Zelensky a Sanremo

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di Antonio Catalano

Il Festival di Sanremo potrebbe essere l’occasione per il popolo italiano per seguire una competizione canora all’insegna della spensieratezza e del piacere di ascoltare nuove proposte. Ci sono sempre stati quelli che ogni anno si dissociavano perché la ritenevano una manifestazione nazional popolare, quindi priva di “cultura” alta, così esprimendo un atteggiamento radical chic. Il fatto, purtroppo, è che da un bel po’ di tempo, a partire dagli anni ’90, di competizione canora ce n’è ben poca, i giochi si fanno prima, a seconda dell’aria che tira e degli interessi commerciali della grande distribuzione discografica. Ma il fatto fastidioso è Sanremo diventato una grande passerella, alla quale sono invitati le “migliori” espressioni del pensiero, “artistico” e non, omologato. Operazione tesa a “educare” gli italiani secondo i dettami del pensiero uniformante, fatto di fluidità sessuale (e di regolari baci in bocca non etero), di antirazzismo da operetta, di ambientalismo della grande finanza, di trasgressività concordata con il potere e menate di questo tipo. Una sorta di prolungamento musicale di quel tg 1, che rimane la fonte di principale stordimento nazionale, in cui l’informazione è presentata come un susseguirsi di fatti trattati alla “Novella 2000”: gossip, luoghi comuni, banalità, re e regine, fatti presentati senza approfondimento critico eccetera (non che gli altri siano meglio, ma il tg1 è maestro in questo campo). Il Tg1 di ieri riserva in ultima notizia la “sorpresa” (oh, guarda un po’!) dei Maneskin super ospiti al festival, gli stessi che qualche giorno fa hanno inscenato la misera sceneggiata del “matrimonio” (come distruggere la sacralità di questo rito) prima dell’uscita del loro nuovo album “Rush”. Ma quest’anno la grande “sorpresa” è data dalla presenza nell’ultima serata (in collegamento da Kiev) di Zelensky. Operazione tramata dal gran ciambellano Bruno Vespa e raccolta con entusiasmo («Sono felice di avere questo collegamento») dal conformista baciapile dell’establishment dello spettacolo Amadeus. E qui non c’è più da scherzare. Si tratta di una vera e propria operazione di guerra (che si sa, si combatte anche con le armi della diplomazia, della cultura, dello spettacolo, dello sport, dell’arte…), che si inserisce nel quadro del pieno e sciagurato coinvolgimento bellico che i nostri governi hanno deciso da un anno a questa parte, con l’accelerazione atlantista del governo Meloni. E questo non si può accettare. Non si può accettare che il pupazzo ucraino (il cui popolo è diventato carne da macello per la strategia di dominio geopolitico americana) in quota Nato imperversi anche al festival di Sanremo, tradizionalmente grande appuntamento dell’intrattenimento nazionale. Qui non si tratta di spegnere la tv o girare canale, si tratta di esprimere la piena ostilità a questa campagna di guerra che stanno attrezzando sopra le nostre teste. Zelensky a Sanremo è il senso dell’accettazione della logica di guerra che gli americani vogliono infondere negli italiani (come nei popoli europei). Ben venga quindi qualsiasi manifestazione di protesta ferma e decisa tesa a impedire che questo scempio vada in onda sulla tv nazionale.
NO ZELENSKY A SANREMO!

Ma cos’è che brucia al “libero” Occidente?

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QUINTA COLONNA

di Antonio Catalano

L’esperienza insegna che nulla accade mai per caso nei rapporti tra gli Stati, che la “sensibilità” verso una questione, quale essa sia, quando ci sono di mezzo grandi interessi, addirittura geopolitici, è direttamente proporzionale alla possibilità di incidere sul corso degli eventi. Così “stranamente” accade che la Cina adesso sia nel mirino dell’apparato sanitario-mediatico, lo stesso che negli ultimi tre anni ha inoculato la religione atea cara alla grande distribuzione farmaceutica (signora Ursula von der Leyen perché non ci parla dei suoi messaggini privati con il capo di Pfizer?).
E così, chissà perché [ironia], proprio quando la Cina stringe rapporti più forti con la Russia e il mondo dei Brics si allarga (Algeria) aumenta l’isteria della mai sopita Cattedrale Sanitaria (che, naturalmente, agisce per conto terzi) la quale usa in modo del tutto arbitrario dati e numeri per convincere della necessità di tornare a misure restrittive che hanno dimostrato di avere una grande utilità nel campo del controllo sociale. Tant’è che Pechino parla di vero e proprio “sabotaggio”.
Al Libero Occidente brucia il fatto che Russia e Cina si parlino sempre di più. Ieri infatti Putin e Xi Jinping hanno tenuto in video-conferenza un colloquio non certo soltanto per darsi gli auguri di fine anno. Nella video-conferenza non si sono usate parole di circostanza. Tutt’altro. Putin: «Puntiamo a rafforzare la collaborazione tra le forze armate russe e cinesi […] Un posto speciale nell’intera gamma della cooperazione militare e tecnico-militare, che aiuta a garantire la sicurezza dei nostri Paesi e a mantenere la stabilità nella regione». Ancora: «Il coordinamento tra Mosca e Pechino nell’arena internazionale, anche nell’ambito del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai, dei Brics e del Gruppo dei 20, serve a creare un ordine mondiale equo basato sul diritto internazionale». Da parte sua, Xi Jinping si è reso «disponibile a rafforzare la collaborazione strategica».
Basta così per capire qual è la posta in gioco?
Video del colloquio Putin-Xi Jinping [durata: 10’26”]: 

Non finiremo per salvare il liberalismo, come progettano loro

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di Aleksandr Gelʹevič Dugin

Fonte: Antonio Catalano

«NON FINIREMO PER SALVARE IL LIBERALISMO, COME PROGETTANO LORO. FINIREMO PER “UCCIDERLO”, UNA VOLTA PER TUTTE» Aleksander Gelʹevič Dugin

[Il libro “La Quarta Teoria Politica” di Aleksandr Gelʹevič Dugin si conclude con il capitolo sulla guerra alla Russia nella sua dimensione ideologica; articolo pubblicato l’11 marzo 2014. Illuminante come il grande filosofo avesse antivisto il corso delle cose, descrivendo lo scenario che a molti sembra prendere avvio solo il 24 febbraio del 2022. Riporto di seguito alcuni passaggi decisivi dello scritto. Antonio Catalano]

La guerra contro la Russia è attualmente la questione più discussa in Occidente. Per ora è ancora un suggerimento e una possibilità, ma potrebbe diventare realtà, a seconda delle decisioni che prenderanno le nazioni coinvolte nel conflitto ucraino Mosca, Washington, Kiev, Bruxelles.
Nell’Occidente moderno, c’è un’unica ideologia dominante: il liberalismo. Può manifestarsi in molte sfumature, forme e varianti, ma la sua essenza è sempre la stessa. Il liberalismo ha in sé una struttura intrinseca fondamentale: individualismo antropologico, fede nel progresso, tecnocrazia, eurocentrismo, economia come destino, democrazia come governo delle minoranze, classe media come unico attore realmente esistente in campo sociale e unica forma universale, globalismo inclusivista.
Durante il XX sec. il liberalismo ha sconfitto i propri rivali, e dal 1991 è diventata l’unica ideologia dominante nel mondo.
L’unica libertà di scelta nel reame del liberalismo globale è tra liberalismo di destra, di sinistra o radicale, ivi compresi quello di estrema destra e dell’estrema sinistra, e quello più estremo. Di conseguenza, il liberalismo è stato installato come sistema operativo della civiltà occidentale e di tutte le altre civiltà che si trovano nella zona d’influenza occidentale. Perfino il senso comune è divenuto liberale.
C’è un aspetto dell’ideologia liberale che ha in sé il germe di una crisi: il liberalismo è intimamente nichilista. L’insieme dei valori propugnati dal liberalismo è legato a doppio filo alla sua tesi primaria, cioè la primazia della libertà. Ma la libertà, nella visione liberale, è una categoria sostanzialmente negativa: è essere “liberi da”, non “liberi di” o “per”. Il liberalismo avversa ogni forma di identità collettiva e ogni genere di valore, progetto, strategia, obiettivo, metodo che sia collettivista, o meramente non-individualista. Questa è la ragione per cui uno dei più importanti teorici del liberalismo, Karl Popper ha sostenuto, nella sua opera “La società aperta e i suoi nemici”, che i liberali debbano combattere qualsiasi ideologia o filosofia politica (da Platone ed Aristotele a Marx ed Hegel) che suggerisca che la società umana dovrebbe avere un qualche obiettivo o valore o significato comune. (È da notare che Georges Soros considera questo testo la sua bibbia personale).
La Russia, l’avversario geopolitico tradizionale degli anglosassoni, è un nemico molto più serio [di Afghanistan, Iraq, Libia, citati prima]. È perfetta per ricoprire quel ruolo – il ricordo della guerra fredda è ancora fresco negli animi di molti. La russofobia è facile da coltivare, anche con mezzi rudimentali. Ed è per questo che penso che la guerra con la Russia sia una prospettiva concretamente possibile. È ideologicamente necessaria come “extrema ratio” per posporre l’implosione definitiva dell’Occidente liberale. È quel “passo indietro” necessario.
Considerando i diversi piani di questo possibile conflitto con la Russia, sottolineo alcuni punti:
1. Una guerra con la Russia aiuterà a ritardare il caos globale imminente. La maggioranza delle nazioni implicate nel sistema economico liberale e liberal-democratiche, che dipendono o sono direttamente controllate dagli Usa e dalla Nato, faranno un’altra volta “fronte comune” sotto la bandiera dell’Occidente liberale nella sua crociata contro Putin, l’antiliberale.
2. Una guerra contro la Russia rafforzerebbe la Nato e soprattutto i suoi membri europei, che saranno ancora una volta obbligati a considerare l’iperpotenza americana come qualcosa di positivo e vantaggioso, e i vecchi schemi della guerra fredda non sembreranno più obsoleti. Per paura della venuta dei “malvagi russi”, gli europei torneranno leali agli Usa, loro protettori e salvatori.
3. L’Unione Europea sta cadendo a pezzi. La presunta “minaccia comune” dei russi potrebbe prevenirne un’eventuale frammentazione, mobilitando la società e rendendo i popoli europei di nuovo volenterosi di difendere le proprie libertà e i propri valori, minacciati dalle “ambizioni imperiali” di Putin.
4. La Giunta ucraina di Kiev ha bisogno di questa guerra per giustificare e seppellire tutte le malversazioni che risalgono alle proteste di Maitan, sia dal punto di vista giuridico che costituzionale, ratificando la “sospensione della democrazia”, che avrebbe impedito loro di governare nei distretti sudorientali, prevalentemente filorussi, e di stabilire la loro autorità e il loro ordine nazionalistico per via extraparlamentare.
L’unica nazione che non vuole la guerra è ora la Russia, ma Putin non può lasciare che il governo ucraino, radicalmente anti-russo, governi un paese che ha una popolazione per metà russa, e che è composta da molte regioni filorusse. Se lo permettesse perderebbe ogni credibilità a livello interno e internazionale.
La guerra russa non sarà solo a vantaggio degli interessi nazionali russi, ma sarà per la causa di un mondo multipolare più equo, per la dignità e la vera libertà – quella positiva, “creativa” non quella “nichilista”. In questa guerra la Russia darà l’esempio come tutrice della Tradizione, dei valori conservatori connaturati ai popoli, e rappresenterà la vera liberazione dalla società aperta e da chi ne beneficia – l’oligarchia finanziaria globale. Questa guerra non è contro gli ucraini e nemmeno contro una parte della popolazione ucraina, e non è nemmeno contro l’Europa. Non finiremo per salvare il liberalismo, come progettano loro. Finiremo per “ucciderlo”, una volta per tutte.

Indignazione a comando

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di Antonio Catalano

Fonte: Antonio Catalano

Il pensiero neoliberale, nella versione progressista, quello oggi dominante, quello per capirci che esporta la sua democrazia nel mondo, con tutto l’apparato ideologico che l’accompagna, domina/forma la cosiddetta opinione; la quale, guarda caso, ritiene di essere libera, libera cioè di produrre un pensiero che nasce liberamente dal proprio cervello. E guai a far notare che non è proprio così: ma come, non vedi che da noi esiste una tale pluralità di punti di vista che ognuno può scegliere quello che più gli aggrada? un po’ come avere il telecomando e scegliere il programma preferito. E comunque, per quanto possano esserci delle imperfezioni, da noi la democrazia ci permette un grado di libertà che altrove neanche si sognano. E se provi a far capire, come diceva un tale, che l’ideologia dominante è quella della classe dominante, e che la nostra libertà è inscritta in un cerchio ben delimitato, e che se provi a uscirne son cavoli amari, se va bene sei messo ai margini se va male puoi fare la fine di Julian Assange, o addirittura quella di Enrico Mattei, o dei morti per stragi, o dei tanti altri che la lista sarebbe chissà di quante pagine…

La cosiddetta opinione pubblica – cosiddetta perché l’opinione pubblica è un’invenzione, essa è direttamente formata da chi detiene i mezzi del convincimento di massa, dalla tv ai social – emerge a comando, e perché sia stuzzicata bene necessita che vi siano dei “diritti umani” violati (dal bambino spiaggiato alla lapidazione di una donna). Il che non vuol dire che si debba rimanere indifferenti al bambino senza vita spiaggiato o alla donna lapidata, ci mancherebbe altro; no, vuol dire semplicemente che l’opinione pubblica è in balia di operazioni di strumentalizzazioni che filtrano di volta in volta il fatto da esecrare in funzione di quanto sia quel fatto capace di suscitare determinate emozioni, con le quali poi giustificare determinati interventi, che niente hanno a che fare né con i sentimenti né tanto meno con la giustizia.
E così il nostro occidente, tanto sensibile alle sorti dell’umanità, che quando decide che in una parte di essa, da qualche parte del mondo, c’è bisogno di democrazia, subito interviene, naturalmente per esportare i “diritti umani”; e se proprio non è possibile farlo direttamente ecco che scatena una campagna di riprovazione tesa a far capire all’ “opinione pubblica” che non si possono tollerare certe nefandezze. È inutile, il mondo occidentale, quello della democrazia liberale, non può sopportare che nel mondo vi siano aperte violazioni dei diritti… a meno che non sia egli stesso a compierle, ma allora si sa, è solo per il bene delle popolazioni sottoposte a simili attenzioni. Come è successo per le due bombe atomiche sganciate sul Giappone ormai a fine guerra, o per il criminale bombardamento di Dresda… o per il Vietnam, l’Iraq, l’Afghanistan, la Jugoslavia, la Libia, la Siria…

E veniamo all’attualità, a quanto sta accadendo in Iran. Un’opinione pubblica che non sa neanche dove si trovi l’Iran e che lingua si parli, esprime la sua indignazione per i diritti delle donne violate. E nessuno che si domandi perché proprio ora si scatena questa campagna contro l’Iran… che vi sia la volontà di destabilizzare un paese che non ha intenzione di sottomettersi alla geopolitica americana, e che per giunta ha buoni rapporti con la Russia del terribile Putin?
I bravi democratici – quelli in salsa progressista poi sono i migliori – in prima fila a denunciare i diritti delle donne violate in Iran, e se qualcuno mette in evidenza la strumentalità di questa campagna, vai col complottismo. Dimenticando – dimenticando? – costoro che nella stessa area vi sono paesi dove le condizioni delle donne sono le medesime se non peggiori, Arabia Saudita tanto per dire… o in quel Qatar, dove tra un mese si terranno i mondiali di calcio.

Dell’incapacità degli intellettuali di dire qualcosa di intelligente

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di Antonio Catalano

Fonte: Antonio Catalano

Nella vicenda Draghi intellettuali e scrittori hanno prestato la loro firma per sostenere il “Migliore”, chi appellandosi al famoso senso di responsabilità, chi perché bisognava fermare il riscaldamento globale, chi perché se no i deboli sarebbero stati abbandonati a se stessi, chi perché c’è ancora l’emergenza pandemica, chi perché l’Ucraina, chi perché… E così ancora una volta ci si è resi conto di quanta stupida insipienza conformistica vi sia in quelli che, secondo un’ingenua credenza illuministica, dovrebbero invece essere fari del pensiero critico. Quanto aveva ragione il filosofo Costanzo Preve quando non molti anni fa diceva che una volta gli intellettuali (i dotti) erano generalmente più intelligenti delle persone comuni, oggi invece se intervistati dicono stupidaggini molto peggiori dei tassisti, dei baristi o delle casalinghe al mercato!  [In fondo il link del breve e gustoso intervento del filosofo torinese].
Vi è in costoro un atteggiamento talmente servile al potere che li porta a essere patetici. E non a caso li si piazza ovunque serva il loro “prezioso” servigio. Servigi naturalmente remunerati a suon di posizionamenti di rilievo nelle istituzioni accademiche e culturali, di presenze in tv con tanto di pubblicità per il loro ultimo libro, riconoscimenti e premi di ogni tipo. Sono talmente addomesticati che ripetono a pappardella i più triti luoghi comuni messi in circolazione dai centri di potere dominanti, che sia la questione pandemica, che sia la questione ucraina, che sia la questione climatica, che sia… A proposito di clima, leggo che lo scrittore di montagna Paolo Cognetti (di cui ho letto due romanzi che, a onor del vero, mi son piaciuti) ha lanciato un peana del sublime Draghi con tanto di richiamo al senso di responsabilità (ma di che?) e… alla necessità di fermare il riscaldamento globale. Ora io mi domando: che cacchio c’entra la fiducia a Draghi col riscaldamento globale? Cognetti comunque dando per scontato le gretinate sul clima. Questo non per parlare qui di clima ma semplicemente per sottolineare come vi sia una banalità dell’essere in questi intellettuali a la page per cui non avvertono alcun disagio nel dire o scrivere certe stupidate.
Mutatis mutandis, accade lo stesso nella scuola, dove comunque non si ha a che fare con “intellettuali” ma con insegnanti che dovrebbero preparare allievi nei vari ambiti disciplinari. Dovrebbero perché le conoscenze disciplinari non vanno più di moda. E così invece delle discipline insegnano la cittadinanza attiva e a rispettare le regole, quelle di una società nella quale impera il senso della precarietà e della concorrenza a ribasso tra i lavoratori; che il razzismo è una brutta cosa, salvo interrogarsi sulle cause dei processi migratori; che bisogna farla finita coi pregiudizi omofobi e sessisti, in nome di una fluidità di genere secondo la quale non esistono i sessi ma ognuno è quel che si sente di essere. E se c’è qualche allievo che, nonostante il bombardamento continuo, miracolosamente esprime riserve, costui è considerato come portatore di nefaste ideologie. Ne ho conosciuti di docenti che in nome di questa “apertura” mentale esercitano sui propri allievi un controllo a dir poco totalitario.  Mai che in questi solerti docenti sorga appena appena il dubbio che le cose possano essere inquadrate anche diversamente. Ripetono con vigore e diligenza quanto dice il pensiero corrente e dominate su agenda 2030, su riscaldamento globale a causa antropica, su fluidità di genere, su multiculturalismo eccetera. Ma sono di un’ignoranza abissale. Non leggono, non approfondiscono una questione, ed esprimono forte ostilità verso chiunque provi a introdurre complessità nei ragionamenti ultra semplificati ormai adatti solo per percorsi guidati e mappe concettuali.
Tornando a Preve e agli intellettuali, lui si spiegava l’incapacità degli intellettuali di dire qualcosa di intelligente col fatto che oggi ci si trova in una fase di capitalismo incontrollato e illimitato, in cui il dispotismo dell’economia è una forma di idolatria che deve succhiare ogni forma di sovranità della filosofia, dell’arte e della letteratura.  Siamo nell’epoca, diceva, in cui un signore inscatola la sua merda e la vende col nome di merda d’artista; ma, concludeva, una società che quota in borsa la merda dell’artista pagandola migliaia di euro anziché prendere a calci nel sedere questo signore per uno scalone è una società ovviamente malata.
Preve, Gli intellettuali oggi sono stupidi: https://www.youtube.com/watch?v=GnyMi1BgBrU

Tutto va bene, madama la Marchesa!

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di Antonio Catalano

Fonte: Antonio Catalano

I dati sull’affluenza elettorale dimostrano lo stato comatoso di partecipazione alla cosa pubblica, la distanza sempre più ampia tra politica e realtà sociale. Distanza alimentata da una gestione pandemica che non si vorrebbe mai far terminare, da una propaganda a stelle e strisce che schiaccia a logiche autodistruttive e mette al bando chiunque osi solo esprimere dissenso dalle versioni ufficiali, e per questo tacciato di putinismo. La questione sociale sembra non esistere più, altre devono essere le priorità. E mentre il titanic sul quale ancora galleggiamo inizia inesorabilmente a sprofondare sabato scorso faceva bella mostra di sé il grande evento della nostra decadente e sfasciata società dello spettacolo salutata dalla progressista “Repubblica” come una festa di balli e colori, con Elodie superstar.
Sulla natura e l’impatto ideologico di questa kermesse non dovrebbero esserci dubbi, perché è un fatto incontestabile che il gay pride è la testa di sfondamento della residua resistenza sociale e umana che il nostro stanco, invecchiato e nichilista mondo occidentale ancora riesce a mettere in campo. Sbaglia chi non vede collegamento tra la svaccata rappresentazione fetish dei desideri eretti a diritti di questa briciola di mondo e la triste fine di una civiltà che rinuncia a qualsiasi prospettiva, del tutto ormai priva di orizzonti, destinata alla resa demografica, in cui i figli si sostituiscono allegramente con quegli oggetti animati (ex animali) su cui riversare cure e affetti morbosi, in cui identità è parola oscena, figuriamoci poi quella sessuale. Con il bel mondo a indignarsi di qualche apprezzamento alpino al “gentil” sesso ma a sprofondare la testa sotto la sabbia dinanzi alle vere molestie espresse da qualche migliaio di ragazzini urlanti “Forza Africa!” accorsi a Peschiera del Garda una decina di giorni fa.
Quindi niente di strano che sabato scorso la “festa di balli e colori” veniva salutata dalla grande esportatrice di bombe umanitarie Emma Bonino come termometro della “salute di una democrazia”. «Dove c’è sfilata c’è libertà. Per cui bisogna tenersela stretta, con l’Europa che la tutela» esultava trionfante la libertaria Bonino. In buona compagnia di altri tutori della democrazia, tutti sgomitanti per farsi immortalare al fianco di Wladimiro Guadagno, in arte Luxuria.
Ma non c’era solo il bel mondo dello spettacolo e della politica ridotta a spettacolo: tra gli sponsor della fetisciata risultava Bankitalia. La quale aveva sollecitato i suoi dipendenti a partecipare all’evento con una mail invitata dal Responsabile diversità Riccardo Basso. La missiva, con tanto di Colosseo arcobaleno e logo della banca, dopo aver ricordato le origini di questa parata, spiegava che si tratta di «una giornata per la tutela di chi si riconosce nella comunità Lgbt+ e per la richiesta di normative inclusive e comportamenti rispettosi dell’essere umano». La banca centrale della Repubblica italiana forniva pure magliette per la sfilata, perché «sosteniamo le loro iniziative, che portano un grande valore aggiunto». Altro che inflazione al 6%!
È così difficile capire perché tanto da farsi da parte delle istituzioni politico-sindacal-cultural-economico-finanziarie per distruggere, tra le altre, l’identità sessuale, ossessione che porta all’assurdo teatrino britannico in cui ci si domanda con affanno se le donne possono avere un pene oppure no?

Il partito guerrafondaio e nemico del Popolo

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di Antonio Catalano

Fonte: Antonio Catalano

Non c’era bisogno della famosa zingara per indovinare: il PD rappresenta il partito che, senza far passare un minuto, dichiara con il suo magnifico Letta che non c’è da perdere tempo, che non rimane altro da fare che subitaneamente allinearsi ai voleri americani, spingere quindi su sanzioni e guerra. Offrendo, di conseguenza, uno scenario al nostro Paese di disastro energetico e catastrofe economica, che naturalmente dovrà scaricarsi sui ceti produttivi e popolari.
Non che gli altri partiti abbiano applaudito Putin, tutti condannano il riconoscimento degli stati del Donbass, dimenticando (?) che per il Kosovo questa attenzione non è stata usata. A proposito del Kosovo, forse non tutti sanno che ben 95 (su 193) membri dell’Onu non lo riconoscono come stato indipendente, e tra questi vi sono 5 (su 27) dell’UE (Spagna, Cipro, Romania, Grecia e Slovacchia). Queste altre forze politiche, comunque, chi in un modo chi in un altro, esprimono una certa titubanza a spingere sull’acceleratore, dichiarando (naturalmente sempre in regime di sudditanza atlantica) di voler privilegiare l’interlocuzione e una via d’uscita diplomatica.
Il PD invece non ha dubbi, mostra di essere il più coerente e agguerrito rappresentante degli interessi americani in Italia. Nell’intervento finale alla Direzione del PD il suo segretario Letta dichiara con schiuma alla bocca: «Il Parlamento si riunisca il più rapidamente possibile e l’Italia rigetti questa scelta e chieda all’Unione europea di prendere le decisioni conseguenti, le più dure possibili. Perché se la legge del più forte, se la legge della jungla diventa la legge con la quale si stabiliscono i confini in Europa, per noi questo è inaccettabile. Il PD chiede al Governo di portare in sede europea tutta l’indignazione e la condanna dell’Italia. Chiede all’Europa di reagire: non all’acqua di rose come ogni tanto è capitato in questi anni ma di reagire con durezza rispetto alla scelta che rappresenta un cambio completo di paradigma della storia europea».
Questi guerrafondai parlano di legge del più forte, di legge della jungla… come se non avessero sempre appoggiato le più vili aggressioni a stati sovrani; come è successo in Afghanistan, in Iraq, in Siria, in Libia, solo per citarne alcuni, ma senza dimenticare l’infamia della partecipazione della nostra aviazione ai bombardamenti della Serbia nel 1999, con D’Alema presidente del consiglio. Reclamano decisioni le più dure possibili.
Capito di chi stiamo parlando? Di un partito che si fa tutt’uno con le ragioni del suo stato di riferimento (Usa), che, con la maschera del democratico Biden, ringhia rabbioso, ben consapevole che la fase della supremazia americana appartiene alla storia. Naturalmente, questo farsi tutt’uno diventa “naturale” quando sono i dem lì a governare, con ciò confermando che l’avversione a Trump scaturiva non dal fatto che questi fosse troglodita sessista e omofobo (vale per i fessi), ma dal fatto che, in quanto repubblicano, Trump esprimeva una minore propensione ad avventurarsi fuori del tradizionale cortile di casa.
Sappiamo chi è il pericolo principale in casa nostra!

UE vs Polonia: l’oligarchia tecno-finanziaria contro i Popoli

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QUINTA COLONNA

di Antonio Catalano

Fonte: Antonio Catalano

L’Unione europea che accusa la Polonia di non essere uno stato di diritto è un vero ossimoro, visto che la prima non rispetta nessuna distinzione tra potere esecutivo e legislativo. La Commissione europea attacca Varsavia in difesa dei “valori” comuni, come se l’Ue fosse dotata di una Costituzione (bocciata dai francesi nel referendum del 2005) e non fosse soltanto un Trattato. Perché molto spesso gli europeisti tutto d’un pezzo fanno finta di dimenticare che l’Ue non è uno stato federale, ma è un semplice trattato economico tra stati europei (ma non è l’Europa!). Infatti, lo stesso Regolamento Ue 2020/2092 che si fonda sull’interesse finanziario dell’Unione è stato ritagliato su misura per vincolare i trasferimenti finanziari ai desiderata di Bruxelles.

La Commissione europea di Ursula von der Leyen sta facendo opera di “persuasione” per spingere perché si vada a una ulteriore erosione delle prerogative delle singole nazioni. Persuasione democratica per cui o si fa quel che dice l’Unione (che è la logica del Recovery) o ciccia. La Commissione europea non perde tempo: congela l’approvazione dei 36 miliardi del Recovery alla Polonia, sospende i pagamenti del bilancio ordinario, sospende il diritto al voto sull’opzione nucleare dello Stato “colpevole”.

Ma quale atto inaudito ha compiuto la Polonia di Morawiecki? Recentemente il Tribunale costituzionale di Varsavia ha definito non conformi alla Costituzione gli articoli 1 e 19 del Trattato sull’Ue, in soldoni la Polonia non può accettare la supremazia dei Trattati europei sulla propria Costituzione. Apriti cielo! Cosa si mettono in testa questi sovranisti polacchi? Già nel luglio di quest’anno la Corte europea aveva censurato la Sezione suprema disciplinare nazionale polacca, incaricata di indagare sugli errori dei magistrati, affermando che detta sezione non è imparziale e minaccia lo Stato di diritto e l’indipendenza delle doghe. Ma Morawiecki non ci sta a subire la pressione eurocratica: «È inaccettabile imporre la propria decisione ad altri senza alcuna base legale. Ed è tanto più inaccettabile usare il linguaggio del ricatto finanziario per questo scopo e parlare di sanzioni. Non accetto che la Polonia venga ricattata e minacciata dai politici europei».

La Polonia sta dimostrando di avere una tempra di ben altra consistenza degli italiani, che fanno a gara per dimostrare di essere disciplinati scolaretti, specialmente ora che le operazioni sono state affidate all’ ex governatore della Bce. In area global-progressista si sghignazza contro i sovranisti (o presunti tali), «questo grumo ideologico di nazionalismo securitario e xenofobo», come ebbe a dire due anni fa Massimo Giannini. Così che anche la progressista Treccani introduceva nel suo vocabolario una interessante distorsione semantica della parola sovranismo, “sovranismo psichico”, voce elaborata sulla base delle interpretazioni date da Roberto Ciccarelli sul “Manifesto” (il sovranismo «assume i tratti paranoici della caccia al capro espiatorio»). Il sovranismo come patologia psichiatrica quindi, «una nuova malattia, un fatto psichico», come suggellò il maitre a penser della psicanalisi progressista, Massimo Recalcati.

Quindi l’ex ministro piddino della Giustizia Andrea Orlando era ancora affetto da questa malattia psichica quando nel suo intervento alla Festa del FQ del 2016 si lasciò sopraffare dalla sincerità dichiarando che il “pareggio di bilancio” introdotto nella nostra Costituzione era in fondo il risultato di un golpe (notturno) della sua maggioranza? Una riforma «sostanzialmente passata sotto silenzio», per niente il frutto di un dibattito nel Paese. Parole testuali di Orlando: «Oggi noi stiamo vivendo un enorme conflitto tra democrazia ed economia. Oggi sostanzialmente i poteri sovranazionali sono in grado di bypassare completamente le democrazie nazionali. I fatti che si determinano a livello sovranazionale, i soggetti che si sono costituiti a livello sovranazionale, spesso non legittimati democraticamente, sono in grado di mettere le democrazie di fronte al fatto compiuto». La Bce più o meno disse: «O mettete questa clausola nella vostra Costituzione, o altrimenti chiudiamo i rubinetti e non ci sono gli stipendi alla fine del mese». Per poi dire che quella fu una delle scelte «di cui mi vergogno di più, mi vergogno di più di aver fatto».

Ora i suoi sodali di partito affettano scherno, sufficienza, arroganza, sorrisini arroganti (mi viene in mente la faccia beffarda di Matteo Ricci) quando dicono che o si è sovranisti o si sta nell’Europa. Volutamente ignorando, ancora una volta, che Ue e Europa sono due soggetti distinti. Tanto per capirci, nell’Europa ci sta anche la grande Russia. O no, cari traditori dei popoli?