Sovranismo, la rivoluzione dello Stato-nazione per una vera autonomia

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Che cos’è il sovranismo? Nasce proprio da questo interrogativo il convegno “Sovranismo: un progetto politico tra autonomia e crisi dello Stato-nazione” tenutosi al Pirellone, a Milano. Ed ecco le risposte

Che cosa è il sovranismo? Nasce e parte proprio da questo interrogativo il convegno “Sovranismo: un progetto politico tra autonomia e crisi dello Stato-nazione” tenutosi al Pirellone, a Milano. È stata l’occasione per parlare diffusamente del concetto e dell’essenza di sovranismo, in anni in cui le forze politiche italiane ed europee cosiddette sovraniste – “populiste e nazionaliste” – stanno facendo il pieno di consensi.

Il convegno, organizzato dalla Lega e dall’associazione “Tra il dire e il fare“, ha visto relatori importanti per analizzare una tematica quanto mai centrale nel dibattito politico di oggigiorno: Alfredo Pretto (Tra il Dire e il Fare), Stefano Bruno Galli (assessore all’autonomia e cultura regione Lombardia, Antonio Pilati (saggista e componente del Cda Rai), Stefania Craxi (senatrice di Forza Italia), Alessandra Ghisleri (sondaggista e direttrice di Euromedia Research), Daniela Santanchè (senatrice di Fratelli d’Italia), Gianmarco Senna (consigliere Lega in regione Lombardia) e il professore universitario Marco Gervasoni.

Ecco, è stato proprio l’ultimo libro di Gervasoni “La rivoluzione sovranista – Il decennio che ha cambiato il mondo” a offrire interessanti spunti al dibattito. Già, perché negli ultimi dieci anni, con la crisi economica e la crisi dell’immigrazione il Vecchio Continente è profondamente cambiato. E, per l’appunto, è arrivata puntuale una corposa riscoperta di un forte sentimento di identità nazionale. In Italia e altrove.

Il sovranismo, forse, è una sorta di nuovo nazionalismo, simbolo di un’Europa che rifiuta le istituzioni europee e l’euro. L’elite cosiddetta liberale e globalista ha fallito in toto, e l’informazione mainstream continua a farsi sempre più autoreferenziale, staccandosi sempre più – così come un certa politica – dalla “pancia del Paese”.

La globalizzazione ha portato con sé la crisi dello Statonazione, fatto di popolo, governo e territorio. Con la globalizzazione, appunto, lo Stato va a frantumarsi. “È proprio attraverso la dimensione territoriale che gli Stati possono riappropriarsi di quell’identità che è andata perduta con i processi di globalizzazione; il cittadino può così riappropriarsi dei propri diritti e doveri: la rivoluzione sovranista è qui” spiega Galli.

Ma il sovranismo è di destra o di sinistra? Bene, secondo Stefania Craxi non è catalogabile in questi termini: “Non è nessuna delle due cose. Semplicemente, è una reazione a una globalizzazione senza regole che cancella storie, identità, popoli e nazioni…”. Certo è però un fatto: gli establishment nazionali ed europei si trincerano e demonizzano il pensiero alternativo.

“Il sovranismo è di destra e di carattere nazionalconservatore: è questa cosa, in Italia, proprio non piace a quell’establishment schierato…”, sottolinea il prof. Gervasoni, che poi argomenta così: “Certo, esiste anche un sovranismo di sinistra – pensiamo a Syriza, Podemos e volendo anche al Movimento 5 Stelle, ma alla fine si è schiantato. E si è piegato all’establishment…”.

Sulla stessa onda, anche la senatrice Santanché: “Ma il sovranismo non può essere di sinistra. Perché il sovranismo oggi è una reazione al globalismo, a quella globalizzazione selvaggia che ci vuole trasformare in consumatori perfetti. Ecco, la classe media – specialmente quella italiana – ne è uscita distrutta. Il sovranismo è il contrario di questo processo: è l’orgoglio dell’appartenenza, è identità, è tradizione”.

Estremamente interessante dunque, l’analisi della Ghisleri che ha ricordato come poche settimane prima delle elezioni Europee il 65% dichiarava a Euromedia Research che sarebbe andato a votare per cambiare il rapporto con l’Europa. Per ribaltare questo meccanismo della scelta imposta dall’alto, che non piace per niente ai cittadinielettori, che desiderano invece di essere ascoltati e tutelati. Perché in fondo sarebbe proprio questo il compito della politica. E proprio per questo motivo, allora, non ci si può sorprendere per la nascita e la crescita (anche elettorale) di movimenti che nascono dal basso. Perché la gente chiede e vuole una rappresentanza politica diversa.

Sovranismo, controllo delle frontiere e autonomia è il trittico vincente secondo l’esponente del Carroccio Gianmarco Senna: “Il sovranismo nasce come meccanismo di autodifesa a questa globalizzazione che annienta la classe media, specialmente in Occidente. È l’unica risposta possibile per far funzionare – e bene – la macchina del Paese Italia. I giovani pagano il prezzo più alto di questa globalizzazione: mancanza di un lavoro stabile, di prospettive future…”. Il leghista, dunque, indica la rotta: “Ecco perché bisogna invertire il trend e la tendenza fortunatamente è già in atto: pensiamo a Trump negli States e Johnson in Regno Unito. L’autonomia, il recupero dell’identità nazionale rimane l’unica possibilità contro questo mostro fagocitante della globalizzazione, per far ripartire l’economia e per aiutare per davvero chi crea valore”.

La chiosa di Antonio Pilati è quanto mai significativa: “La globalizzazione, indotta dalla rivoluzione digitale, nei fatti ha portato l’Unione Europea a promuovere una negazione delle identità nazionali, quasi demonizzando le storie nazionali. Questo processo ha distrutto la classe media, polarizzando la società. Peraltro, la impoverisce, perché toglie il radicamento territoriale urlando slogan fasulli come ‘La vostra patria è l’Europa, il mondo…'”. Insomma, la globalizzazione in Occidente ha tolto reddito e identità: impoverisce e ti fa sentire straniero a casa propria. Ma nessun Paese dovrebbe mai rinnegare la propria storia.

Da http://www.ilgiornale.it/news/palermo/sovranismo-rivoluzione-dello-stato-nazione-vera-autonomia-1793197.html

“Berlino 1989? L’Europa è divisa in due e l’Est rifiuta il liberismo”

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di Alain de Benoist
Fonte: Barbadillo
Alain de Benoist, In questi giorni si celebra il trentesimo anniversario della caduta del muro di Berlino. In questo intervallo, hai spesso scritto che “il muro di Berlino non è caduto in tutte le teste”. È ancora la tua opinione?

“La riflessione era rivolta a coloro che non avevano ancora capito che nel 1989 la fine del sistema sovietico segnò sia la fine di un mondo (che rese possibile l’attuale globalizzazione), che quella del dopo la guerra, quella del ventesimo secolo e senza dubbio anche quella del grande ciclo della modernità. Ma oggi vorrei piuttosto criticare coloro che non vedono che la cortina di ferro è scomparsa solo per essere sostituita da un divario culturale. Nonostante la riunificazione, i due territori tedeschi – il renano-bavarese e il prussiano – sono ancora lì, e per molti versi l’ex Germania orientale ha più in comune con i paesi orientali vicini che con il ciò che ci eravamo abituati, erroneamente, a chiamare il “mondo libero”.
Non mi pento, ovviamente, della riunificazione tedesca, che è andata di pari passo con la riunificazione europea. Ma mi pento del modo in cui è stato fatta. La riunificazione avrebbe potuto essere l’occasione per un sorpasso simultaneo dei sistemi occidentali e orientali, mantenendo il meglio di ciascuno di essi e respingendo il peggio. Invece, abbiamo assistito alla totale annessione dell’ex DDR da parte della Germania federale. Approfittando delle circostanze, la Repubblica federale, per mezzo di Treuhand, alla fine acquistò la Repubblica democratica per sottoporla a una terapia di shock liberale-liberista, vale a dire a un regime di sfruttamento capitalistico di cui non aveva finito pagare il prezzo. Trenta anni dopo la riunificazione, la maggior parte delle persone in Sassonia, Brandeburgo e Turingia si sente ancora come cittadini di seconda classe”.

La riunificazione ha ancora determinato molte cose, in trent’anni …

“Certo. Ma la parola che riassume tutto è quella di delusione. Quando il sistema sovietico crollò, il popolo orientale aveva un’immensa speranza: credeva che avrebbe avuto accesso all’Eldorado di garanzie e ricchezza. Dopo di che, i tedesci dell’Est hanno scoperto le alienazioni del mondo postmoderno, la crescita dei profitti del capitale a spese di quelli del lavoro, la lotta di tutti contro tutti, in breve, un mondo molto più difficile di quanto pensassero. Hanno anche scoperto l’immigrazione e il multiculturalismo: un modello che è diventato per loro una vera e propria verità implicita. Questa delusione alimentava una qualche forma di “Ost-algia”. Ieri l’orizzonte era grigio e c’era scarsità di beni. Oggi ci sono i profitti insolenti per i più ricchi, la miseria per i più poveri e l’insicurezza per tutti. Ieri vivevamo in un regime che limitava le libertà, oggi in un sistema che privatizza la censura e istituzionalizza il pensiero unico. Il muro, simbolo odioso, proteggeva almeno la logica del mercato, la deregolamentazione dei prezzi, la privatizzazione selvaggia e l’atomizzazione sociale.
Di fronte, abbiamo assistito a una delusione simmetricamente opposta. Francis Fukuyama, leggendo un po ‘in fretta Hegel, aveva pensato di poter annunciare la fine della Storia e il trionfo planetario del modello capitalista liberale: le vecchie nazioni stavano per scomparire a favore del supermercato globale. Ma la storia è tornata – insieme a geopolitica e lotte di potere – e ciò che ha portato è lo scontro di civiltà, minacce climatiche, crisi finanziaria globale dilagante, guerre “umanitarie”, terrorismo e paura del futuro.
In Occidente, l’entusiasmo mostrato dalla gente dei paesi dell’Est durante la sua “liberazione” era stato dato per scontato immaginando che sarebbero diventati buoni studenti di democrazia liberale. Oggi scopriamo che i diversi paesi dell’Europa centrale e orientale non vogliono assomigliare affatto a noi, al contrario. Da qui la difesa di un Viktor Orbán a favore della “democrazia illiberale” e le sue critiche a “dogmi e ideologie dell’Occidente”. Da qui la rielezione trionfante di Jarosław Kaczyński in Polonia. Da qui il doppio successo nei Länder della Germania orientale, dei populisti dell’AfD (di cui si parla molto) e degli ex comunisti di Die Linke (di cui non parliamo abbastanza)”.

C’è da concludere che l’Europa è di nuovo divisa in due?

“Sì, in larga misura, e non me ne pento. Ma per prima cosa notiamo che l’Unione Europea ha un nome particolarmente malvagio, perché invece di unire l’Europa, l’ha doppiamente divisa. Divisione nord-sud con l’adozione di una moneta unica modellata sul marco che, dalla Grecia al Portogallo, è stato fatale per i paesi del Mediterraneo. Divisione est-ovest con flussi migratori che stanno accelerando sempre di più in Occidente e che i paesi orientali non vogliono assolutamente.
È tempo di ammettere che l’Europa orientale ha culture e storie politiche diverse dall’Europa occidentale. Riunisce paesi che sono più attaccati al popolo e alla nazione che allo stato perché non è lo stato che li ha partoriti. In Occidente, è l’opposto: lo stato ha preceduto la nazione che alla fine ha creato il popolo. Nemmeno i paesi orientali sono stati modellati dall’ideologia dell’Illuminismo. Oggi si rendono conto che la democrazia liberale è il prodotto di una storia unica che non è la loro e che lo stato di diritto non è il modo migliore per garantire la sovranità popolare e la permanenza delle nazioni. La loro identità è stata minacciata dal sistema sovietico, non vogliono vederlo distrutto dalla decadenza dell’Occidente e dalle richieste liberali di “libera circolazione di persone, merci e capitali”. Non è quindi deplorevole che cerchino di organizzarsi per modellare un’altra Europa. Dovremmo considerare questo come una speranza”.

(Intervista di Nicolas Gauthier)
Critica del Liberalismo – Libro

Intervista al ministro leghista Fontana: “Alleanza identitaria per influenzare il Ppe a Strasburgo”

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Foto: Tony Gentile/Reuters

“Dalla Svezia segnale importante: da ottobre parte il lavoro per le europee, puntiamo a essere il secondo gruppo al Parlamento Ue”

di Angela Mauro

“Il buon risultato dei Democratici svedesi è un segnale molto importante. A partire da ottobre avvieremo tavoli di lavoro con le altre forze identitarie europee per costruire insieme una piattaforma per le elezioni di maggio. Obiettivo realistico: diventare il secondo gruppo a Strasburgo e condizionare così le scelte del Parlamento europeo, magari costruendo una maggioranza con il Ppe per impedire che ce ne sia un’altra consociativa tra Popolari e socialisti”.

Lorenzo Fontana esulta per il risultato della destra di Jimmie Akesson alle politiche in Svezia. In questa intervista ad Huffpost, il ministro leghista, ex eurodeputato del Carroccio e mente della svolta sovranista della Lega, traccia le tappe del progetto politico di Matteo Salvini da qui alle europee di maggio 2019. Missione: conquistare Bruxelles e Strasburgo e cambiare i connotati all’Ue.

Partiamo dalla Svezia: l’exploit dei populisti non c’è stato, sebbene abbiano guadagnato consensi.

I sondaggi dell’ultima settimana li davano tra il 16 e il 19 per cento, direi che si sono rivelati giusti: i ‘Democratici svedesi’ sono andati oltre il 17 per cento, mentre i socialdemocratici sono in calo pure in Svezia, la patria della socialdemocrazia. E’ il trend degli ultimi dieci anni.

Ora che succede, da qui alle europee di maggio?

A breve, penso da ottobre, ci sarà una serie di tavoli di lavoro con le altre forze identitarie europee per costruire una piattaforma per le elezioni. Il primo dovrebbe essere a Vienna.

Per costruire un’alleanza… come la chiamate: sovranista? Populista? Identitaria? Continua a leggere