Don Ricossa scrive a Valli sul caso Gnocchi

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di Redazione

Interpellato sulla questione da più parti nel mondo della cosiddetta “tradizione cattolica” e non, il nostro Responsabile Nazionale Matteo Castagna ha così risposto: “Ho conosciuto Alessandro Gnocchi ai tempi in cui scriveva libri e teneva conferenze con Mario Palmaro. Le differenze dottrinali ci hanno sempre diviso, al di là della simpatia umana. Chi è “una cum” e comprende la critica necessaria alle presunte autorità romane, nel medio e lungo termine si trova in un conflitto interiore. Io l’ho risolto nel 2007, aderendo a quella che mi pare la soluzione che la Chiesa stessa propone a credere nei Suoi diversi atti: il sedevacantismo, per non incorrere nell’errore fallibilista, che fa molto male alle anime. Gnocchi ha compiuto un grave atto di apostasia, che mi ha sorpreso anche perché non credo che, oltre a Dio, il suo scrittore preferito, Giovannino Guareschi approverebbe. Mi dispiace e pregherò per lui, vittima di ambienti di dottrina ambigua, un po’ modernista, un po’ tradizionalista, fondamentalmente fallibilista. Nella sostanza quel “Centro che porta a sinistra” di cui è in libera vendita un ottimo libricino, dove la Fede diventa dialettica intellettualista”.

Dal sito di Sodalitium:

Don Francesco Ricossa è intervenuto sul blog di Aldo Maria Valli sul caso relativo al passaggio di Alessandro Gnocchi dal Cattolicesimo all’eterodossia moscovita.

Caro Valli,

 ho letto su Duc in altum la recensione del libro di Alessandro Gnocchi Ritorno alle sorgenti. Il mio pellegrinaggio a Oriente nel cuore dell’Ortodossia e sto seguendo il dibattito in corso nel blog, dibattito che reputo di una assoluta gravità. Non si può mettere infatti tra le questioni disputate l’appartenenza o meno alla Chiesa cattolica romana, fuori della quale non vi è salvezza.

La cosa più paradossale è che questa simpatia per l’“ortodossia” (uso le virgolette giacché i discepoli di Fozio e Michele Cerulario non sono ortodossi ma eterodossi, veri scismatici, senza virgolette, ed eretici), nasce tra cattolici stimati come più o meno “tradizionalisti”, e pertanto più o meno, in teoria, avversi al modernismo e agli errori del Vaticano II.

Da un lato, infatti, essi denunciano la protestantizzazione del “cattolicesimo” (scambiando erroneamente la Chiesa cattolica con i modernisti che l’hanno occupata e dei quali riconoscevano l’autorità), dall’altro ne sono degli esemplari rappresentanti.

Infatti, il Vaticano II promuove l’ecumenismo, in primis proprio con le “chiese ortodosse”, che da tempo fanno parte del Consiglio ecumenico delle Chiese; la riforma liturgica ha sistematicamente abbandonato la tradizione romana non solo in favore del protestantesimo, ma anche della tradizione liturgica orientale; ha cercato di mettere da parte il Primato papale e la monarchia pontificia, per sostituirla con un modello collegiale e sinodale di Chiesa simile al modello orientale; si orienta con Amoris laetitia all’accettazione del divorzio prendendo anche qui a modello la disciplina degli scismatici orientali, e potremo continuare a lungo con le similitudini tra le riforme conciliari e gli errori bizantini

È veramente paradossale che per disgusto del modernismo si cada in un’altra forma di modernismo, ignorando tra l’altro quanto la cosiddetta “ortodossia” sia influenzata dalla teologia protestante, in particolare anglicana. Nel suo articolo Gulisano esprime persino l’opinione che Lewis, che non entrò mai nella Chiesa cattolica ma che avrebbe appartenuto a un cristianesimo non confessionale, non sarebbe stato scismatico o eretico, quando la sua posizione assomiglia tanto agli esperimenti di Taizé.

Se poi ci si chiede come sia possibile che dei cattolici “tradizionalisti” abbiano potuto compiere questo passo o lo giustifichino, si deve rispondere che questi cattolici “tradizionalisti” non lo sono stati mai, ma sono piuttosto dei confusionari, influenzati nel contempo dal cattolicesimo modernista e dal Tradizionalismo fallibilista. 

In particolare a Paolo Gulisano, dopo aver letto la sua recensione, vorrei chiedere: ha aderito anche lui, come Gnocchi, alla “chiesa” moscovita (sempre pronta ad obbedire al padrone di turno, fosse anche Stalin)? E se non lo ha fatto, cosa lo trattiene dal farlo? Dal suo articolo, sinceramente, non lo capisco.

don Francesco Ricossa

https://www.aldomariavalli.it/2023/02/02/no-duc-in-altum-non-sostiene-la-religione-scismatica-come-potete-pensarlo/

Fonte: https://www.sodalitium.biz/don-ricossa-e-il-caso-gnocchi/

Guareschi, del ’68 se ne fece un baffo

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di Marcello Veneziani

Come oggi (ieri per chi legge, n.d.r.), cinquant’anni fa, nel fatidico ’68, se ne andò all’altro mondo Giovannino Guareschi. Lasciò il mondo piccolo che aveva descritto come pochi, per raggiungere il mondo grande, quello dove abitava quel Signore che nella sua Casa dava consigli a un suo focoso dipendente in terra, don Camillo. Così almeno racconta Guareschi.

Se ne andò presto, Giovannino, a 60 anni, dopo una vita travagliata, tra campo di concentramento, carcere sotto il fascismo e sotto l’antifascismo, più una caterva di libri tradotti in tutto il mondo, di film assai popolari che rappresentarono quell’Italia favolosa del dopoguerra, e di avventure a mezzo stampa, come il suo impertinente Candido che ebbe un ruolo decisivo nella disfatta del fronte popolare socialcomunista alle elezioni del ’48.

Giovannino morì il 22 luglio del ’68 ma fece in tempo a scrivere il suo ultimo don Camillo dedicato ai giovani d’oggi. Il libro uscì postumo e segnava lo stridente contrasto tra il vecchio comunista Peppone (che l’anticomunista Guareschi aveva reso simpatico con la sua prorompente umanità), il coriaceo don Camillo e un giovane contestatore zazzeruto, che viaggiava in moto con borse borchiate e sfrangiate e un giubbotto nero con teschio e scritta “Veleno”. Che diventa per Guareschi il soprannome del ragazzo e anche la metafora della Contestazione. Giungono in paese a Brescello anche “i cinesi” che sconvolgono le geometrie ideologiche dell’italo-stalinista Peppone e spiazzano pure quelle religiose del parroco. Guareschi collega la contestazione all’avvento della società dei consumi. Per lui l’antagonismo tra i due fenomeni è solo occasionale, apparente, non sostanziale. Il consumismo divora il piccolo mondo antico e le vecchie fedi, ma cattura Peppone che lascia la bici e gira in spider rossa. Il consumismo è l’habitat del sessantotto. Continua a leggere