Il pensiero di Michela Murgia, un’antropologia piegata sulla volontà soggettiva

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di Francesco Ognibene – 12/08/2023

Il pensiero di Michela Murgia, un'antropologia piegata sulla volontà soggettiva

Fonte: Avvenire

Di quali “diritti” era paladina Michela Murgia? Cosa sono le “famiglie queer”? E perché la notizia della sua morte prematura è stata celebrata dai media con l’enfasi che si dedica a un profeta inascoltato, al difensore di aspirazioni calpestate, quasi ci avesse lasciati un Gandhi scrittore?
Sia chiaro che qui non discutiamo la caratura letteraria e lo spessore intellettuale della scrittrice sarda, ma una volta ancora colpisce molto come la comunicazione sembri sganciare la persona dal personaggio, la donna e l’autrice di romanzi e saggi da ciò che ha finito per rappresentare sulla scena pubblica, specie dopo l’intervista concessa in maggio al Corriere, nella quale oltre a raccontare della sua malattia ormai giunta all’ultima tappa aveva anche parlato della sua “famiglia queer”, definizione ignota ai più ma sufficiente a crearle attorno un alone di avvocata delle cause “scomode”. Una fama che negli anni si era andata consolidando con scritti, interviste e discorsi in cui si era resa protagonista di battaglie per la schwa – la “e” capovolta che al termine di una parola indica l’indifferenza di genere –, sostenendo da tempo con la sua energia argomentativa le campagne sull’eutanasia, il diritto all’aborto e l’omogenitorialità.
Tutto questo ha fatto della Murgia l’icona di un’antropologia centrata sulla volontà personale, ispirata a una libertà di scelta insindacabile e a un’autodeterminazione assoluta, che vede nel soggetto il solo arbitro di sé stesso, senza riferimenti ad alcuna istanza oggettiva che lo precede e che condivide con tutti gli esseri umani. Su di me decido io, ognuno decida per sé. Molto in linea con l’idea oggi dominante sulla pubblica piazza, con la “ribellione” come cifra assai reclamizzata e però smentita da un effettivo allineamento al pensiero corrente. Cosa c’è in fondo di più organico alla mentalità diffusa del sentirci padroni di tutto ciò che ci riguarda, e del far pensare che ogni sistema di pensiero, ogni istituzione e legge che vi si oppone sia espressione di una cultura retrograda che crea infelicità?
Il messaggio che ora prevale nei mezzi di comunicazione è della «scrittrice dei diritti», «libera fino alla fine», «attivista a testa alta», con la sua figura eletta a simbolo della contestazione di un ordine che in realtà appare già sgretolato dal soggettivismo dominante. Un pensiero provocatorio come il suo, e ancor di più l’uso che se ne sta facendo come di una bandiera issata su campagne di opinione attorno ad aspetti nevralgici della famiglia e della vita, ci obbliga a un confronto onesto, come sarebbe piaciuto a lei. E tra i diversi punti che si rinvengono nelle sue parole dette e scritte, specie nell’ultimo periodo, forse quello che più sta incidendo sull’immaginario è proprio quello di “famiglia queer” – la prova è che ila mattina successiva alla sua morte era tra le domande più frequenti rivolte ai motori di ricerca – intesa da Michela Murgia come «una famiglia ibrida, fondata sullo ius voluntatis: perché la volontà deve contare meno del sangue?». Non più famiglia, dunque, ma contenitore a geometria variabile di affetti variamente assemblati.
Se sulla fede della scrittrice sarda nessuno può pronunciarsi, la sua visione della persona va in una direzione opposta a quella personalista e relazionale della dottrina cristiana, che non esenta la volontà da una valutazione etica. Questo sì che oggi è un pensiero “scomodo”.

Dieci esempi concreti di gnosi omosessualista tra i “modernisti cattolici”

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L’EDITORIALE DEL LUNEDI

di Leonardo Motta

Il “Gesù pro Lgbt” propagandato nei giorni scorsi dalla Chiesa Nazionale Islandese (di matrice Luterana) ci porta a non stupirci più di tanto perché i casi di gnosi omosessualista all’interno della Chiesa Cattolica di matrice modernista sono numerosi. Non ci credete? Vi ricordo dieci esempi che fanno comprendere come una certa gnosi omosessualista si è introdotta ai vertici delle gerarchia ecclesiastica e, ancor di più, nel clero.

Incontrando dei religiosi latinoamericani, il 6 giugno 2013, Jorge Bergoglio aveva affermato che nella Chiesa c’è una “lobby gay”, ed aveva aggiunto: “dobbiamo vedere cosa possiamo fare”.

Questa lobby, purtroppo, negli ultimi anni ha alzato notevolmente la cresta e sta tentando di cambiare anche la dottrina della Chiesa. Il che non significa che chi sposa queste posizioni abbia necessariamente tendenze omosessuali. Molto semplicemente diversi sostenitori di questa pericolosissima gnosi sono diventati semplicemente dei sudditi del pensiero oggi dominante e, da sudditi del mondo e non di Cristo, cercano di trovare un compromesso tra la gnosi omosessualista e l’insostituibile dottrina della Chiesa.

Facciamo solo qualche esempio recente.

Il “cardinale” americano Joseph Tobin (che dovrebbe guidare a Cristo 1,5 milioni di cattolici di Newark, New Jersey) il 17 aprile 2019, durante un’intervista con Anne Thompson della NBC sul “Today Show” (https://www.today.com/video/how-cardinal-joseph-tobin-found-his-calling-in-the-catholic-church-1496688707952), ha sostenuto che il Catechismo della Chiesa cattolica avrebbe usato “un linguaggio molto sfortunato” sugli omosessuali. Purtroppo il cardinale ha “confuso” ciò che dice il Catechismo sull’inclinazione omosessuale (gli atti omosessuali sono, infatti, definiti “intrinsecamente disordinati”) con quello che realmente dice sulle persone omosessuali. Tobin è lo stesso personaggio che nel 2017 ha promosso il libro “Building a Bridge” del discusso gesuita padre James Martin, un gesuita che pontifica sull’omosessualità attraverso il suo profilo Twitter (https://mobile.twitter.com/JamesMartinSJ). In quel libro si sostiene che la Chiesa deve modificare il linguaggio con cui parla di omosessualità. Tobin aveva detto del libro che “in troppe parti della nostra Chiesa ufficiale le persone LGBT sono state fatte sentire sgradite, escluse e persino piene di vergogna. Il nuovo libro di Padre Martin, coraggioso, profetico e ispiratore, segna un passo essenziale per invitare i dirigenti della Chiesa a svolgere il ministero con più compassione, e per ricordare ai cattolici Lgbt che essi sono parte della nostra Chiesa ufficiale come qualsiasi altro cattolico” (https://www.catholicnewsagency.com/news/cardinal-tobin-catechism-language-very-unfortunate-on-homosexuality-45966). Continua a leggere

La gnosi omosessualista all’assalto del Cattolicesimo

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L’EDITORIALE

di Leonardo Motta

Gli scandali che hanno causato migliaia di chierici, operanti diabolicamente in diverse parti del pianeta, relativamente agli atti sessuali che hanno compiuto con minorenni e maggiorenni, consenzienti e non, hanno fatto e continuano, purtroppo, a fare apparire la Chiesa Cattolica, agli occhi di un certo mondo che condanna i peccatori e non i peccati, come totalmente macchiata di vizi e da colpire (e, qualcuno spera, affondare!) attraverso il pubblico disprezzo mass-mediatico.

Come hanno fatto con il suo Divino Fondatore, Gesù Cristo, considerato un peccatore dalle potenze umane del suo tempo, anche l’unica Chiesa che può vantare duemila anni d’età e la diretta discendenza dal suo Signore, quella Cattolica, è oggi sotto il fuoco di cecchini esterni e soprattutto interni, abili nel mirare al cuore del suo messaggio: l’invito alla santità, alla conversione dei cuori, alla civiltà dell’amore Trinitario, attraverso la purezza e la castità prevista per i singoli stati di vita.

“La Chiesa è il Regno di Dio già presente in mistero”, insegnava un professore di Ecclesiologia. Tuttavia la Santa Chiesa è composta di peccatori. È per questo che le parole di Gesù Cristo, contenute in Matteo 13,24-30, non perderanno mai il loro valore.

La zizzania e il grano continueranno a crescere insieme fino a quando la zizzania, “legata in fasci” sarà bruciata nel fuoco eterno dell’Inferno (che esiste e non è un’invenzione della Chiesa!), mentre il grano sarà riposto nel “granaio” di Cristo, il Paradiso.

Una gravissima zizzania presente nella Chiesa ufficiale, che ha favorito lo scandalo della pratica sessuale dei suoi chierici, è la gnosi omosessualista. Continua a leggere

Il ddl Zan & C. produrrebbe l’effetto di rovesciare l’ordine etico della società

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In Parlamento si discute sul testo unificato che contiene il Ddl contro l’omotransfobia. Quali saranno le ricadute se dovesse diventare legge? Cosa si potrà dire e cosa no? Avremo ancora un diritto d’opinione o questo segnerà la fine del libero pensiero? Ne abbiamo parlato con Gianfranco Amato, presidente dei Giuristi per la Vita.

di Ida Giangrande

Il quotidiano Avvenire ha ospitato l’onorevole Alessandro Zan per spiegare che il testo unificato delle proposte di legge in materia di omotransfobia non sono liberticide e che per i cattolici non c’è nessun problema per quanto riguarda il diritto d’opinione e di credo religioso. L’hanno convinta le rassicurazioni dell’on. Zan?

In effetti l’on. Zan ha precisato che l’estensione dell’attuale art.604 bis del Codice penale non riguarderebbe la «propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico». Sembrerebbe, quindi, che in caso di approvazione delle modifiche proposte, ai cattolici sarà possibile affermare che gli eterosessuali sono superiori agli omosessuali o, se si preferisce, che gli omosessuali sono inferiori agli eterosessuali. Sarebbe inoltre consentito, sempre secondo Zan, affermare pubblicamente che l’omosessualità è una «grave depravazione», come sancisce il punto 2357 del Catechismo della Chiesa cattolica. Bene, questo ci tranquillizza. Ciò che, invece, ci lascia alquanto perplessi è il secondo aspetto del ragionamento di Zan. Secondo il deputato del PD, infatti, ciò che verrebbe punito è la discriminazione o l’istigazione alla discriminazione basata su motivi di genere, orientamento sessuale e identità di genere, e la violenza o la provocazione alla violenza basata sempre sui predetti motivi.

Quali sono gli elementi che la lasciano perplessa circa la discriminazione e la violenza?

Ci sono due obiezioni che subito mi vengono in mente. La prima riguarda la definizione del concetto di discriminazione che la proposta di legge non chiarisce. E non è un problema da poco se si formulano alcune ipotesi che certamente interessano cattolici e relativa Chiesa. Se, per esempio, il Rettore di un Seminario diocesano decidesse di non ammettere o di espellere un seminarista perché pratica l’omosessualità, integrerebbe evidentemente un atto di discriminazione sanzionabile ai sensi dell’art. 604 bis, lett. a) del Codice penale, secondo la riforma voluta da Zan. Stessa cosa se un parroco decidesse di non dare un incarico pastorale ad un omosessuale convivente e militante per i diritti LGBT, o decidesse di non affidare i ragazzi dell’oratorio per un campo estivo ad un responsabile scout che si trovasse nelle stesse condizioni. Nell’identica situazione di troverebbe un parroco che rifiutasse la provocazione di due lesbiche conviventi e militanti per i diritti LGBT che chiedessero, per la strana coppia, una benedizione in chiesa.  Discriminazione sarebbe considerata anche quella di un pasticciere cattolico che si rifiutasse di confezionare una torta “nuziale” per la cerimonia di un’unione civile tra due omosessuali. O un fotografo cattolico che rifiutasse di prestare il proprio servizio fotografico per un’analoga cerimonia. Le ipotesi potrebbero proseguire fino all’esclusione di un uomo che si “sente” donna dall’accesso ai bagni riservati alle donne, o dall’accesso agli spogliatoi femminili di una piscina. In questo caso la discriminazione avverrebbe sulla base dell’identità di genere. Sempre rispetto a questo tema, un istituto scolastico non potrebbe imporre un codice di abbigliamento ad un insegnante transessuale o persino ad un docente Drag Queen, perché il variopinto trucco e l’eccentrico costume costituirebbero un’espressione dell’identità di genere tutelata per legge. La scuola non potrebbe porre in essere una discriminazione nei confronti dell’insegnante come i genitori non potrebbero rifiutarsi di mandare i propri bimbi a scuola con una simile maestra. Raccogliere, poi, le firme per protestare contro l’istituto scolastico integrerebbe un’istigazione alla discriminazione. Né sarebbe, ovviamente, consentito ai genitori impedire che i propri figli partecipino ai cosiddetti “corsi gender”, quelli appunto basati sul concetto di identità di genere.  Continua a leggere

Avvenire promuove la teologia gender/queer?

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Segnalazione di Corrispondenza Romana

di Lupo Glori

Mentre la Chiesa cattolica (ufficiale, n.d.r.) è travolta, da un capo all’altro del mondo, dai vergognosi scandali a sfondo sessuale il quotidiano dei vescovi Avvenire, nel suo supplemento del 29 luglio scorso dedicato al raduno mondiale delle famiglie che si apre a Dublino, sdogana la teoria del gender, pubblicando un articolo in cui viene esposta la “bontà” di una improbabile teologia in chiave “gender” e, perché no, anche “queer”.

Ad avanzare l’audace tesi è la teologa Lucia Vantini, della Facoltà Teologica del Triveneto, con un testo astruso, redatto secondo l’artificioso e criptico linguaggio genderista, nel quale la professoressa espone la propria personalissima “teologia” di orientamento gender in cui, secondo le sue stesse parole, ”non viene esclusa a priori nemmeno la prospettiva queer“.

La Vantini spiega infatti come il Coordinamento delle teologhe italiane di cui è vice presidente, “è impegnato in una teologia di genere” che “promette inclusività, (…) e provoca il mondo maschile a rendere conto della propria parzialità corporea e prospettica, mascherata sotto il segno del neutro anche in teologia. Tuttavia, in questa ricerca delle donne trovano spazio l’epistemologia della differenza e la politica dell’uguaglianza e non viene esclusa, a priori, nemmeno la prospettiva queer, con la sua preziosa forza decostruttiva degli stereotipi espliciti ed impliciti dell’ordine simbolico cristiano. Si tratta di epistemologie che non prevedono una transizione definitiva dall’una all’altra ma che aprono un processo a spirale verso la profondità dell’essere sessuato”.

Obiettivo dell’intervento della docente della Facoltà Teologica del Triveneto è quello di rivendicare e dimostrare l’origine femminista dell’espressione “differenza sessuale”, impropriamente utilizzata, a suo dire, come “arma anti-gender” dai detrattori della teoria di genere, proponendone una propria particolare rilettura. Continua a leggere

San Paolo: “chi non vuol lavorare, neppure mangi” (parassita!)

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Segnalazione www.unavox.it 

di L. P.

Giorni or sono, in occasione di un intervento di bonifica su un ‘campo rom’ – nomato con sciccosa anglomanìa il River Village di Roma – effettuato dalle forze dell’ordine nell’ultima settimana di luglio, il direttore di Avvenire, l’organo stonato della CEI, se ne uscì con un commento col dire che “Nessun uomo è mai un parassita”, evidente essendo l’intento di trasformare, con un procedimento cultural – alchemico, la realtà di un’etnìa che largamente si qualifica per comportamenti exlege, in modello di efficientismo sociale ed economico.
Affermare, per l’appunto, che nessun uomo è mai un parassita vuol decisamente dire che, per il fatto di “essere persona”, anche uno stile di vita, connotato da attività illecite o da abulìa  – e le prove a sostegno di sì evidente realtà sono innumeri – va riconosciuto come segno di un oggettivo valore.

Non è nella ragione di questo nostro intervento soffermarci sugli aspetti politici, sociali, giudiziarî di cui sono spessissimo parte imputata una o altra comunità rom. Nostro scopo sarà, invece, quello di smentire e smontare la ‘massima’ proferita da Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, evidenziandone l’infondatezza e la contingente funzionalità a una sua gratuita smània di polemica.

iNoi siam convinti della concreta realtà antropologica dell’individuo che l’opinione comune universale definisce ‘parassita’, ma non è su questa nostra convinzione che baseremo il ragguaglio critico mosso al predetto direttore. Ben altre sono le ‘auctoritates’ che confermano l’esistenza del ‘tipo parassita’ tanto in termini economici quanto in quelli esistenziali.

Con tal vocabolo si indica un organismo animale o vegetale che vive a spese di un altro e, per trasporto assiologico, una persona che vive sfruttando gli altri. Prestito moderno dalle lingue classiche: dal latino parasitus (parasita è il femm.), convitato scroccone, mantenuto; dal greco paràsitos, che mangia alla tavola degli altri – da sitos, cibo, col prefisso para – presso, a fianco. Un tipo umano, come bene l’antica cultura classificò e che, di concerto con Vico, possiamo definire tipo verissimo.

Ora, il gran cuore di Tarquinio, colmo di buonismo e di filantropìa, scosso da viva e agitata voglia di un’accoglienza a prescindere, non solo smentisce e rifiuta il dizionario e la storia e, nella presente contingenza di cronaca, il ministro dell’Interno on.le Matteo Salvini – colui che ha ordinato lo sgombero del campo – ma cancella l’autorità di:

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