarebbe giunta dopo aver valutato come ormai la maggior parte dei governi e degli organismi istituzionali europei stia già seguendo politiche identiche a quelle sostenute dalla Fondazione e, oltre tutto, investendovi capitali più che adeguati. Inutile quindi insistere oltre, meglio spostare interessi e denaro dove ancora manchino. E questo a partire già dal prossimo anno.

A darne notizia sono state contemporaneamente diverse agenzie d’informazione, come la spagnola InfoCatólica, la francese Médias-Presse-Info e l’italiana LaPresse, nonché quotidiani come l’italiano Domani. I nuovi obiettivi geografici di Soros ancora non sarebbero noti, ma la strategia resterebbe la stessa: sostenere economicamente Ong, think-tank e lobby di vario tipo per promuovere ovunque aborto, gender, Lgbtq+, eutanasia ed, in generale, una visione ultraprogressista della società.

Del resto, l’interesse dei “padroni del mondo” verso le istituzioni più significative e rappresentative a livello planetario non deve sorprendere, non è né un mistero, né una novità: pochi mesi fa, per la precisione lo scorso 23 maggio, secondo quanto riferito sempre da Médias-Presse-Info, l’OMS-Organizzazione Mondiale della Sanità ha firmato un rapporto di partnership con Fondazione Rockefeller, allo scopo di rafforzare, soprattutto – è stato detto – in termini di prevenzione, il Centro di informazione sulle Pandemie e sulle Epidemie. Valore dell’accordo, 5 milioni di dollari. Lo spunto verrebbe offerto insomma da un problema vero, ma per giungere dove? E soprattutto come?

Nel comunicato-stampa, con cui si è data notizia dell’intesa, è stato anche precisato come, in realtà, OMS Fondazione Rockefeller collaborino da ben 75 anni con sovvenzioni, solo negli ultimi vent’anni, pari a circa 27 milioni di dollari. Ancora: nel gennaio 2022 Fondazione Rockefeller, peraltro grande azionista dell’industria farmaceutica,è stata anche ammessa come attore non statale nelle relazioni ufficiali con l’Oms. Sostanzialmente lo stesso modus operandi è riscontrabile in un’altra, analoga realtà, la Bill & Melinda Gates Foundation.E questo pone seri punti interrogativi sulla direzione che enti in ogni caso privati possano imprimere alle politiche di organismi internazionali, di per sé istituzionali, privi di reali esigenze economiche perché sostenuti dai governi ed autorevoli solo nella misura in cui possano essere e dirsi realmente liberi e indipendenti da pressioni esterne di singoli o gruppi.

È evidente come diverso sia lo status di semplice benefattore e quello invece di partner, con la possibilità concreta di incidere in una politica attiva di definizione degli obiettivi e dei progetti su scala internazionale.Tale politica di trasparenza viene purtroppo offuscata da operazioni magari formalmente legittime, tali tuttavia da lasciare più di un dubbio circa la loro effettiva limpidezza. E, ad evidenziarlo, è stato, nemmeno a farlo apposta, un altro big dell’hi-tech, Elon Musk, che lo scorso 15 maggio si è dichiarato pronto ad avviare un’azione legale proprio contro le Ong finanziate da Soros, accusate di diffondere informazioni false, pur di ottenere i propri scopi: in un rapporto, ad esempio, avrebbe denunciato un dubbio aumento nel numero degli «incidenti d’odio», finalizzato in realtà a sostenere limitazioni e censure più severe alla libertà di espressione in Occidente, in particolar modo – nel caso specifico – in Irlanda e Scozia. Che sia vero o meno, saranno eventualmente i tribunali a stabilirlo, ammesso che Musk sia disposto a proseguire in un’accusa, che potrebbe tramutarsi in un boomerang a fronte di sue iniziative, alquanto discutibili e non meno inquietanti, assunte tramite le sue aziende. Del resto, fu Benedetto XVI a distinguere in modo chiaro nell’enciclica Deus Caritas est, ai numeri 30 b e 31a, la sostanziale differenza tra le «molteplici organizzazioni con scopi filantropici, che si impegnano per raggiungere, nei confronti dei problemi sociali e politici esistenti, soluzioni soddisfacenti sotto l’aspetto umanitario» ed, invece, la «carità cristiana», per la quale occorre, sì, «competenza professionale», ma anche e soprattutto «umanità» e «formazione del cuore», capace di condurre i propri operatori «a quell’incontro con Dio in Cristo, che susciti in loro l’amore e apra il loro animo all’altro, così che per loro l’amore del prossimo sia una conseguenza derivante dalla loro fede, che diventa operante nell’amore». E questa è una cifra, una specificità, un valore aggiunto che né Soros, né Gates, né Musk, né alcun altro magnate dell’alta finanza può vantare, al netto di critiche, sospetti ed accuse.

I benzinai confermano lo sciopero del 25-26 gennaio dopo le accuse di speculazione

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di Alessandra Caparello

Dopo un acceso confronto con il governo, i benzinai hanno confermato lo sciopero del 25 e 26 gennaio 2023. In una nota congiunta,  le organizzazioni degli esercenti, Fegica e Figisc/Anisa, al termine dell’incontro con il Governo al ministero delle Imprese, hanno confermato l’agitazione su tutto il territorio nazionale durante le intere giornate del 25 e del 26 gennaio 2023, precisando che:

“Serve un accordo sottoscritto in sede di presidenza del Consiglio, ad indicare la collegialità dell’intero Governo e sottrarre la vertenza in atto a qualsiasi speculazione all’interno della maggioranza. In attesa delle valutazioni del Governo lo sciopero previsto per i giorni 25 e 26 gennaio è confermato. Per fare emergere serietà e competenza richiesta c’è tempo fino al minuto prima della chiusura degli impianti”.

L’Autorità garante per gli scioperi guidata da Giuseppe Santoro-Passarelli, prende atto dello stop annunciato “dalle 19.00 del 24 gennaio 2023 alle 07.00 del 27 gennaio 2023” prossimi dei gestori della rete carburanti, ritenendo regolare la formale proclamazione. Si invitano al contempo le associazioni a valutare l’opportunità di ridurre la durata complessiva della chiusura degli impianti: “al fine di limitare i disagi a cui, inevitabilmente, andrebbero incontro i cittadini utenti, a fronte di una prolungata chiusura dei distributori di carburante sulla rete ordinaria e autostradale, questa Commissione invita le Associazioni in indirizzo a valutare l’opportunità di ridurre la durata complessiva della chiusura degli impianti”.

I motivi dietro allo sciopero dei benzinai

Le associazioni spiegano così i motivi che li hanno costretti a scioperare.

“Ancora oggi il Governo non ha saputo o voluto assumere la responsabilità di prendere impegni concreti sulle questioni che direttamente possono incidere anche sui prezzi dei carburanti. Immaginando evidentemente di poter continuare ad ingannare gli automobilisti gettando la croce addosso ai benzinai. Confermato il pessimo giudizio sul decreto, pasticciato e inefficace, a cui sarà necessario mettere mano pesantemente in sede di conversione. Abbiamo proposto con serietà al Governo di assumere alcune iniziative tutte ispirate al recupero della piena legalità nel settore ed al ripristino di un sistema regolatorio certo, con l’obiettivo di adeguare efficienza e gli standard di servizio offerti agli automobilisti italiani e ottenere la proposizione di prezzi dei carburanti equi e stabilmente contenuti. Nel medio periodo è necessario l’avvio di un confronto che metta immediatamente in cantiere la riforma del settore volta a chiudere 7.000 impianti, che secondo una stima prudente sono attualmente nelle mani della criminalità più o meno organizzata, recuperare al gettito erariale circa 13 miliardi di euro sottratti ogni anno alle casse dello Stato e quindi ripristinare condizioni di mercato e concorrenza non drogate.

Più nell’immediato, deve essere urgentemente varata la norma che preveda controlli e sanzioni – attualmente inesistenti – per i titolari degli impianti che non rispettano gli obblighi di legge imposti sui contratti di gestione e gli accordi collettivi, posto che almeno il 60% dei gestori è senza contratto o con contratti illegali e condizioni economiche minime. Inoltre, è necessario che il Mit apra immediatamente il confronto sul decreto ministeriale che regola le concessioni delle aree di servizio autostradali, perché finalmente alle società concessionarie venga sottratta la possibilità di sfruttare a proprio esclusivo beneficio economico un bene in concessione pubblica come le autostrade e possano essere adeguati sia la qualità dei servizi che i prezzi attualmente fuori controllo”.

Il tutto, precisa la nota, “deve trovare collocazione all’interno di un accordo sottoscritto in sede di Presidenza del Consiglio, ad indicare la collegialità dell’intero Governo e sottrarre la vertenza in atto a qualsiasi speculazione all’interno della maggioranza”.

Immediata la reazione delle associazioni dei consumatori come l’UNC (Unione Nazionale Consumatori), il cui presidente Massimiliano Dona ha affermato:

“Pessima notizia! Vorremmo capire quali sono le concessioni del Governo in materia di sanzioni, considerato che scendevano da 516 a 500 euro e che la sospensione dell’attività era solo fittizia e teorica, visto che poteva, e non doveva, scattare solo alla quarta violazione, ossia mai. Insomma, il presupposto minimo della trasparenza è che i benzinai comunichino almeno i loro prezzi e non lo facciano in modo farlocco, come invece abbiamo denunciato anche all’Antitrust dal marzo del 2022. Se 4000 benzinai non comunicano i prezzi vuol dire che le sanzioni vanno perlomeno decuplicate.

Il Governo sembra fare l’opposto di quello che dovrebbe fare, visto che invece non concede nulla ai distributori sull’esposizione del cartello del prezzo medio, che in effetti presenza profili di illegittimità in materia di concorrenza, dato che potrebbe diventare un punto di riferimento per accordi collusivi. Molto più utile un’app che appena aperta dia i 3 distributori con i prezzi più bassi  in un raggio di chilometri predefinito dal consumatore, cosa che abbiamo chiesto di fare da oltre 1 anno all’allora Mise”.

Così l’ex pm Nordio smonta le accuse a Salvini: “Un paradosso”

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Il magistrato Carlo Nordio sull’indagine contro Salvini: “L’idea che le Procure possano intervenire nelle scelte migratorie è non solo bizzarra, ma irrazionale e ingestibile”

di Claudio Cartaldo

Carlo Nordio è il magistrato che negli anni ’80, solo per citare un caso, condusse le indagini sulle Brigate rosse venete e sui sequestri di persona.

Di toghe e politica se ne intende, visto che negli anni ‘90 dovette pure interessarsi anche di Tangentopoli. Bene. Oggi Nordio firma un editoriale sul Messaggero che in qualche modo “smonta” l’indagine aperta dal pm Luigi Patronaggio contro Matteo Salvini.

Andiamo con ordine e, per quanto possibile, lasciamo che sia lo stesso ex magistrato a parlare. Innanzitutto Nordio fa notare che l’iscrizione nel registro degli indagati del ministro dell’Interno sarebbe arrivata dopo la deposizione dei funzionari del Viminale ascoltati a Roma dal procuratore di Agrigento. “La prima osservazione – scrive l’ex magistrato sul Messaggero – è che questi verbali dovrebbero esser segreti, come segreta dovrebbe esser tutta l’indagine“. Ma passiamo oltre. E entriamo nel merito della accuse rivolte a Salvini, indagato per sequestro di persona, arresto illegale e abuso di ufficio. Continua a leggere