In difesa della virilità

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TORNA IN LIBRERIA IL SAGGIO DEL FILOSOFO DI HARVARD HARVEY MANSFIELD

 

Virilità di Harvey Mansfield, appena uscito, non è un testo contro il femminismo, e ciò va detto non per mettere le mani avanti, o per dire che la coincidenza con lo scandalo generato dalle parole di Alessandro Barbero (scandalo sciocco) sia assolutamente casuale, ma per prevenire quello sdegno isterico che nell’epoca della cancel culture si lancia all’istante contro alcune parole non appena vengono pronunciate. In cosa ha origine questo astio furioso e generalizzato?

Quando, a partire dagli anni Settanta, il pensiero femminista ha disconosciuto le sue origini liberali, si è convertito irrevocabilmente a un nichilismo avverso tanto alla natura quanto al senso comune, ostentando un nuovo obiettivo: l’avvento della società sessualmente neutra, nel nome della neutralità di genere. A farne le spese, quelle virtù ree di sottendere qualsiasi rimando alla differenza sessuale. Virtù dimenticate o ridotte a stereotipi antiquati, come nel caso della virilità. In suo soccorso, Mansfield si riappropria, virilmente, dello spazio per lodarla.

Perché la virilità è precisamente una virtù; e tra tutte, quella politica per eccellenza. La virilità è stata fraintesa. Non è affatto aggressività, machismo, tracotanza. Al contrario, è quel complesso di assertività, sicurezza di sé, coraggio attraverso cui l’uomo asserisce se stesso e afferma la sua importanza, sulla natura, sugli altri uomini e sulla minaccia del nulla. La virilità non è una virtù astratta; la virilità chiama l’individualità: la sua stessa essenza è l’irripetibilità del singolo che la impersona. E questa è l’origine del fraintendimento, così come è per questo motivo che la scienza (nelle specifiche vesti della psicologia sociale e della biologia evoluzionistica) fallisce nel descriverla: la virilità non è un concetto, non è passibile di definizione universale.

L’universalità, anzi, le è letale; è l’orizzonte nel quale essa perisce, quello dell’egualitarismo ad ogni costo, del controllo razionale e dell’uniformazione. Per dar voce alla virilità occorre allora rivolgersi a quelle discipline che della singolarità e del comune sentire si nutrono: la letteratura, la storia e, in una certa misura, la filosofia. Attraverso una ricca rassegna di figure, da Theodore Roosevelt al vecchio di Hemingway, da Kipling a Stevenson, passando per i filosofi pionieri del liberalismo e terminando con l’etica e la politica incontaminate di Platone e Aristotele, Mansfield ci racconta la virilità e il suo valore per l’essere umano, smascherando la stoltezza dell’ostilità ad essa dichiarata non in nome di valide ragioni, ma per partito preso.

Virilità è una lode evocativa e carnale, talvolta nostalgica e disillusa, di una virtù con la quale siamo stati spesso ingenerosi, perseguendola sempre senza mai chiamarla per nome. Una virtù che, certamente, pertiene anche alle donne, purché siano disposte ad emanciparsi dall’inganno di quel sedicente femminismo che le vorrebbe non solo uguali agli uomini, ma anche uguali tra loro; a patto, cioè, che si riapproprino della loro individualità, della loro differenza: è sicuramente più virile rivendicare il diritto di non esserlo che affermare che la virilità sia sessualmente neutra.

Fonte: https://www.nicolaporro.it/in-difesa-della-virilita/

Green pass ok, l’Italia di Mario Draghi non si è fermata

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di Antonello Barone

L’Italia di Mario Draghi non si ferma. Non si è fermata. Ieri gli italiani hanno lavorato, si sono spostati, hanno studiato, sono andati nei ristoranti, negli uffici, in vacanza, nei cinema, nelle biblioteche. Le merci hanno viaggiato e sono entrate e uscite dai porti. I servizi essenziali hanno funzionato: mobilità pubblica, ospedali e scuole non hanno subito significativi inconvenienti. Gli sportelli della pubblica amministrazione hanno riaperto al pubblico, tutti insieme.

Chi non si è ancora vaccinato, chi non ha potuto dimostrare con il tampone rapido o molecolare di essere negativo al Covid, non ha bloccato il sistema. Semplicemente è rimasto a casa, in aspettativa non retribuita. L’Italia è green. Semaforo verde per la stragrande maggioranza di lavoratori che sono potuti entrare regolarmente a lavoro.

Un’Italia vaccinata e sempre meno contagiata. Fiduciosa grazie al proprio senso civico e alla fiducia nella scienza che la pandemia sarà presto alle nostre spalle. Pronta a seguire le regole, severe, ma di buonsenso di un governo che ha deciso di non scendere a compromessi con chicchessia sulla salute dei propri cittadini, per mera paura del dissenso.

Il governo ha tenuto fede al principio democratico della forza della maggioranza. Perché il popolo dei novax, degli indecisi, degli ipocriti del “mi vaccino dopo perché non mi fido, vediamo prima cosa capita agli altri”, degli approfittatori che vogliono destabilizzare il quadro democratico è davvero una piccola minoranza. Chiassosa ed eterogenea, in alcune componenti anche pericolosa, ma pur sempre una minoranza. E come tale va trattata.

Con rispetto, ascoltandone le ragioni e le motivazioni quando espresse nell’alveo delle regole democratiche, ma senza assecondare la loro sindrome di Aristotele. Chi pretende di voler avere sempre ragione e si sente superiore, in realtà è affetto narcisisticamente da una propensione a non avere il dubbio di poter essere nel torto. Ma chi pretende che la propria presunta ragione prevalga sulla maggioranza delle opinioni contrarie, sulla fattualità dei dati, sulle evidenze empiriche è un pericolo per la democrazia.

Occorre stare all’erta soprattutto quando l’ego di queste persone viene solleticato dai cinici che ne cavalcano le posizioni per averne un ritorno meramente utilitaristico. Cosa pensare di chi protesta legittimamente convito delle proprie ragioni, protetto dal diritto costituzionale della libertà di pensiero, consente che altri dal passato oscuro si impadroniscano della sua rivendicazione per spargere violenza, odio, sedizione?

Le scene della devastazione della sede della CGIL sono state il 6 gennaio italiano. Come l’attacco al Congresso americano, anche la distruzione furiosa e il bivacco inscenato nella sede di Corso d’Italia, ci riporta all’evidenza dell’insensatezza di gesti collettivi compiuti da persone ignare realmente di quello che stanno compiendo. Come i topi nella fiaba del pifferaio magico, le masse a volte vengono soggiogate dalla flautata propaganda di pochi. La reazioni del sistema istituzionale e la vicinanza delle istituzioni al sindacato è stata un balsamo, ma resta l’evidenza che non tutti i partiti siano disposti a rinunciare al consenso di questa parte minoritaria dell’elettorato.

Così in un filo rosso che lega le scene di solidarietà alla CGIL del governo per l’attacco subito e la decisione dello stesso governo di non assecondarne le ultime richieste sul green pass unisce plasticamente la forza del rispetto per tutti gli attori democratici e il coraggio dell’autonomia nel svolgere il ruolo esecutivo che consiste in ultima analisi nel prendere decisioni e attuarle

In un Paese abituato al rinvio dell’ultimo secondo, alla certezza confortata dall’abitudine reiterata in ogni circostanza che i limiti temporali previsti dalle norme siano solo orizzonti mobili facilmente rinviabili ogni qualvolta si giunga nei loro pressi, deve essere stata una sorpresa il fermo no di Draghi posto ai sindacati alla loro richiesta di rinvio dell’efficacia nel green pass per i lavoratori.

Il governo ha mantenuto il punto, non ha sconfessato la propria strategia neanche cedendo sul tema dei tamponi gratuiti. Saper tenere fede per coerenza ad una posizione ritenuta fondamentale può apparire evento consueto nelle democrazie mature, ma non è un cosa che abbiamo spesso visto fare ai governi italiani.

La spinta gentile del green pass ha funzionato. I tempi sono stati adatti per consentire ai ritardatari di rimediare alla loro titubanza. Oltre l‘85,26% degli italiani ha fatto almeno la prima dose del vaccino. Nell’ultima settimana l’incremento rispetto a quella precedente è stato del +34%. Il sistema ha retto. Molti indecisi e i riottosi sono stati convinti e sospinti alla vaccinazione.

Gli ultimi probabilmente non lo saranno. Ma è stato dimostrato, grazie alla fermezza dell’esecutivo, pronto a verificare la giustezza della propria decisione che i novax non hanno la forza per fermare il sistema. L’Italia corre verso la fine del tunnel della pandemia e si avvia a una stagione di ripresa economica.

Scienza e democrazia sono gli artefici di questa condizione. E anche Aristotele ne converrebbe. 

Fonte: https://www.nicolaporro.it/economia-finanza/economia/green-pass-ok-litalia-di-mario-draghi-non-si-e-fermata/?utm_source=nicolaporro.it&utm_medium=link&utm_campaign=economiafinanza

IL FINE DELLA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA SIA IL BENE COMUNE: NESSUNO TOCCHI ABELE!

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L’EDITORIALE

di Matteo Castagna*

La questione della riforma della Giustizia, in Italia, è annosa e costante. Ora, sembrerebbe che vi fosse un’accelerata verso qualcosa che appare necessario, se non indispensabile. Sarebbe, però, riduttivo, se non addirittura fuorviante, dividersi tra “giustizialisti” e “garantisti”. 
Non possiamo giungere ad una “giustizia giusta” se non partiamo con le idee chiare sul concetto di bene comune. Il Prof. Danilo Castellano, dell’Università di Udine, col quale ho avuto il piacere di discutere a lungo nei giorni scorsi, è un maestro in materia, perché nel suo “Politica. Parole chiave” (collana De Re Publica – Edizioni Scientifiche italiane, 2019) al Capitolo IV ci dà una risposta ad una domanda fondamentale, che può divenire la radice di una vera e strutturata riforma.
 
Siamo davanti a tre modi di intendere il bene comune, che sono diversi tra loro ed erronei. Due di questi sono accomunati pur nella loro opposizione: il bene comune come bene pubblico e il bene comune come bene privato, infatti, fanno propria la “libertà negativa” anche se il primo ne assegna l’esercizio allo Stato, il secondo all’individuo (proletariato). Il terzo modo di intendere il bene comune è dato da una mancanza di chiarezza anche se si continua a riconoscere che la giustizia è il fine e la regola della politica. Già Sant’Agostino insegnava che fine e regola della politica è la giustizia, ma senza consentire l’accoglimento della “libertà negativa”, sotto nessuna forma e in nessun settore, perché propria del liberalismo, che va rifiutato in toto, perché relativista e anticattolico. La “libertà negativa” indica la possibilità che qualcuno abbia di agire senza che nessuno intervenga a ostacolarlo o anche la decisione di rimanere passivo, senza che nessuno lo costringa a non agire. La stessa situazione vale, se uno dei due soggetti contrastanti (chi agisce o chi vuole fermarlo), o ambedue, non sia rappresentato da esseri umani come quando, per esempio, si dica di essersi liberati dal timore delle forze della natura o quando un ente naturale come un fiume è libero di seguire il proprio corso, quando non ne è impedito da sbarramenti o dighe.
Il bene è ciò che cui ogni cosa tende per natura. La comunità politica è naturale; non può, quindi, che avere un fine naturale. Dunque, un bene da conseguire che è sottratto alla scelta, vale a dire all’opzione, alla disponibilità degli esseri umani. La loro stessa vita associata è un dato naturale e necessario, che non dipende da valutazioni, calcoli, decisioni. E’ evidente che ci deve essere, come c’è, un bene proprio della comunità politica. Con Aristotele potremmo rispondere che il bene politico è lo stesso bene del singolo uomo, seppur il bene della polis è manifestatamente qualcosa di più grande e di più perfetto rispetto al bene del singolo, perché perseguire e salvaguardare quello comune è più bello e più divino (Etica a Nicomaco, I, 1094b). Il bello è inteso come lo splendore della forma, che rivela l’essenza perfetta di una cosa. Divino è ciò che è dato dagli dei e agli dei solamente appartiene. Quindi è da comprendere, da rispettare e, nel caso politico, da assecondare. Per giungere all’organizzazione migliore della comunità politica serve conoscere la sua natura ed il suo fine (Aristotele, Etica a Nicomaco, X, 1181b).
Perciò si può concludere che il bene comune è il bene proprio di ogni uomo in quanto uomo e, perciò, bene comune a tutti gli uomini. Si tratta di un bene intrinseco alla natura dell’essere umano e inalienabile. Esso è anche il bene proprio della comunità politica, poiché questa è costituita da uomini e da altre società umane naturali (famiglia e società civile) che esistono in funzione dei beni dell’uomo ma che non sono nella condizione di aiutare l’uomo (cosa che la comunità politica fa principalmente con l’ordinamento giuridico giusto) a conseguire il bene che, per quel che riguarda il tempo, è la vita autenticamente umana, cioè la vita condotta in conformità all’ordine naturale proprio dell’essere umano. 

Ci si ricordi che il bene comune si raggiunge attraverso una giustizia giusta, ovvero costruita affinché nessuno tocchi Abele, non Caino!
*Responsabile Nazionale del “Circolo Christus Rex-Traditio” – articolo messo a disposizione di riviste e giornali

Riparte il turismo e trova l’immigrazione sostanzialmente fuori controllo

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L’EDITORIALE DEL LUNEDI PER InFORMAZIONE CATTOLICA.IT 

di Matteo Castagna

NELL’ULTIMO PERIODO CIRCA 14.000 PERSONE, DICONO LE FONTI UFFICIALI

Non pochi politici italiani si sono posti il problema della conciliabilità tra la ripresa del settore turistico e la sua compatibilità con un’immigrazione sostanzialmente fuori controllo. Anziché pensare a fare degli omosessuali delle “specie protette” modello panda, in barba al diritto naturale, o a imporre la tassa di successione a chi non arriva a fine mese perché non può lavorare a causa di restrizioni assurde quanto inutili, c’è anche, dal lato destro dell’emiciclo parlamentare chi pensa al rilancio del turismo in un Paese come l’Italia. E, per fortuna, si nota che possa faticare ulteriormente se continuano a sbarcare migliaia di clandestini. Circa 14.000 persone, nell’ultimo periodo – dicono le fonti ufficiali.

Non è giusto che degli innocenti muoiano in mare, perché sarebbe giusto che i barconi della morte non partissero. Poiché abbiamo capito tutti che vi sono interessi economici importanti dietro la tratta dei “nuovi schiavi”, la vera carità dovrebbe vedere impegnata l’Europa nella realizzazione di trattati internazionali ed aiuti mirati nelle terre di fuga, sul modello di quanto fece il governo Berlusconi con Gheddafi, donando all’Italia e all’Africa un periodo di tranquillità, pace e tolleranza, perché quanto alla redistribuzione degli immigrati, l’Unione Europea sembrerebbe fare orecchie da mercante.

Inoltre, la redistribuzione è un concetto sbagliato in sé per due motivi: 1) Gli esseri umani non sono delle merci da destinare di qua o di là. 2) L’immigrazione di popolamento costituisce un fenomeno profondamente negativo, perché è lo sradicamento forzato di gente che, potenzialmente, potrebbe star bene nella sua Patria. Dunque l’Europa dovrebbe lavorare, da un lato, alla messa in atto di politiche che favoriscano la natalità negli Stati membri e dall’altro al blocco dei confini per favorire non solo un graduale rimpatrio dei clandestini ma anche delle situazioni di benessere e stabilità che fermino questo continuo ed indecente racket. La responsabilità spetta, infatti, non all’immigrato, ma alla logica del capitale, che, dopo aver imposto la divisione internazionale del lavoro, ha ridotto l’uomo allo stato di merce delocalizzabile.

San Tommaso d’Aquino, nella Summa Teologica (I-II, q. 105, a. 3) spiega che “con gli stranieri ci possono essere due tipi di rapporto: l’uno di pace, l’altro di guerra” (in corpore). Innanzi tutto non li si accoglie subito come compatrioti e correligionari. Aristotele insegnava che “si possono considerare come cittadini solo quelli che iniziano ad essere presenti nella Nazione ospitante a partire dal loro nonno” (Politica, libro III, capitolo 1, lezione 1). Quindi, capiamo, che fin dall’antichità nessun saggio prendeva in considerazione lo “ius soli”. Forse, Aristotele avrebbe, invece preso per sovversivo dell’ordine nazionale chi si fosse sognato di propugnare tale ingiustizia…È chiaro che per l’Angelico si può permettere agli stranieri, che sono di passaggio nella Nazione (se sono pacifici e se si integrano nella cultura e nella religione del Paese che li accoglie), di restarvi.

Ma vi pare il caso generale contingente? Se sono ostili, come le orde di musulmani che ci invadono per conquistarci all’islam o per delinquere, allora vale la legittima difesa, che porta la Nazione invasa a respingere lo straniero, che è un ingiusto aggressore: “vim vi repellere licet / è lecito respingere la forza con la forza”, alla faccia del buonismo interessato di certuni, che non è accoglienza ma business camuffato. Mentre l’Italia deve fare lecito business col turismo, grazie alle meraviglie di cui dispone grazie alla civiltà classico-cristiana ed alla natura.

Fonte: https://www.informazionecattolica.it/2021/05/24/riparte-il-turismo-e-trova-limmigrazione-sostanzialmente-fuori-controllo/

È necessario togliere ai liberal-progressisti l’ideologia “green”

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L’EDITORIALE DEL LUNEDI su Informazione Cattolica (Rubrica settimanale del nostro responsabile nazionale Matteo Castagna)

di Matteo Castagna

LE IDEE ECOLOGISTE DI GRETA TINTIN ELEONORA ERNMAN THUNBERG, RELATIVE AI CAMBIAMENTI CLIMATICI, AFFONDANO LE RADICI NEL COSIDDETTO PANTEISMO

La figura di Greta Tintin Eleonora Ernman Thunberg sembrerebbe un po’ appannata, certamente in ombra, almeno da quando è iniziata la pandemia. Le sue idee ecologiste, relative ai cambiamenti climatici, affondano le radici nel cosiddetto panteismo.

Il sistema progressista o liberal si è servito di una bambina svedese, con la sindrome di Asperger, per impietosire il mondo e colpirlo nel suo più irrazionale sentimentalismo così da far passare l’ “ideologia green”, che è solo un modo più elegante e mediaticamente carino rispetto al più brutale “panteismo pagano”, che i Verdi non sono mai riusciti a far passare, nonostante decenni di propaganda.

In realtà, il messaggio ecologista di Greta non necessita più di lei, perché grazie a chi se n’è servito, è divenuto un nuovo dogma della post-modernità, che fa parte della rimodulazione dell’economia, della politica, della società e della religione che sarà la conseguenza più evidente del periodo che seguirà il Covid. Se ne parla poco, perché tutto ciò che è “green” viene venduto e percepito da tutti come una cosa buona, a prescindere.

L’uomo d’oggi, perso nel suo assurdo nichilismo, non vede differenze di rilievo tra il disquisire della vita sessuale delle foche e della liceità dell’utilizzo delle staminali umane per produrre farmaci sperimentali. Alle volte, sembrerebbe addolorato fino al pianto per la morte di un cane ed indifferente di fronte alla difesa dell’aborto volontario come diritto umano. Anzi, chi si adopera di fronte alla presunta estinzione del panda viene considerato un eroe, mentre chi lotta perché l’utero in affitto sia riconosciuto come una indegna mercificazione dei bambini è preso per Conan il barbaro.

Sono riusciti nell’intento di impossessarsi della tematica ecologica, trasformandola in ideologia panteista, che identifica Dio nel mondo, a coronamento dell’ illuminismo filosofico e del socialismo politico che identificano Dio nell’uomo. Con la conseguenza che Dio sarebbe nel “tutto” e nel “niente”, annullando, così, ogni riferimento metafisico proprio della nostra identità classico-cristiana.

In realtà, sganciando la tematica relativa al creato dall’ideologia globalista, scopriamo che esiste un vero amore per animali e piante, che è insito nella cultura tramandata da Aristotele e da San Tommaso d’Aquino, che permea la nostra identità e non ha nulla a che vedere con le questioni new age che ci vengono continuamente propinate. Parliamo del dominio che l’uomo ha per natura sugli animali e sulle altre cose prive di ragione. Continua a leggere