LA SINERGIA TRA LE FORZE DEL MULTIPOLARISMO

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Discorso alla 1° Conferenza europea sul multipolarismo del 4 settembre 2023

La transizione dall’amministrazione di Donald Trump a quella guidata da Joe Biden ha portato a un significativo cambiamento della politica estera statunitense.

Il miliardario newyorkese è stato formalmente issato alla Casa Bianca per soddisfare le richieste della classe media americana impoverita e delusa dall’eccessiva esposizione militare degli Stati Uniti nel mondo, sfruttando un sentimento di frustrazione che, non a caso, era già stato evidenziato da uno dei massimi analisti dei circoli di potere a stelle e strisce, Samuel Huntington.

In realtà, si è trattato dell’ennesimo “bait and switch” della geopolitica statunitense; Trump – il candidato ideale per raccogliere le proteste di questa componente risentita della società americana – è stato utilizzato per cercare di bloccare l’ascesa pacifica della Repubblica Popolare Cinese e soprattutto il suo progetto di Nuova Via della Seta terrestre e marittima che stava trasformando il processo di globalizzazione da unipolare a multipolare (facendo perdere agli Stati Uniti il loro dominio universale). Da qui la retorica della Casa Bianca sull’America First, sul protezionismo e sulle tariffe commerciali, metodi che si sono però rivelati inefficaci vista la stretta interconnessione tra le prime due economie del mondo.

Al protagonismo di Pechino, basato sui principi BRICS di non ingerenza negli affari interni degli Stati sovrani, di rispetto delle differenze culturali-religiose dei singoli Paesi (anche per quanto riguarda il modello di sviluppo) e di sostegno all’economia reale ma non speculativa, si è ovviamente unita anche Mosca, soprattutto dopo le sanzioni euro-atlantiche del 2014 per la questione della Crimea; il Cremlino ha reagito ad esse con un più intenso riavvicinamento economico alla Cina e con un intervento militare in Siria che ha sconvolto i piani statunitensi per il “Grande Medio Oriente”, secondo una logica che si potrebbe definire di “divisione internazionale del lavoro eurasiatico”. (La Russia usa lo strumento militare, la Cina quello economico). Fallito il tentativo trumpiano di staccare la Russia dalla Cina, con il pretesto della pandemia si è via via riproposto il vecchio schema della “guerra fredda”, della divisione del mondo in blocchi, dello scontro anche ideologico tra “autocrazie” e “democrazie”. A quel punto, il candidato naturale per l’establishment statunitense è diventato Joe Biden, il presidente che più probabilmente recupererà l’Europa all’interno del blocco guidato da Washington attraverso la NATO dopo le tribolazioni dell’era Trump.

Prima di insediare la Cina – considerata dagli Stati Uniti il vero rivale strategico per la governance mondiale – Washington cerca di sbarazzarsi del principale alleato di Xi Jinping, ovvero Vladimir Putin, per sostituirlo con un “fantoccio” disposto ad accettare il ruolo marginale di Mosca all’interno dell’ordine unipolare statunitense e la frammentazione della Federazione Russa.

A questo punto è necessario un ulteriore chiarimento. Molti parlano già di multipolarismo come di un processo pienamente avviato, in realtà siamo ancora in una fase di transizione che la diplomatica russa Marija Chodynskaja Goleniščeva ha brillantemente definito qualche anno fa come “dualismo policentrico”: “L’unipolarismo e l’unipolarismo pluralista (quello che gli americani chiamano multilateralismo), modelli tipici degli anni Novanta e dei primi anni Duemila, cominciano a cedere il passo all’ordine mondiale policentrico. Questo processo, difficile e irregolare, incontra la resistenza di Stati abituati a dominare la scena mondiale e che hanno perso la capacità di negoziare per raggiungere compromessi che tengano conto degli interessi delle altre parti e presuppongano la disponibilità a fare concessioni. D’altra parte, la crescita del peso politico specifico degli “attori non convenzionali” (in primo luogo dei Paesi della regione) sulla scena internazionale, il loro desiderio di partecipare più attivamente al processo decisionale su questioni mondiali fondamentali porta a un profondo coinvolgimento di questi Stati nei conflitti che riguardano i loro interessi nazionali. Tutto ciò rende la situazione imprevedibile, porta alla “frammentazione” dei conflitti in aree di intersezione degli interessi degli attori politici globali e regionali e rende la risoluzione delle crisi mutevole in assenza di una metodologia adeguata alla realtà odierna.

Il filosofo geopolitico eurasiatico Aleksandr Dugin ha giustamente separato e distinto il concetto di multilateralismo – una comoda situazione di facciata che serve solo a distinguere la disuguaglianza tra l’egemone (gli USA) e i suoi vassalli (le nazioni dell’Alleanza Atlantica) – da quello di multipolarità, concetto caro a chi non accetta l’egemonia unipolare statunitense sul pianeta. Non ci possono essere compromessi tra i sostenitori dei due campi, tanto più che l’enunciazione di principi guida da parte di Putin e la sistematizzazione di strumenti militari ed economici alternativi (CSTO, Banca dei BRICS, OCS…) ha ulteriormente ampliato il divario tra le rispettive parti. Tornando a Dugin, egli sostiene che “un mondo multipolare non è un mondo bipolare perché nel mondo di oggi non c’è nessuna potenza che possa resistere con le proprie forze al potere strategico degli Stati Uniti e dei Paesi della NATO, e inoltre non c’è nessuna ideologia generale e coerente in grado di unire gran parte dell’umanità in chiara opposizione ideologica all’ideologia della democrazia liberale, del capitalismo e dei diritti umani, su cui gli Stati Uniti fondano ora una nuova, unica ideologia. Né la Russia moderna, la Cina, l’India o qualsiasi altro Stato possono pretendere di essere un secondo polo in queste condizioni. Il ripristino del bipolarismo è impossibile per ragioni ideologiche e tecnico-militari…”. In realtà, proprio il rispetto da parte dei BRICS e dei loro alleati dei principi condivisi di non ingerenza negli affari interni degli Stati sovrani, unito all’affermazione delle specificità culturali, dei modelli economici specifici (produttivi contro finanziari) e delle diverse visioni del mondo (basti pensare al concetto di “famiglia”), ha già diviso lo scacchiere geopolitico tra due poli in costante competizione tra loro in tutte le aree del pianeta. L’accelerazione della competizione tra i due campi negli ultimi anni ha infatti costretto in un modo o nell’altro tutti gli Stati nazionali a schierarsi da una parte o dall’altra. In conclusione, se è vero che attualmente non viviamo ancora in un sistema geopolitico multipolare, è altrettanto vero che la conditio sine qua non del suo completamento è il passaggio a una nuova fase bipolare che, pur non basandosi più sulla storica contrapposizione ideologica tra capitalismo e marxismo, conserva comunque differenze epocali di visione del mondo. Non si tratta quindi solo di proporre una riorganizzazione delle relazioni internazionali o di interpretare l’attuale fase storica come il passaggio dalla competizione geopolitica a quella geoeconomica, ma di approfondire ulteriormente la sinergia già esistente tra le forze che tendono a favorire il multipolarismo per far capire che l’attuale precario equilibrio bipolare può essere rotto solo con il ridimensionamento strategico degli Stati Uniti d’America. Solo quando Washington accetterà o sarà costretta a rinunciare al suo tentativo di egemonia mondiale, di fronte all’evidenza della sua incapacità di guidare il pianeta, si realizzerà l’agognato sistema multipolare; nel frattempo, la fase intermedia non potrà che essere sempre più bipolare, come gli ultimi avvenimenti stanno evidenziando: il trinceramento del mondo atlantico, Europa compresa, a difesa della supremazia del dollaro statunitense.

Allo stesso tempo, la fine dell’eurocentrismo richiede una nuova idea-forza da parte dei sostenitori del mondo multipolare che imponga la fine dell’assunto di occidentalizzazione-modernizzazione-liberismo-democrazia-diritti umani/individuali come unico progresso possibile dell’umanità. Un processo di cambiamento culturale che dovrebbe essere coordinato con i Paesi BRICS, ai quali potrebbero presto aggiungersi almeno altre 20 nazioni di varie parti del globo.

Dovrebbero poi riconoscere il ruolo della Russia come Piemonte d’Europa e cercare di coagulare tutte quelle forze genuinamente antiamericane presenti all’interno del Vecchio Continente (tenendo presente la subordinazione e la complicità dell’Unione Europea con l’imperialismo statunitense).

Una transizione pacifica dall’unipolarismo al multipolarismo potrebbe essere più conveniente per tutti. Il mondo sarebbe diviso in zone d’influenza in cui le potenze regionali e vicine si attivano per risolvere eventualmente le varie questioni in modo pacifico: è il modello che ho definito globalizzazione multipolare, perché si basa su diversi attori-civiltà e sulla composizione possibilmente win-win degli interessi. Ma la vittoria militare russa in Ucraina e il completamento del processo di dedollarizzazione già in atto costituiscono le premesse indispensabili.

Fonte: https://www.geopolitika.ru/it/article/la-sinergia-tra-le-forze-del-multipolarismo

Escatologie del mondo multipolare

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di Alexandr Dugin

BRICS: La creazione del multipolarismo. Il XV Vertice dei BRICS: La creazione di un mondo multipolare

Il XV vertice dei BRICS ha preso la storica decisione di ammettere altri 6 Paesi nell’organizzazione: Argentina, Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. In questo modo è stata completata la formazione del nucleo di un mondo multipolare.

Sebbene i BRICS, ex BRIC, fossero un’associazione condizionata di Paesi semiperiferici (secondo Wallerstein) o del “secondo mondo”, il dialogo tra questi Paesi, che non fanno parte della struttura dell’Occidente collettivo (NATO e altre organizzazioni rigidamente unipolari dominate dagli Stati Uniti), ha gradualmente delineato i contorni di un ordine mondiale alternativo. Se la civiltà occidentale si considera l’unica, e questa è l’essenza del globalismo e dell’unipolarismo, i Paesi BRICS rappresentano civiltà sovrane e indipendenti, diverse dall’Occidente, con una lunga storia e un sistema di valori tradizionali del tutto originale.

Inizialmente l’associazione BRIC, creata nel 2006 su iniziativa del presidente russo Vladimir Putin, comprendeva quattro Paesi: Brasile, Russia, India e Cina. Il Brasile, la più grande potenza del Sudamerica, rappresentava il continente latinoamericano. La Russia, la Cina e l’India sono di per sé di dimensioni sufficienti per essere considerate civiltà a tutto tondo. Sono più che semplici Stati-nazione.

La Russia è l’avanguardia dell’Eurasia, il “Grande Spazio” eurasiatico.

La Cina è responsabile di un’area significativa delle potenze vicine dell’Indocina e di molte altre (il progetto One Belt One Road è il modo concreto per stabilire questo “Grande Spazio” cinese basato sulla cooperazione pacifica).

L’India estende la sua influenza anche al di là dei suoi confini, almeno fino al Bangladesh e al Nepal.

Quando nel 2011 il Sudafrica si è unito ai Paesi BRIC (da cui l’acronimo BRICS – la “C” alla fine di Sudafrica), simbolicamente era rappresentato anche il più grande Paese africano.

7 civiltà (1 contro 6)

Ma al XV vertice, tenutosi dal 22 al 24 agosto 2023 a Johannesburg, ha avuto luogo la formazione definitiva del club multipolare. L’ingresso di tre potenze islamiche – l’Iran sciita e l’Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti sunniti – è stato fondamentale. In questo modo, è stata assicurata la partecipazione diretta al mondo multipolare dell’intera civiltà islamica, rappresentata da entrambi i rami – sunnismo e sciismo -.

Inoltre, insieme al Brasile di lingua portoghese, l’Argentina di lingua spagnola, altra potenza forte e indipendente, si è unita ai BRICS. Già a metà del XX secolo, i teorici dell’unificazione sudamericana in un “Grande Spazio” consolidato – in primis il generale argentino Juan Perón e il presidente brasiliano Getúlio Vargas – consideravano un decisivo avvicinamento tra Brasile e Argentina come il primo principio di questo processo. Se questo si realizzerà, il processo di integrazione dell’ecumene latinoamericano (termine di A. Buela) sarà irreversibile. Ed è proprio quello che sta accadendo ora nel contesto dell’adesione delle due maggiori potenze del Sud America, Brasile e Argentina, al club multipolare.

Anche l’ammissione dell’Etiopia è altamente simbolica. È l’unico Paese africano che è rimasto indipendente per tutta l’epoca coloniale, preservando la sua sovranità, la sua indipendenza e la sua cultura unica (gli etiopi sono il più antico popolo cristiano). Insieme al Sudafrica, l’Etiopia rafforza con la sua presenza nel club multipolare il continente africano nel suo complesso.

In effetti, la nuova composizione dei BRICS ci offre un modello completo di unione di tutti i poli – civiltà, “Spazi Maggiori”, con l’eccezione dell’Occidente, che cerca disperatamente di preservare la sua egemonia e la sua struttura unipolare. Ma ora non si trova di fronte a Paesi disparati e frammentati, pieni di contraddizioni interne ed esterne, bensì a una forza unita della maggioranza dell’umanità, determinata a costruire un mondo multipolare.

Questo mondo multipolare è costituito dalle seguenti civiltà:

  1. L’Occidente (USA+UE e i loro vassalli, tra cui, ahimè, il Giappone, un tempo fiero e sovrano, ora degradato a fantoccio passivo dei conquistatori occidentali);
  2. La Cina (+Taiwan) con i suoi satelliti;
  3. Russia (come integratore dell’intero spazio eurasiatico);
  4. L’India e la sua zona di influenza;
  5. America Latina (con il nucleo di Brasile+Argentina);
  6. Africa (Sudafrica+Etiopia, con Mali, Burkina Faso, Niger, ecc. liberati dall’influenza coloniale francese).
  7. Mondo islamico (in entrambe le versioni – Iran sciita, Arabia Saudita sunnita ed Emirati Arabi Uniti).

Allo stesso tempo, una civiltà – quella occidentale – rivendica l’egemonia, mentre le altre sei la negano, accettando solo un sistema multipolare e riconoscendo l’Occidente come solo una delle civiltà, insieme ad altre. Forse ancora più forte (relativamente e non troppo a lungo), ma non unica.

Così la giustezza di Samuel Huntington, che vedeva il futuro nel ritorno della civiltà, è stata confermata nella pratica, mentre è diventata evidente la fallacia della tesi di Fukuyama, che credeva che l’egemonia globale dell’Occidente liberale (la fine della storia) fosse già stata raggiunta. A Fukuyama non resta quindi che fare la morale ai neonazisti ucraini, l’ultima speranza dei globalisti di fermare l’insorgere del multipolarismo, per il quale la Russia in Ucraina si batte oggi.

L’agosto 2023 può essere considerato il compleanno del mondo multipolare.

Il multipolarismo è stabilito e in qualche modo istituzionalizzato. È ora di guardare più da vicino a come gli stessi poli civili interpretano la situazione in cui si trovano. E qui dobbiamo tenere conto del fatto che praticamente ogni civiltà sovrana ha una propria idea della struttura della storia, della natura del tempo storico, della sua direzione, della meta e del fine. Contrariamente a Fukuyama, che ha ambiziosamente proclamato un’unica fine della storia (nella sua versione liberale), ogni civiltà sovrana opera con una propria comprensione, interpretazione e descrizione della fine della storia. Esaminiamo brevemente questa situazione.

Ogni civiltà ha la propria idea della fine del mondo

Ogni polo del mondo multipolare, cioè ogni civiltà, ha la sua versione dell’escatologia, in parte più e in parte meno esplicita.

L’escatologia è la dottrina della fine del mondo o della fine della storia. Le escatologie costituiscono una parte essenziale delle dottrine religiose, ma hanno anche versioni laiche. Qualsiasi idea sulla direzione lineare del processo storico e sulla sua presunta finalità può essere considerata “escatologia.

Il mondo multipolare è costituito da diverse civiltà o “Spazi Maggiori”, con un sistema di valori tradizionali del tutto unico e originale. Questo è il polo (non il singolo Stato). Un polo è appunto una civiltà. Ogni civiltà ha una propria idea della natura del processo storico, della sua direzione e del suo obiettivo, e quindi una propria escatologia.

In alcuni “Grandi Spazi” esistono addirittura diverse versioni di escatologia, e alcune formazioni politiche relativamente piccole, che non possono in alcun modo pretendere di essere un polo, hanno tuttavia talvolta un’escatologia speciale e persino sviluppata.

Vediamo di delineare i diversi tipi in termini più generali.

Escatologie dell’Occidente: l’escatologia nel cristianesimo occidentale

Il cristianesimo occidentale aveva originariamente la stessa dottrina escatologica del cristianesimo orientale, essendo un’unica civiltà. Nel cristianesimo – sia nel cattolicesimo che nell’ortodossia (e anche nel protestantesimo) – la fine del mondo è considerata inevitabile, poiché il mondo e la sua storia sono finiti e Dio è infinito. Dopo la venuta di Cristo, il mondo si avvia verso la sua fine e il ritorno di Cristo stesso è visto come se avvenisse “negli ultimi giorni”. L’intera storia della Chiesa cristiana è una preparazione ai tempi finali, al Giudizio Universale e alla Seconda Venuta di Cristo. Il cristianesimo insegna che prima della Seconda Venuta ci sarà un’apostasia generale dell’umanità, le nazioni si allontaneranno da Cristo e dalla sua Chiesa e si affideranno solo alle proprie forze (umanesimo). In seguito l’umanità degenererà completamente e l’Anticristo, il messaggero del diavolo, il “figlio della perdizione”, prenderà il potere.

L’Anticristo governerà per un breve periodo (3,5 anni, “un tempo, due tempi e mezzo”), i santi e i profeti Elia ed Enoch, che torneranno sulla terra, lo denunceranno, e poi avverrà la Seconda Venuta, la resurrezione dei morti e il Giudizio Universale. Questo è ciò in cui ogni cristiano è obbligato a credere.

Allo stesso tempo, il cattolicesimo, che si è gradualmente separato dal tronco ortodosso unito, credeva che la roccaforte dei cristiani dovesse essere la Chiesa cattolica sotto il Papa, la “Città di Dio”, e che la ritirata avrebbe riguardato solo le entità politiche terrene, la “Città della Terra”.

C’è una battaglia spirituale tra la politica celeste del Vaticano e quella terrena dei monarchi secolari. Nell’Ortodossia, a differenza del Cattolicesimo, il principale ostacolo sul cammino dell’Anticristo è il Sacro Impero, l’eterna Roma.

L’escatologia cristiana tradizionale ed esattamente questa visione – in parte pessimistica – del vettore della storia hanno prevalso in Europa fino all’inizio della Modernità. È così che i veri cattolici tradizionali, non influenzati dallo spirito illuminista, sempre meno numerosi in Occidente, continuano a pensare alla fine del mondo.

Le escatologie protestanti sono più bizzarre. Negli anabattisti di Münster o negli hussiti cechi, la Seconda Venuta era preceduta dall’instaurazione dell’uguaglianza universale (comunismo escatologico), dall’abolizione delle gerarchie di classe e della proprietà privata.

Recentemente, sotto l’influenza della modernizzazione e del politicamente corretto, molte denominazioni protestanti e la Chiesa anglicana hanno rivisto la loro visione dell’escatologia, rompendo definitivamente con l’antica tradizione cristiana.

Escatologia massonica: la teoria del progresso

Alle origini della civiltà europea occidentale della Modernità c’è la Massoneria europea, in mezzo alla quale è nata l’idea bizzarra e incoerente del “progresso sociale”. L’idea di progresso è la diretta antitesi della comprensione cristiana della storia. Essa rifiuta l’apostasia, l’Anticristo, il Giudizio Universale, la resurrezione dei morti e l’esistenza stessa dell’anima.

I massoni ritenevano che l’umanità si sviluppasse progressivamente: all’inizio la barbarie (non il paradiso terrestre), poi la barbarie (non la società tradizionale), quindi la civiltà (che culmina nella Modernità europea e nell’Illuminismo, ossia società laiche atee basate su una visione del mondo scientifica materialista). La “civiltà” (al singolare!) nella sua formazione passa attraverso una serie di fasi che vanno dalle confessioni tradizionali al culto umanistico del Grande Architetto dell’Universo e poi alla democrazia liberale, dove scienza, ateismo e materialismo trionfano pienamente. La Massoneria conservatrice (Rito Scozzese) si ferma di solito al culto del Grande Architetto dell’Universo (cioè al deismo – il riconoscimento di un “dio” indefinito e non confessionale), mentre le Logge più rivoluzionarie del “Grande Oriente” chiedono di andare oltre – fino alla completa abolizione della religione e della gerarchia sociale. Il Rito Scozzese è sinonimo di liberalismo classico (grande capitale), il Grande Oriente e le altre logge rivoluzionarie sono sinonimo di democrazia liberale (crescita intensiva della classe media e ridistribuzione del capitale dalla grande borghesia alla media e piccola borghesia).

Ma nella Massoneria, in entrambe le versioni, vediamo un vettore chiaramente diretto alla fine della storia, cioè alla costruzione della moderna civiltà globale progressista. Questa è l’ideologia del globalismo in due versioni: conservatrice (graduale) e offensiva (rivoluzionaria-democratica).

Inghilterra: la quinta monarchia

Durante la Rivoluzione inglese di Cromwell, la teoria della Quinta Monarchia si sviluppò negli ambienti protestanti sotto l’influenza dei circoli ebraici e del sabbatismo (in particolare del rabbino olandese Manasseh ben-Israel). La dottrina dei quattro regni mondiali (babilonese, persiano, greco e romano), tradizionale per il cristianesimo, fu dichiarata insufficiente e dopo la caduta di Roma (che per i protestanti significava il rifiuto di riconoscere l’autorità del Papa e il rovesciamento della monarchia, il regicidio) sarebbe arrivato il quinto regno.

In precedenza, un’idea simile era emersa in Portogallo in relazione all’impero marittimo portoghese e alla missione speciale del “re scomparso” Sebastiano. La versione portoghese e portoghese-centrica (mistico-monarchica) fu trasmessa agli ebrei portoghesi convertiti (marrani) e agli ebrei esiliati in Olanda e Brasile. Uno di loro era Manasseh ben-Israel, dal quale questa teoria passò ai protestanti inglesi e alla cerchia ristretta di Cromwell (T. Harisson).

I sostenitori di questa teoria consideravano Cromwell stesso come il futuro monarca mondiale del Quinto Impero. La Quinta Monarchia sarebbe stata caratterizzata dall’abolizione del cattolicesimo, del potere monarchico ereditario, degli Estati e avrebbe rappresentato il trionfo della democrazia borghese e del capitalismo.

Questo fu continuato dalla corrente dell'”israelismo britannico” (British Israelism), che dichiarò che gli inglesi erano “le dieci tribù perdute di Israele” e diffuse la convinzione dell’imminente dominio mondiale dell’Inghilterra e della razza anglosassone. Il dominio mondiale dei “Nuovi Israeliti” (anglosassoni) era visto al di là dei Quattro Regni e rompeva con l’escatologia cristiana tradizionale, poiché la Quinta Monarchia significava la distruzione dei regni cristiani tradizionali e il dominio del “popolo eletto” (questa volta non gli ebrei, ma gli inglesi).

Dall’Inghilterra, le sette protestanti estreme trasferirono queste idee negli Stati Uniti, che furono creati come incarnazione storica della Quinta Monarchia. Da qui l’escatologia americana nelle mitologie di W. Blake (in “The Prophecy of America” gli USA sono rappresentati dal gigante Orcus che si libera dalle catene del “vecchio dio”), che era anche un aderente alla teoria dell'”israelismo britannico”. Blake incarnò queste idee nella sua poesia “Jerusalem”, che divenne l’inno non ufficiale dell’Inghilterra.

USA: dispensazionalismo

Negli Stati Uniti, le idee dell'”Israelismo britannico” e della Quinta Monarchia furono sviluppate in alcune denominazioni protestanti e divennero la base di una particolare corrente di dispensazionalismo basata sulle idee dei Fratelli di Plymouth (predicatore John Darby) e sull’edizione Scofield della Bibbia di riferimento, dove l’interpretazione escatologica in chiave dispensazionalista è incorporata nel testo biblico in modo tale che alla gente comune sembra un’unica narrazione.

Il dispensazionalismo considera gli anglosassoni e i protestanti (“nati di nuovo”) come il popolo eletto e applica a loro tutte le profezie sugli ebrei. Secondo questa dottrina, l’umanità vive alla fine dell’ultima “dispensazione” del ciclo, e la seconda venuta di Cristo avrà presto luogo, e tutti i fedeli saranno portati in cielo (rapimento). Ma questo sarà preceduto da una battaglia finale (Armageddon) con il “re di Rosh, Meshech e Tubal”, con cui si intende la Russia dal XIX secolo a oggi. Prima di ciò, la Russia deve invadere la Palestina e lì combattere i “nati di nuovo” (anglosassoni) per poi essere sconfitta da loro. Dopodiché, ci dovrebbe essere una conversione di massa degli ebrei al protestantesimo e un’ascesa al cielo (tramite miracoli o navicelle spaziali).

Negli ultimi decenni, questa corrente si è fusa con il sionismo politico ed è diventata la base dell’ideologia e della geopolitica dei neocons americani.

Francia: il Grande Monarca

In Francia, già nel tardo Medioevo e agli albori dell’Età Moderna, si è sviluppata la teoria escatologica del Grande Monarca, secondo la quale alla fine dei tempi sarebbe apparso un re francese segreto, scelto da Dio, che avrebbe salvato l’umanità dalla decadenza, dal protestantesimo e dal materialismo. Questa versione dell’escatologia è francocentrica e conservatrice e circolava negli ambienti mistici dell’aristocrazia. Si differenzia dall’escatologia cattolica tradizionale per il fatto che è il re francese, e non la sede vaticana, a fare da barriera all’Anticristo.

La versione geopolitica laica e semplificata dell’escatologia del Grande Monarca è considerata da alcuni ricercatori come gollismo. Il generale De Gaulle era favorevole all’unione dei popoli europei (soprattutto francesi, tedeschi e russi) e contrario alla NATO e all’egemonia anglosassone. Lo scrittore francese J. Parvulesco (seguendo R. Abellio) l’ha definita “la dimensione mistica del gollismo”.

Ma la stragrande maggioranza della classe dirigente francese è dominata dall’escatologia massonica – con un significato esattamente opposto.

Italia: i Ghibellini e il Mastino

Nel Medioevo, il confronto tra il trono romano e il potere imperiale – dopo che Carlo Magno si è proclamato “imperatore” – è stato a volte estremamente aggravato. Questo portò alla creazione di due partiti: i Guelfi, sostenitori del Papa, e i Ghibellini, sostenitori dell’Imperatore. Questi ultimi erano maggiormente diffusi in Italia, il cui possesso costituiva la base per il riconoscimento dei re tedeschi come imperatori dell’Impero Romano (d’Occidente) dopo l’incoronazione a Roma.

Il poeta Dante fu un sostenitore dei ghibellini e codificò nel suo poema “La Divina Commedia” l’insegnamento escatologico dei ghibellini secondo cui, dopo il temporaneo dominio dei guelfi e la completa degradazione della Chiesa cattolica, sarebbe giunto in Europa un vero monarca ghibellino che avrebbe fatto rinascere la morale e la spiritualità della civiltà occidentale. Egli è simbolicamente rappresentato nella figura del mastino (il Veltro) e nel numero mistico DXV (515), che dà, dopo aver riordinato le lettere/digitali, la parola DVX, “condottiero”. Dante espone le idee della Monarchia mondiale in un trattato a parte. Anche in questo caso, il tema escatologico è legato al potere monarchico – e in misura maggiore rispetto alla Chiesa cattolica. Per Dante, la monarchia francese era vista dalla parte dell’Anticristo, così come il trono romano che si era sollevato contro l’Imperatore.

Germania: Hegel e la fine della Storia

La versione originale dell’escatologia si trova nella filosofia di Hegel. Egli vede la storia come un processo dialettico di dispersione dello Spirito attraverso la Natura, per poi riunire nuovamente le particelle dello Spirito in una società illuminata. Il culmine di questo processo, secondo Hegel, dovrebbe essere la creazione di uno Stato tedesco unificato sulla base della monarchia prussiana (che durante la sua vita non esisteva). In questa monarchia illuminata si sarebbe completato il ciclo della storia dello Spirito. Queste idee influenzarono il Secondo Reich e Bismarck, e più tardi, in forma distorta, il Terzo Reich di Hitler. Fu Hegel a proporre la tesi della “fine della storia” in un contesto filosofico, combinando in modo peculiare l’escatologia cristiana (compresa la figura del sovrano cristiano) e una particolare interpretazione mistico-monarchica del progresso sociale (come fase preliminare alla creazione dell’impero mondiale dei filosofi).

Il filosofo tedesco (cattolico) Carl Schmitt ha messo in relazione l’idea del Reich con la funzione del katehon, il guardiano, il custode, che era il significato del potere imperiale a Bisanzio e che fu usurpato (secondo la Chiesa ortodossa) nell’VIII secolo dall’imperatore franco Carlo Magno. Questa linea era in parte in linea con la tradizione ghibellina.

L’ebreo tedesco Karl Marx costruì una teoria del comunismo (la fine della storia) su una versione materialista rovesciata dell’hegelismo, e il filosofo russo Alexander Kojev cercò di identificare la fine della storia con il globalismo e il trionfo planetario del liberalismo. Ma è significativo che Hegel stesso, a differenza dei suoi interpreti settari, fosse un monarchico escatologico germanocentrico.

Iberia: gli Asburgo e l’evangelizzazione planetaria

L’escatologia nella versione spagnola era legata alla colonizzazione delle Americhe e alla missione di Carlo V Asburgo e dei suoi successori dinastici. Poiché nelle profezie sulla fine del mondo (Sal. Metodio di Patara), il segno della fine del mondo era la diffusione del Vangelo a tutta l’umanità e l’instaurazione di un impero cristiano mondiale sotto un re mondiale cattolico, le scoperte geografiche e la creazione di vaste colonie da parte della Spagna davano motivo di considerare gli Asburgo spagnoli – soprattutto Carlo V e Filippo II – come contendenti al ruolo di monarca mondiale. Questa versione cattolico-monarchica, in parte consonante con quella francese, ma in contrasto con gli imperatori austriaci, tradizionali avversari della dinastia francese. Cristoforo Colombo fu un sostenitore di un Impero mondiale escatologico durante il regno dei re cattolici Isabella e Ferdinando e rifletté le sue opinioni escatologiche nel Libro delle Profezie, compilato alla vigilia del suo quarto viaggio nelle Americhe e completato subito dopo il suo ritorno.

Dopo il regno dei Borbone in Spagna, questa linea escatologica si affievolì. In parte i suoi echi si ritrovano negli ambienti cattolici dell’America Latina e soprattutto nei gesuiti.

Il Quinto Impero nella versione portoghese e la sua propaggine brasiliana sono generalmente vicini a questa versione dell’escatologia.

Israele: il territorio del Mashiach

Lo Stato di Israele è stato fondato nel 1948 in Palestina come realizzazione delle aspirazioni escatologiche della diaspora ebraica, che da due millenni attendeva il ritorno alla Terra Promessa. L’escatologia ebraica si basa sulla convinzione dell’elezione degli ebrei e del loro ruolo speciale nei tempi finali, quando arriverà il Mashiach ebraico e gli ebrei governeranno il mondo. È la versione più studiata dell’escatologia. Per molti versi, è l’escatologia ebraica ad aver plasmato i principali scenari delle visioni della fine del mondo nelle tradizioni monoteiste.

L’Israele moderno è stato creato come Stato preparato alla venuta del Mashiach e, se questa funzione viene messa tra parentesi, la sua stessa esistenza perderà completamente di significato – prima di tutto agli occhi degli stessi ebrei.

Dal punto di vista geopolitico, Israele non può pretendere di essere una civiltà indipendente, un Impero, le cui dimensioni sono necessarie per una piena partecipazione ai processi escatologici globali. Tuttavia, se teniamo conto dell’avvicinamento dei sionisti politici negli Stati Uniti ai neocon e ai dispensazionalisti protestanti, del ruolo degli ebrei nel secolo scorso nelle logge massoniche, dell’influenza della diaspora nelle élite dirigenti e soprattutto economiche dell’Occidente, l’intero quadro cambia e per i gravi eventi escatologici la base risulta essere significativa.

L’interpretazione cabalistica del percorso migratorio della maggior parte dell’iaspora ebraica lo descrive come un movimento che segue la Shekhina (Presenza di Dio) in esilio (secondo Rabbi Alon Anava).

All’inizio della galut (dispersione), la massa principale di ebrei era concentrata in Medio Oriente (Mizrahi). Poi cominciò a spostarsi verso il nord e il Caucaso (khazar kaganato). Da lì il percorso della Shekhina portò alla Russia occidentale, ai Baltici e all’Europa orientale (Ashkenazi). Poi il movimento ashkenazita iniziò ad addentrarsi nell’Europa occidentale e i sefarditi della penisola iberica si spostarono in Olanda e nelle colonie americane. Infine, il grosso degli ebrei si concentrò negli Stati Uniti, dove ancora oggi rappresentano la maggioranza rispetto alle comunità ebraiche di altri Paesi. La Shekhina rimane quindi negli Stati Uniti. La seconda comunità di ebrei è quella di Israele. Quando le proporzioni cambieranno a favore di Israele, significherà che la Shekhina, dopo un cerchio di duemila anni, è tornata in Palestina.

Allora dovremo aspettarci la costruzione del Terzo Tempio e la venuta del Mashiach. Questa è la logica dell’escatologia ebraica, chiaramente rintracciabile nei processi politici che si stanno svolgendo intorno a Israele. A questa idea aderisce la maggioranza dei sionisti religiosi, che costituiscono una percentuale significativa di ebrei sia in Israele che nella diaspora. Ma ogni ebreo, ovunque si trovi e qualunque ideologia condivida, non può non essere consapevole della natura escatologica del moderno Stato di Israele e, di conseguenza, degli obiettivi di vasta portata del suo governo.

Escatologia ortodossa: i Greci, l’imperatore di marmo

Nella popolazione ortodossa della Grecia, dopo la caduta di Bisanzio e la presa di potere da parte degli Ottomani, si sviluppò una teoria escatologica sulla venuta di un re liberatore ortodosso, l’Imperatore di Marmo. La sua figura è stata talvolta interpretata come il ritorno di Costantino XII Paleologo, che secondo la leggenda non morì quando i Turchi presero Costantinopoli, ma fu portato da un angelo alla Porta di Marmo e lì attende la sua ora per liberare gli ortodossi (greci) dall’oppressione degli stranieri.

In alcune versioni della leggenda escatologica questa missione era affidata al “re dai capelli rossi del nord”, con cui nel XVIII secolo molti monaci athoniti intendevano l’imperatore russo.

Si tratta di echi della dottrina bizantina classica del katehon, il guardiano, il custode, destinato a diventare il principale ostacolo sulla strada del “figlio della perdizione” (Seconda Lettera dell’Apostolo Paolo ai Tessalonicesi) e del Re-Salvatore del libro di San Metodio di Patara. Il pensiero politico-religioso greco ha mantenuto questa componente escatologica durante il periodo ottomano, anche se, dopo la liberazione dai Turchi, lo Stato greco ha iniziato a essere costruito su stampi liberal-democratici massonici (nonostante il breve periodo di governo di alcune dinastie europee), rompendo completamente con l’eredità bizantina.

Russia: Re della Terza Roma, Salvatore delle sette, Comunismo

In Russia, l’escatologia assunse una forma stabile alla fine del XV secolo, che si rifletteva nella teoria di Mosca-Terza Roma. Essa affermava che la missione del katehon, il servo, dopo la caduta di Costantinopoli passò alla Russia moscovita, che divenne il nucleo dell’unico Impero ortodosso – cioè Roma. Il Granduca di Mosca cambiò lo status e divenne Zar, Basileus, Imperatore, katehon.

D’ora in poi, la missione della Russia e del popolo russo fu quella di rallentare la venuta del “figlio della perdizione”, l’Anticristo, e di resistergli in ogni modo possibile. Questo costituiva il nucleo dell’escatologia russa e formalizzava lo status del popolo russo come “portatore di Dio”.

Dimenticata all’epoca delle riforme occidentali di Pietro e dei suoi seguaci, l’idea di Mosca come Terza Roma rivive nel XIX secolo sotto l’influenza degli slavofili, per poi diventare un tema centrale nella Chiesa ortodossa russa in emigrazione.

Dopo lo scisma, l’escatologia si diffuse tra i Vecchi Credenti e i settari. I Vecchi Credenti ritenevano generalmente che la caduta della Terza Roma fosse già avvenuta in modo irreversibile, mentre i settari (khlysty o skopcy, castrati), al contrario, credevano nell’imminente venuta del “Cristo russo”.

La versione laica dell’escatologia settaria “ottimista” fu ripresa dai bolscevichi, nascondendola sotto la versione marxista della fine della storia di Hegel. Nell’ultimo periodo dell’URSS, la fede escatologica nel comunismo svanì e il regime e il Paese crollarono.

Il tema dell’escatologia russa è tornato d’attualità in Russia dopo l’inizio della SWO, quando il tema del confronto con la civiltà massonico-liberale e materialista-atea dell’Occidente è diventato estremamente acuto. Logicamente, man mano che la Russia si affermerà come civiltà a sé stante, il ruolo dell’escatologia e la centralità della funzione del catecumeno non potranno che aumentare.

Mondo islamico: sunnismo, il Mahdi sunnita

Nel sunnismo, la fine del mondo non è descritta nei dettagli e le visioni del leader della comunità islamica che verrà, il Mahdi, impallidiscono di fronte alla descrizione del Giudizio Universale che Dio (Allah) amministrerà alla fine dei tempi. Tuttavia, questa figura è presente ed è descritta in modo dettagliato negli hadith. Si tratta dell’emergere di un leader militare e politico del mondo islamico che ripristinerà la giustizia, l’ordine e la pietà che erano caduti in rovina alla fine dei tempi.

L’autorevole sufi Ibn Arabi specifica che il Mahdi sarà assistito nel governare da “visir”, che costituiranno la base del governo escatologico; secondo lui, tutti i visir di questo “governo metafisico”, in quanto assistenti e proiezioni del polo unificato (qutb), proverranno da comunità islamiche non arabe.

Il Mahdi sconfiggerà il Dajjal (il Bugiardo) e stabilirà il governo islamico. Una versione particolare dell’escatologia islamica è professata anche dai sostenitori dell’ISIS.

Diverse figure dell’Islam hanno rivendicato il ruolo del Mahdi. Di recente, il capo del PMC turco SADAT Adnan Tanriverdi ha proclamato Erdogan il Mahdi.

Iran: il 12° Imam

Nello sciismo, il tema del Mahdi è molto più sviluppato e l’escatologia è alla base degli stessi insegnamenti politico-religiosi degli sciiti. Gli sciiti considerano solo i seguaci di Ali, gli Imam, come i legittimi governanti della comunità islamica. Credono che l’ultimo 12° Imam non sia morto, ma si sia nascosto. Apparirà di nuovo alla gente alla fine dei tempi. Questo sarà l’inizio dell’ascesa del mondo sciita.

Poi apparirà Cristo, che insieme al Mahdi combatterà con Dajjal e lo sconfiggerà, stabilendo un giusto ordine spirituale per un breve periodo di tempo – poco prima della fine del mondo.

Probabilmente è stata l’antica dottrina iraniana della lotta tra la luce (Ormuzd) e le tenebre (Ahriman) che ha iniziato la storia come chiave di lettura del suo significato e della vittoria finale dei guerrieri della luce che è diventata la base della parte escatologica degli insegnamenti monoteistici. Ma in ogni caso l’influenza dello zoroastrismo sullo sciismo è evidente, ed è questo che dà all’escatologia iraniana una tale pregnanza e una chiara espressione politica.

Questa è la visione della maggioranza degli sciiti e in Iran è l’ideologia ufficiale che determina in larga misura l’intera strategia politica del Paese.

L’escatologia sciita continua per molti aspetti la tradizione iraniana pre-islamica dello zoroastrismo, che aveva una teoria sviluppata del cambiamento dei cicli e del loro culmine nella Grande Restaurazione (frashokart). L’immagine dell’imminente Re-Salvatore – Saoshyant, destinato a nascere magicamente da una Vergine pura e a sconfiggere l’esercito del principio oscuro (Ahriman) nell’ultima battaglia, vi svolge un ruolo importante.

Asia sud-orientale: India e Kalki

Nell’Induismo, la fine del mondo ha poco significato, anche se alcuni testi sacri associati al ciclo di Kalachakra raccontano di re della terra mistica di Shambhala, dove prevalgono ancora le condizioni di un’età dell’oro. Nel momento finale della storia, uno di questi re, Kalki, ritenuto il decimo avatar di Vishnu, apparirà nel mondo umano e combatterà il demone Kali-yuga. La vittoria di Kalki porrà fine all’era oscura e segnerà un nuovo inizio (Satya-yuga).

Il Kali-yuga è descritto come un’epoca di declino della morale, dei valori tradizionali e delle basi spirituali della civiltà indiana. Sebbene la tradizione indiana sia piuttosto distaccata dalla storia e dai suoi cicli, ritenendo che la realizzazione spirituale possa essere raggiunta in qualsiasi condizione, i motivi escatologici sono piuttosto presenti nella cultura e nella politica.

Nell’India contemporanea, il popolare politico conservatore e primo ministro Narendra Modi è riconosciuto da alcuni circoli tradizionalisti come un avatar divino – di Kalki stesso o del suo messaggero.

Buddismo: il Buddha dei tempi a venire

Anche nella tradizione buddista si sviluppano motivi escatologici. La fine dei tempi è vista come l’arrivo del Buddha futuro, Maitreya. La sua missione è quella di rinnovare la vita spirituale del sangha, la comunità buddista, e di indirizzare l’umanità verso il cammino salvifico del risveglio.

Sul buddismo si sono basati alcuni sistemi politici dei Paesi del Sud-Est asiatico: il Giappone, unito al culto autoctono dello shintoismo, al centro del quale si trova la figura dell’imperatore divino, alcuni Stati dell’Indocina. In alcuni casi, l’appello alla figura del Buddha Maitreya in arrivo è diventato la base di movimenti politici e rivolte popolari.

Talvolta il buddismo escatologico ha trovato sostegno nell’ideologia comunista, dando origine a forme sincretiche – Cambogia, Vietnam, ecc.

Cina: il mandato celeste

L’escatologia è praticamente assente nel confucianesimo, che è la corrente etico-politica dominante della tradizione cinese. Ma allo stesso tempo è sviluppata in modo piuttosto dettagliato nella religione dei taoisti cinesi e nelle correnti sincretistiche taoiste-buddiste. Secondo le idee taoiste sui cicli, la storia del mondo si riflette nel cambiamento delle dinastie al potere in Cina. Questo cambiamento è il risultato della perdita di quello che i taoisti chiamano il “Mandato del Cielo”, che ogni legittimo sovrano della Cina è obbligato a ricevere e conservare. Quando questo Mandato si esaurisce, la Cina è in subbuglio, con guerre civili e disordini. La situazione si salva solo con l’ottenimento di un nuovo Mandato del Cielo e l’intronizzazione di una nuova dinastia.

L’Impero di Mezzo cinese è percepito dai cinesi stessi come un’immagine della gerarchia cosmica, come l’Universo. Nell’Impero, cultura e natura si fondono fino a diventare indistinguibili. Per questo i cicli dinastici sono cicli cosmici con cui si misurano le epoche.

La tradizione cinese non conosce la fine assoluta del mondo, ma ritiene che ogni deviazione dell’ordine mondiale in qualsiasi direzione richieda un ripristino simmetrico. Questa teoria ha implicitamente contribuito alla rivoluzione cinese e mantiene il suo significato fino ai giorni nostri.

Infatti, la figura dell’attuale presidente del Comitato Centrale del PCC, Xing Jinping, è vista come una nuova apparizione di un imperatore legittimo che ha ricevuto un mandato celeste.

L’Africa: Garvey e la Massoneria nera

Uno dei fondatori del movimento per restituire dignità ai popoli africani fu il massone di origine giamaicana Marcus Garvey, che applicò il progressismo massonico ai neri e invitò alla ribellione contro i bianchi.

Garvey intraprese una serie di azioni per riportare i neri americani nel continente africano, continuando un processo iniziato nel 1820 con la creazione di uno Stato artificiale sulla costa occidentale dell’Africa, la Liberia. Il governo della Liberia copiava quello degli Stati Uniti e anch’esso era composto prevalentemente da massoni.

Garvey interpretò la lotta per i diritti dei neri non solo come un mezzo per ottenere l’uguaglianza, ma promosse attivamente la teoria dell’elezione degli africani a popolo speciale, che dopo secoli di schiavitù era chiamato a stabilire il proprio dominio – almeno nello spazio del continente africano, ma anche a rivendicare i diritti al potere negli Stati Uniti e in altri Paesi coloniali. Al centro di questo movimento mondiale dovevano esserci le logge massoniche, dove erano ammessi solo i neri.

I rappresentanti estremi di questa corrente furono le organizzazioni Black Power, Black Panthers e più tardi BLM.

La grande Etiopia

In Africa, tra la popolazione melanodermica (nera) si sono sviluppate versioni originali dell’escatologia. Tutte (come l’escatologia di Garvey) considerano i popoli africani come dotati di una speciale missione storica (neri = Nuovo Israele) e predicono la rinascita di loro stessi e del continente africano nel suo complesso. Lo schema generale dell’escatologia africana considera l’epoca della colonizzazione e della schiavitù come una grande prova spirituale per la razza nera, cui seguirà un periodo di ricompensa, una nuova età dell’oro.

In una versione di questa escatologia, il nucleo dell’identità africana è l’Etiopia. La sua popolazione (kushiti e semiti dalla pelle scura) è vista come il paradigma della civiltà africana – l’Etiopia è l’unica entità politica africana che non è stata colonizzata, né dalle potenze europee né dai musulmani.

In questa versione, tutti i popoli africani sono considerati imparentati con gli etiopi e il monarca etiope – il Negus – è percepito come il prototipo del sovrano del grande impero africano. Questa linea è stata alla base del rastafarianesimo, che è diventato popolare tra i neri della Giamaica e si è poi diffuso tra la popolazione nera dell’Africa e dell’America.

Questa versione è predominante per le nazioni cristiane e cristianizzate. La stessa escatologia cristiana degli etiopi (monofisiti) acquisisce caratteristiche originali associate alla missione speciale dell’Etiopia, considerata il Paese e il popolo eletto (da qui le leggende secondo cui l’antenato degli etiopi sarebbe il biblico Melchisedek, il Re della Pace). Nel rastafarianesimo, questa escatologia etiopica acquisisce ulteriori caratteristiche, a volte piuttosto grottesche.

Islam nero

Un’altra versione dell’escatologia africana è quella dei “musulmani neri” (Nation of Islam), sorta negli Stati Uniti. Questa dottrina sostiene che sia Mosè che Maometto erano neri e che Dio si incarna in leader politico-religiosi neri di ciclo in ciclo. Il fondatore di questa corrente, Wali Fard Muhammad, si considerava un’incarnazione di questo tipo (in linea con la setta russa dei khlysty). Dopo la morte di Wali Fard Mohammed i credenti si aspettano il suo ritorno su un’astronave.

Parallelamente, proclama la necessità per i neri di lottare negli Stati Uniti e in tutto il mondo, non solo per i loro diritti, ma per il riconoscimento della loro leadership spirituale e razziale nella civiltà.

Sotto il leader contemporaneo della Nation of Islam, Louis Farrakhan, questa corrente ha raggiunto una grande influenza negli Stati Uniti e ha avuto un impatto significativo sulla formazione ideologica dei musulmani neri in Africa.

Egitto nero

Un’altra versione dell’escatologia politica africana è la corrente del KMT (dall’antico nome egiziano dell’Egitto stesso), che ha sviluppato le idee del filosofo africano Sheikh Anta Diop. Lui e i suoi seguaci hanno sviluppato la teoria che l’antico Egitto fosse uno Stato di neri, come si evince dal nome “KMT”, che in lingua egizia significa “Terra Nera” o “Terra dei Neri”. Anta Diop ritiene che tutti i sistemi religiosi africani siano eco della religione egizia, che deve essere ricostruita nella sua interezza.

Il suo seguace Kemi Seba sviluppa la tesi del monoteismo africano, che è alla base di un sistema religioso-politico in cui il potere dovrebbe essere affidato a un governo metafisico che esprima la volontà di Dio (come i visir del Mahdi nella versione di Ibn Arabi). La vita dovrebbe basarsi sul principio delle comunità nere chiuse – quilombo.

In questo modo, gli africani dovrebbero tornare alle tradizioni dei loro popoli, assumere il pieno controllo del continente africano, ripristinare un colore della pelle il più scuro possibile (attraverso matrimoni orientati al melano) e realizzare una rivoluzione spirituale nel mondo.

L’unica lingua sacra panafricana dovrebbe essere l’antico egiziano restaurato (medu netjer), mentre lo swahili dovrebbe essere usato per le necessità pratiche. Secondo i sostenitori della teoria del KMT, i neri sono i portatori della sacralità, della Tradizione e il popolo dell’Età dell’Oro. La civiltà bianca è una perversione, una patologia e un’anti-civiltà in cui la materia, il denaro e il capitale sono al di sopra dello spirito.

Il principale nemico degli africani e dei neri di tutto il mondo sono i bianchi, considerati portatori di modernizzazione, colonialismo, materialismo e degenerazione spirituale. La vittoria sui bianchi è la garanzia del compimento della missione mondiale dei neri e il coronamento del processo di decolonizzazione.

America Latina:Eteno-escatologia ed indigenismo

Nei Paesi dell’America Latina, alcuni popoli amerindi aborigeni vedono la logica fine della colonizzazione nella restaurazione delle società etniche (indigenismo). Queste tendenze si sviluppano in misura diversa a seconda del Paese.

Molti considerano la ribellione di Tupac Amaru II, discendente dell’ultimo sovrano Inca, che nel 1780 guidò una rivolta indiana contro la presenza spagnola in Perù, come l’inizio simbolico della resistenza dei nativi alla colonizzazione.

In Bolivia, nel 2006, è stato eletto presidente Evo Morales, il primo rappresentante del popolo indiano Aymara. Sempre più spesso si sentono voci – soprattutto in Perù e Bolivia – a favore della dichiarazione dell’antico culto indiano della dea della terra Pachamama come religione ufficiale.

Di norma, l’escatologia etnica degli indios latinoamericani si combina con correnti socialiste o anarchiche di sinistra per creare insegnamenti sincretici.

Sebastianismo brasiliano

Una particolare versione dell’escatologia, legata alle idee portoghesi sul Quinto Impero, si è sviluppata in Brasile. Dopo che la capitale dell’Impero portoghese fu trasferita in Brasile a causa di un colpo di Stato repubblicano in Portogallo, nacque la dottrina secondo cui questo trasferimento della capitale non era casuale e che il Brasile stesso aveva una speciale missione politico-religiosa. Se il Portogallo europeo ha dimenticato la dottrina di Re Sebastiano e ha seguito la strada della democrazia borghese europea, allora il Brasile deve ora assumere questa missione e diventare il territorio in cui, nelle condizioni critiche del ciclo storico, si troverebbe il Re Sebastiano scomparso ma non morto.

Sotto la bandiera di tale dottrina si sono svolte in Brasile le rivolte conservatrici cattolico-escatologiche e imperiali contro il governo liberale massonico – Canudos, Contestado, ecc. – hanno avuto luogo in Brasile.

Mappa escatologica delle civiltà

Così, in un mondo multipolare, escatologie diverse si scontrano o si alleano tra loro.

In Occidente prevale nettamente il modello secolare (progressismo e liberalismo), con un’aggiunta significativa sotto forma di dispensazionalismo protestante estremo. Questa è la “fine della storia”, secondo Fukuyama. Se prendiamo in considerazione l’élite liberale dei Paesi europei sotto il pieno controllo americano, possiamo parlare di un’escatologia speciale che accomuna quasi tutti i Paesi della NATO. A ciò si aggiunge la teoria dell’individualismo radicale, comune ai liberali, che pretende di liberare l’uomo da ogni forma di identità collettiva – fino alla libertà dal sesso (politica di genere) e persino dall’appartenenza alla specie umana (transumanesimo, IA). Così i nuovi elementi dell’escatologia progressista massonica, insieme alla “società aperta”, sono gli imperativi del cambiamento di sesso, del sostegno ai principi LGBTQ, del postumanesimo e dell’ecologia profonda (che rifiuta la centralità dell’essere umano nel mondo su cui hanno insistito tutte le religioni e i sistemi filosofici tradizionali).

Sebbene il sionismo non sia un’estensione diretta di questa versione dell’escatologia, in alcune sue forme – in particolare attraverso l’alleanza con i neoconservatori americani – si inserisce in parte in questa strategia e, data l’influenza degli ebrei sulle élite al potere in Occidente, queste proporzioni potrebbero persino essere invertite.

Nel percorso di questa fine della storia, la Russia e la sua funzione katehonica, che combina l’escatologia della Terza Roma e l’orizzonte comunista come eredità dell’URSS, si trova più palesemente in mezzo.

In Cina, il marxismo occidentale, già rielaborato in modo sostanziale nel maoismo, si manifesta sempre più apertamente nella cultura confuciana e il capo del PCC, in qualità di imperatore tradizionale, riceve il mandato celeste di governare “tutto ciò che è sotto il cielo” (tianxia – 天下).

I sentimenti escatologici sono in costante crescita nel mondo islamico, sia nella zona sunnita che soprattutto nello sciismo (in primo luogo in Iran), ed è la moderna civiltà occidentale – la stessa che oggi combatte contro la Russia – che viene quasi unanimemente dipinta come il Dajjal per tutti i musulmani.

In India crescono progressivamente i sentimenti ispirati all’Hindutva (la dottrina dell’identità indipendente degli indù come civiltà speciale e superiore), che proclamano un ritorno alle radici della tradizione indù e ai suoi valori (che non coincidono affatto con quelli dell’Occidente), e da qui si delineano i contorni di una speciale escatologia associata al fenomeno Kalki e al superamento del Kali-yuga.

Il panafricanismo si sviluppa verso il rafforzamento di dottrine radicali sul ritorno degli africani alla loro identità e un nuovo ciclo di lotta anticoloniale contro il “mondo bianco” (inteso principalmente come Paesi coloniali appartenenti alla civiltà occidentale). Questo descrive un nuovo vettore dell’escatologia nera.

In America Latina, il desiderio di rafforzare la propria sovranità geopolitica è sostenuto sia dall’escatologia di sinistra (socialista) che dalla difesa dell’identità cattolica, particolarmente evidente in Brasile, dove sia la destra che la sinistra prendono sempre più le distanze dal globalismo e dalla politica statunitense (da qui la precoce partecipazione del Brasile al blocco BRICS). Le etno-escatologie dell’indigenismo, sebbene relativamente deboli, aggiungono generalmente una dimensione importante all’intero progetto escatologico.

Allo stesso tempo, l’escatologia aristocratica francese (e la sua proiezione secolare nel gollismo), la versione tedesca della fine della storia nella persona dell’Impero tedesco, così come la linea buddista e shintoista della missione speciale del Giappone e degli imperatori giapponesi – (almeno per ora) non giocano alcun ruolo significativo, essendo completamente eclissati dalla dominante élite globalista progressista e dalle strategie degli anglosassoni.

Abbiamo così una mappa mondiale dell’escatologia, che corrisponde ai contorni di un mondo multipolare. [E’ chiaro che per noi cattolici apostolici romani integrali il Katehon non puo’ essere in Russia, ma a Roma, n.d.r.]

Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini

Fonte: https://www.geopolitika.ru/it/article/escatologie-del-mondo-multipolare

VITTORIA E GIUSTIZIA: I PRINCIPI

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di Alexandr Dugin

Nella nostra società sono urgenti cambiamenti assolutamente necessari. Solo questi possono portarci alla Vittoria, e senza la Vittoria non ci sarà la Russia. Oggi tutti lo capiscono. Per salvare il popolo e lo Stato, dobbiamo cambiare e farlo in modo radicale e urgente.

La nostra società manca fatalmente di giustizia. Diamo una risposta chiara: cos’è la giustizia e come raggiungerla.

Idea russa

Abbiamo bisogno di un’ideologia patriottica chiara e accessibile a tutti. L’intera società deve capire chiaramente chi siamo come popolo, da dove veniamo e dove stiamo andando. Smettere di avere paura del russo. Dobbiamo essere orgogliosi di essere russi. L’amore per la Madrepatria non deve farci vergognare. Occorre innalzare l’Idea Russa sul piedistallo e metterla al centro della politica, della cultura, dell’industria – al centro dell’esistenza sociale.

È sulla base dell’Idea russa che vanno costruite le politiche educative, sociali, culturali, l’educazione, il codice di comportamento di tutti gli strati della società, a partire dai vertici del Paese.

Non c’è valore più alto che dare la vita in nome della Patria. Non c’è peccato più terribile e crimine più efferato del tradimento della Madrepatria, la Russia.

L’Idea Russa deve sostituire completamente quella importata dall’Occidente egoista, il liberalismo, idea che è di fatto russofoba e sovversiva del nostro sistema di valori; deve essere eliminata una volta per tutte, porta automaticamente all’atomizzazione, all’alienazione e alla distruzione dell’unità nazionale; inoltre, sotto lo slogan della libertà, i liberali generano nuovi modelli di schiavitù e controllo universale. Questa è la cultura dell’annullamento.

O noi, dai funzionari ai cittadini comuni, giuriamo immediatamente all’Idea russa, o ci aspetta una catastrofe ancora più terribile di quella che abbiamo affrontato di recente.

Ortodossia

Dopo essersi allontanata da Dio, l’umanità ha rifiutato se stessa. L’Occidente moderno lo dimostra con tutto il suo candore. La fede è sconfitta, non ci sono più santuari, ma è con questa che siamo in conflitto mortale. La civiltà atea e materialista combatte contro di noi, ben sapendo che la Russia, anche nella sua forma attuale indebolita e ridotta, rimane l’ultima isola della società tradizionale, una roccaforte dei valori spirituali e, in fondo, della Fede, che le varie ideologie politiche – dal comunismo al liberalismo – non sono riuscite a sradicare dal nostro popolo nel corso dell’ultimo secolo. L’uomo russo rimane un uomo di fede, anche se non se ne rende ancora pienamente conto.

Dio non è, però, nella gerarchia ecclesiastica, non è in un’istituzione. È nella fede, nella tradizione, nei sacramenti della Chiesa, e la Chiesa non è un’istituzione, è il nostro cuore, donato nel rito del Santo Battesimo alla Divinità luminosa e buona, che a sua volta ha dato la vita per la nostra salvezza. La religione è un dono per il Dono e se c’è un Dono, c’è anche Colui che dona.

Dio è il fondamento di tutto, l’inizio e la fine. Egli crea il mondo e lo giudicherà alla fine. Se l’uomo si allontana da Dio, anche Dio può allontanarsi da lui e allora niente potrà salvarci e noi siamo sull’orlo dell’abisso. Non a caso si sentono sempre più spesso le parole minacciose “Apocalisse”, “Armageddon”, ecc.

Basta con le mezze misure. I russi devono tornare al loro Padre celeste. Dopo tutto, stiamo combattendo la Sua guerra, nel Suo nome e per la Sua gloria.

O torniamo immediatamente alla nostra Madre Chiesa, o ci aspetta una catastrofe ancora peggiore di quella che abbiamo affrontato di recente. [il punto è che la Russia dovrebbe tornare alla Santa Madre Chiesa di Roma, sciogliendo le riserve sul “Filioque” e riconoscendo il Primato di Pietro nella città eterna. Oggi non lo può fare realmente perché la Sede è occupata dai modernisti, ma lo può fare almeno idealmente, n.d.r.]

Impero

Il tipo di governo politico più giusto e armonioso è l’Impero. Una parte significativa della nostra storia l’abbiamo vissuta nell’Impero, e fu agli zar russi che passò la corona imperiale di Bisanzio. L’Impero è più di un semplice Stato, è una grande potenza dotata di una missione sacra, un impero non si limita a governare su vasti territori e numerosi popoli; l’impero conduce l’umanità alla meta più alta, alla salvezza e all’unità.

La Russia come impero comprende diversi popoli, culture e confessioni, mentre i russi, gli ortodossi, erano e restano il suo nucleo centrale. Ciò non significa che gli altri popoli siano subordinati. L’Impero apre la strada al governo a tutti coloro che hanno dimostrato con atti, imprese, capacità e lealtà di essere suoi degni figli.

La democrazia liberale, impostaci dall’Occidente, è disastrosa per il Paese, in quanto atomizza la società, lo atomizza, mina la solidarietà e l’unità.

Abbiamo bisogno di un Impero che garantisca la giustizia sociale. Un impero del popolo, libero dall’onnipotenza di oligarchi e rampanti che traggono profitto dalla miseria della gente. Forse non ci sono mai stati imperi ideali nella storia… allora costruiamone uno! L’impero non riguarda il passato, ma il futuro.

Solo un aperto appello all’Impero e alla sua eredità ci darà il diritto ultimo di combattere e vincere la guerra che stiamo combattendo. Nessun piccolo nazionalismo aggressivo può reggere il confronto con la potenza imperiale; di più, per coloro che in Ucraina non hanno ancora perso completamente la testa, un posto nell’Impero e la fedeltà all’Impero possono essere un motivo serio per passare dalla nostra parte.

Altrimenti, potrebbe sembrare che due Stati liberal-democratici siano in guerra tra loro. Entrambi si considerano parte del mondo occidentale e cercano di integrarsi al più presto, scegliendo percorsi e mappe stradali diverse e questo svaluta le gesta eroiche dei nostri eroi e priva la guerra della sua dimensione sacra. In guerra, non vince solo il più forte in termini di tecnologia e forza materiale, ma quello il cui ideale è più grande, più alto. Dopo tutto, le idee sono potere. E non c’è idea più potente di quella dell’Impero.

O iniziamo subito a costruire l’Impero, o andremo incontro a una catastrofe ancora più terribile di quella che abbiamo affrontato di recente.

Fermare l’estinzione del popolo russo

Ci stiamo estinguendo, ogni anno ci sono sempre meno russi, se non invertiamo immediatamente questa tendenza catastrofica, il nostro popolo scomparirà dalla faccia della terra nel corso di questo secolo o si trasformerà in una minuscola minoranza. Come salvare la nazione?

Riportare anzitutto immediatamente i valori tradizionali: spirito, moralità, famiglia forte – come indispensabili. Solo le società tradizionali possono vantare una crescita demografica. Più la modernizzazione e il liberalismo sono estesi, meno persone ci sono. Pertanto, tutte le tendenze che vanno contro la Tradizione, la cultura religiosa spirituale russa, dovrebbero essere legalmente proibite.

La pratica di sostituire i russi che stanno scomparendo con immigrati importati – con un’identità aliena e in nessun modo intenzionati a diventare parte del nostro popolo – è criminale e deve essere fermata immediatamente.

Il fatto sociologico e statistico inconfutabile è che nelle condizioni delle città moderne, sempre e in tutti i Paesi e le civiltà, c’è un declino e una degenerazione demografica. Le grandi città sono assassine di famiglie forti con molti figli, fonte di impurità morale, dissolutezza e perversione. È urgente avviare la disaggregazione delle megalopoli, fornire a tutti i russi la terra e la possibilità di viverci, di prendersi cura dei parenti e di possedere un’eredità inalienabile – un nido familiare.

È necessario dare finalmente al popolo russo la terra. In diverse fasi della nostra storia, l’una o l’altra forza ha proposto questo giusto slogan, ma ogni volta i russi sono stati nuovamente ingannati, sia dai proprietari terrieri, sia dai bolscevichi, sia dai liberali degli anni Novanta. Solo la terra che fa nascere il pane, il capofamiglia, è in grado di dare un impulso all’aumento del tasso di natalità.

O invertiamo immediatamente la situazione demografica, o andremo incontro a una catastrofe ancora peggiore di quella che abbiamo affrontato di recente.

Vietare l’usura

Gli alti tassi di interesse e la completa dipendenza dell’economia russa dall’inserimento nel sistema del capitalismo finanziario globale portano all’eccessiva ricchezza dell’élite finanziaria e all’impossibilità per la maggioranza della popolazione di sfuggire alla povertà. L’oligarchia finanziaria, che ha schiavizzato quasi tutta la società russa con i prestiti, trae profitto dall’applicazione di alti tassi di interesse bancari e dai mutui.

Questo sistema deve essere radicalmente ristrutturato. Invece del credito commerciale, è necessario passare al credito sociale – con tassi di interesse pari a zero o addirittura negativi, che aumenterà drasticamente la ricchezza totale del popolo, espressa in case costruite, beni creati, produzione consolidata, e non in astratti indicatori macroeconomici.

Lo Stato dovrebbe distribuire equamente le opportunità finanziarie tra tutta la popolazione, ponendo fine all’onnipotenza dell’oligarchia e dell’ufficialità corrotta.

Questo modello economico, di fatto coloniale, si è formato in Russia negli anni ’90 del secolo scorso e oggi impedisce lo sviluppo armonioso e progressivo del potenziale creativo del Paese ed è enorme e solo artificialmente frenato dalla politica monetarista delle autorità.

O cambiamo immediatamente il vettore economico da liberale-oligarchico e monetarista a uno socialmente orientato, o andremo incontro a una catastrofe ancora peggiore di quella che abbiamo affrontato di recente.

Vincere la guerra con l’Occidente

In Ucraina siamo impegnati in una guerra feroce non tanto con il regime neonazista e russofobo di Kiev, quanto con l’Occidente collettivo. Non si tratta solo di un conflitto regionale o della risoluzione di questioni controverse di geopolitica, economia e strategia militare. Si tratta di una guerra di civiltà. L’Occidente moderno ha gettato le sue maschere e si presenta apertamente nella sua vera forma: da tempo ha dichiarato guerra a Dio, alla Chiesa e alle basi politiche e culturali della società tradizionale, e oggi sfida direttamente l’uomo stesso. La civiltà occidentale moderna sta distruggendo le famiglie, legalizzando e persino imponendo in modo aggressivo la perversione, la riassegnazione del sesso, la chirurgia transgender, e persino i bambini ne diventano vittime.

Gli estremisti ambientalisti chiedono di salvare il pianeta dall’uomo. I pionieri dell’ingegneria genetica stanno già conducendo esperimenti sull’incrocio di persone con macchine, con altre specie animali, sperimentando sul genoma, promettendo di dare agli organismi umani l’eternità o una sua parvenza (sotto forma di memoria e sentimenti immagazzinati su server). L’intrusione nel mistero del portare in grembo un feto minaccia una nuova segregazione, perché è già stato lanciato un progetto per allevare una razza superiore, il cui genotipo sarà corretto artificialmente e migliorato al massimo.

La guerra con l’Occidente in Ucraina è una battaglia della civiltà dei popoli, che è rappresentata dalla Russia, che oggi guida il confronto della maggioranza mondiale contro l’egemonia dell’Occidente, con la civiltà che è sulla via della distruzione o della mutazione irreversibile dell’uomo. Tale civiltà è satanica.

Per vincere questa guerra di civiltà, è necessario risvegliare tutta la nostra società, far conoscere a ciascuno dei suoi membri – fino ai bambini – il significato, gli obiettivi e le finalità di questa grande e sacra guerra di popolo. Non è solo la difesa della Madrepatria, è una guerra per la giustizia, che stiamo combattendo non per la vita, ma per la morte. E poiché siamo dalla parte della Luce, la società deve essere purificata, nobilitata ed elevata. La vittoria in una battaglia così decisiva per tutta la storia dell’umanità è un pegno di conservazione dell’uomo come specie. Ancora una volta i russi si sono assunti la missione di salvare il mondo. E oggi tutto dipende da noi.

In questa situazione siamo obbligati a trasmettere a tutti la struggente verità sul significato di questa guerra.

È stato criminale lasciare immutata la cultura dell’intrattenimento che si è sviluppata negli ultimi 30 anni, basata sulla volgarità, sul cinismo, sul ridicolo di tutto ciò che è alto e puro, sull’imitazione di tutti i lati più ripugnanti dell’Occidente. Inoltre, molti personaggi della cultura hanno mostrato il loro coraggio di traditori nelle condizioni della SWO, disertando direttamente dalla parte dei nemici della Russia. Le grida di buffoni, blasfemi e pervertiti posseduti dal demonio minano la fiducia nella nostra vittoria e provocano l’indignazione degli eroi in prima linea e di coloro che hanno già capito quanto sia alta la posta in gioco nel conflitto di civiltà.

Abbiamo bisogno di una cultura completamente diversa che sia all’altezza delle sfide della guerra. La cultura esistente non è affatto una cultura. Non solo non dobbiamo far rientrare i traditori che si sono ravveduti, ma dobbiamo anche allontanare coloro che sono rimasti, conservando il loro stile, il loro snobismo, il loro disprezzo quasi invisibile per il popolo russo e i suoi ideali, le sue linee guida, la sua natura morale.

O ricostruiamo immediatamente la nostra intera società su base militare, o ci aspetta una catastrofe ancora peggiore di quella che abbiamo affrontato di recente.

Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini

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Fonte: https://www.geopolitika.ru/it/article/vittoria-e-giustizia-i-principi

UNA SOCIOLOGIA DELLA TRANSIZIONE DI FASE AL POSTMODERNO

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La seconda transizione di fase

Il postmoderno è il paradigma verso il quale è in corso la transizione dal paradigma precedente, il moderno. La transizione sta avvenendo sotto i nostri occhi, quindi la società attuale (almeno quella occidentale, ma anche quella planetaria per quanto riguarda l’influenza occidentale) è una società in transizione. Non solo la società russa è transitiva in senso lato, ma anche la matrice sociale che definisce la vita dell’umanità in questo o quel grado sta cambiando oggi la sua natura qualitativa.

Questa transizione (transito) avviene rigorosamente dal Moderno al Postmoderno. Allo stesso tempo, alcuni principi del Moderno sono già stati scartati, sfatati, smantellati, mentre altri rimangono ancora in vigore. Parallelamente, alcuni elementi del paradigma postmoderno sono già stati attivamente e universalmente implementati, mentre altri rimangono in fase di progetto, “in cammino”. Questa transitività complica una corretta analisi sociologica del Postmoderno, poiché il quadro sociale complessivo che si osserva oggi è, di norma, una combinazione di parti del Moderno in uscita e del Postmoderno in entrata. Inoltre, questo processo non procede in modo frontale e uniforme, ma varia da società a società.

La necessità di comprendere chiaramente la struttura dei tre paradigmi

In ogni caso, per analizzare, da un punto di vista sociologico, il contenuto della società postmoderna, cioè per essere un sociologo competente del XXI secolo, è assolutamente necessario operare con una serie di conoscenze sociologiche relative a tutti e tre i paradigmi – premoderno, moderno e postmoderno -, conoscerne i punti chiave, comprendere la struttura generale delle rispettive società, essere in grado di ricostruire i principali poli, strati, status e ruoli di ciascun tipo di società. Ciò è necessario per le seguenti ragioni.

  1. Il passaggio di fase al Postmoderno tocca i fondamenti più profondi della società, compresi quelli che sembravano essere stati chiariti da tempo e persino superati nel Moderno. Lo scopo della filosofia postmoderna è dimostrare l’insufficienza e la reversibilità di tale “superamento”. Il postmodernismo sostiene che “la società moderna non è riuscita a far fronte al suo programma e non è stata in grado di eliminare completamente il premoderno da se stessa”. Per comprendere questa tesi, centrale nel programma sociologico e filosofico del Postmoderno, è necessario riflettere nuovamente e seriamente: che cos’è il Premoderno?
  2. Le strutture sociali da trasformare radicalmente nel Postmoderno non sono state poste in essere in nessuna fase storica precedente: esse rappresentano profonde costanti sociologiche, antropologiche, psicoanalitiche e filosofiche, rimaste immutate nel corso della storia e che si manifestano in modo più vivo nelle società arcaiche, esplorate da una nuova angolazione dallo strutturalismo novecentesco. Ciò significa che il Postmodernismo non opera solo con il passato e la storia, ma con l’eterno e il senza tempo. Così, il tema del mythos, a lungo dimenticato, si rivela non solo rilevante, ma centrale, e lo studio delle società arcaiche da iniziativa periferica, quasi museale, diventa un campo di studi mainstream.
  3. Il passaggio al Postmoderno implica cambiamenti altrettanto fondamentali nella struttura complessiva della società, paragonabili a quelli avvenuti durante la transizione dal Premoderno al Moderno. Inoltre, la transizione di fase precedente è cruciale nel suo contenuto e nel suo modello per lo studio della transizione in corso. La simmetria e il contenuto di questa simmetria tra i due è centrale per l’intero paradigma postmoderno.

Queste argomentazioni, a cui si possono aggiungere molte altre considerazioni tecniche e applicative, ci permettono di realizzare la legge più importante della sociologia del XXI secolo: siamo in grado, dal punto di vista sociologico, di comprendere adeguatamente la società in cui ci troviamo solo se possediamo non solo un insieme di strumenti sociologici di base, ma anche una comprensione di tutte le differenze sociali tra i paradigmi Premoderno-Moderno-Postmoderno.

Trasformazione dell’oggetto della sociologia nel postmoderno

Non dobbiamo dimenticare che la sociologia è emersa nell’epoca del Moderno e, pur essendo in gran parte responsabile della critica del Moderno e della preparazione della transizione al Postmoderno, porta con sé molte tracce concettuali, filosofiche, metodologiche e semantiche del Moderno, che stanno perdendo il loro significato e la loro adeguatezza sotto i nostri occhi. Il passaggio dalla sociologia alla post-sociologia è inevitabile, il che significa che il livello di riflessione sociologica sulla sociologia stessa, sui suoi principi, sui suoi fondamenti, sulla sua assiomatica, è oggi più che mai rilevante.

Ciò deriva dal seguente fenomeno fondamentale. Nel passaggio al Postmoderno, l’oggetto stesso della sociologia cambia. Naturalmente, la società è sempre in evoluzione in tutte le fasi; ogni volta il suo studio corretto richiede il miglioramento degli strumenti pertinenti, ma durante la transizione di fase cambia qualcosa di più profondo: cambia il registro delle discipline. Così, tutte le trasformazioni sociali nel paradigma premoderno erano collegate ai cambiamenti all’interno delle religioni – il loro cambiamento, la loro evoluzione, la loro divisione o fusione, la loro correlazione. Nel passaggio al Moderno l’intera classe di processi sociali, istituzioni, dottrine, strutture collegate alla religione (e non era solo ampia, ma quasi totale) risulta essere più irrilevante e si sposta alla periferia dell’attenzione. Come abbiamo visto, agli occhi di Auguste Comte, era la sociologia come post-religione a dover prendere il posto lasciato libero.

Nel Premoderno, lo studio della società era quasi identico allo studio della sua religione, che definiva in un contesto sociale le proprietà prevalenti delle istituzioni, dei processi, della distribuzione dei sati, ecc. Nella Modernità, tuttavia, gli studi religiosi e la sociologia della religione sono diventati direzioni molto modeste e solo lo strutturalismo e la psicoanalisi e alcuni dei padri fondatori della sociologia (Durkheim, Moss, Weber, Sombart) ci hanno ricordato la sua importanza fondamentale – soprattutto attraverso lo studio delle condizioni sociali dell’origine della Modernità (Weber, Sombart) o attraverso lo studio delle società arcaiche (tardo Durkheim, Moss, Halbwachs, Eliade, Levi-Strauss). In ogni caso, su entrambi i lati del confine del Moderno (la fase di transizione precedente) si trovano due tipi di società molto diversi: la “società tradizionale” (Premoderna) e la “società moderna” (Moderna).

Le differenze tra loro sono così fondamentali e i valori e i principi di base sono così opposti che si può parlare di completa antiteticità. Se il Premoderno è la tesi, il Moderno è l’antitesi. E le società corrispondenti, per molti aspetti, non sono solo qualitativamente diverse, ma anche oggetti di ricerca opposti. – Non a caso F. Tennys colloca la “società” (Gesellschaft) come oggetto della sociologia solo nell’epoca del Moderno, mentre, secondo la sua dottrina, la “comunità” (Gemeinschaft) corrisponde al Premoderno. Se accettiamo la teoria di Tennys, considerata un classico indiscusso della sociologia, avremmo dovuto dividere la sociologia in una scienza della società (Gesellschaft) e del Moderno, e una scienza della comunità (Gemeinschaft) e del Premoderno (“comunologia”). Sebbene tale divisione non abbia avuto luogo e la sociologia studi allo stesso modo le società tradizionali e quelle moderne, la trasformazione dell’oggetto di studio nella prima fase di passaggio dal Premoderno al Moderno è così essenziale che l’idea di dividerle in due discipline è stata seriamente discussa nella fase di formazione della scienza. Nel nostro tempo, il tema della “comunologia” è stato rivisitato dal famoso sociologo francese Michel Maffesoli.

Post-società e post-sociologia

Qualcosa di simile accade nella seconda fase di transizione – dal Moderno al Postmoderno. L’oggetto della ricerca – la “società” – cambia di nuovo in modo irreversibile. Ciò che la società diventa nel Postmoderno è tanto diverso da ciò che era nel Moderno quanto la “società moderna” è diversa dalla “società tradizionale” (Gemeinschaft). Pertanto, si può parlare provvisoriamente di “post-società” come nuovo oggetto di studio della sociologia. Allo stesso tempo, la sociologia stessa deve cambiare per adattare i suoi metodi e approcci al nuovo oggetto. Si prospetta quindi una “postsociologia”, una nuova disciplina (post)scientifica che studierebbe il nuovo oggetto.

In ogni caso, l’adeguatezza sociologica minima nello studio dei processi in atto nella transizione al Postmoderno è direttamente legata alla comprensione della logica sottostante a tutti e tre i cambiamenti di paradigma e questo, tra l’altro, rende lo studio del Premoderno con tutte le sue componenti sociologiche – mito, arcaico, iniziazione, magia, politeismo, monoteismo, ethnos, dualità delle fratrie, strutture di parentela, strategie di genere, gerarchia, ecc. – una condizione necessaria per l’adeguatezza professionale del sociologo, chiamato a integrare la tassonomia degli oggetti di questa scienza con un nuovo legame – la “post-società”.

La correzione archeomoderna

L’intera situazione è ulteriormente complicata dal fatto che la catena Premoderno-Moderno-Postmoderno è valida solo per le società occidentali – Europa, Stati Uniti, Canada, Australia, ecc. Nella zona di sviluppo sostenibile e dominante della civiltà occidentale, possiamo registrare chiaramente la transizione della società lungo tutti e tre i paradigmi, con il fatto che l’affermazione di ogni nuovo paradigma tende a essere fondamentale, irreversibile e ripulita dai residui del precedente. Il processo di cambiamento di paradigma per la civiltà occidentale è endogeno, cioè guidato da fattori interni.

Per tutte le altre società il movimento successivo lungo la catena dei cambiamenti di paradigma (compresi i vari sottocicli che abbiamo descritto in precedenza) ha un carattere esterno, esogeno (avviene attraverso la colonizzazione o la modernizzazione difensiva), oppure avviene solo in parte (monoteismo islamico, più “moderno” del politeismo e ancor più dei culti arcaici, non ha mai oltrepassato la linea del Moderno, fermandosi prima di essa), oppure è del tutto assente (molti gruppi etnici della Terra vivono ancora in sistemi stabili di “ritorno perpetuo”); ma, poiché l’influenza dell’Occidente è oggi globale, il primo caso – la modernizzazione (o acculturazione) esogena – si estende a quasi tutte le società, portando elementi di Modernità anche nelle tribù più arcaiche. Ciò dà origine al fenomeno dell’Archeomoderno.

L’archeomoderno complica il quadro sociologico

Il problema dell’Archeomoderno in sociologia complica significativamente l’analisi delle società lungo il sintagma storico Premoderno-Moderno-Postmoderno, poiché aggiunge ai tre paradigmi una serie di varianti ibride, in cui le facciate sociali del Moderno sono collocate artificialmente e inorganicamente sulla base di strutture sociologiche relative al Pre-Moderno. L’archeomoderno è specifico anche perché questa combinazione di arcaico e moderno non è affatto correlata a livello di coscienza, non è compresa, non è organizzata, non appaiono modelli interpretativi generalizzanti, il che crea il fenomeno della “società della discarica” (P. Sorokin). Il moderno blocca il ritmo dell’arcaico e l’arcaico sabota la strutturazione coerente del moderno.

Lo studio delle società archeo-moderne rappresenta una classe separata di compiti sociali, che può essere relegata a un ramo speciale della sociologia. L’archeomoderno non genera nuovi contenuti, poiché ciascuno dei suoi elementi può essere ricondotto abbastanza facilmente o al contesto della società tradizionale (al Premoderno) o a quello della società moderna (al Moderno). Sono originali solo gli insiemi di dissonanze, assurdità e ambiguità generate da questo o quell’archeomoderno, le riserve, i fallimenti, gli errori e le coincidenze accidentali, che a volte acquisiscono lo status di caratteristiche sociali e in alcuni casi diventano costitutive. Ad esempio, un’istituzione sociale incompresa o un oggetto tecnico preso in prestito dal Moderno, come un parlamento o un telefono cellulare, può funzionare in modo isolato dal contesto (in assenza di democrazia nella società o di una rete di telefonia mobile), in parte reinterpretato in relazione alle realtà locali, in parte semplicemente un elemento incompreso, che agisce come un “oggetto sacro” di scopo poco conosciuto – come un meteorite.

L’Archeomoderno e il Postmoderno: l’ingannevole apparenza delle somiglianze

L’Archeomoderno diventa un problema sociologico particolarmente difficile quando si studia la seconda fase di transizione – dal Moderno al Postmoderno. Il fatto è che alcune proprietà fenomenologiche del Postmoderno – in particolare, l’appello ironico del Postmoderno all’arcaico per indicare al Moderno ciò da cui non poteva liberarsi completamente – assomigliano esteriormente all’Archeomoderno. Ma con la differenza che il Postmoderno costruisce la sua strategia di accostamento dell’incongruo (il Premoderno e il Moderno) in modo artificioso, ponderato, con un sottile intento ironico e critico, provocatorio (da grande mente), mentre il Moderno compie operazioni simili da solo (da stupido).

L’Archeomoderno è un Moderno che non si è rivelato e probabilmente non si rivelerà più. Il Postmoderno è un Moderno che si è rivelato, ma si supera per rivelarsi ancora di più. Da qui la sottilissima distinzione sociologica: il Postmoderno imita alcuni aspetti dell’archeomoderno come parte del suo programma poststrutturalista per “illuminare l’Illuminismo”; l’archeomoderno lo prende per buono e sinceramente non capisce come un Occidente postmoderno che include giocosamente temi e intere etnie (immigrazione) della società tradizionale sarà presto diverso dalle società archeomoderne del resto del mondo.

La sociologia della globalizzazione (postmoderna e archeomoderna)

Qui prende forma un modello di globalizzazione a due livelli. Questa globalizzazione si basa sulla giustapposizione di Postmoderno e Archeomoderno. Il postmoderno è incarnato dalla società occidentale, che integra l’umanità lungo le sue linee di potere. È una società dell’informazione, che decodifica e ricodifica i flussi di informazioni (“oceano di informazioni”). In tutto il mondo ci sono segmenti di élite che sono più integrati nel Moderno rispetto al resto della società e che sono almeno parzialmente in grado di abbracciare alcune tendenze del Postmoderno. Essi diventano i nodi della globalizzazione nel suo aspetto logico, razionale e strategico.

L’umanità si sta trasformando in un campo omogeneo con centri-portali simmetrici, dove si concentrano i router dell’effemmazione. Qui agiscono le leggi del Postmoderno e vi soggiornano coloro che ne sono consapevoli (occidentali che lavorano a turni o rappresentanti delle élite locali che hanno imparato i canoni e le norme della post-società).

Tutti gli altri spazi sociali sono lasciati all’archeomoderno, che percepisce l’indebolimento dell’impulso modernizzante (che ha tormentato l’arcaico nell’età della Modernità) come un rilassamento, ed è felice di vedere la globalizzazione come una “finestra di opportunità” per la localizzazione, cioè per rivolgersi a preoccupazioni quotidiane concrete familiari e non generalizzate, dove l’arcaico e il moderno coesistono in una forma di conflitto sommesso, come una discarica scavata e fatta. Per descrivere questo duplice fenomeno, il sociologo contemporaneo Roland Robertson (4) ha proposto di utilizzare il termine gergale delle imprese giapponesi, “glocalizzazione”, per descrivere l’intreccio di due processi nella globalizzazione: il rafforzamento delle reti globali che operano secondo l’agenda postmoderna (globalizzazione vera e propria) e l’arcaicizzazione delle comunità regionali che gravitano verso un ritorno alla cultura locale (localizzazione). Così, il Postmoderno si mescola con l’Archeomoderno in un unico grumo difficile da separare, la cui corretta decifrazione sociologica richiede un’alta professionalità e una profonda comprensione dei meccanismi di funzionamento di ciascun paradigma, preso singolarmente e in forme ibride e di transizione.

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Maffesoli M. La conquista del presente. Per una sociologia della vita quotidiana. Parigi, 1979.

Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini

Fonte: https://www.geopolitika.ru/it/article/una-sociologia-della-transizione-di-fase-al-postmoderno

Il limite della pazienza russa

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QUINTA COLONNA

di Alexandr Dugin

La storiella del Tribunale dell’Aia è simbolica. La Russia non si è mai chiesta prima che tipo di istituzione sia. In realtà, fa parte dell’attuazione del Governo Mondiale, un sistema politico sovranazionale creato sugli Stati nazionali che sono invitati a cedere parte della loro sovranità a favore di questa struttura. Ciò include la Corte europea dei diritti dell’uomo e la stessa UE, ma anche la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale, l’OMS, ecc. La Società delle Nazioni, e in seguito l’ONU, è stata concepita come un’altra fase preparatoria sulla via dell’istituzione di un governo mondiale.

La verga del liberalismo

Trattiamo del liberalismo nelle relazioni internazionali, componente dell’ideologia liberale nel suo complesso. I liberali considerano la legge del “progresso” irreversibile, la cui essenza è che il capitalismo, il mercato, la democrazia liberale, l’individualismo, l’LGBT, i transgender, le migrazioni di massa, ecc. si stanno diffondendo in tutta l’umanità. Nella dottrina liberale delle relazioni internazionali, per “progresso” si intende la transizione da Stati nazionali sovrani a istanze di potere sovranazionali. L’obiettivo di questo “progresso” è l’istituzione di un governo mondiale. È dichiarato esplicitamente e inequivocabilmente nei libri di testo di Relazioni Internazionali. Tutti i Paesi che non vogliono il “progresso” sono, secondo questa teoria, nemici del “progresso”, “nemici di una società aperta”, quindi sono “fascisti” e devono essere giudicati (al Tribunale dell’Aia) e distrutti (“infliggere loro una sconfitta strategica” – Blinken) e al posto dei leader sovrani mettere dei liberali – preferibilmente transgender.

Questa è la posizione ideologica su cui si reggono il Partito Democratico statunitense, l’amministrazione Biden e la maggior parte delle élite europee. Anche tutte le forze dei Paesi non occidentali, che sostengono l’Occidente collettivo e i globalisti americani, giurano su questa ideologia. Ed è proprio questa l’ideologia: radicale, rigida, totalitaria.

La sfida è accettata

È un po’ sorprendente che la Russia, da 23 anni sotto un leader pienamente sovrano, non si sia preoccupata di affrontare il liberalismo e abbia, fino a un certo punto, accettato la legittimità delle sue regole, strutture e istituzioni.

Non sono loro a cambiare, la Russia è cambiata con l’avvio della SMO, e ne è seguita una legittima escalation da parte dei liberali globali. Non c’è nulla di casuale: è solo liberismo. Finché non rovesceremo questa ideologia, sia internamente che esternamente, l’escalation non potrà che aumentare.

Non possiamo semplicemente andare oltre senza la nostra ideologia.

La decisione del Tribunale dell’Aia di arrestare il presidente russo Vladimir Putin e l’ombudsman per i diritti dei bambini Maria Lvova-Belova è così oltraggiosa che è semplicemente impossibile non rispondere. È un insulto al Paese, al popolo, alla società, a ogni persona, a ogni donna russa, a ogni madre, a ogni bambino. Come si può rispondere a tutto questo con dignità?

A mio parere, ci sono dei veri colpevoli in tutta questa situazione e non sono a Washington o all’Aia: sono nella stessa Russia. Si tratta di un gruppo di liberali che da 23 anni convincono in tutti i modi possibili il Presidente che l’amicizia con l’Occidente è d’obbligo, che è l’unica via di sviluppo e che l’adozione dell’ideologia liberale, così come l’integrazione nelle strutture e nelle istituzioni liberali globaliste internazionali (compreso il riconoscimento della Corte penale internazionale, della CEDU, dell’OMS, ecc.) non hanno alternative. Hanno anche screditato il campo patriottico, sia di destra che di sinistra, convincendo il capo dello Stato che si starebbe solo sognando di inscenare un “Maidan”. In realtà, i patrioti, sia di destra che di sinistra, sono il popolo e il principale sostegno di Putin. Sono il suo sostegno, i suoi strenui sostenitori, ma i liberali al potere hanno sempre lodato l’Occidente e diffamato i patrioti. Questo accade da 23 anni, da quando Putin è salito al potere.

L’ora della resa dei conti

Siamo logicamente arrivati al punto in cui il lodato Occidente si è rivelato una struttura terroristica che ci assassina, fa esplodere i gasdotti, ruba i soldi, e noi, dopo essere stati ai suoi ordini per così tanto tempo, ci siamo ritrovati in una dipendenza umiliante; 23 anni fa avremmo dovuto seguire la rotta per stabilire la nostra civiltà russa eurasiatica.

Putin ha puntato sulla sovranità. Si presumeva – proprio sotto l’influenza dei liberali – che l’Occidente avrebbe accettato questa sovranità a patto che Mosca rimanesse nel contesto generale della civiltà occidentale, a patto che venisse coinvolta nelle sue strutture e istituzioni, a patto che accettasse i valori occidentali (capitalismo, democrazia liberale, digitalizzazione, cultura dell’annullamento, “wokismo”, cioè l’obbligo di denunciare chiunque non sia d’accordo con il liberalismo, LGBT). Si è trattato di un inganno fin dall’inizio e suddetto inganno ha degli individui specifici: il blocco liberale nella cerchia ristretta del Presidente. Sono loro che hanno contribuito a ciò che sta accadendo oggi, che hanno ostacolato il risveglio patriottico, che hanno fatto tutto il possibile per separare il Presidente dal popolo, dal nucleo russo, dai portatori della coscienza patriottica.

È arrivato il momento di regolare i conti. O sta per arrivare. Non so cos’altro debba accadere perché i liberali al potere siano chiamati al tappeto e interrogati severamente. Forse manca anche qualcos’altro, ma in ogni caso non ci vorrà molto. La spada della vendetta è sulla testa dei liberali russi al potere e nulla può impedire la naturale punizione, si può ritardare un po’ ma non si può evitare.

I liberali russi devono rispondere di tutti i loro crimini. Senza questo non ci sarà purificazione né vittoria.

Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini

Foto: Idee&Azione – Fonte: https://www.ideeazione.com/il-limite-della-pazienza-russa/

19 marzo 2023

La formula della via russa

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di Aleksandr Dugin

Il quadro è il seguente: le amministrazioni Clinton, Bush Jr. e Obama, così come l’amministrazione Biden, hanno sostenuto e continuano a sostenere il liberalismo nelle relazioni internazionali, vedono il mondo come globale e governato da un governo mondiale attraverso i capi di tutti gli Stati nazionali. Persino gli Stati Uniti non sono altro che uno strumento temporaneo nelle mani di un’élite mondiale cosmopolita; da qui l’avversione e persino l’odio dei democratici e dei globalisti per qualsiasi forma di patriottismo americano e per la stessa identità tradizionale degli americani.

Per i sostenitori del liberalismo nei Paesi del Medio Oriente ogni Stato nazionale è un ostacolo sulla strada del governo mondiale e uno Stato nazionale sovrano forte, che per di più sfida apertamente l’élite liberale, è un vero nemico da distruggere.

Dopo la caduta dell’URSS, il mondo ha cessato di essere bipolare ed è diventato unipolare, e l’élite globalista, gli aderenti al liberalismo nelle Relazioni Internazionali, si sono impadroniti delle leve di governo dell’umanità.

La Russia degli anni ’90, sconfitta e smembrata, come residuo del secondo polo, sotto Eltsin accettò le regole del gioco e si adeguò alla logica dei liberali delle Relazioni Internazionali. Mosca doveva solo rinunciare alla sua sovranità, integrarsi nel mondo occidentale e iniziare a giocare secondo le sue regole. L’obiettivo era quello di ottenere almeno un certo status nel futuro governo mondiale e i nuovi vertici oligarchici fecero di tutto per inserirsi nel mondo occidentale a qualsiasi costo, anche a livello individuale.

Da allora, tutti gli istituti di istruzione superiore e le università russe si sono schierati dalla parte del liberalismo in materia di relazioni internazionali. Il realismo è stato dimenticato (anche se conosciuto), equiparato al “nazionalismo” e la parola “sovranità” non è stata pronunciata affatto.

Tutto è cambiato nella realpolitik (ma non nell’educazione) con l’arrivo di Putin. Egli è stato fin dall’inizio un convinto realista nelle relazioni internazionali e un convinto sostenitore della sovranità. Allo stesso tempo Putin condivideva pienamente l’universalità dei valori occidentali, la mancanza di alternative al mercato e alla democrazia, considerava il progresso sociale e scientifico-tecnologico dell’Occidente l’unico modo per sviluppare la civiltà.

L’unica cosa su cui insisteva era la sovranità, da qui il mito della sua influenza su Trump. È stato il realismo a far incontrare Putin e Trump, per il resto sono molto diversi. Il realismo di Putin non è contro l’Occidente, ma contro il liberalismo nelle relazioni internazionali, contro il governo mondiale, come è il caso del realismo americano, del realismo cinese, del realismo europeo e di qualsiasi altro realismo.

L’unipolarismo che si è sviluppato dall’inizio degli anni ’90, però, ha fatto girare la testa ai liberali del Medio Oriente. Essi ritenevano che il momento storico fosse arrivato, che la storia come confronto di paradigmi ideologici fosse finita (tesi di Fukuyama) e che fosse giunto il momento di iniziare con nuova forza il processo di unificazione dell’umanità sotto il governo mondiale ma, per fare ciò, la sovranità residua deve essere abolita.

Questa linea è in contrasto con il realismo di Putin. Ciononostante, egli cercò di rimanere in equilibrio sul filo del rasoio e di mantenere a tutti i costi le relazioni con l’Occidente. Ciò è stato abbastanza facile con il realista Trump, che ha compreso la volontà di Putin in materia di sovranità, ma è diventato impossibile con l’arrivo di Biden alla Casa Bianca. Quindi Putin, da realista, ha raggiunto il limite del compromesso possibile. L’Occidente collettivo, guidato dai liberali delle Relazioni Internazionali, ha fatto sempre più pressione sulla Russia per smantellare definitivamente la sua sovranità invece di rafforzarla.

Questo conflitto è culminato nell’inizio dell’Operazione. I globalisti hanno sostenuto attivamente la militarizzazione e la nazificazione dell’Ucraina. Putin si è ribellato a tutto ciò perché ha capito che l’Occidente collettivo si stava preparando a una campagna simmetrica – per “smilitarizzare” e “denazificare” la Russia stessa. I liberali chiudevano un occhio sul neonazismo russofobico dilagante in Ucraina e, di fatto, lo promuovevano attivamente, favorendo al contempo la sua militarizzazione il più possibile, mentre accusavano la Russia stessa esattamente della stessa cosa – “militarismo” e “nazismo”, cercando di equiparare Putin a Hitler.

Putin ha iniziato la SMO come realista, niente di più, ma un anno dopo la situazione è cambiata. È diventato chiaro che la Russia era in guerra con la moderna civiltà liberale occidentale nel suo complesso, con il globalismo e i valori che l’Occidente impone a tutti gli altri. La svolta nella consapevolezza della Russia sulla situazione mondiale è forse il risultato più importante dell’intera Operazione Speciale.

La guerra si è trasformata da difesa della sovranità a scontro di civiltà. La Russia non si limita più a insistere su una governance indipendente, condividendo atteggiamenti, criteri, norme, regole e valori occidentali, ma agisce come una civiltà indipendente, con atteggiamenti, criteri, norme, regole e valori propri. La Russia non è più l’Occidente, non è un Paese europeo, ma una civiltà eurasiatica ortodossa.

Questo è ciò che Putin ha proclamato nel suo discorso del 30 settembre in occasione dell’ammissione delle quattro nuove entità costituenti la Federazione Russa, poi nel discorso di Valdai e ripetuto più volte in altri suoi discorsi. Infine, con il decreto 809, Putin ha stabilito un quadro politico statale per proteggere i valori tradizionali russi, un insieme che non solo è significativamente diverso dal liberalismo, ma per certi aspetti è l’esatto contrario.

La Russia ha spostato il suo paradigma dal realismo alla Teoria del mondo multipolare, ha rifiutato il liberalismo in tutte le sue forme e ha sfidato direttamente la moderna civiltà occidentale negandole apertamente il diritto di essere universale.

Putin non crede più nell’Occidente e definisce “satanica” la moderna civiltà occidentale. Questo è facilmente identificabile sia come un riferimento diretto all’escatologia e alla teologia ortodossa, sia come un’allusione al confronto tra il sistema capitalista e quello socialista dell’epoca staliniana. Oggi, è vero, la Russia non è uno Stato socialista, ma questo è il risultato della sconfitta subita dall’URSS all’inizio degli anni ’90, con la Russia e gli altri Paesi post-sovietici che si sono ritrovati ad essere colonie ideologiche ed economiche dell’Occidente globale.

L’intero regno di Putin, fino al 24 febbraio 2022, è stato una preparazione a questo momento decisivo. Ma è rimasto all’interno del quadro realista. Ovvero, la via occidentale dello sviluppo + sovranità. Ora, dopo un anno di durissime prove e terribili sacrifici subiti dalla Russia, la formula è cambiata: sovranità + identità civile. La via russa.

Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini

Foto: Idee&Azione

4 marzo 2023

Il Club dei giornalisti del Messico premia Daria Dugin (Video da Mosca di Alexandr Dugin)

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di Diego Pappalardo (Corrispondente del Circolo Christus Rex-Traditio in America Latina)

Il Club dei Giornalisti del Messico, attraverso il suo Segretariato Generale, guidato da Celeste Sáenz de Miera, e la Federazione Internazionale del Club, hanno reso omaggio e premio postumo a Daria Dugin, in un incontro internazionale con la stampa organizzato il 7 Dicembre 2022.

Questo emozionante ricordo di Daria è avvenuto durante la cerimonia di premiazione del prestigioso concorso nazionale e internazionale di giornalismo che il Club dei giornalisti del Messico organizza da anni. Oltre ai professionisti della stampa, ai premiati e ai funzionari governativi, hanno partecipato all’omaggio l’Ambasciatore russo, Viktor Koronelli e il Sig. Guillermo Rocafort.
Ma il momento più emozionante è stato quando, da Mosca, è intervenuto il professor Alexander Dugin per esprimere alcune parole suggestive e commoventi nei confronti della la figlia (video) e ringraziare il Circolo dei giornalisti per il riconoscimento postumo a Daria.
L’Ambasciatore Koronelli ha ricevuto il premio postumo a nome della Famiglia Dugin.

Da parte sua, anche Guillermo Rocafort, scrittore ed economista ispanico e multipolarista, è stato premiato per la sua carriera in difesa della sovranità nazionale e di un’economia incentrata sul benessere delle persone. In questo modo, il Club de Periodistas de México ha riaffermato la sua posizione a favore della libertà di espressione e di un ordine internazionale multipolare.

 

Guillermo Rocafort

 

DISCORSO DI GUILLERMO ROCAFORT:

https://mail.google.com/mail/u/0?ui=2&ik=0094f36628&attid=0.1&permmsgid=msg-a:r-8820349886515350650&th=184f61d5dfbb8b4b&view=att&disp=inline&realattid=184f61bdf2ec3afa0631

 

VIDEO/AUDIO DEL PROF. ALEXANDR DUGIN DA MOSCA:

https://mail.google.com/mail/u/0?ui=2&ik=0094f36628&attid=0.1&permmsgid=msg-a:r942974351968028744&th=184f61be06d85dcf&view=att&disp=safe&realattid=184f61ab3b1aa058a5a1

 

Ringraziamo della testimonianza Diego, il cui nome compare tra i giornalisti firmatari del riconoscimento in foto e tutti i giornalisti dell’ “Ordine dei Giornalisti” del Messico, in prima linea per la libertà di espressione, in tempi di censura. Un esempio per chi fa informazione in tutto il resto del mondo.

In America Latina, il lavoro d’apostolato giornalistico di Diego Pappalardo è molto intenso e costante. Ha chiesto di poter ricevere per la traduzione e la pubblicazione su alcuni media dell’America Latina gli editoriali del nostro Responsabile Nazionale Matteo Castagna, così da rendere sempre più capillare l’opera per la Maggior Gloria di Dio, in questi tempi bui.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Realismo apocalittico

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SECONDO LA RUSSIA

di Aleksandr Dugin

Tre opzioni sono ora in discussione al vertice:

  1. DNR+LNR+Kherson (e a questo si aggiungono Zaporizhzhya, Kharkiv, Mykolayiv, Dnipropetrovsk, che devono ancora essere liberati con necessità) – per quanto riguarda Odessa, c’è esitazione;
  2. Novorossiya tutta (con Odessa) e lo status incerto dell’Ucraina centrale e Kiev (con la liquidazione provvisoria dei capi della giunta criminale)
  3. Controllo completo.

Naturalmente, molto dipenderà da come andrà la distruzione del calderone di Donetsk, ma vale la pena distogliere lo sguardo dalla pianificazione immediata e guardarla da una prospettiva più alta.

Il modo in cui l’Operazione Speciale Militare è iniziata e come si è svolta per i primi 2 mesi rende impossibile che il resto dell’Ucraina rimanga sotto il dominio dei nazisti e dei globalisti. Non c’è nessun massimalismo imperiale in questo, almeno per questa volta. Il massimalismo imperiale avrebbe potuto finire in Novorossia, e l’altra metà dell’ex Ucraina lasciata vivere come vuole, ma ora le cose sono andate troppo oltre. Un fattore importante è stato l’attacco diretto alla Chiesa ortodossa russa in Ucraina. Fermati alla prima (generalmente imperfetta) o alla seconda opzione e stiamo gettando una miriade di credenti ortodossi verso la morte, la tortura e forse il genocidio. Non resterà nulla di loro. Per tale ragione ora siamo pienamente responsabili dell’Ucraina occidentale.

Naturalmente, questa escalation ci viene imposta da Kiev e dall’Occidente che fa pressione. Zelensky è pronto a sacrificare tutto nella speranza di trascinare l’umanità in un conflitto nucleare. Non si considera più come presidente dell’Ucraina, l’Ucraina è sconfitta. Credo che si consideri l’”anti-Cristo”. E sta sempre più venendo a patti con quest’ultimo ruolo. È l’apice della carriera del clown, poiché molti studiosi hanno sostenuto che fin dal Medioevo una figura diabolica si nasconde sotto la maschera di un buffone, ma ogni nuovo passo che facciamo è anche carico di responsabilità per tutta una catena di quelli successivi. Finora, il livello di scontro si è solo intensificato.

Forse contavamo su una reazione più contenuta sia da Kiev che dall’Occidente. L’Occidente imporrebbe sanzioni e si limiterebbe a questo, mentre Kiev, rendendosi conto di perdere, getterebbe via la bandiera bianca. Questo avrebbe dovuto essere il caso nel contesto del freddo realismo politico, ma è andata male. L’Occidente sta agendo più aggressivamente di quanto potrebbe, e Zelensky è in uno strano stato estatico che non può essere spiegato dalle droghe. Si vede come “il nuovo Davide” che combatte contro Golia e, non avendo alcuna possibilità di vincere, chiama tutta la potenza della NATO per dare un colpo mortale all’umanità. Questa non è più politica, sono trame apocalittiche che si trasformano in realtà.

Oggi sembra alle nostre autorità che ci sia ancora una scelta tra gli scenari 1, 2 e 3. Ma non è più così.

Così come non possiamo – con tutta la volontà (se qualcuno ne avesse) – tornare alla situazione pre-22 02 2022, ora non possiamo più fermarci alle opzioni 1 o 2. La posta in gioco è aumentata in linea di principio. Per noi, la vittoria può essere solo l’opzione 3 d’ora in poi.

Lasciatemi sottolineare ancora una volta: questa non è la buona volontà dei sognatori imperiali, questa è la dura prosa del realismo militare-politico, militare-apocalittico. La fredda analisi del tempo di guerra si trasforma impercettibilmente in uno scenario apocalittico, non solo uno scontro di civiltà.

Anche qui, fattori come l’ortodossia, l’uniatismo, lo scisma, il cattolicesimo e persino il satanismo, che sembravano essere stati spostati alla lontana periferia della società molto tempo fa, vengono alla ribalta. Non semplici ideologie (tra l’altro, che tipo di ideologie si scontrano tra loro non è chiaro e non è pienamente compreso da tutti), ma realtà puramente spirituali, e invadono senza tante cerimonie la misurata vita quotidiana, demoliscono città, rovinano miliardari, distruggono migliaia di persone – compresi i civili, risvegliano la bestialità che dorme nelle profondità dell’uomo (o, al contrario, la santità), cambiando bruscamente l’equilibrio di potere su scala planetaria.

Prima la pandemia, in secondo luogo la guerra. Siamo diventati non solo testimoni, ma partecipanti attivi dell’Apocalisse.

Non solo il destino dell’Heartland, ma anche quello dello Spirito, dipende da chi controlla l’Ucraina: o questa zona del mondo passerà sotto l’omophorion di Cristo e della Sua Madre Immacolata, o rimarrà sotto il potere di Satana, che rafforzerà immensamente il suo dominio su quella che è in realtà la culla della nostra statualità russa, della Chiesa e della cultura, e del nostro popolo.

La lotta per il Donbass, per Odessa, per Kiev e anche per Lviv fa parte della grande battaglia escatologica.

Alcuni sospettavano che sarebbe successo, ma noi stessi non abbiamo creduto fino alla fine, posticipando sempre la considerazione di questa possibilità.

La realtà precede i sogni – compresi i sogni escatologici imperiali. L’era del materialismo, dell’economia, dell’analisi razionale, degli esperti, dei tecnocrati, dei manager è finita.

Le idee stanno tornando nel nostro mondo.

E la battaglia principale d’ora in poi si svolge di nuovo tra di loro. Tra l’Idea Russa, il Catechon, la Civiltà Ortodossa, e il mondo dell’Anticristo occidentale che ci viene incontro.

L’Ucraina non serve a noi russi. È Cristo che ne ha bisogno. Ed è per questo che siamo lì.

Ed è per questo che non andiamo da nessuna parte.

Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini

Foto: Idee&Azione

19 aprile 2022

https://www.ideeazione.com/realismo-apocalittico/

Multipolarità. Definizione e differenziazione dei suoi significati

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QUINTA COLONNA

di Aleksandr Dugin

Tuttavia, sempre più opere di affari esteri, politica mondiale, geopolitica e, in realtà, politica internazionale, sono dedicate al tema della multipolarità. Un numero crescente di autori cerca di capire e descrivere la multipolarità come modello, fenomeno, precedente o possibilità.

Il tema della multipolarità è stato in un modo o nell’altro toccato nelle opere dello specialista di IR David Kampf (nell’articolo L’emergere di un mondo multipolare), dello storico Paul Kennedy della Yale University (nel suo libro The Rise and Fall of Great Powers), del geopolitico Dale Walton (nel libro Geopolitica e le grandi potenze nel XXI secolo: la Multipolarità e la Rivoluzione in prospettive strategiche), il politologo americano Dilip Hiro (nel libro After Empire: Birth of a multipolar world), e altri. Il più vicino nel comprendere il senso della multipolarità, a nostro avviso, è stato lo specialista britannico di IR Fabio Petito, che ha cercato di costruire un’alternativa seria e sostanziale al mondo unipolare sulla base dei concetti giuridici e filosofici di Carl Schmitt.

L’”ordine mondiale multipolare” è anche ripetutamente menzionato nei discorsi e negli scritti di personalità politiche e giornalisti influenti. Così l’ex segretario di Stato Madeleine Albright, che per prima ha definito gli Stati Uniti la “nazione indispensabile”, ha dichiarato il 2 febbraio 2000 che gli Stati Uniti non vogliono “stabilire e imporre” un mondo unipolare, e che l’integrazione economica ha già creato “un certo mondo che può essere persino chiamato multipolare”. Il 26 gennaio 2007, nella rubrica editoriale del “New York Times”, si è scritto apertamente che “l’emergere del mondo multipolare”, insieme alla Cina, “ora si svolge al tavolo in parallelo con altri centri di potere come Bruxelles o Tokyo”. Il 20 novembre 2008, nel rapporto Global Trends 2025 del National Intelligence Council degli Stati Uniti, è stato indicato che l’emergere di un “sistema multipolare globale” dovrebbe essere previsto entro due decenni.

Dal 2009, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama è stato visto da molti come il messaggero di un’”era di multipolarità”, credendo che avrebbe orientato la priorità della politica estera degli Stati Uniti verso potenze emergenti come Brasile, Cina, India e Russia. Il 22 luglio 2009, il vicepresidente Joseph Biden, durante la sua visita in Ucraina, ha detto: “Stiamo cercando di costruire un mondo multipolare”.

Eppure, tutti questi libri, articoli e dichiarazioni non contengono alcuna definizione precisa di ciò che è il mondo multipolare (MW), né, inoltre, una teoria coerente e consistente della sua costruzione (TMW). Il trattamento più comune per “multipolarità” significa solo un’indicazione che nell’attuale processo di globalizzazione, il centro e il nucleo indiscusso del mondo moderno (gli Stati Uniti, l’Europa e il più ampio “Occidente globale”) si trova di fronte a certi nuovi concorrenti – potenze regionali fiorenti o semplicemente potenti e blocchi di potere appartenenti al “secondo” mondo. Un confronto tra le potenzialità degli Stati Uniti e dell’Europa da un lato, e delle nuove potenze emergenti (Cina, India, Russia, America Latina, ecc.) dall’altro, convince sempre di più della tradizionale superiorità relativa dell’Occidente e solleva nuove domande sulla logica di ulteriori processi che determinano l’architettura globale delle forze su scala planetaria – in politica, economia, energia, demografia, cultura, ecc.

Tutti questi commenti e osservazioni sono critici per la costruzione della Teoria del Mondo Multipolare, ma non ne evidenziano affatto l’assenza. Dovrebbero essere presi in considerazione quando si costruisce una tale teoria, ma vale la pena notare che sono di natura frammentaria e frammentaria, non arrivando nemmeno al livello di generalizzazioni teoriche concettuali primarie.

Ma, nonostante ciò, il riferimento all’ordine mondiale multipolare si sente sempre più spesso nei vertici ufficiali e nelle conferenze e congressi internazionali. I collegamenti al multipolarismo sono presenti in una serie di importanti accordi intergovernativi e nei testi dei concetti di sicurezza nazionale e strategia di difesa di un certo numero di paesi influenti e potenti (Cina, Russia, Iran, e in parte l’UE). Pertanto, oggi più che mai, è importante fare un passo verso l’inizio di un vero e proprio sviluppo della Teoria del Mondo Multipolare, in conformità con i requisiti di base della ricerca accademica.

La multipolarità non coincide con il modello nazionale di organizzazione mondiale secondo la logica del sistema di Westfalia

Prima di procedere strettamente alla costruzione della Teoria del Mondo Multipolare (TMW), dobbiamo distinguere rigorosamente l’area concettuale indagata. Per questo, dobbiamo considerare i concetti di base e definire quelle forme dell’ordine mondiale globale che certamente non sono multipolari e che, di conseguenza, la multipolarità viene presentata come alternativa.

Cominciamo con il sistema westfaliano, che riconosce la sovranità assoluta dello Stato-nazione e costruisce il campo giuridico delle relazioni internazionali su questa base. Questo sistema, sviluppato dopo il 1648 (la fine della Guerra dei Trent’anni in Europa), ha attraversato diverse fasi del suo sviluppo, e in qualche misura ha continuato a riflettere la realtà oggettiva fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Nasceva dal rifiuto delle pretese degli imperi medievali all’universalismo e alla “missione divina”, e corrispondeva alle riforme borghesi nelle società europee. Si basava anche sul presupposto che solo uno stato nazionale può possedere la più alta sovranità, e che al di fuori di esso, non c’è nessun’altra entità che abbia il diritto legale di interferire nella politica interna di questo stato – indipendentemente da quali obiettivi e missioni (religiose, politiche o altro) lo guidino. Dalla metà del XVII secolo alla metà del XX secolo, questo principio ha predeterminato la politica europea e, di conseguenza, è stato trasferito ad altri paesi del mondo con alcune modifiche.

Il sistema di Westfalia era originariamente rilevante solo per le potenze europee, e le loro colonie erano considerate semplicemente come la loro continuazione, non possedendo un potenziale politico ed economico sufficiente per pretendere di essere un’entità indipendente. Dall’inizio del XX secolo, lo stesso principio fu esteso alle ex colonie durante il processo di decolonizzazione.

Questo modello westfaliano presuppone la piena uguaglianza giuridica tra tutti gli stati sovrani. In questo modello, ci sono tanti poli di decisioni di politica estera nel mondo quanti sono gli stati sovrani. Per inerzia, questa regola è ancora in vigore, e tutto il diritto internazionale si basa su di essa.

In pratica, naturalmente, c’è disuguaglianza e subordinazione gerarchica tra i vari stati sovrani. Nella prima e nella Seconda guerra mondiale, la distribuzione del potere tra le maggiori potenze mondiali portò a un confronto tra blocchi separati, dove le decisioni venivano prese nel paese che era il più potente tra i suoi alleati.

Come risultato della Seconda Guerra Mondiale, a causa della sconfitta della Germania nazista e delle Potenze dell’Asse, lo schema bipolare delle relazioni internazionali (il sistema bipolare di Yalta) si sviluppò nel sistema globale. Il diritto internazionale ha continuato a de-giurare il riconoscimento della sovranità assoluta di qualsiasi stato-nazione, ma de-facto, le decisioni fondamentali riguardanti le questioni centrali dell’ordine mondiale e della politica globale sono state prese solo in due centri – a Washington e a Mosca.

Il mondo multipolare differisce dal classico sistema westfaliano per il fatto che non riconosce allo stato nazionale separato, legalmente e formalmente sovrano, lo status di un polo a pieno titolo. Ciò significa che il numero di poli in un mondo multipolare dovrebbe essere sostanzialmente inferiore al numero di stati nazionali riconosciuti (e quindi non riconosciuti). La stragrande maggioranza di questi stati non è in grado oggi di provvedere alla propria sicurezza o prosperità di fronte a un conflitto teoricamente possibile con l’attuale egemone (gli Stati Uniti). Pertanto, sono politicamente ed economicamente dipendenti da un’autorità esterna. Essendo dipendenti, non possono essere i centri di una volontà veramente indipendente e sovrana riguardo alle questioni globali dell’ordine mondiale.

Il multipolarismo non è un sistema di relazioni internazionali che insiste sull’uguaglianza giuridica degli stati-nazione come stato di fatto. Questa è solo una facciata di un’immagine molto diversa del mondo basata su un reale, piuttosto che nominale, equilibrio di forze e capacità strategiche.

Il multipolarismo opera non con la situazione come esiste de-jure, ma piuttosto de-facto, e procede dall’affermazione della disuguaglianza fondamentale tra gli stati-nazione nel modello moderno ed empiricamente fissabile del mondo. Inoltre, la struttura di questa disuguaglianza è che le potenze secondarie e terziarie non sono in grado di difendere la loro sovranità, in qualsiasi configurazione transitoria di blocco, di fronte alla possibile sfida esterna della potenza egemone. Ciò significa che la sovranità è oggi una finzione giuridica.

Il multipolarismo non è bipolarismo

Dopo la Seconda guerra mondiale, si sviluppò il sistema bipolare di Yalta. Ha continuato ad insistere formalmente sul riconoscimento della sovranità assoluta di tutti gli stati, il principio su cui è stata organizzata l’ONU, e ha portato avanti il lavoro della Società delle Nazioni. Tuttavia, in pratica, due centri decisionali globali apparvero nel mondo – gli Stati Uniti e l’URSS. Gli Stati Uniti e l’URSS erano due sistemi politico-economici alternativi, rispettivamente il capitalismo globale e il socialismo globale. Fu così che il bipolarismo strategico fu fondato sul dualismo ideologico e filosofico – liberalismo contro marxismo.

Il mondo bipolare si basava sulla simmetrica comparabilità del potenziale di parità economica e militare-strategica dei campi di guerra americano e sovietico. Allo stesso tempo, nessun altro paese affiliato ad un particolare campo aveva lontanamente il potere cumulativo da confrontare con quello di Mosca o Washington. Di conseguenza, c’erano due egemoni sulla scala globale, ciascuno circondato da una costellazione di paesi alleati (semi-vassalli, in senso strategico). In questo modello, la sovranità nazionale formalmente riconosciuta perdeva gradualmente il suo peso. Prima di tutto, i paesi associati all’uno o all’altro egemone dipendevano dalle politiche di quel polo. Pertanto, il suddetto paese non era indipendente, e i conflitti regionali (generalmente sviluppati in aree del Terzo Mondo) rapidamente degenerarono in un confronto tra due superpotenze che cercavano di ridistribuire l’equilibrio dell’influenza planetaria sui “territori contesi”. Questo spiega i conflitti in Corea, Vietnam, Angola, Afghanistan, ecc.

Nel mondo bipolare, c’era anche una terza forza: il Movimento dei Non Allineati. Era composto da alcuni paesi del Terzo Mondo che rifiutavano di fare una scelta inequivocabile a favore del capitalismo o del socialismo, e che invece preferivano manovrare tra gli interessi antagonisti globali degli Stati Uniti e dell’URSS. In una certa misura, alcuni ci riuscirono, ma la stessa possibilità di non allineamento presupponeva l’esistenza di due poli, che in misura variabile si equilibravano a vicenda. Inoltre, questi “paesi non allineati” non erano assolutamente in grado di creare un “terzo polo” a causa dei parametri principali delle superpotenze, della natura frammentata e non consolidata dei membri del Movimento dei Non Allineati e della mancanza di una piattaforma socioeconomica generale comune. Il mondo era diviso in Occidente capitalista (il primo mondo), Oriente socialista (il secondo mondo) e “il resto” (il terzo mondo). Inoltre, “tutti gli altri” rappresentavano in tutti i sensi la periferia del mondo dove gli interessi delle superpotenze apparivano occasionalmente. Tra le superpotenze stesse, la probabilità di un conflitto era pressoché esclusa grazie alla parità (in particolare nella garanzia della mutua distruzione nucleare assicurata). Questo fece sì che le aree preferite per la revisione parziale dell’equilibrio di potere fossero i paesi periferici (Asia, Africa, America Latina).

Dopo il crollo di uno dei due poli (l’Unione Sovietica è crollata nel 1991), è crollato anche il sistema bipolare. Questo ha creato le precondizioni per l’emergere di un ordine mondiale alternativo. Molti analisti ed esperti di IR hanno giustamente parlato di “fine del sistema di Yalta”. Pur riconoscendo de-jure la sovranità, la pace di Yalta era de-facto costruita sul principio dell’equilibrio dei due egemoni simmetrici e relativamente uguali. Con la partenza di uno degli egemoni dalla scena storica, l’intero sistema cessò di esistere. Il tempo di un ordine mondiale unipolare o “momento unipolare” è arrivato.

Un mondo multipolare non è un mondo bipolare (come lo conoscevamo nella seconda metà del XX secolo), perché nel mondo di oggi, non c’è nessuna potenza che possa resistere da sola al potere strategico degli Stati Uniti e dei paesi della NATO, e inoltre, non c’è un’ideologia generalizzante e coerente capace di unire gran parte dell’umanità in una dura opposizione ideologica all’ideologia della democrazia liberale, del capitalismo e dei “diritti umani”, su cui gli Stati Uniti basano ora una nuova egemonia esclusiva. Né la Russia moderna, né la Cina, né l’India, né qualche altro stato possono pretendere di essere un secondo polo in queste condizioni. Il recupero del bipolarismo è impossibile per ragioni ideologiche (la fine del fascino popolare del marxismo) e tecnico-militari. Per quanto riguarda quest’ultimo, gli Stati Uniti e i paesi della NATO hanno preso così tanto il comando negli ultimi 30 anni che una competizione simmetrica con loro nella sfera militare-strategica, economica e tecnica non è possibile per nessun singolo paese.

Il multipolarismo non è compatibile con un mondo unipolare

Il crollo dell’Unione Sovietica ha significato la scomparsa sia di una superpotenza simmetrica e potente, sia di un gigantesco campo ideologico. È stata la fine di una delle due egemonie globali. L’intera struttura dell’ordine mondiale da questo punto è irreversibilmente e qualitativamente diversa. Qui il polo rimanente – guidato dagli Stati Uniti e sulla base dell’ideologia capitalista liberal-democratica – si è conservato come fenomeno e ha continuato a espandere il suo sistema sociopolitico (democrazia, mercato, ideologia dei “diritti umani”) su scala globale. Precisamente, questo si chiama mondo unipolare o ordine mondiale unipolare. In un tale mondo, c’è un unico centro decisionale sulle grandi questioni globali. L’Occidente e il suo nucleo, la comunità euro-atlantica, guidata dagli Stati Uniti, si sono trovati nel ruolo di unica egemonia disponibile. L’intero spazio del pianeta in tale ambiente è una triplice regionalizzazione (descritta in dettaglio dalla teoria neomarxista di E. Wallerstein):

– Zona centrale (“ricco Nord”, “centro”),

– Zona della periferia mondiale (“Sud povero”, “periferia”),

– Zona di transizione (“semi-periferia”, comprendente paesi importanti, che si sviluppano attivamente verso il capitalismo: Cina, India, Brasile, alcuni paesi del Pacifico, così come la Russia, che per inerzia conserva un significativo potenziale strategico, economico ed energetico).

Il mondo unipolare sembrava essere finalmente una realtà consolidata negli anni ’90, e alcuni analisti statunitensi hanno dichiarato su questa base la tesi della “fine della storia” (Fukuyama). Questa tesi significava che il mondo diventerà totalmente ideologicamente, politicamente, economicamente e socialmente omogeneo, e che ora tutti i processi che si verificano in esso non saranno più un dramma storico basato sulla battaglia di idee e interessi, ma piuttosto una competizione economica (e relativamente pacifica) dei partecipanti al mercato – simile a come è costruita la politica interna dei regimi liberali democratici liberi. In questa concezione, la democrazia diventa globale e il pianeta è composto solo dall’Occidente e dal suo purlieus (cioè i paesi che si integreranno gradualmente in esso).

Il disegno più preciso della teoria dell’unipolarità è stato proposto dai neoconservatori americani, che hanno sottolineato il ruolo degli Stati Uniti nel nuovo ordine mondiale globale. A volte hanno proclamato gli Stati Uniti come il “Nuovo Impero” (R. Kaplan) o la “benevola egemonia globale” (U. Kristol, R. Keygan), anticipando l’offensiva del “Secolo Americano” (The Project for the New American Century). Nella visione neocon, l’unipolarismo ha acquisito un fondamento teorico. Il futuro ordine mondiale è stato visto come una costruzione USA-centrica, dove il nucleo è costituito dagli Stati Uniti come arbitro globale e incarnazione dei principi di “libertà e democrazia”, e una costellazione di altri paesi è strutturata intorno a questo centro, riproducendo il modello americano con vari gradi di precisione. Essi variano nella geografia e nel loro grado di somiglianza con gli Stati Uniti:

– In primo luogo, il cerchio interno – i paesi dell’Europa e del Giappone,

– In secondo luogo, i fiorenti paesi liberali dell’Asia,

– Infine, tutto il resto.

Tutte le zone situate intorno all’”America globale”, indipendentemente dalla loro orbita politica, sono incluse nel processo di “democratizzazione” e “americanizzazione”. La diffusione dei valori americani va di pari passo con l’attuazione degli interessi pratici americani e l’espansione della zona di controllo diretto americano su scala globale.

A livello strategico, l’unipolarismo si esprime nel ruolo centrale degli Stati Uniti nella NATO e, inoltre, nella superiorità asimmetrica delle capacità militari combinate dei paesi della NATO su tutte le altre nazioni del mondo.

Parallelamente, l’Occidente è superiore agli altri paesi non occidentali nel suo potenziale economico, nel livello di sviluppo dell’alta tecnologia, ecc. Soprattutto: l’Occidente è la matrice dove si è formato storicamente il sistema stabilito di valori e norme che attualmente sono considerati lo standard universale per tutti gli altri paesi del mondo. Questa può essere chiamata l’egemonia intellettuale globale che, da un lato, mantiene l’infrastruttura tecnica per il controllo globale, e dall’altro, sta al centro del paradigma planetario dominante. L’egemonia materiale va di pari passo con le egemonie spirituale, intellettuale, cognitiva, culturale e dell’informazione.

In linea di principio, l’élite politica americana è guidata proprio da questo approccio egemonico consapevolmente percepito, tuttavia, ne parlano in modo chiaro e trasparente i neocon, mentre i rappresentanti di altri diversi orientamenti politici e ideologici preferiscono espressioni più snelle ed eufemismi. Anche i critici del mondo unipolare degli Stati Uniti non contestano il principio dell’”universalità” dei valori americani e il desiderio della loro approvazione a livello globale. Le obiezioni si concentrano su quanto questo progetto sia realistico a medio e lungo termine, e se gli Stati Uniti siano in grado di sostenere da soli il peso dell’impero mondiale globale.

Le sfide a questo dominio americano diretto e aperto, che sembrava essere un fatto compiuto negli anni ’90, hanno portato alcuni analisti americani (in particolare Charles Krauthammer, che ha introdotto questo concetto) a parlare della fine del “momento unipolare”.

Ma, nonostante tutto, è proprio l’unipolarismo in una o l’altra manifestazione – palese o occulta, il modello dell’ordine mondiale – che è diventato una realtà dopo il 1991 e rimane tale fino ad oggi.

In pratica, l’unipolarismo si affianca alla salvezza nominale del sistema westfaliano, che contiene ancora i resti inerziali del mondo bipolare. La sovranità di tutti gli stati-nazione è ancora riconosciuta de-jure, e il Consiglio di Sicurezza dell’ONU riflette ancora parzialmente l’equilibrio di potere corrispondente alle realtà della “guerra fredda”. Così, l’egemonia unipolare americana è de-facto presente, insieme a una serie di istituzioni internazionali che esprimono l’equilibrio di altre epoche e cicli nella storia delle relazioni internazionali. Al mondo vengono costantemente ricordate le contraddizioni tra la situazione de-jure e quella de-facto, specialmente quando gli Stati Uniti o una coalizione occidentale intervengono direttamente negli affari di stati sovrani (a volte anche scavalcando il veto di istituzioni come il Consiglio di Sicurezza dell’ONU). In casi come l’invasione americana dell’Iraq nel 2003, vediamo un esempio di violazione unilaterale del principio di sovranità statale (ignorando il modello westfaliano), il rifiuto di prendere in considerazione la posizione della Russia (Vladimir Putin) nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, e le forti obiezioni dei partner NATO di Washington (il francese Jacques Chirac e il tedesco Gerhard Schroeder).

I sostenitori più coerenti dell’unipolarismo (per esempio, il repubblicano John McCain) insistono sull’applicazione dell’ordine internazionale in linea con il reale equilibrio delle forze. Propongono la creazione di un modello un po’ diverso dall’ONU, la “Lega delle Democrazie”, in cui la posizione dominante degli USA, cioè l’unipolarismo, sarebbe stata legalizzata. La legalizzazione di un mondo unipolare e lo status egemonico dell’”impero americano” nella struttura delle relazioni internazionali post-Yalta è una delle possibili direzioni dell’evoluzione del sistema politico globale.

È assolutamente chiaro che un ordine mondiale multipolare non solo differisce dall’unipolare, ma è la sua diretta antitesi. L’unipolarismo presuppone un egemone e un centro decisionale, mentre il multipolarismo insiste su alcuni centri, nessuno dei quali ha diritti esclusivi e quindi deve tener conto delle posizioni degli altri. Il multipolarismo, quindi, è un’alternativa logica diretta all’unipolarismo. Non ci può essere compromesso tra loro: secondo le leggi della logica, il mondo è o unipolare o multipolare. D’ora in poi, non è importante come tale modello particolare sia formulato giuridicamente, ma come sia creato de-facto. Nell’era della “guerra fredda”, diplomatici e politici hanno riconosciuto con riluttanza il “bipolarismo” che era un fatto ovvio. Pertanto, è necessario separare il linguaggio diplomatico dalla realtà concreta. Il mondo unipolare è l’ordine mondiale fattuale fino ad oggi. Si può solo discutere se sia buono o cattivo, se sia l’alba del sistema o, in alternativa, il tramonto, e se durerà a lungo o, al contrario, finirà rapidamente. Indipendentemente da ciò, il fatto rimane tale. Viviamo in un mondo unipolare, e il momento unipolare dura ancora (anche se alcuni analisti sono convinti che stia per finire).

Il mondo multipolare non è un mondo nonpolare

I critici americani della rigida unipolarità, e soprattutto i rivali ideologici dei neoconservatori concentrati nel “Council on Foreign Relations”, hanno offerto un altro termine al posto di unipolarità – nonpolarità. Questo concetto si basa sul suggerimento che i processi di globalizzazione continueranno a svolgersi, e il modello occidentale dell’ordine mondiale espanderà la sua presenza a tutti i paesi e popoli della terra. Così, l’egemonia intellettuale e l’egemonia dei valori dell’Occidente continueranno. Il mondo globale sarà il mondo del liberalismo, della democrazia, del libero mercato e dei diritti umani, ma il ruolo degli Stati Uniti come potenza nazionale e il fiore all’occhiello della globalizzazione, secondo i sostenitori di questa teoria, si ridurrà. Invece di una diretta egemonia americana, emergerà un modello di “governo mondiale”. A questo parteciperanno i rappresentanti di diversi paesi, che staranno insieme con valori comuni e si sforzeranno di stabilire uno spazio sociopolitico ed economico unificato in tutto il mondo. Anche qui, abbiamo a che fare con un analogo della “fine della storia” di Fukuyama descritta in termini diversi.

Il mondo non-polare sarà basato sulla cooperazione tra paesi democratici (per difetto), ma gradualmente il processo di formazione dovrebbe includere anche attori non statali – ONG, movimenti sociali, gruppi di cittadini separati, comunità di rete, ecc.

La caratteristica principale nella costruzione del mondo nonpolare è la dissipazione del processo decisionale da un’entità (ora Washington) alle molte entità del livello inferiore – fino ai referendum planetari online sui principali eventi e azioni che riguardano tutta l’umanità.

L’economia sostituirà la politica e la concorrenza di mercato spazzerà le barriere doganali di tutti i paesi. Lo stato si preoccuperà più della cura dei suoi cittadini che della sicurezza tradizionale, e inaugurerà l’era della democrazia globale.

Questa teoria coincide con le caratteristiche principali della teoria della globalizzazione e si presenta come una tappa verso la sostituzione del mondo unipolare, ma solo alle condizioni promosse oggi dagli Stati Uniti e dai paesi occidentali riguardo ai loro modelli sociopolitici, tecnologici ed economici (democrazia liberale). Questi e i loro valori diventeranno un fenomeno universale, e la necessità di una stretta protezione degli ideali democratici e liberali non esisterà più – tutti i regimi che resistono all’Occidente, alla democratizzazione e all’americanizzazione al momento dell’inizio del mondo nonpolare dovrebbero essere eliminati.

L’élite di tutti i paesi dovrebbe essere simile, omogenea, capitalista, liberale e democratica – in altre parole, “occidentale” – indipendentemente dall’origine storica, geografica, religiosa e nazionale.

Il progetto del mondo non polare è sostenuto da una serie di gruppi politici e finanziari molto potenti, dai Rothschild a George Soros e le sue fondazioni.

Questo progetto strutturale si rivolge al futuro. È pensato come una formazione globale che dovrebbe sostituire l’unipolarismo e stabilirsi dopo nella sua scia. Questa non è un’alternativa, ma piuttosto una continuazione, e sarà possibile solo quando il centro di gravità della società si sposterà dal mix odierno di alleanza di due livelli di egemonia – materiale (il complesso militare-industriale americano e l’economia e le risorse occidentali) e spirituale (norme, procedure, valori) – a un’egemonia puramente intellettuale, insieme alla graduale riduzione dell’importanza del dominio materiale.

Vale a dire, questa è la società dell’informazione globale, dove i principali processi di governo e dominio saranno dispiegati nel campo dell’intelligenza attraverso il controllo delle menti, il controllo mentale e la programmazione del mondo virtuale.

Il mondo multipolare non può essere combinato con il modello di mondo nonpolare perché non accetta la validità del momento unipolare come preludio al futuro ordine mondiale, né l’egemonia intellettuale dell’Occidente, l’universalità dei suoi valori, o la dissipazione del processo decisionale nella molteplicità planetaria indipendentemente dall’identità culturale e di civiltà preesistente. Il mondo non-polare suggerisce che il modello americano di melting pot sarà esteso a tutto il mondo. Di conseguenza, questo cancellerà tutte le differenze tra i popoli e le culture, e un’umanità individualizzata e atomizzata sarà trasformata in una “società civile” cosmopolita senza confini. La multipolarità implica che i centri decisionali devono essere abbastanza alti (ma non solo nelle mani di una sola entità – come è oggi nelle condizioni del mondo unipolare), e le specialità culturali di ogni particolare civiltà devono essere preservate e rafforzate (ma non dissolte in un’unica molteplicità cosmopolita).

Il multipolarismo non è multilateralismo

Un altro modello di ordine mondiale, un po’ distanziato dall’egemonia diretta degli Stati Uniti, è un mondo multilaterale (multilateralismo). Questo concetto è molto diffuso nel partito democratico statunitense, ed è formalmente aderito nella politica estera dell’amministrazione del presidente Obama. Nel contesto dei dibattiti sulla politica estera americana, questo approccio si oppone all’insistenza dei neoconservatori sull’unipolarismo.

In pratica, il multilateralismo significa che gli Stati Uniti non dovrebbero agire nel campo delle relazioni internazionali contando interamente sulla propria forza e mettendo tutti i suoi alleati e “vassalli” di fronte al fatto compiuto in maniera obbligata. Invece, Washington dovrebbe prendere in considerazione la posizione dei partner, persuadere e argomentare le sue soluzioni suggerite in un dialogo paritario con loro, e portarli dalla sua parte per mezzo di argomenti razionali e, a volte, proposte di compromesso.

Gli Stati Uniti in una tale situazione dovrebbero essere “primi tra pari”, piuttosto che “dittatore tra i suoi subordinati”. Questo impone alla politica estera degli Stati Uniti alcuni obblighi nei confronti degli alleati nella politica globale ed esige l’obbedienza alla strategia globale. La strategia globale in questo caso è la strategia dell’Occidente per stabilire la democrazia globale, il mercato, e l’attuazione dell’ideologia dei diritti umani su scala globale. In questo processo, gli Stati Uniti, essendo il leader, non dovrebbero equiparare direttamente i loro interessi nazionali ai valori “universali” della civiltà occidentale, per conto della quale agiscono. In alcuni casi, è più preferibile operare in una coalizione, e talvolta anche fare concessioni ai propri partner.

Il multilateralismo si differenzia dall’unipolarismo per l’enfasi sull’Occidente in generale, e soprattutto sulla sua componente “valoriale” (cioè “normativa”). Su questo, gli apologeti del multilateralismo convergono con i sostenitori del mondo nonpolare. L’unica differenza tra il multilateralismo e il non-polarismo è solo il fatto che il multilateralismo pone l’accento sul coordinamento dei paesi occidentali democratici tra di loro, mentre il non-polarismo include anche autorità non statali (ONG, reti, movimenti sociali, ecc.) come attori.

È significativo che in pratica, la politica di multilateralismo di Obama, come ripetutamente espresso da lui e dall’ex segretario di Stato Hillary Clinton, non è molto diversa dall’era imperialista diretta e trasparente di George W. Bush, durante il cui periodo i neoconservatori erano dominanti. Gli interventi militari statunitensi sono continuati (Libia), e le truppe statunitensi hanno mantenuto la loro presenza nell’Iraq occupato e nell’Afghanistan.

Il mondo multipolare non corrisponde all’ordine mondiale multilaterale perché si oppone all’universalismo dei valori occidentali e non riconosce la legittimità del “Nord ricco” – da solo o collettivamente – ad agire per conto di tutta l’umanità e a servire come unico centro decisionale sulla maggior parte delle questioni più importanti.

Riassunto

La differenziazione del termine “mondo multipolare” dalla catena di quelli alternativi o simili delinea il campo semantico in cui continueremo a costruire la teoria della multipolarità. Fino a questo punto, abbiamo parlato solo di ciò che l’ordine mondiale multipolare non è, negazioni e differenziazioni stesse che ci permettono al contrario di distinguere una serie di caratteristiche costitutive e abbastanza positive.

Se generalizziamo questa seconda parte positiva, derivante dalla serie di distinzioni fatte, otteniamo circa questo quadro:

  1. Il mondo multipolare è un’alternativa radicale al mondo unipolare (che di fatto esiste nella situazione attuale) per il fatto che insiste sulla presenza di pochi centri indipendenti e sovrani di decisione strategica globale a livello mondiale.
  2. Questi centri dovrebbero essere sufficientemente attrezzati e finanziariamente e materialmente indipendenti per essere in grado di difendere la loro sovranità di fronte a un’invasione diretta di un potenziale nemico sul piano materiale, e la forza più potente del mondo attuale dovrebbe essere intesa come questa minaccia. Questo requisito si riduce ad essere in grado di resistere all’egemonia finanziaria e strategico-militare degli Stati Uniti e dei paesi della NATO.
  3. Questi centri decisionali non devono accettare l’universalismo degli standard, delle norme e dei valori occidentali (democrazia, liberalismo, libero mercato, parlamentarismo, diritti umani, individualismo, cosmopolitismo, ecc) e possono essere completamente indipendenti dall’egemonia spirituale dell’Occidente.
  4. Il mondo multipolare non implica un ritorno al sistema bipolare, perché oggi non esiste un’unica forza strategica o ideologica che possa resistere da sola all’egemonia materiale e spirituale dell’Occidente moderno e del suo leader, gli Stati Uniti. Ci devono essere più di due poli in un mondo multipolare.
  5. Il mondo multipolare non considera seriamente la sovranità degli stati nazionali esistenti, che è dichiarata solo a livello puramente giuridico e non è confermata dalla presenza di sufficiente potenza, strategica, economica e politica. Nel XXI secolo, non è più sufficiente essere uno stato-nazione per essere un’entità sovrana. In tali circostanze, la vera sovranità può essere raggiunta solo da una combinazione e coalizione di stati. Il sistema westfaliano, che continua ad esistere de-jure, non riflette più le realtà del sistema di relazioni internazionali e richiede una revisione
  6. La multipolarità non è riducibile alla non-polarità né al multilateralismo perché non mette il centro del processo decisionale (polo) nel governo mondiale, né al club degli Stati Uniti e dei suoi alleati democratici (“Occidente globale”), il livello delle reti sub-statali, le ONG e altre entità della società civile. Un polo deve essere localizzato altrove.

Questi sei punti definiscono l’intera gamma per l’ulteriore sviluppo della multipolarità e incarnano sufficientemente le sue caratteristiche principali. Sebbene questa descrizione ci porti significativamente a comprendere il punto della multipolarità, è ancora insufficiente per essere qualificata come una teoria. Si tratta solo di una determinazione iniziale con la quale la piena teorizzazione ha appena iniziato.

Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini

Foto: Idee&Azione

4 aprile 2022

Fonte:https://www.ideeazione.com/multipolarita-definizione-e-differenziazione-dei-suoi-significati/ 

Russia vs. Anti-Russia: interessi e valori

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L’OPINIONE DELL’IDEOLOGO DI PUTIN

di Aleksandr Dugin

La scala globale del problema ucraino

Il destino dell’ordine mondiale si sta decidendo in Ucraina. Questo non è un conflitto locale tra due potenze che non hanno diviso qualcosa tra loro. È uno spartiacque fondamentale nella storia.

C’è la pratica comune di separare gli interessi e i valori. Gli interessi sono legati all’equilibrio politico e geopolitico del potere, i valori – agli ideali di civiltà. Non ci sono conflitti militari che non abbiano avuto entrambe le dimensioni: la questione del valore e gli obiettivi pragmatici. Nel caso dell’Ucraina, entrambi – interessi e valori – sono di natura globale e riguardano direttamente tutti sul globo. Questo non è un incidente locale.

L’Ucraina ha perso l’occasione di costruire uno Stato

Cosa rappresenta l’Ucraina? A prima vista è il suo Stato nazionale con i suoi interessi (presumibilmente) razionali, i suoi valori e ideali nazionali. L’Ucraina ha avuto la sua opportunità di diventare uno Stato relativamente di recente – come risultato del crollo dell’URSS. Non aveva una storia nazionale. Ecco perché la questione dell’identità era in primo piano. C’erano due popoli sul territorio dell’Ucraina – uno occidentale e uno orientale. Il primo si considerava un ethnos indipendente, mentre il secondo faceva parte del grande mondo russo, tagliato fuori da esso solo per caso. All’Ucraina fu data la possibilità di creare uno Stato, ma solo se teneva conto delle posizioni di entrambi i popoli, entrambi quasi alla pari.

Entrò poi in gioco un fattore esterno: la geopolitica, la Grande Guerra dei Continenti. L’Occidente, da parte sua, ha visto nell’Ucraina indipendente (quasi accidentalmente) un’opportunità per creare una testa di ponte antirussa su questo territorio, al fine di contenere il probabile rafforzamento della Russia dopo l’uscita dallo shock del crollo dell’URSS. Era inevitabile, e l’Occidente si stava preparando per questo.

Quindi, fu l’Occidente che puntò sugli abitanti delle regioni occidentali dell’Ucraina e sulla loro identità e cominciò a sostenere solo loro in ogni modo possibile a nome dell’altra metà, quella                          filorussa.

La genesi geopolitica del nazismo ucraino

Fu allora che si presentò il compito di stabilire un’identità ucraina occidentale come identità pan-ucraina. Per fare questo, era necessario compiere un genocidio culturale e, se necessario, diretto dei popoli dell’Ucraina orientale. Per accelerare la formazione della nazione ucraina, che non era mai esistita nella storia, l’Occidente accettò misure estreme, per creare artificialmente un simulacro di “Una Nazione” e sopprimere i sentimenti filorussi dell’Ucraina orientale, si ricorse all’ideologia nazista. Tuttavia, non è la prima volta – per combattere le influenze sovietiche nel mondo islamico durante la guerra fredda (e più tardi per contrastare la Russia) l’Occidente ha effettivamente creato, sostenuto e pompato armi e denaro nel fondamentalismo islamico (da al-Qaeda all’ISIS).

Il nazismo in Ucraina non è solo quello di singoli partiti e movimenti estremisti, è il principale vettore politico-tecnologico che, con il sostegno dell’Occidente, ha iniziato a prendere forma nei primi anni ’90. Mentre perseguivano il nazismo sul loro territorio, i liberali occidentali – e i più radicali (Soros, Bernard-Henri Levy, ecc.) – fraternizzavano apertamente con i nazisti ucraini. La nazificazione dell’Ucraina era l’unico modo per l’Occidente di creare rapidamente un Anti-Russia sul suo territorio. Altrimenti, se la democrazia, anche se relativa, fosse stata conservata, la voce dell’Est non avrebbe permesso di costruire l’Anti-Russia (almeno alla velocità desiderata).

Fasi del nazismo ucraino

La presa del potere da parte dei nazisti filoccidentali in Ucraina è avvenuta per tappe. Dall’inizio degli anni ’90, cominciarono a formarsi movimenti e partiti nazionalisti, e la propaganda influenzò i giovani, instillando atteggiamenti russofobi nelle loro menti. Allo stesso tempo, l’identità ucraina si trasformò in un Giano bifronte:

– un sorriso liberale all’Occidente

– una smorfia nazista (Bandera, Shukhevich) di odio verso la Russia.

Il nazionalismo ucraino si è dichiarato più distintamente durante la rivoluzione arancione del 2004-2005, quando gli occidentali si sono ribellati alla vittoria del candidato dell’est ucraino. Di conseguenza, l’occidentale Yushchenko è salito al potere, sostenuto da nazionalisti e liberali, ma il suo governo fu un completo fallimento, e fu sostituito da Yanukovich, presumibilmente filorientale.

Tuttavia, durante tutto il tempo il pompaggio del nazismo ucraino continuò. In tutte le fasi, l’Occidente ha continuato a costruire l’Anti-Ucraina.

Un’alleanza dei liberali con i nazisti

Al Maidan nel 2013-1014 c’è stata una svolta finale. Con il sostegno diretto e aperto dell’Occidente, un colpo di stato ha avuto luogo, e un’alleanza russofoba di nazisti e liberali ha preso il potere, fondendosi in qualcosa di indivisibile nel nuovo governo. Gli oligarchi liberali Poroshenko e Kolomoisky hanno contribuito a trasformare l’Ucraina in un perfetto stato nazista. L’Occidente ha chiesto l’antirusso, e Kiev ha seguito rigorosamente questo piano.

La reazione della Russia con la riunificazione con la Crimea, e la rivolta del Donbass filorusso seguirono. La Primavera russa doveva dividere l’Ucraina in Ucraina occidentale e Novorossia sulla linea dei due popoli, due identità, ma è stata scartata per una serie di motivi. Così Kiev ha avuto l’opportunità di iniziare la nazificazione dei territori orientali. Il genocidio dell’Est è iniziato con nuova forza e non solo contro il Donbass resistente, ma contro tutte le zone della Novorossia – sia le parti occupate delle regioni di Donetsk e Lugansk che tutte le altre.

L’Occidente non ha semplicemente chiuso un occhio su questo, ma lo ha promosso in ogni modo possibile. In questo caso possiamo dire che l’Occidente ha compromesso i suoi valori per il bene dei suoi interessi. La geopolitica (atlantismo) questa volta è stata più importante del liberalismo.

L’anti-Russia è stata in tal modo creata.

Allo stesso tempo, idee e norme occidentali come la politica di genere, LGBT+, la circolazione più o meno libera delle droghe, la cultura post-modernista (intesa dagli ucraini come nichilismo totale e cinismo), la cancellazione, il femminismo, il wokeismo e così via sono penetrati attivamente nella società ucraina. Come risultato, nel 2022 l’Ucraina era diventata un’anti-Russia a tutti gli effetti.

I suoi interessi nazionali a questo punto consistevano in:

– riconquistare il Donbass e la Crimea,

– l’adesione alla NATO,

– completare il ciclo completo del genocidio nell’Est,

– ottenere armi nucleari e biologiche da usare contro la Russia,

– inoltre, l’ideologia consisteva in russofobia e nazismo combinati con l’occidentalismo e il liberalismo.

Questo è ciò che Kiev difende oggi a livello di interessi e valori. L’Occidente sostiene pienamente Kiev in tutto tranne che nella sua disponibilità ad entrare in un confronto nucleare con la Russia. L’Occidente ha trasformato l’Ucraina nell’Anti-Russia, e ne ha bisogno solo in questa veste.

La russofobia come nuova ideologia globale

È indicativo che nella situazione critica dell’operazione militare speciale, l’Occidente si è trovato in una posizione difficile: ora deve non solo spiegare i suoi interessi, ma anche giustificare il nazismo ucraino, che non era più possibile nascondere. Prendete la recente fotografia a Odessa di Bernard-Henri Levy, l’ideologo iconico del liberalismo globale e ardente sostenitore del Grande Reset, con apertamente neonazista, ex capo del battaglione punitivo “Aidar” e capo dell’amministrazione militare di Odessa, Maxim Marchenko. Ecco come il liberal-nazismo come ideologia pragmatica dell’Ucraina è diventato per necessità accettato dall’Occidente stesso. Da qui la politica delle reti globali di sostegno al nazismo ucraino e la cancellazione di tutte le voci alternative – Youtube, facebook, twitter, Instagram, Google e così via – che sono state dichiarate recentemente “organizzazioni terroristiche” e vietate nella Federazione Russa. La russofobia è diventata il comune denominatore di questa empia alleanza tra nazisti e liberali globalisti.

L’Occidente ha trovato rapidamente una via d’uscita: equiparando la Russia stessa al “nazismo”, è stata dichiarata una crociata contro di essa, in cui il nazismo anti-russo è stato considerato un alleato completamente accettabile, cioè “non è affatto nazista” – nonostante i suoi simboli, le pratiche criminali, il genocidio dichiarato e attuato, la tortura, gli stupri, il traffico di bambini e di organi, la pulizia etnica, ecc.

Interessi e valori dell’Occidente globale: egemonia, totalitarismo liberale, russofobia

Così è stata costruita la configurazione del confronto tra due campi. Da un lato, abbiamo l’Occidente e i suoi interessi geopolitici – il desiderio

– espandere la NATO,

– preservare il modello unipolare,

– continuare la globalizzazione e il processo di trasformazione dell’umanità in un’unica massa sotto il controllo del governo mondiale (il progetto del Grande Reset),

– per salvare la fatiscente egemonia degli Stati Uniti.

Questo corrisponde ad una diffusione altrettanto totale dell’ideologia –

– liberalismo,

– globalismo,

– individualismo,

– la richiesta di cancellazione di tutti i dissensi,

– LGBT+, femminismo e transgenderismo,

– postmodernismo, distruzione deliberata e derisione dell’eredità culturale classica,

– wokeismo, la volontà di denunciare coloro che contestano il liberalismo (si qualificano come nemici della società aperta e quindi commettono crimini di pensiero),

– postumanesimo, migrazione forzata dell’umanità in una dimensione virtuale (progetto Meta, un’altra organizzazione terroristica vietata nella Federazione Russa),

– e a questo oggi si aggiunge il nazismo russofobico.

L’ideologia liberal-nazista dell’anti-russismo, creata artificialmente in Ucraina, sta penetrando nell’Occidente stesso, dove la russofobia sta diventando una norma obbligatoria, e la sua assenza o il suo disaccordo è oggetto di una persecuzione amministrativa o penale. Così la coda ucraina ha iniziato a scodinzolare il cane di Washington. Oggi, di fronte all’operazione militare speciale della Russia, il liberalismo si è finalmente e inseparabilmente fuso con il nazismo (nella sua versione russofoba).

Gli interessi della Russia: un mondo multipolare

Ora quali sono gli interessi e i valori della Russia in questo conflitto fondamentale?

In primo luogo, gli interessi geopolitici. La Russia rifiuta categoricamente il globalismo, un mondo unipolare e l’egemonia occidentale. In pratica, questo significa una dura resistenza all’espansione verso est della NATO e a tutte le altre forme di pressione occidentale sulla Russia. Mosca sta costruendo un mondo multipolare in cui sta reclamando il suo posto come polo indipendente e sovrano. È sostenuta in questo da Pechino e da un certo numero di paesi islamici e latino-americani. Anche l’India sta andando alla deriva verso un modello di ordine mondiale simile. In seguito, tutti gli altri – compresi i paesi dell’Europa e dell’America – si convinceranno dell’attrattiva, della validità e dell’inevitabilità di una tale costruzione.

Affinché gli interessi geopolitici russi si realizzino, l’anti-Russia non deve esistere sul territorio dell’Ucraina. E visto dal punto di vista dell’Occidente, è proprio il contrario, perché l’Occidente ha creato questo anti-Russia proprio per non farlo accadere. Quindi, abbiamo un conflitto di interessi fondamentale, che la Russia ha cercato di risolvere pacificamente, ma non ha funzionato. Da qui la nuova fase, più dura.

L’atlantismo contro l’eurasiatismo è la battaglia finale nel territorio dell’Ucraina. Questa è una posizione classica della teoria geopolitica da Mackinder a Putin. Come ha detto Brzezinski (piuttosto correttamente) negli anni ’90: “Senza l’Ucraina, la Russia non risorgerà mai più”, e con l’Ucraina lo farà, hanno deciso correttamente gli strateghi di Mosca.

I valori della Russia: Tradizione, Spirito, Uomo

Passiamo ai valori. Oggi, l’Occidente e Kiev stanno lottando per una sintesi patologica (dal punto di vista della teoria politica) di liberalismo e nazismo. Entrambi sono uniti dalla russofobia.

La russofobia dei globalisti liberali si spiega con il loro odio per una Russia sovrana che faccia cadere il mondo unipolare, distrugga i piani dei globalisti e l’egemonia dell’Occidente. La russofobia di Kiev si basa sul fatto che la Russia impedisce il genocidio della popolazione dell’est e la creazione della nazione ucraina. È così che il liberalismo e il nazismo si uniranno in un unico impulso. L’odio per i russi, gli appelli alla distruzione fisica dei russi a partire dal presidente Putin fino ai neonati, alle donne e ai vecchi si fondono con la propaganda LGBT+, la difesa dei matrimoni gay e la cultura postmodernista. Questi sono i valori di una civiltà che ha dichiarato guerra alla Russia.

La Russia difende altri valori. In primo luogo, i valori tradizionali – potere, sovranità, fede, una famiglia normale, umanità, patrimonio culturale. Secondo, la Russia insiste sulla legittima protezione dei russi – concretamente in Ucraina, minacciata dallo sterminio e vittima di genocidio. Terzo, i valori eurasiatici – la Russia stessa è aperta ai diversi popoli e culture e rifiuta categoricamente ogni forma di nazismo e razzismo. La Russia riconosce il diritto degli altri ad andare per la propria strada e a costruire il tipo di società che sarà scelto – ma non a spese della Russia stessa e dei popoli che cercano in Russia – come nell’Arca – la salvezza. Questi sono i fondamenti della moderna Idea Russa contrapposta al liberal-nazismo occidentale e ucraino.

Civiltà russa contro civiltà antirussa

Gli interessi e i valori di noi e loro sono opposti. Gli obiettivi e le conseguenze del conflitto sono globali, riguardano l’intero ordine mondiale, tutti i paesi e i popoli. La scala del conflitto è planetaria.

Due sistemi si scontrano – il campo liberale-nazista dell’Occidente e la Russia, difendendo non solo la loro Idea Russa, ma anche un ordine mondiale multipolare, in cui possono esistere altre idee – cinese, islamica, e la stessa occidentale, ma dove non c’è posto per il nazismo e il liberismo globalista obbligatorio.

Quindi lo scopo dell’operazione militare speciale è la denazificazione. Questo vale direttamente per l’Ucraina, ma indirettamente per tutti gli altri. La Russia non tollererà la russofobia in nessuna forma. Questa è già una questione di principio.

È uno scontro di civiltà: la civiltà russa contro quella antirussa.

Il destino della quinta colonna nella stessa Russia

Ora dovremmo prestare attenzione alla quinta colonna, che ha cercato di ribellarsi all’operazione militare speciale, ma è stata rapidamente fermata e fuggita all’estero nella prima fase, e soprattutto alla sesta colonna, che in precedenza ha imitato con successo per anni, esprimendo fedeltà formale a Putin.

La quinta colonna dei liberali è stata inequivocabilmente dalla parte degli antirussi fin dalla prima campagna cecena. I discorsi e le dichiarazioni della maggior parte degli esponenti liberali dell’opposizione russa sono pieni di odio per la Russia. Molti di loro erano fuggiti dalla Russia anche prima, stabilendosi negli Stati Uniti, in Europa, in Israele e a Kiev. Molti di loro hanno scelto Kiev consapevolmente, come roccaforte dell’Anti-Russia, cioè come loro feudo ideologico; e, naturalmente, non hanno notato il fiorire del nazismo ucraino lì – con esso condividono una russofobia comune per entrambi. Molti dei liberali della quinta colonna russa divennero anche loro nazisti, o almeno i loro apologeti.

Oggi, la quinta colonna in Russia è sotto una stretta interdizione e non rappresenta una grande minaccia. Ma nel complesso, i suoi interessi e valori coincidono con Washington, la CIA, il Pentagono, il blocco NATO e Kiev, che servono. Quindi è un nemico puro.  Non ho bisogno di ricordarvi ancora una volta cosa si fa con un nemico sotto legge marziale.

I liberali sistemici sono tra l’incudine e il martello

La situazione della sesta colonna è molto più complicata. Oggi è proprio questa colonna ad essere al centro dell’attenzione. È composta da quelli che sono stati chiamati “liberali di sistema” come oligarchi, politici, burocrati e figure culturali che condividono l’ideologia liberale (monetarismo, imperialismo del dollaro, currency board, cosmopolitismo, LGBT+, transgender, globalizzazione, digitalizzazione, ecc) ma non si oppongono apertamente a Putin.

Oggi, si trovano in una posizione difficile – tra l’incudine e il martello. È contro la sesta colonna che l’Occidente ha imposto gravi sanzioni economiche, ha portato via i loro yacht e palazzi, ha congelato i loro conti bancari e sequestrato i loro beni immobili. L’obiettivo era lo stesso: farli rovesciare Putin. Ma questo è impossibile e significa un suicidio.

Così la sesta colonna è ora confusa – l’Occidente ha preteso da lei qualcosa di impossibile.  Quindi o devono fuggire dalla Russia e combattere Putin dall’esterno (come hanno fatto Chubais e un certo numero di altre figure iconiche dell’oligarchia russa), o solidificarsi con un’operazione militare speciale, ma questo cancellerebbe la loro posizione in Occidente e li priverebbe del loro bottino ammassato lì. Ed ecco il punto principale: non possono più rimanere liberali – nemmeno sistemici, perché il liberalismo oggi si è fuso con la russofobia su scala globale, è diventato una versione del nazismo, e non si può essere un nazista e allo stesso tempo lottare contro il nazismo, paradosso irrisolvibile.

Si scopre che o la Russia o il liberalismo.

Se i liberali sistemici (la sesta colonna) vogliono rimanere sistemici, devono smettere di essere liberali. Il liberalismo oggi è uguale al nazismo, e la Russia ha lanciato un’operazione di denazificazione senza precedenti. Di conseguenza, i liberali sistemici devono denazificare (cioè de-liberalizzare) se stessi.

Conversione al patriottismo

Molti ex liberali degli anni ’90 avevano già preso la loro decisione nelle fasi precedenti, scegliendo tra la Russia con i suoi valori tradizionali e l’Occidente con i suoi valori liberal-nazisti. Questi hanno scelto la Russia e la tradizione. Ed è una grande e giusta decisione. Nessun problema con loro. Una persona può cambiare idea, può sbagliarsi, può perseguire obiettivi tattici, alla fine può peccare e pentirsi. Nessuno tirerà pietre agli ex-liberali che sono diventati patrioti. Ma un certo rituale di cambiamento dell’ideologia, una sorta di conversione al patriottismo, è comunque utile.

Sarebbe sbagliato convertire, come gli ebrei spagnoli al cattolicesimo, i liberali sistemici al patriottismo con la forza. È una questione di ideologia e di libertà di coscienza. E qui la violenza avrà solo l’effetto contrario. Ma l’élite dirigente della società in un momento così teso e decisivo dovrebbe essere composta da coloro che condividono pienamente gli interessi e i valori del paese che sta combattendo una guerra ontologica contro un avversario forte e potente – per gli interessi e i valori. E se l’élite non condivide i valori, e non capisce gli interessi, allora non ha senso essere un’élite – almeno quella al potere.

Oggi, la guerra tra la Russia e l’Anti-Russia globale è in pieno svolgimento. Sarebbe innaturale mantenere reti nemiche all’interno della Russia. Pertanto, se la sesta colonna sceglie la Russia, non può più essere chiamata “liberali di sistema”, suonando come contraddizione come essere “nazisti di sistema”. Lo stato attuale delle cose non lo permette.

La Russia deve diventare la Russia: la luce russa

La nostra vittoria non dipende solo dalle azioni eroiche del nostro esercito, dai successi della pianificazione militare e strategica, dal supporto materiale dell’operazione, dall’efficace gestione politica e amministrativa dei territori liberati, ecc. Dipende da quanto profondamente e completamente la Russia diventa Russia. Oggi l’appello all’Idea Russa non è un capriccio del potere. Anche i comunisti sovietici, per bocca di Stalin in una difficile situazione critica si appellavano al popolo russo, alla Chiesa ortodossa, alla Tradizione e alla nostra eroica storia. Oggi, nulla si oppone a questo. Tranne i pregiudizi dei liberali sistematici, che, spero, semplicemente non si sono ancora resi conto della gravità della loro situazione.

La gente sia in Russia che in Ucraina sta aspettando che Mosca dica parole vere. Un discorso vero. Un appello sincero al profondo dell’essere della gente. È ora di dire che questa operazione militare speciale appartiene alla categoria del sacro.

Oggi di nuovo un soldato russo e un cittadino russo nelle retrovie, un figlio russo e una madre russa, un prete russo e un poeta russo stanno decidendo il destino dell’umanità.

La Russia in lotta mortale con l’Anti-Russia si erge come una civiltà della Luce. Questo è il nostro interesse e i nostri valori. Portiamo ancora una volta la Luce al mondo, silenziosa, ma inestinguibile tranquilla Luce Russa.

Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini

26 marzo 2022

Fonte: https://www.ideeazione.com/russia-vs-anti-russia-interessi-e-valori/

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